Partita a scacchi con il morto

Scritto da:  | 6 Gennaio 2011 | 4 Commenti | Categoria: Libri

Dopo la bella e impegnativa avventura insieme al Maestro Mario Leoncini nel portare avanti e terminare “ Sacrifici tattico-strategici nella Siciliana “ che ci ha tenuti occupati per molti mesi, ho sentito la necessità di dedicarmi alla stesura di un testo leggero e divertente per disintossicarmi di numeri, segni, simboli, diagrammi che mi giravano intorno alla testa dalla mattina alla sera. Ho così pensato di scrivere un breve racconto giallo ambientato nel mio circolo di scacchi, per parlare anche un po’ della città di Siena e ironizzare in qualche modo sui simpatici amanti della dea Caissa.

Il commissario Marco Tanzini

La passione per i gialli era nata, si può dire, sin dalla sua infanzia. Gli aspetti meno gradevoli dell’uomo lo avevano sempre colpito. Soprattutto il lato più buio e misterioso del Male che si nasconde in ognuno di noi. Ed ora se ne stava in piedi con le braccia incrociate ad ammirare, soddisfatto, la sua collezione di gialli che troneggiava nel bel mezzo della biblioteca. C’era in prima fila Agatha Christie con i personaggi più famosi: Poirot e Miss Marple. Era stato il suo primo amore, se lo ricordava bene ( anzi no, c’era stato in precedenza una “cotta” per Perry Mason ed un’altra per Sherlock Holmes che però non erano risultate così significative. Uno dei suoi primi divertimenti consisteva nell’immaginare la faccia sbigottita del dott. Watson di fronte alle deduzioni di Holmes )  soprattutto dopo avere visto la trasposizione in alcuni film delle gesta della terribile vecchietta impersonata magistralmente dalla Rutherford. Poirot all’inizio gli stava antipatico. Tutto impomatato e ingessato, sempre intento a curare e lisciarsi quei suoi ridicoli baffetti arricciati, e poi quei modi affettati da dandy che urtavano la sua semplice naturalezza, via! In seguito, però l’omino dalle effervescenti cellule grigie lo aveva conquistato e tutte le sue manie glielo avevano reso buffo, se non addirittura simpatico. Anche con quella presunzione di essere il più bravo di tutti. Merito dell’attore David Suchet che sullo schermo si muoveva a piccoli passi  che tiravano al sorriso. La stessa cosa era successa per Nero Wolfe, il quale non usciva mai di casa per risolvere i delitti, ma da quando lo aveva visto nei panni di Tino Buazzelli alla televisione, era diventato uno dei suoi detective preferiti. Grande e grosso come un elefante ma dal cervello finissimo, aveva un rapporto nevrotico con le orchidee e non lo avresti tirato giù dalla tavola nemmeno se fossero cadute le torri gemelle. La televisione talvolta lo aveva convinto più della stessa lettura, e si ricordava con soddisfazione come avesse imparato a conoscere meglio le peripezie di padre Brown dalla serie televisiva recitata da quello spiritello di Renato Rascel il quale, essendo un comico di razza, dava alle sue avventure il giusto pizzico di sano umorismo che era proprio dell’autore Chesterton. E come quello spilungone di…, anche se in quel momento non si ricordava il nome dell’attore, avesse concretizzato in maniera perfetta l’idea che si era fatta di Ellery Queen.  Maigret se l’era goduto due volte, attraverso i libri di Simenon e in seguito con la stupenda interpretazione di Gino Cervi, che aveva saputo dare al personaggio quella giusta dose di fermezza e bonomia tipica del commissario transalpino. Ma tutto ha un limite, e andando avanti la televisione l’aveva fatta da padrone, ed erano venuti fuori Derrik, Colombo e la Signora in giallo ( sui quali, tuttavia, non aveva molto da eccepire ) e tanti altri anonimi ispettori e ispettrici da non poterne più. Salvava Montalbano, perché se lo sentiva vicino, con la sua aria da scanzonato picciotto e poi perché il siciliano usato da Camilleri era divertente. Aveva proprio una bella collezione di segugi di tutte le razze e di tutti i tempi. Bastava seguire le orme di frate Cadfield, o di Dante ( sì, proprio l’autore della  “ Divina Commedia “ ), per ritrovarsi in pieno medioevo anche se in due realtà diverse, o quelle di Aristotele per passare di botto ai tempi della civiltà greca. E c’era chi aveva ambientato storie nefaste nell’antica Roma e nell’antico Egitto. Non mancavano i gialli della scuola americana con in testa Dashiell Hammett e Raymond Chandler. Che gli interessavano, ma fino ad un certo punto, perché le scazzottate, gli inseguimenti, le macchine ribaltate, le sparatorie anche all’ora di pranzo e di cena gli buttavano all’aria l’appetito. Per ultimi erano arrivati gli italiani che non avevano una tradizione eccelsa in questo campo. Però si erano fatti largo a spallate ed ora se la battevano ad armi pari con gli autori stranieri, cosicché Renato Olivieri, Loriano Macchiavelli, Carlo Lucarelli, Santo Piazzese ed altri ancora se ne stavano in bella mostra, seppure un po’ in disparte, sugli scaffali insieme agli alti papaveri della letteratura poliziesca mondiale senza arrossire troppo di vergogna. Ultimamente c’era stato il boom del giallo da tutte le parti ed erano nati commissari finocchi e ispettrici lesbiche, tanto da far capire che si stava raschiando il fondo del barile e gli autori, in gran numero del gentil sesso, non sapevano più cosa proporre. Eh sì, era proprio soddisfatto della sua biblioteca, il commissario di polizia criminale Marco Tanzini di Siena. E sarebbe stato ancor più soddisfatto se fosse capitato anche a lui qualche caso particolare, qualche matassa difficile da sbrogliare in modo da confrontarsi con i suoi eroi libreschi. Invece nulla. Furti, rapine, case-squillo, giretti di droga, scazzottate in discoteca. Mai che gli fosse toccato un cadavere bello caldo, pardon bello freddo, di dubbia dipartita. Meno soddisfatto del tempo che aveva preso l’aspetto nevrotico della sua insegnante di matematica al ginnasio. Era una maledetta giornata torrida e afosa. Come non se ne erano mai viste nel mese di giugno. Ma tutto stava cambiando nel nostro paese, dal governo al modo di pensare e di agire. Così gli sembrava, e gli elementi naturali si adeguavano imitando alla perfezione le caratteristiche tormentose di quelli tropicali. Prima o poi ci sarebbero state anche qui da noi due sole stagioni: quella arida e quella della pioggia. Cavoli amari per tutti. Soprattutto per lui, che non sopportava il caldo e non gli erano bastati cinque fazzoletti a tenere asciutta la testa pelata. Preso da tali considerazioni si accorse del telefono in subbuglio solo al quinto trillo. Si avviò a rispondere, mugugnando tra i denti qualcosa di poco simpatico nei confronti dell’incauto scocciatore.

“ Pronto? Commissario…”

“ Che c’è, benedetto Pasquini! Cosa c’è di così maledettamente urgente da rovinarmi la giornata. Che già di per se stessa mi sta angustiando non poco! ” rispose di botto, avendo riconosciuto la voce lagnosa del suo sottoposto.

“ C’è che… è successo un fatto grave…un fatto molto grave…”

“ Certo, se ti permetti di scocciarmi a quest’ora, a casa mia il giorno prima che me ne vada in vacanza, deve essere per forza grave. Anzi, gravissimo Pasquini, di una gravità inaudita, incommensurabile, mi capisci? Non blaterare, fai alla svelta e tira fuori il rospo senza perdere tempo. Allora cosa c’è? “

“ C’è un morto. “

“ Un morto? “

“ Sì, un morto. “

“ Dove? “

“ Al CRAL del Monte dei Paschi della nostra città, più precisamente in via dei Termini 31. Dove si riuniscono, tra gli altri, i giocatori di scacchi. A un passo dalla sua abitazione. “

“ A un passo o due dal mio appartamento questo non c’entra nulla. Se è morto, Pasquì, voglio dire morto di morte naturale, che cavolo c’entriamo noi? “

“ Vede, commissario, la dipartita non sembra del tutto normale. Insomma c’è bisogno del nostro intervento.”

“ Porc…”

E qui l’imprecazione gli si strozzò nella gola come quando da bambino si ingozzava di paste fino all’orlo della bocca e non riusciva più a spiccicar parola. Un morto lo aveva desiderato, sì, ma all’inizio della carriera, non certo in quel momento. Erano le diciassette del 27 giugno 2003. Uno stramaledetto venerdì in cui non doveva essere ancora al lavoro per terminare una stramaledetta pratica, ma in viaggio verso il mare di Sicilia per uno stramaledetto, meritato riposo. Se si considera che si era lasciata sfuggire la possibilità di andare in pensione, per dare retta al suo superiore, che gli aveva consigliato di non perdere l’ultimo scatto di anzianità, si può immaginare come fosse cambiato il suo umore. Che in un batter d’occhio da roseo davanti alla biblioteca era diventato nero di fronte al telefono. Come nemmeno un camaleonte.

Un cadavere al CRAL del Monte dei Paschi di Siena

Lo sfigato se ne stava seduto con il volto pigiato su una scacchiera e le braccia allargate sul tavolo da gioco con i pezzi sparpagliati da tutte le parti ed un bicchiere vuoto sulla sua destra. Non c’era alcun segno di violenza, ad eccezione degli occhiali che si erano evidentemente rotti per l’impatto contro la scacchiera.  Rialzando con cura il corpo venne fuori una faccia da topo morto che fu come il suggello di tutta la giornata. Fece fatica a non pensare che un tal muso non poteva che meritare una tal fine e si mise ad esaminare il luogo del delitto: una stanza rettangolare che poteva ospitare al massimo una dozzina di persone, con una porta finestra prospiciente su una piccola terrazza circondata dai muri di altre case. C’era un computer da una parte e una discreta libreria alle spalle dell’ucciso, qualche targa sbiadita attaccata alle pareti, libri di scacchi e riviste che se la spassavano in un ben coordinato disordine, orologi da torneo, di cui si fece spiegare in seguito il funzionamento, ammucchiati insieme ai libri. Rovistando nel cestino dei rifiuti per istinto professionale, trovò alcuni pezzi di foglio bianco in cui era segnato qualcosa e se li mise in tasca. Nell’aria c’era uno strano odore a cui, però, non fece caso ingrugnito com’era. Poi girò per tutto il locale. Subito all’entrata sulla sinistra un piccolo bar, davanti al bar due sale da biliardo, curvando ancora a sinistra un corridoio con a destra la stanza per i giocatori di carte, e quindi proseguendo ci si trovava di fronte ad una ampia sala che accoglieva manifestazioni di vario genere. La tana degli scacchisti si trovava rincantucciata sulla sinistra. Non mancavano i servizi igienici che erano posti sulla destra prima dell’ingresso al bar. Mentre attendeva sbuffando l’arrivo del medico legale, fatto avvisare subito dopo la telefonata del Pasquini, interrogò la persona che aveva scoperto per prima l’accaduto, la barista, ovvero una cavallona frignante alta un chilometro che non si dava pace.

“ Signorina si calmi e mi dica quello che è accaduto. Senza paura, anche se capisco…”

“ Ecco, vede…io ero come al solito qui al bar…anzi, se devo essere sincera…”

“ Deve essere sincera, per forza, dica solo la verità e vedrà che non le succederà niente.” E nel dire questo la sostenne per un braccio che sembrava cadesse da un momento all’altro.

“ Ecco, allora…ero seduta lì in poltrona a vedere la televisione, dato che avevo svolto i miei compiti e non c’era nessuna richiesta da parte dei clienti quando…quando il sig. Pelosi chiede un bicchiere di acqua minerale. Ed io glielo porto un po’ sorpresa…”

“ Sorpresa, perché? “

“ Perché immancabilmente voleva sempre una cedrata Tassoni. Perciò mi sono meravigliata…”

“ Mi scusi un attimo. Cerchiamo di essere precisi. Lei è davanti al televisore avendo già svolto i suoi compiti…”

“  Glielo giuro commissario. Non avevo più niente da fare…”

“ Le credo, le credo, non si agiti troppo, non sono il suo datore di lavoro. Il cavaliere la chiama…”

“ No, no, non mi ha chiamata, anche perché non l’avrei sentito. E’ venuto un suo amico scacchista a chiedere un bicchiere d’acqua per lui. Io l’ho preparato e gliel’ho portato.”

“ L’ha dato a lui personalmente? “

“ Sì, certo, gliel’ho messo sul tavolo mentre stava giocando. “

“ Che ore saranno state? “

“ Le sette. Sono quasi sicura perché a questa ora inizia un programma che mi interessa e che di solito riesco a vedere…”

“ Non avendo nulla da fare…”

“ Sì, come avrà potuto notare i clienti sono pochi…”

“ Va bene, e poi cos’è successo? “

“ Poi sono ritornata qui e non mi sono più mossa fino alle sette e mezzo circa. Mi sembrava che fossero usciti tutti gli scacchisti e sono andata nella loro stanza per mettere a posto. Ed è allora…è allora che ho visto…” e non ci fu verso di farle dire altro perché incominciò a buttar giù lacrime come una fontana.

Il medico legale, un segaligno occhialuto con dei baffetti da sparviero, arrivò trafelato dopo circa mezz’ora farfugliando qualche scusa sconnessa che incupì ancor più l’ ispettore. Dopo avere armeggiato un po’ con il corpo del morto, la sentenza fu perentoria “ Stante il rigor mortis posso affermare con sicurezza che il signore se ne è andato, diciamo, fra le diciannove e le diciannove e trenta. E posso anche prevedere che la dipartita sia dovuta a qualche sorsatina di cianuro come fa pensare l’odore di mandorle amare che viene fuori da questo bicchiere. Ma sarò senz’altro più sicuro dopo l’autopsia”. Borbottò una specie di saluto e sgaiattolò via tenendosi alla larga dall’ispettore. Il quale se ne ritornò a casa, in via della Sapienza, proprio davanti alla Biblioteca Comunale, a meditare su quella strana morte. Anzi, siccome la “mattana” non gli era passata, come avrebbe precisato il buon Manzoni, decise di fare tutto l’opposto di quello che aveva fatto Don Rodrigo: mangiò quello che riuscì a trovare nel frigorifero, tracannò due bicchieri di birra gelata, si spogliò velocemente, si gettò sul letto e si addormentò non appena planato sulle lenzuola in barba a tutto e a tutti.

Il mattino seguente, però, il problema non si era risolto da solo e si ripresentò in tutta la sua inquietante interezza. Anche una dubbia dipartita a Siena non era roba da poco. Una città tranquilla rispetto a tante altre, che lo aveva subito conquistato con la sua grazia e la sua gentilezza. Con il fascino della sua storia e della sua arte. I primi tempi che era arrivato, nei momenti liberi, se ne stava incantato per ore ad ammirare il Duomo o il Palazzo comunale. E davanti alle maestà di Duccio di Boninsegna e di  Simone Martini gli era venuto il groppo alla gola. Sì, perché lui era portato per l’arte e la letteratura, aveva frequentato l’Università a Firenze e avrebbe voluto dedicarsi all’insegnamento. Ma suo padre, già brigadiere a Poggibonsi, aveva voluto per forza iscriverlo nel corpo di polizia, e per non contraddirlo si era arreso, con mestizia, alla sua volontà. Aveva fatto la gavetta in diverse città passando di grado in grado fino ad arrivare a Siena. E proprio in questa città così lontana dal torbido miscuglio di odio e cattiveria che c’era in giro doveva capitare una roba come quella. Per di più in una piccola stanza dove si radunava una combriccola di fannulloni intenti a muover pezzi di legno su un cartone quadrettato. Il giorno prima delle sue sacrosanti ferie! Tutto un ragionamento che cozzava con quanto aveva desiderato fino ad allora. Ma che si poteva comprendere da quello che era successo. Si diresse a passi nervosi verso il bagno per darsi una risciacquata. Davanti allo specchio apparve una faccia tirata con due occhi azzurri, freddi, che non promettevano nulla di buono. Per natura era un tipo calmo, ma quando si incarogniva erano dolori per tutti. Decise di darsi da fare. Avrebbe interrogato i frequentatori del circolo che in quel giorno, fortunatamente, si limitavano ai soli scacchisti. Poi avrebbe esaminato i pezzi di carta che aveva raccolto nel cestino e messo nella tasca della giacca. Faceva un caldo boia, ma la giacca la portava sempre lo stesso anche a costo di squagliarcisi dentro. Era diventata ormai un’abitudine da quando sua madre ce l’aveva costretto sin da piccolo, e non c’era più niente da fare. L’imprinting  è duro a morire.

Fu una giornata infernale. E non solo in senso metaforico. Otto ore di interrogatorio quasi di fila interrotte da un breve spuntino che lo lasciarono completamente disfatto. La sera, a casa,cercò di riordinare le idee: il cavaliere (ma esistevano ancora quei titoli?) Gino Pelosi, sessantenne, abitante a Siena, era stato trovato morto stecchito alle 19,30 nella sala da gioco degli scacchi dalla cavallona piagnucolante, per avere ingerito una bella dose di cianuro come previsto e poi confermato dall’allampanato medico legale. Aveva chiesto un bicchiere di acqua minerale, evento inusitato per lui, nel quale era stato versato il veleno. Tutti i presenti avevano dichiarato di avere giocato fra di loro e con il suddetto cavaliere fino alle 19,15 circa , dopodiché era rimasto solo, come sua abitudine, a studiare la teoria. Sì, perché era un vero appassionato del modo in cui si iniziano, cioè si aprono, (da qui il termine di “apertura”) le partite, aveva scritto perfino dei libri, aveva collaborato e collaborava ad alcune riviste specializzate sull’argomento. Questo fatto lo aveva, diciamo, un po’ esaltato, si dava delle arie, punzecchiava, commentava, si insinuava nelle discussioni altrui, voleva dire sempre la sua con un fare da “So tutto mi”che lasciava disgustati. Insomma, per farla breve ed essere concisi, il nostro cavaliere era un vero e proprio rompiballe. Ma da qui a volerlo morto ce ne correva. Dunque doveva trattarsi di un suicidio. Qualcosa, però, non quadrava. Se uno vuole andare all’altro mondo di solito lo fa in un luogo solitario senza troppa gente intorno. Almeno che il gesto non serva come esempio. Ma in questo caso…E poi quali problemi esistenziali assillavano il nostro fu Gino Pelosi? Che motivo aveva di andarsene prima che ci pensasse Madre Natura?  Lasciò da parte, almeno per il momento, tali pensieri e decise di rimettere insieme i vari tasselli del foglio strappato, trovato nel cestino. Ci volle un bel po’ di tempo ma ci riuscì. Anche se il risultato fu, all’inizio, assai demoralizzante. Si trattava, molto probabilmente, della trascrizione di una partita fra il il suddetto Pelosi, il cui nome e cognome erano ben chiari sulla parte alta, a destra del modulo, ed un anonimo avversario dato che sulla sinistra non figurava un bel niente. Partita giocata proprio la sera del delitto, stando alla data espressa in cima al foglio. Lungo due file opposte erano segnate delle lettere e dei numeri un po’ tremolanti : 1.e4 c5  2.Cf3 d6  3.d4 cxd4  4.Cxd4 Cf6  5.Cc3 g6 e così via, che dovevano indicare le mosse. Alla trentesima c’era poi in netta evidenza un 30…g5!! infiorettato da due punti esclamativi. Ma siccome Marco Tanzini di giochi conosceva appena quello della briscola, decise di non arrovellarsi il cervello e di chiedere l’intervento di un esperto. Prima, però, avrebbe voluto vederci più chiaro, di persona, come era nelle sue abitudini. Si sarebbe informato, avrebbe studiato per “ entrare “ meglio nel caso, e per non fare la figura dell’ignorante. Due piccioni con una fava.

Da “Partita a scacchi con il morto” di Mario Leoncini e Fabio Lotti, Prisma 2004. Mario ha scritto la parte più prettamente scacchistica intitolata “Meraviglie sulla scacchiera”. Per richiederlo risma@nexus.it">prisma@nexus.it Costo 10 euro.

avatar Scritto da: Fabio Lotti (Qui gli altri suoi articoli)


4 Commenti a Partita a scacchi con il morto

  1. avatar
    Mongo 6 Gennaio 2011 at 01:15

    L’avevo subito letto e mi era molto piaciuto… Peccato che le avventure di Tanzini si siano interrotte dopo il terzo caso scacchistico capitatogli.

  2. avatar
    Fabio Lotti 6 Gennaio 2011 at 09:17

    Ho scritto questi tre gialletti per divertimento. Poi sarebbe diventata “fatica”… :)
    Complimenti per la scelta della foto!

  3. avatar
    Luca Monti 6 Gennaio 2011 at 12:10

    Una domanda.A distanza di qualche anno alcuni personaggi del racconto,continuano a tormentare Caissa? 😛
    E’ davvero un racconto simpatico e che si legge volentieri tutto
    di un fiato.

  4. avatar
    Fabio Lotti 6 Gennaio 2011 at 17:08

    Molti, purtroppo (per Caissa), sì… :)

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