La diabolica setta di Caissa

Scritto da:  | 17 Febbraio 2011 | 5 Commenti | Categoria: Libri

Questa è la terza avventura del commissario Marco Tanzini di Siena. Una avventura un po’ particolare, anzi del tutto particolare in quanto ho voluto fare una specie di parodia del giallo che va tanto di moda basato su una marea di indizi, su un intervento ossessivo della scientifica, sulla presenza del sesso e delle sette più o meno sataniche. La cronaca: nella scuola media di….., un piccolo paese vicino a Siena, viene trovato barbaramente ucciso il preside nel suo ufficio durante la riunione del consiglio dei docenti. L’arma del delitto è un pesante cavallo di marmo posto sulla scrivania sbattuto più volte sul cranio del dirigente scolastico. Ma l’assassino o gli assassini si sono sbizzarriti anche a cucirgli gli occhi con un filo rosso di seta. Per quale motivo? Gli indiziati sono tre insegnanti che durante l’assemblea si sono alzati e diretti verso il bagno, passando lungo il corridoio dove è ubicata la presidenza, proprio al momento del possibile omicidio. Il giorno successivo anche l’insegnante Bafio Tolti, che si era precipitato per primo sul luogo del delitto, muore in un incidente stradale piuttosto strano dovuto al cattivo funzionamento dei freni. Le cose si complicano con una marea di indizi e la scoperta di una fanatica setta degli adoratori di Caissa i cui adepti portano un marchio indelebile in una parte intima del corpo. Come se questo non bastasse si assiste anche ad un mio intervento nella storia, ad una discussione appassionata sul giallo e si giunge ad un finale che nessuno si sarebbe mai immaginato. Non c’è bisogno di dire che tutti i personaggi sono inventati e non hanno alcun riferimento con la realtà. Buon divertimento!

Piano dell’opera

  • Un cadavere in presidenza
  • Una vita spericolata
  • La strana fine di Bafio Tolti
  • La scientifica al lavoro
  • Due galline ed un gallo
  • Intermezzo
  • Troppa grazia Sant’Antonio!
  • La setta degli adoratori di Caissa
  • Le scoperte di Manganelli
  • Eva e Maria
  • La Mandragola
  • Nel covo della setta
  • Intermezzo
  • La confessione
  • Epilogo
  • Intervista all’autore

Un cadavere in presidenza

Bafio Tolti non ne poteva più. Erano già due ore che si discuteva sulla riforma Moratti che l’avrebbe strozzata se l’avesse avuta a tiro, sia per la riforma ma, soprattutto, per le discussioni che essa stava suscitando. Negli altri, perché lui era rintanato infingardamente e disonoratamente nell’ultima fila del collegio dei docenti di…. con l’unico intento di asciugarsi la testa spelacchiata e di scambiare le solite battutine con Denara Tinco, uno dei pochi uomini dotato di fine arguzia che facevano parte di quel chiassoso consesso femminile. Ora la parola l’aveva presa una che le cantava chiare. E lunghe. “ L’avete letto che cosa ci propone la nostra cara ministro?” e, poiché la maggior parte del nobile concistoro la riforma non l’aveva manco veduta e l’altra parte fu poco pronta e previdente nel dare un cenno di assenso, la M. S. scagliò una delle sue rinomate filippiche contro la Moratti, e già che c’era contro Berlusconi, Fini e tutta la compagnia del governo che tanto una qualche colpa ce la dovevano avere pure loro. A questo punto Bafio Tolti tirò fuori un sospiro così doloroso da intenerire gli animi più cupi. Ora sapeva come sarebbe andata a finire. Alla M.S. si sarebbe opposta la G.C. con una arringa altrettanto appassionata in difesa della ministro, poi sarebbe stata la volta di E.P a cercare una via di mezzo, quindi di F.Z. a completare il quadro con una ponzata filosofica delle sue e per ultimo sarebbe intervenuto il Preside, fino ad allora rimasto a sbrigare le sue faccende in presidenza, che avrebbe dato ancora una volta la stura ad altre estenuanti dissertazioni. Già, il Preside, perché non era presente? Di solito voleva assistere a tutte le riunioni, anche a quelle che non c’erano. Uno stakanovista del lavoro, duro, implacabile, inflessibile. Un rompiballe, insomma, con un attaccamento maniacale alla scuola. Anche lui avrà avuto da fare. Non si può essere sempre presenti a tutto.

Un urlo tarzanesco si sparse per tutta la scuola facendo sembrare la concione dell’insegnante di turno una preghiera sommessa. Proveniva proprio dal luogo dove era ubicata la presidenza. Bafio Tolti, che stava sfiorando la sessantina, fece un salto istintivo senza rendersene conto dalla sedia come Don Abbondio di fronte al tentativo del matrimonio a sorpresa e di corsa si sparò dalla porta che si trovava in fondo alla sala che portava direttamente al corridoio lungo il quale c’erano gli uffici amministrativi e la presidenza. Qui, davanti alla soglia, trovò la bidella Assunta con la faccia stralunata e paonazza che sembrava svenire da un momento all’altro.

“Prof…professore…guardi…guardi..” e queste furono le sue ultime parole perché effettivamente perse i sensi e cadde sul pavimento in tutta la sua formidabile larghezza. Il professore entrò di tre quarti, scrutò, vide e “Fermi tutti! Nessuno entri!” gridò con gli occhi stralunati alla folla di diplomate e laureate che stava sopraggiungendo come un fiume in piena.

“Qui c’è un morto, e Assunta svenuta che va aiutata. Io intanto telefono alla polizia.”

E la polizia arrivò quasi subito nella persona del commissario Marco Tanzini, del suo vice Manganelli e di alcuni giovani che dal loro atteggiamento timoroso si potevano intuire  alle prime armi. La scena che si presentò ai loro occhi era rivoltante, più rivoltante di quella già vista all’hotel Majestic  l’anno precedente, quando il campione del mondo di scacchi era stato trovato ucciso con i pezzi di questo gioco conficcati negli occhi e nella gola. Manganelli represse a stento un conato di vomito. Conato dovuto non solo alla raccapricciante visione ma anche al fetore che proveniva dalla stanza.

“Sembra di essere in un porcile”.

“Sembra, ma non ci siamo. Fai finta di essere nella tua camera da letto, Manganelli”.

“Questo odore mi ricorda più quello del gabinetto”.

“Lo sospettavo che non tenessi molto alla pulizia”.

“Commissario, facevo così per dire”.

“Ed io ho fatto così per rispondere. E tanto che siamo a coniugare il verbo fare, facciamoci coraggio e vediamo di che cosa si tratta”.

“Intanto il preside, mi pare morto”.

“A Mangané!”.

“Okey, mi zitto”.

“Bravo”.

In effetti che il preside fosse morto non ci voleva molto per capirlo. Era seduto con il corpo allungato sulla scrivania ed il capo spappolato con la corteccia cerebrale schizzata dappertutto. Al momento del trapasso aveva avuto una specie di spasmo, tanto da fargli uscire gli escrementi che sporcavano la sedia ed erano colati lungo i polpacci fino a bagnare le scarpe. Il motivo della morte doveva essere stato causato da un magnifica statuetta di marmo lunga all’incirca trenta centimetri raffigurante un cavallo con le zampe anteriori alzate che si trovava ora, sdraiato sulla scrivania, ricoperto di sangue e di materia cerebrale. Accanto al terribile destriero una piccola scacchiera tascabile con un diavolo nero al centro.

“Accidenti, che roba! Da come si è accanito sembra che volesse essere proprio sicuro di averlo ucciso.”

“Ma non è tutto. Guarda qui, Manganelli.”

“Porc… gli hanno…gli hanno cucito gli occhi!”

“Come ai falconi del…”

“Come a chi?”

“Lascia perdere. Glieli hanno cuciti con un filo rosso.”

“E perché?”

“Ti ringrazio per la fiducia, ma ti ricordo che stiamo iniziando le indagini solo da pochi minuti.”

“Questo è vero.”

“Appunto. Allora dato che siamo agli inizi di una indagine sai quello che devi fare.”

“Mando i ragazzi a prendere tutti i dati delle persone presenti, le interrogo personalmente per sapere i loro movimenti, faccio controllare i loro vestiti. Sarà un lavoro lungo.”

“Pazienza.”

“Pazienza, e poi…poi…”

“E poi, se non succede nulla di eclatante li mandi a casa.”

“Li mando a casa.”

“Sì, ma prima fai venire anche il medico legale.”

“Faccio venire il medico legale.”

“Che fai il pappagallo?”

“No, è che ripetere mi aiuta.” E il Manganelli se ne andò via veloce prima di sentire il solito grugnito del capo. Il quale se ne rimase nella stanza per esaminarla a dovere. Nella pozza di sangue che si era formata ai piedi del cadavere fu colpito da un luccichio che si rivelò essere dovuto al riflesso dorato di un orecchino di graziosa fattura che rappresentava un satiro che suonava una specie di piffero. La finestra che dava su un piccolo cortiletto era aperta, si affacciò e sull’erba impiastricciata vide delle impronte. Scavalcò la finestra, scese con cautela sul bordo di pietra e si mise ad osservare meglio quelle strane impronte. Strane perché si trattava evidentemente di un piede maschile di notevole stazza, ad occhio e croce un bel destro sul 48, e di un 36 o giù di lì che si allontanavano verso il cancello dell’uscita.. Il commissario tirò un sospiro angoscioso e ritornò nella stanza, rendendosi conto che si poteva entrare facilmente. Sempre che uno avesse due gambe e due piedi normali.

La signora Assunta riprese conoscenza a fatica e per tutto il colloquio con il commissario mantenne un colorito a chiazze bianche e rosse che facevano il loro bell’effetto anche da lontano.

“Si calmi, signora. Non pensi a quello che ha visto e risponda alle mie domande. Senza fretta. Si prenda il tempo che vuole. Vogliamo provare?”. La bidella fece un labile accenno di assenso con la testa.

“ Dunque, perché è andata in presidenza? L’aveva chiamata il preside?”

“In effetti ho ricevuto una telefonata dalla presidenza, una telefonata un po’ strana, a dir la verità.”

“Una telefonata ricevuta dove?”

“Al telefono che abbiamo qui sotto sul bancone riservato ai bidelli che è in contatto sia con gli uffici di segreteria sia con la presidenza.”

“Ho capito. Mi ha detto, però, che la telefonata le è parsa strana.”

“Sì, e ripensandoci mi sembra ancora più strana. Per due motivi: uno perché il preside mi ha detto di andare da lui fra dieci minuti esatti; due perché aveva una voce strana.”

“Anche la voce strana. Ma perché?”

“Perché…perché era come se fosse quella di un bambino.”

“Hmmm…E che ore erano quando ha ricevuto la telefonata?”

“Erano esattamente le diciannove”.

“E come fa ad esserne così sicura?”

“Perché ho guardato istintivamente l’orologio. Ed io sono andata a trovarlo alle diciannove e dieci e l’ho trovato…e l’ho trovato…” e qui scoppiò in un pianto liberatorio che durò qualche minuto.

“Su, su, coraggio, si riprenda. Un’ultima domanda e la lascio in pace. Lei è sempre stata al suo posto, qui sotto la presidenza.”

”Sì, non mi sono mai mossa.”

“E non ha visto passare nessuno?”

“Verso le diciotto e trenta è passata l’insegnante M.C. per andare…per andare…lei mi capisce…che si trova proprio in fondo al corridoio lungo il quale, all’inizio c’è la presidenza.”

“E l’ha vista ritornare?”

“Sì, sì l’ho vista ritornare anche se dopo un bel po’ di tempo, presumo necessario per…lei mi capisce.”

“La capisco, la capisco. Capita a tutti di avere bisogno di…Ancora una domanda.”

“Mi aveva detto che era l’ultima…”

“Questa è proprio l’ultima. Glielo prometto. Per andare in presidenza si deve passare per forza di qui?”

“No, si può passare anche da una uscita che dalla sala delle riunioni collegiali porta quasi alla fine del corridoio dove sono i bagni riservati agli insegnanti.”

Mentre Manganelli e gli altri giovani poliziotti si davano da fare con l’assemblea formicolante degli insegnanti, il commissario ne approfittò per dare uno sguardo all’edificio scolastico. Uscì fuori partendo dal cancello che costituiva la prima entrata verso la scuola. Qui c’era un ampio spazio per il parcheggio dei pulmini che trasportavano i ragazzi, poi veniva la porta a vetri che costituiva la vera entrata nella scuola. A fianco, sulla sinistra e a bassa altezza tre finestre:quella della presidenza e quella di due stanze adibite al lavoro di segreteria. Sulla destra la palestra per la ginnastica. Appena entrati sulla sinistra un lungo tavolo delimitava il luogo adibito al lavoro di Assunta e degli altri bidelli che comprendeva una scrivania con relativo telefono, una fotocopiatrice, un computer ed un piccolo ripostiglio per gli attrezzi da lavoro per pulire la scuola. Da una apertura del bancone, salendo alcuni scalini, si accedeva, sempre sulla sinistra, alla presidenza e alle due stanze dove si svolgeva il lavoro di segreteria. Sulla parete in fondo al corridoio uno specchio piuttosto grande e sulla destra i bagni riservati agli insegnanti. Prima di arrivare ai bagni ancora sulla destra si apriva un breve corridoio che conduceva nella sala riunioni dotata di una accettabile biblioteca per gli alunni. Ritornando all’ingresso e non volendo svoltare a sinistra verso il corridoio leggermente rialzato della presidenza, si poteva percorrere un altro lungo corridoio. Sulla destra si trovava  la sala insegnanti e poi due aule, il bagno delle alunne, altre due aule e il bagno dei maschi. Sulla sinistra, invece, due ingressi portavano alla già summenzionata sala delle riunioni ed un altro breve corridoio all’aula di educazione musicale. Sempre sulla sinistra, subito dopo lo spazio dedicato ai bidelli, due brevi rampe di scale portavano ad un secondo piano dove erano collocate le altre aule, la sala di educazione artistica, il laboratorio di scienze e la stanza dei computer. A prima vista una scuola luminosa, spaziosa e bene organizzata. Peccato per il morto.

Già, il morto. Marco Tanzini scese le scale che lo avevano portato al piano di sopra proprio mentre arrivava il medico legale Giovanni Serbelloni con la sua devastante corporatura che traballava da tutte le parti. Dopo avere svolto il solito rituale, fu perentorio nella risposta. Il povero preside se ne era andato da questo mondo tra le 18,30 e le 19.00 minuto più minuto meno. La causa era tutta in quel cavallo di marmo sbattuto con troppa violenza sulla sua testa. E non ci fu verso di cavargli un’altra parola di bocca. Anche perché sudava che pareva uscito dalla doccia ed era tutto intento, senza alcun successo, a tenersi asciutto il faccione privo di mento con un fazzolettone verde bottiglia che sembrava un asciugamano da spiaggia. Dopo un po’ arrivò anche Franco Rinesi della scientifica a setacciare la presidenza, per rilevare impronte e quanto altro di utile alle indagini. Un secondo Serbelloni dal punto di vista espressivo ma assai  diverso rispetto alla stazza. Secco striminzito da metter paura alla fame. Al quale ordinò di fargli sapere al più presto possibile i risultati del suo lavoro.

Poi fu la volta di Manganelli, lui, invece, fornito anche di troppe parole, che riferì i risultati degli interrogatori svolti con tanto zelo. “Bene, per ora fermiamoci qui. Manda tutti a casa e andiamoci anche noi che si è fatto tardi. Ci vediamo domattina in ufficio. Sul tardi, perché tu nel frattempo mi vai a cercare tutte le notizie su questo benedetto preside. Non so perché ma ho l’impressione di avere commesso un grave errore a riprendere servizio. Me ne stavo così tranquillo in pensione…”

A casa trovò un biglietto di Giulia, la domestica, piuttosto irritato con il quale spiegava che tutto il suo lavoro se ne era andato a farsi friggere per il grave ritardo, che il mangiare era in frigorifero, che non era colpa sua se, nell’attesa, aveva perso la naturale gradevolezza e che un’altra volta, magari, avesse il buon gusto di avvertirla. Ma l’appetito del commissario, che aveva assunto i terribili connotati della fame, non guardò tanto per il sottile e fece sparire tutto quanto, come se fosse preparato al momento.

Ora un salto al capitolo decimo…

Eva e Maria

La casa di Manganelli si trovava nella zona di San Miniato a nord di Siena dopo il nuovo ospedale che era uno dei molteplici vanti della città. Faceva parte di un condominio di dodici inquilini ripartito in due blocchi da sei che non costituiva il massimo della pace e della tranquillità. Il commissario se ne rese conto ben prima dell’arrivo dato che le urla risuonavano nell’aria per un lungo tratto. Trattavasi di una classica rissa tra inquilini di due appartamenti ubicati uno sotto l’altro.

“Allora la vuole smettere di buttarmi addosso la sua robaccia! I suoi panni vada a sbatterli da qualche altra parte.”

“Ma chi glieli sbatte addosso. Io li sbatto qui nella mia terrazza dove posso fare quello che voglio. Lei, piuttosto, la smetta di ascoltare la radio e la televisione a tutto volume che ci fa diventare sordi!”

“Non sono io, prima di tutto, ma è mio figlio che…”

“Cambiando gli ad…ad…insomma quelli lì il risultato non cambia. Sempre casino è.”

“Non cambiamo di proposito argomento. Qui sotto arriva di tutto. Perfino certi peli…che non so la loro provenienza. Il regolamento parla chiaro…Vero Manganelli?”

Il quale Manganelli, tirato per i capelli in una questione annosa, se la cavò con una frase salomonica “Il regolamento prevede di non sbattere i panni di sotto e di non tenere troppo alto il volume di qualsiasi oggetto parlante”, scontentando i due contendenti che continuarono a battibeccarsi per un bel po’. Arrivati all’ultimo piano senza ascensore  i due entrarono in casa con la lingua penzoloni.

“Scusa…Manga…nelli, ma hai mai senti…to parla…re di ascen…sore?”

“Ma che ascen…ascen…”

“Riprendi fiato che c’è tempo”

“Dicevo, ma che ascen…sore e ascen…sore. Non ce n’è biso…gno”

“Lo vedo”

“Commissario, si accomodi che io vado a sbrigare una faccenda.” Il commissario non si accomodò ma incominciò a girare intorno al piccolo salotto affascinato da quell’abile disordine. C’era un po’ di tutto messo così a casaccio che sembrava fatto ad arte. Soprattutto fotografie di Manganelli pescatore con gli stivaloni verdi, la canna da pesca in una mano e nell’altra un pesce di dimensioni più o meno cospicue, mischiate con altre fatte con amici e parenti nei più svariati ritrovi in una successione temporale così lontana negli anni che si poteva notare il crudele lavorio del tempo prodotto ai danni del nostro poliziotto. E poi quadri, per lo più vedute e scorci di Siena tra i quali spiccava per la sua inquietante bruttezza un Duomo sbiadito e pericolante firmato Manganelli. E ancora riviste di pesca e di motori sul tavolo, sulle sedie, sul divano, una cesta piena di dischi più o meno recenti, fumetti di ogni tipo sulle mensole, una collezione di macchine e motociclette in miniatura. Il commissario acuì lo sguardo ma non vide nemmeno l’ombra di un libro. Sparite anche le orribili cassette porno. Tirò un sospiro di sollievo. L’autore era stato di parola. Nello stesso momento fu attirato da una pila di fumetti che anche lui aveva letto in età preistorica con particolare diletto. Erano tutte ristampe, belle ristampe a dir la verità, di “capolavori” di questo genere espressivo. Ne prese diverse dallo scaffale, si sedette sul divano e incominciò a sfogliarle. C’erano i soliti Pluto, Pippo , Paperino con i tre nipotini, il solito taccagno Paperone ma, soprattutto, i grandi fumetti di avventura con a capo il mitico Tex Willer che gli aveva tenuto compagnia per lungo tempo nell’età adolescenziale insieme al Grande Blek, a Zagor e Capitan Miki. E proprio quest’ultimo gli era rimasto impresso perché i suoi amici per un certo periodo gli avevano appioppato il soprannome di Capitan Miki per il modo con cui portava i capelli divisi al centro come l’eroe del fumetto. E poi c’era il famoso trio degli anni sessanta Diabolik, Kriminal e Satanik i primi eroi in negativo che avevano fatto nascere un putiferio da nulla in quegli anni tormentati. Il commissario sorrise pensando a quello che ancora sarebbe dovuto succedere e quei poveri criminali avrebbero fatto la figura di crocerossine di fronte all’imbarbarimento dei successivi eroi grafici. Ma così era la vita. Si incomincia con un piccolo, timido passo in avanti e poi si aumenta l’andatura fino ad arrivare ad un galoppo sfrenato. E poi chi si ferma più? Comunque non stava a lui giudicare. Non era nella sua natura. Non trinciava giudizi. Solo osservava e registrava la realtà di fatto. E così dopo i tre K era arrivato Dylan Dog con tutto lo strascico dei fumetti horror degli anni ottanta che in cuor suo detestava. Il commissario si era così assorto in questi improvvisi ricordi che quasi gli caddero di mano due fumetti che lo avevano divertito in modo particolare Lupo Alberto e Nick Carter con tutta la selva degli altri protagonisti come il cane Mosè, la gallina Marta, Enrico la talpa,il gigante Patsy, il cinese Ten e così via. Che risate! Che tempi! Quelli sì che erano bei tempi! Il commissario stava per iniziare il solito panegirico in onore dei tempi andati, quando fu riscosso da un “Come le sembra?” espresso dall’improvvisa apparizione di Manganelli.

“Co…Cosa?”

“Sì, voglio dire, come le sembra la mia casa?”

“Beh, così all’apparenza…”

“Ha visto che pescatore?”

“Ho visto, ho visto, a meno che i pesci non siano comprati”.

“Ma che dice! Un pescatore che compra i pesci. Quelli sono veri, pescati con una tecnica sopraffina. Ha visto che quadri?”

“Anche quelli li ho visti, stai tranquillo che non mi sfugge nulla”.

“Allora non le sarà sfuggito quel Duomo…”.

“Il primo che mi ha colpito.”

“L’ho fatto io, commissario, così per passatempo”.

“Accidenti!”

“Nel senso?”

“Nel senso che…insomma ti dai da fare…pescatore…pittore…”

“Non le piace.”

“Non ho detto questo, è che mi pare dipinto in un certo modo…con una tecnica particolare…”

“Personale, commissario.”

“Ecco, proprio personale, mi hai levato le parole di bocca. E’ un quadro veramente personale. Un quadro tuo, Manganelli, questo volevo dire.”

”Sono contento che le sia piaciuto.”

“Anch’io sono contento che tu sia contento.”

“Siamo tutti e due contenti ma se non mi metto a preparare il pranzo l’umore cambierà presto. Gliel’ho già detto che sono un cuoco sopraffino, ho una certa arte che…ma vedrà lei stesso…” Il commissario pregò in cuor suo che la sua arte culinaria non assomigliasse troppo a quella pittorica. Preghiera, come vedremo in seguito, completamente inascoltata dal Signore.

“Lei, intanto, mentre aspetta, può accendere il televisore.” E il commissario l’accese proprio nel momento in cui andava in onda il telegiornale regionale che dava un ampio resoconto del fatto orribile accaduto in quel di…. così riassumibile: 1) l’unica cosa certa era l’assassinio del preside; 2) tre erano gli indiziati principali già ascoltati dal commissario Marco Tanzini di Siena; 3) sul luogo del delitto erano stati trovati una marea di indizi che più che aiutare confondevano le idee agli investigatori; 4) Siena e dintorni erano diventati in questi ultimi anni peggio delle città più grandi; 5) molti davano la colpa di questo aumento della criminalità all’arrivo degli extracomunitari. E ti pareva. Ogni volta che succedeva qualcosa di brutto nella nostra società c’era sempre di mezzo l’albanese o il marocchino. Il commissario scosse la testa, spense la televisione, si alzò per guardarsi ad uno specchio ovale posto nelle vicinanze e mettersi a posto una bella cravatta giallo-azzurra che ravvivava una faccia un poco depressa. Poi tirò fuori dalla giacca i suoi sigarelli preferiti, ne accese uno e si buttò su una poltroncina dimessa navigando a caso fra i suoi pensieri. Dai quali ad un certo punto fu scosso per il suono insistente del campanello.

“Commissario, vada ad aprire che io ho le mani impicciate. Saranno Eva e Maria.”

Il commissario si alzò un po’ stordito, spense la lunga sigaretta su un portacenere dall’aria secolare, si mise a posto la cravatta che era già a posto di suo, fece finta di aggiustarsi i capelli che non aveva e andò ad aprire la porta. Eva e Maria, così si chiamavano le ragazze che si presentarono, si dimostrarono subito simpatiche e carine. E allegre, soprattutto allegre il che fece molto piacere al nostro commissario che in quel momento aveva proprio bisogno di una ventata di buonumore. E giovani, due morettine vispe che ad occhio e croce non dovevano superare la trentina. La prima, Eva, amica di Manganelli e la seconda, Maria, amica dell’amica. Uno sguardo veloce alla loro carrozzeria lo convinse che il suo braccio destro in certe cose ci sapeva fare. Dopo i rituali convenevoli di presentazione, mentre Manganelli apparecchiava in maniera sontuosa la tavola da pranzo posta in una stanza adiacente, il commissario incominciò una fitta conversazione con le due ragazze in merito ai loro interessi e al loro lavoro e se sui primi ebbe una risposta esauriente ed appassionata, entrambe amavano il ballo ed i viaggi, sul secondo non riuscì a capire bene cosa facessero e ciò lo attribuì ad una loro naturale ritrosia. Anche se a ben vedere il rossetto fiammante sulle labbra e la parlantina sciolta non le mettevano nella lista delle ritrose.

“A tavola!” esclamò eccitato il Manganelli “A tavola, signori, il pranzo è servito!” e a questo straordinario annuncio il commissario smise di almanaccare e insieme alle nuove compagne si avviò nella sala da pranzo dove era stata preparata una magnifica tavola ricoperta da una tovaglia di un giallo accecante.

“Prego, accomodatevi. Come potete notare ecco pronta fumante una pastasciutta ai funghi porcini che dice prendimi, prendimi…Prima servo le signorine, lei mi permette commissario?”

“Permesso accordato, prima il gentil sesso.” Il quale gentil sesso si beccò una piattata di pastasciutta da fare invidia ai camionisti e incominciò a succhiar spaghetti come idrovore. Siccome, però, i suddetti spaghetti avevano ricevuto una razione assai abbondante di sale ognuno dei quattro convitati incominciò a fare delle smorfie e a buttar giù bicchieri di vino, tanto che la situazione iniziale da allegra si tramutò in spassosa fino al grottesco.

“E’ il momento delle barzellette!” esclamò trionfante Manganelli, come se avesse trovato la lampada di Aladino. E giù barzellette a non finire, raccontabili, raccontabilissime, e giù risate e ancora bicchieri di vino.

“Anch’io voglio dire una barzelletta!” strillò Eva che era diventata di un rosso gagliardo.

“Dunque c’è un marito…”

“Quelle con i mariti sono proprio buffe” puntualizzò Maria.

“C’è un marito che torna a casa tutto felice. Allora la moglie gli chiede che cosa sia successo per renderlo così felice e lui risponde “Mi hanno fatto membro della giunta” e la moglie di rimando“Era meglio se ti avevano fatto una giunta al membro!””. E giù risate e risate. Al commissario incominciò a nascere un sospetto, ma non volendo fare inconsciamente due più due decise di partecipare in qualche modo alla spiritosa atmosfera ”Un brindisi, voglio fare un brindisi.”

“Bravo commissario, facciamo un brindisi!”

“Sì, un brindisi, un brindisi!”

“Dico, proferisco e sentenzio…”

“Che fa?”

“Manzoni ragazzi, Manzoni…Dico, proferisco e sentenzio che questo è l’Olivares dei vini…”

“Che è?”

“Il vino migliore, via lasciatemi finire. Dichiaro e definisco che i pranzi dell’illustrissimo Manganelli…”

“La ringrazio dell’illustrissimo. Non me lo aveva detto mai nessuno.”

“…vincono le cene d’Eliogabalo…”

“Del gabibbo?”

“Ma no di Eliogabalo, un imperatore romano…e che la carestia è bandita per sempre da questo palazzo ove siede e regna splendidezza.”

“Non c’ho capito niente ma deve essere stato un bel discorso. Bravo commissario!” esclamò Maria che era al suo fianco e nell’attimo di esaltazione lo baciò sulla guancia lasciandogli un’impronta mista di rossetto e sugo salato di funghi. Per secondo arrivò un coniglio stopposo insieme alle patate bruciacchiate, un osso buco con il solo buco, degli involtini che si squagliavano al mero contatto e contorno di piselli duri come calcoli biliari. Il che invitò ancora una volta i commensali a buttarsi sull’unico prodotto decente in quello tsunami culinario, e cioè sul Brunello di Montalcino con la conseguente fioritura di altri brindisi a destra e a manca ed uno fu perfino fatto sul gatto persiano di Eva che si chiamava Fuffi e che compiva gli anni proprio in quel giorno. Si salvò a stento il dolce perché ormai i palati non facevano più caso ai sapori ed un caffè forte che rimescolò lo stomaco provocando qualche rutto liberatorio. Dopodiché Manganelli, dopo averne chiesto maliziosamente il permesso, si appartò in un’altra stanza con la sua Eva lasciando il commissario solo con Maria.

“Allora commissario?”. Il commissario, che aveva già gli occhi lucidi da Brunello, rispose con un sorriso beota ”Allora…che?”, “Ci sediamo sul divano?”, “Prego, si accomodi.” E tutte e due si accomodarono, il commissario sulla destra e la ragazza sulla sinistra.

“Me lo immaginavo” riprese Tanzini che non sapeva cosa dire.

“Si immaginava che cosa?” rispose Maria,  accavallando provocatoriamente le gambe e offrendo alla vista due poppe da sballo.

“Che…che… il nostro Manganelli non fosse quel cuoco di razza che voleva farmi credere.”

“Io già lo sapevo. Manganelli è bravo in altre cose.”

“In che cosa?”  Il commissario aveva appena finito di porre l’ingenua domanda che una serie di gridolini arrivarono dalla parte in cui si era stanziato il suddetto Manganelli con la sua ragazza, gridolini che diventarono via via più acuti e contrassegnati da un ritmo sincronizzato.

“Ecco in che cosa è bravo, Manganelli. Vogliamo provare anche noi?”. Il commissario, che fino a quel momento era stato sfiorato solo da un dubbio sempre crescente, mise in stretto rapporto i gridolini con la richiesta di Maria, capì, si accese, si alzò di scatto,  buttò per terra la tovaglia dalla tavola con tutto quello che c’era sopra, e fece vedere a Maria quante volte suonasse il postino. Quanno ce vò ce vò.

Da “La diabolica setta di Caissa – Scacchi e sesso” di Mario Leoncini e Fabio Lotti, Prisma 2006. Mario ha curato la parte riguardante il rapporto tra gli scacchi e il mondo femminile, partendo dal Medioevo. Per richiederlo risma@nexus.it">prisma@nexus.it. Prezzo 10 euro.

avatar Scritto da: Fabio Lotti (Qui gli altri suoi articoli)


5 Commenti a La diabolica setta di Caissa

  1. avatar
    Mongo 18 Febbraio 2011 at 01:44

    Dei tre è quello che mi è piaciuto di meno.
    Bellissima ed interessante, come sempre, la parte curata da Leoncini con aneddoti su sesso e scacchi ‘sconvolgenti’! 😉

  2. avatar
    Fabio Lotti 18 Febbraio 2011 at 09:35

    Grazie, comunque, per la pazienza… 🙂
    Le ricerche di Mario sono sempre interessanti.

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    Fabio Lotti 18 Febbraio 2011 at 11:20

    Aggiungo solo questo, che gran parte del piccolo successo dei tre libri è proprio dovuto all’apporto di Mario.

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    Luca Monti 18 Febbraio 2011 at 12:16

    Non conoscevo l’esistenza di questo terzo racconto con le avventure del Commissario Tanzini e compagnia bella. Sono incuriosito Fabio: nella storia “crepa” Bafio Tolti (lunga vita :razz:! ) per poi irrompere Fabio Lotti? Alias, controfigure e protagonisti! Curioso ed intrigante.

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    Fabio Lotti 18 Febbraio 2011 at 13:21

    Beh, anche il finale è un pò particolare, abbastanza particolare e c’entra di mezzo pure l’editore. Insomma io lo acquisterei… 🙂
    P.S. E poi è pure un investimento. Alla mia dipartita i prezzi della trilogia andranno senz’altro alle stelle.

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