Massimiliano Romi (Max Romih)

Scritto da:  | 16 Aprile 2011 | 7 Commenti | Categoria: C'era una volta, Italiani, Personaggi

Max Romih, insieme a Cosulich, Chicco, Centurini, Bianchetti, Dolci, si inserisce a tutti gli effetti nel Pantheon dei personaggi che hanno fatto la storia del Circolo genovese Luigi Centurini.

Massimiliano Romi – ricorda Arrigo d’Augusta nella monografia del Centurini – per convinzione mia e di molti soci anziani, fu a lungo l’anima del Circolo. Fu un uomo e uno scacchista eccezionale; quando, per ragioni di età e di salute dovette rinunciare al Circolo, fui tra quelli che, saltuariamente, lo andarono a trovare finché visse. Gli portavo notizie del Circolo, ed egli mi ricompensava, mostrandomi le partite che aveva giocato con i maggiori giocatori dei suoi tempi: Alekhine, Nimzowitsch, Rubinstein. Quei nomi prestigiosi li conoscevo dalla ‘Partita d’oggi’, un ponderoso volume, ormai introvabile. Ciò non mi impediva di guardare, con ammirazione e rispetto, chi aveva avuto di fronte cotanti avversari. Quando si accorgeva che quelle partite erano troppo complicate per il mio modesto ingegno, passava alle barzellette o a qualche episodio della sua vita travagliata.

Ripercorriamo la sua storia.

Romih nasce il 22 maggio 1893 a Pinguente, un piccolo borgo nel cuore dell’Istria (ora Buzet, Croazia). È un giovane cittadino dell’Impero Austro-Ungarico, che studia ragioneria e nel 1918 si diploma, quando l’Istria passa all’Italia. Così, dopo la prima guerra mondiale, con l’annessione della Venezia Giulia al regno d’Italia, si ritrova italiano, cambiando il proprio nome in Massimiliano.

L’avvento al potere del fascismo, nel 1922, peggiora la situazione degli slavi, come di tutte le minoranze etniche nazionali. In tutta Italia fu introdotta la politica dell’assimilazione, che prevedeva l’italianizzazione di nomi e toponimi, la chiusura delle scuole slovene e croate e il divieto dell’uso della lingua straniera in pubblico. Tutto ciò che è straniero è infatti visto come estraneo, pericoloso, come non patriottico.

Il regime “italianizza” anche i nomi. Gli effetti sono assurdi, persino involontariamente comici, d’altra parte le dittature difficilmente hanno mai avuto il senso del ridicolo: i bar si trasformano in mescite (o quisibeve), il club del tennis diventa la consociazione della pallacorda, il tessuto di cashmere casimiro e il film filmo, l’alcool diviene l’alcole. Invece i sandwich diventano tramezzini, un termine, almeno questo, entrato nell’uso comune e mantenuto anche dopo la caduta del regime.

Così la stessa sorte accade per i cognomi: chi si chiama Andric diventa Andri, Karboncic Carboni e il signor Russovich, dalla sera alla mattina, diventa il sig. Russo. E così via.

Torneo di Sanremo 1930, con Monticelli e Romih. Primo Alekhine, secondo Nimzowitch.

Torniamo agli scacchi. Romih nel 1921 consegue il titolo magistrale nel torneo del campionato italiano di Viareggio. I successi lo invogliano ad affrontare la scena internazionale, così fra il 1923 e il 1931 abbandona l’Italia.

Nell’anno successivo si presenta al torneo di Hyères in Provenza, dove arriva terzo dopo Baratz e Janowski.

Gioca diversi tornei in Inghilterra e a Scarborough, nel 1925, ottiene la sua prima importante vittoria a livello internazionale. Uno splendido risultato ottenuto senza perdere una partita. Per la prima volta, come notano Chicco e Rosino nella “Storia degli Scacchi in Italia”, un quotidiano straniero, l’autorevole Times, riconobbe che un giocatore italiano in terra inglese, aveva vinto “per il suo eccellente gioco”.

Poi giunge 3º nel 1926 a Hyères, 7° nel 1929 a Venezia, 16º nel 1930 a Sanremo, 4º nel 1938 a Parigi. Torneo quest’ultimo vinto da Capablanca, con cui Romih patta.

A Parigi aveva fatto il portiere d’albergo – ricorda d’Augusta -. Una sera era stato sorpreso da un cliente mentre analizzava un finale: ripose rapidamente sotto il banco i pezzi e la scacchiera, ma quello gli propose di fare una partita. Per quella notte nessuno dei due toccò le lenzuola. Romi parlava le più importanti lingue europee: ciò fu utile alla nostra squadra, diretta a Montecarlo per giocarvi un torneo. Gli orologi ci avevano procurato grane con la dogana francese. Parlò Romi e tutto fu chiarito; disse a quei pignoli funzionari che, per noi, gli orologi equivalevano alle scarpe dei giocatori di calcio.

Alle Olimpiadi di Londra del ’27, vinte dall’Ungheria, Romih partecipa con Rosselli, Monticelli e Sacconi. Romih non è in grande forma e il risultato poteva essere decisamente migliore. Ma nello stesso anno si fa perdonare e si classifica al primo posto ex aequo al torneo S. Bride Institute di Londra con Goldstein, da lui battuto nello scontro diretto: fra gli sconfitti di quel torneo spicca il nome di Yates. Il carattere sportivo del maestro istriano è ben descritto da un aneddoto riportato sull’Italia Scacchistica: “Nell’ultimo giorno di gioco sembrava che la vittoria assoluta non potesse sfuggirgli, perché gli bastava la patta e doveva giocare con l’ultimo in classifica (…;). Il Daily Telegraph senza aspettare la fine del torneo, pubblicò senz’altro che aveva vinto l’italiano Romih. Invece avvenne la duplice combinazione che Romih perdesse e Goldstein vincesse: piccoli scherzi della dea fortuna”Romih era capace di vincere, o di perdere, con chiunque.

Intervalla la sua attività in Inghilterra con la partecipazione a piccoli tornei parigini: il campionato di Parigi del 1930 lo vede arrivare sesto. In quel periodo gioca anche un piccolo match amichevole con Lilienthal – allora ventenne – terminato in parità.

Il nostro dovette sacrificare l’h finale del suo cognome, che comunque continuò ad apparire fino al torneo di Sanremo del 1930.

Nel 1931 Romih si stabilisce definitivamente in Italia, italianizzando il suo nome in Massimiliano Romi. Il torneo Crespi di Milano del 1931 lo vede al secondo posto, a mezzo punto dal vincitore Rosselli. Fu 3º a Milano nel 1934 al campionato nazionale dietro a Mario Monticelli. A Firenze nell’edizione del 1935, vinta da Antonio Sacconi, condivise la seconda piazza.

Dopo la seconda guerra mondiale fu 2º, dietro a Esteban Canal, a Reggio Emilia nel 1947; 16º nel 1948 ancora a Firenze, 9º nel 1951 a Venezia, 3º nel 1954 a Trieste e 2º nel 1956 a Rovigo. Infine, all’età di 77 anni, giunse 12º nel 1970 a Sottomarina.

“L’audacia fu il maggiore handicap di Romi: si disse che, come Spielmann, Romi poteva classificarsi primo in un torneo, e ultimo nel torneo successivo. Egli giocava per la vittoria e non per la patta: tutti i sui avversari gli riconobbero un gioco ad ampio respiro, ricco di combinazioni. Predilesse l’apertura di Donna”.
Così Chicco in un articolo sull’“Italia Scacchistica” del 1979 in occasione della sua morte.

Romi arriva a Genova nel 1946 e da questa città non si sposta più. È già in forza al Centurini, quando partecipa al torneo di Rovigo nel 1956, in cui si classifica 2°, a un punto da Porreca, e al torneo di Reggio Emilia nel 1957, che porta a termine anche se in cattive condizioni di salute.
Per vari anni svolge anche le funzioni di segretario del circolo, che in questi anni ha sede in piazza Leonardo da Vinci. Romi è uomo che mantiene sempre una grande correttezza formale, a ricordo di quel brillante giocatore dei tornei del Kent e di Londra. Perfetto conoscitore del tedesco, dell’inglese, del francese, oltre che naturalmente dell’italiano e delle lingue slave. Come vive? Si industria con traduzioni e con attività connesse al suo diploma di ragioniere.

Genova accoglie con affetto il campione triestino, che al circolo, dove è abituale frequentatore, gioca con Cosulich, con Porreca, con Grassi e conquista tutti i soci per il suo acuto senso dell’humour e la sua innata signorilità.
L’attuale segretario, Giancarlo Berardi, ora socio più anziano del sodalizio, accompagnava Romi in auto a casa, visto che quest’ultimo abitava in via Terpi, sopra i macelli di Cà de Pitta (località Staglieno), non distante dalla sua abitazione. Una sera, durante il solito tragitto dal circolo, Romi, simpaticamente, si rivolse a lui dicendogli “Ma lei non è stanco di trasportare legname?”, che ancora adesso Giancarlo non capisce se si riferisse alla sua funzione di autista o al suo stile di gioco alla scacchiera, non certo irreprensibile.

La figura di Romi è ben nota a tutti gli scacchisti italiani e la sua biografia è riportata su tutte le riviste specializzate.
Rappresentò l’Italia anche in cinque edizioni delle Olimpiadi degli Scacchi: Parigi 1924, Londra 1927, Praga 1931, Varsavia 1935, Monaco 1936.

D’Augusta: Gli domandai, un giorno, quale fosse il segreto di molte sue vittorie, e mi rispose: “Se l’avversario è forte, cerco di avere un miglior finale”. “Se non lo è?” chiesi ancora. La sua risposta fu per niente oscura: “Guardo da che parte arrocca…”

Muore il 24 aprile 1979, alla soglia del suo ottantaseiesimo compleanno. Ormai poteva considerarsi genovese a tutti gli effetti.

Da pag. 35 del libro di Maróczy A megnyitások elmélete, del 1951.

avatar Scritto da: Marco Faggiani (Qui gli altri suoi articoli)


7 Commenti a Massimiliano Romi (Max Romih)

  1. avatar
    Luca Monti 16 Aprile 2011 at 09:12

    Max Romih è un’altra di quelle persone nobili che, con la loro passione e signorilità fecero un gran bene agli scacchi. Al pari di altre, certo meriterebbe una più ampia diffusione la sua opera. Grazie per il sincero ricordo Signor Faggiani.

  2. avatar
    jazztrain 16 Aprile 2011 at 09:13

    Anche questo di Faggiani è un articolo superlativo!

    P.S. Quando ho letto “consociazione della pallacorda (sic!)”, mi sono sbellicato dalle risate, non pensavo che un club tennistico nascondesse una setta di potenziali congiurati giacobini!
    😈

  3. avatar
    Marramaquìs 16 Aprile 2011 at 09:47

    Tra una partita di pallacorda, un filmo e un tramezzino, è proprio piacevole leggere storie interessanti come questa.

  4. avatar
    cserica 16 Aprile 2011 at 10:39

    Massimiliano Romi,
    splendido ricordo, soprattutto grazie alle parole di D’Augusta.
    Ci sarebbe troppo da scrivere e da raccontare su di lui, giocatore modesto ma capace di sfiorare almeno cinque volte il massimo titolo nazionale.
    Iniziai a studiarlo quando scoprii che Romi difese più volte i colori del circolo scacchistico spezzino (probabilmente data la vicinanza tra Genova e La Spezia), e come mi ha detto l’amico Vaselli, storica prima scacchiera, ogni tanto avevamo in squadra “il Maestro”.
    Quello che mi ha colpito nelle partite di Romi, e vi assicuro che ne ho viste più di duecento (anche se poche approfondite), è il suo modo di giocare, che è ben difficile da descrivere.
    Con il bianco iniziava sempre con d4, poi Af4 e quindi e3, un sistema molto semplice, ma lui immancabilmente riusciva a tirarci fuori qualcosa, indipendentemente dal risultato finale.
    Nelle sue partite, ogni volta si rimane sorpresi dalla originalità del suo piano, e da come è riuscito a mettere un pezzo in una determinata casella.
    La partita contro Capablanca è abbastanza esemplificativa, infatti nonostante la prudenza in fase d’apertura del cubano, il nostro ha la possibilità di spingere rapidamente i pedoni dell’ala di re fino a g5, ma a questo punto succede che Romi alza lievemente il piede dall’acceleratore, e non corre rischi inutili, con lo scopo di portare a casa un risultato prestigioso.

  5. avatar
    alfredo 16 Aprile 2011 at 16:32

    Ricordo che nel 1973 , sull’onda del match Fischer Spassky uscirono tre riviste di scacchi che sopravvissero pero’ pochi numeri . La migliore era sicuramente Tutto scacchi con direttore Giuseppe Primavera ( 13 numeri) a Napoli usci’ il giornale degli scacchi e del bridge , diretta dal maestro Dario Cecaro . Purtroppo lo ho persa ma nei 5 o 6 fascicoli che uscirono vi erano articoli interessanti , uno di questi proprio del maestro Romi che commentava alcune sue partite con grande acume e senso del’umorismo . Peccato davvero non averla piu’, quell’articolo sarebbe stato un bel contributo alla conoscenza di questo forte giocatore

  6. avatar
    Michele Panizzi 16 Aprile 2011 at 16:43

    Sì, l’associazione della Pallacorda o quisibeve
    sono davvero espressioni incredibili!

    Mi e’ piaciuto moltissimo leggere

    “L’audacia fu il maggiore handicap di Romi: si disse che, come Spielmann, Romi poteva classificarsi primo in un torneo, e ultimo nel torneo successivo. Egli giocava per la vittoria e non per la patta: tutti i sui avversari gli riconobbero un gioco ad ampio respiro, ricco di combinazioni”

    Ho cercato su http://www.chessgames.com
    le partite di Romi , se volete studiarle eccole :
    http://www.chessgames.com/player/massimiliano_romi.html

  7. avatar
    Bilguer74 17 Aprile 2011 at 18:13

    Complimenti per l’articolo, che ricorda uno dei pochi scacchisti italiani vincenti anche all’estero. Confermo quanto riportato sopra da cserica. L’apertura d4, Af4, Cf3, oggi comunemente nota come “London System”, era solitamente denominata “Sistema Romi” nell’Italia Scacchistica diretta dal Maestro Giovanni Ferrantes.

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