Scacco a Dio

Scritto da:  | 14 Giugno 2010 | Categoria: Libri

Avremmo pensato di incontrarlo al termine del suo ultimo concerto, magari nei camerini di un teatro di provincia, oppure in riviera a Sestri Levante davanti ad un bianco delle Cinqueterre, oppure ancora nelle nebbie del sogno, immobile ed in attesa sui marciapiedi della  stazione di Zima, con un’immancabile sigaro in bocca. Macchè. Che il professor Roberto Vecchioni venisse di persona con un suo libro incontro al mondo delle sessantaquattro caselle, con imprevedibile competenza, francamente non ce lo saremmo aspettato. Mentre il padre si giocava il cielo a dadi, Roberto sceglie incredibilmente gli scacchi, con il suo ultimo libro “Scacco a Dio” (edizioni Einaudi, collana I coralli).

Dieci racconti emergono da uno sfondo metafisico dove Dio in persona dialoga col suo primo consigliere Teliqalipukt in merito agli uomini, con particolare riguardo per quelle storie ribelli di chi ha scelto di essere “altro da sé”. “Scacco a Dio” è il battesimo del libro, nelle gesta di una sfida con l’assoluto dove le storie di Oscar Wilde, Federico II, Shakespeare, Catullo vengono rilette, capovolte, rovesciate in nome di una conclusione che duella con le pagine già scritte dal destino.

“Niente come gli scacchi è così vicino al Disegno di Dio: più ingannevole e provocatorio delle presunte certezze. Si arriva ad un passo dall’assoluto e si ricomincia. L’umanità si tramuta in metafora: vivere è attendere come l’uomo davanti alla caverna, davanti al guardiano di Kafka”, scrive Vecchioni.

Ogni storia è un ricorso straordinario per la revisione di una sentenza già scritta, frutto di un processo che il Dio di Vecchioni accondiscende a ribaltare. Come gli uomini hanno inventato gli scacchi, gioco governato spesso da un fato che non si riesce a dominare, così Dio ha creato questi uomini a sua immagine e somiglianza, pur senza riuscire a controllarli.  Siano gli uomini o siano gli scacchi, qualsiasi mossa è loro, soltanto loro.

E l’arena voluta da Vecchioni, con perfetta scelta di tempo, è Buenos Aires ’27, il punto più alto dell’epica scacchistica, lo scontro tra due titani ineguagliabili, dove anche la storia, sommessa, si è fermata a guardare.

“Gli scacchi non sono un gioco, ma un cimento, l’Iliade della mente, l’impresa epica di decifrare i simboli, ordinare il creato in una biblioteca colossale e pur transitabile, la battaglia che non ha fine dove i morti resuscitano, riprendono le armi sino a morire e riprenderle ancora dietro un oscuro ideale che da qualche parte deve pur esserci fino a esaurire tutte le possibilità che da qualche parte ci sia.”

Avevamo sempre creduto nella forza cieca di Alekhine, nella sua rabbia al tritolo, nel suo essere asceta e cacciatore ad un tempo, nella sua prepotente ossessione di vincere.

Quell’Alekhine “era un ciclone scatenato che sconvolgeva l’avversario, il pubblico, l’intero mondo scacchistico”, come ebbe a scrivere Esteban Canal.

Alekhine era polvere e altari, rivoluzione e reazione, l’ottobre rosso e la croce uncinata, l’eroe di Bled 1931 e l’ubriacone capace di pisciarsi addosso in un match mondiale, l’esaltazione assoluta della vittoria, il furore cieco che spaccava i mobili dopo una sconfitta. Alekhine sconfiggeva la macchina Capablanca, il virtuoso baciato in fronte da madre fortuna, rendeva possibile l’impossibile, era il riscatto di Sisifo, in una parola ci aveva fatto credere di essere veramente lui, l’uomo che era riuscito a dare scacco a Dio.

Vecchioni invece capovolge la clessidra e rovescia il discorso, a favore dell’uomo Capablanca, genio innato, casanova degli scacchi, libertino impenitente senza regole morali. Come in Khayyam, come in Borges (”quale Dio dietro Dio la trama ordisce, di tempo e sogno e polvere e agonie?”) qualcuno guida dall’alto la mano di Alekhine, novello Pelide Achille.

Capablanca scopre il disegno in anticipo, intuisce la fine, e decide lui la sconfitta, decide lui l’errore, poiché “non c’è nessuna differenza tra vincere e perdere, quel che conta è sceglierlo da soli”. Lui è il vero autore dello scacco a Dio.

Poi in fondo resta solo il mistero, un mistero che forse è proprio nascosto all’interno del nostro gioco millenario: “il mistero dell’armonia universale, l’infinità che i colori non possono raggiungere, l’assurdo dei numeri primi, son racchiusi lì, concentrati in 64 caselle. L’antico e il nuovo delle domande, dei calcoli disperati dell’anima, l’universo che brucia e ripropone le stelle, gira intorno a se stesso, e ti elude e lo riprendi, e ti illude e lo arresti, lo schiacci”.

Grazie ancora a Roberto Vecchioni per esserci venuto incontro. Gli scacchi hanno bisogno di questo.

In conclusione riproponiamo l’ultima partita del match del 1927.

avatar Scritto da: Riccardo Del Dotto (Qui gli altri suoi articoli)


4 Commenti a Scacco a Dio

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    Mandriano 14 Giugno 2010 at 11:34

    Gli scacchi hanno bisogno anche… di Bilguer74!!

    Soloscacchi poi non se ne parla…

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    Martin Eden 14 Giugno 2010 at 11:46

    …se poi anche Mandriano ci desse una mano non sarebbe invano! 😉

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    Mandriano 14 Giugno 2010 at 14:58

    …preghiamo …per Mandriano!! …scacco a Dio!!

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    ancormauro 14 Luglio 2010 at 10:38

    B74:B74=FE:C

    (leggi Bilguer74 sta a Bilguer74 come un fatto energetico sta alla sua consapevolezza).

    Grazie a Dio ;D

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