Curiosa la storia delle parole. Dicono assomigli alla vita degli individui, si nasce in un luogo, vi si vive per un po’, poi ci si trasferisce da qualche altra parte, si mutuano colà usanze ed abitudini, circostanze ed episodi più o meno casuali che in una continua metamorfosi ti sballottano di qua e di là come il pallone fallato di Cyrus Smith di verniana memoria…
Così le parole, esse nascono per caso in un luogo recondito del globo, subiscono mille trasformazioni e vicissitudini per poi magari ricapitare, per un insondabile capriccio del destino, nel luogo d’origine con fattezze talvolta completamente diverse e irriconoscibili rispetto ai tratti nativi.
Prendete per esempio la parola “sport”, alzi la mano chi non scommetterebbe sull’origine prettamente inglese del termine. Eppure in greco “poros” significa “luogo di transito” ed in latino la parola è diventata “portus” e le attività precipue del luogo sono appunto le attività “di porto”, il canottaggio, nobile passatempo praticato sul lungo Senna tra gli altri da Maupassant, è una delle attività ricreative o di diporto per eccellenza, antesignana di molte discipline olimpiche, ed in francese il termine è diventato “desport”, “deporte” in castigliano, per tramutarsi infine nell’inglese “sport” invadendo in tal veste le lingue di tutto il mondo con rinnovata energia. Quanti di noi italiani, ovvero “latini” per eccellenza, sappiamo tuttavia che “sport” non è questo termine così anglosassone come sulle prime appare?!?
Fior di letterati ed intellettuali hanno studiato tali trasformazioni linguistiche, da Pier Paolo Pasolini ad Alberto Asor Rosa, e l’etimologia è forse una delle branche più affascinanti e sorprendenti della linguistica.
Ebbene, scacchisticamente parlando, a cosa si allude quando si parla di “Greek gift”?!? Il sacrificio greco oppure il sacrificio Greco? Non è un gioco di parole… già… in effetti Publio Virgilio Marone e Gioachino Greco detto Il Calabrese non sono esattamente la stessa persona, eppure il celeberrimo monito rivolto da Laocoonte ai Troiani onde ammonirli a non fare entrare il cavallo dei Danai, ovvero il dono dei Greci, nella città di Troia, proprio per l’origine (greca) di questo dono ha ingenerato quella confusione linguistico-scacchistica che ha privato Gioacchino Greco del merito d’aver reso celebre il sacrificio vincente in h7 generalmente di un Alfiere.
In tempi più vicini a noi il grande scacchista belga Edgar Colle (quindi né un greco, né un italiano come Greco) si servì di questo tatticismo in modo esemplare nella partita che presentiamo quest’oggi.
Edgar Colle (a sinistra) contro Hermann Mattison al Torneo delle Nazioni di Parigi 1924 – foto da Chessbase –
chissà se il nero può giocare 13…Rg8 e su 14.Dh5, Df6!?, perchè Rg6 è obbligatoria solo quando la torre nera è in f8.
comunque bella 15.Txe6+ e il nero non ha più difese valide
da notare anche che dopo 16.h5+, non va bene 16…Txh5, 17.Dd3+, Rh6, 18.Cxf7 matto
La cultura pretesto per parlare di scacchi o gli scacchi pretesto per proporre chicche culturali? 🙂
Non lo so, comunque questa accoppiata mi piace e la tua prosa è molto elegante.
Io ricordavo “Timeo Danaos et dona ferentes”, cmq mi fido 🙂