Malasaña

Scritto da:  | 7 Agosto 2011 | 10 Commenti | Categoria: Racconti, Voglia 'e turnà

Malasaña 4

Durante i miei due anni di residenza madrilena mi son trovato, più per caso che per altro, catapultato in un piso di Calle de San Andrés che, a mia insaputa, era proprio la via dove viveva quella Manuela Malasaña le cui gesta di eroina patriotica fecero sì che si attribuisse il suo nome a questo pittoresco quartiere della capitale. Si tratta di una via lunga e stretta, che andando verso la Universidad è costeggiata da un lato, quello di destra, da una serie di bassi edifici a due piani mentre, sulla sinistra, è fiancheggiata da qualche slargo alberato e interrotta da incroci pavimentati di porfido.


Al numero 22 c’è un ostello scalcinato, luogo di schiamazzi diurni e notturni che non sfigurano nello scenario colorato e multiforme del quartiere. Al secondo e ultimo piano dell’edificio l’appartamentino sgangherato che ho condiviso per otto mesi con Iñaki e Raquel. Tre piccole stanze dall’intonaco grigio e scrostato, un cucinotto ed il bagno. Diciottomila pesetas a cranio la pigione mensile, non ho mai capito se si trattasse di un affare o meno. Anche se giudicare dall’arredamento ogni sorta di dubbio e perplessità affiorava alla mente dell’inquilino, anche quello più distratto e di facile soddisfazione. Iñaki si spacciava per studente di diritto ed è stato il primo mio incontro iberico una volta messo piede alla Estación de Ferrocariles di Atocha, alle tre e mezzo di notte, ovvero colui a cui ebbi la sfortuna di rivolgermi per domandare se conoscesse una pensioncina ove trascorrere qualche giorno prima di trovare una sistemazione più consona. Originario di Polanco, in Cantabria, villaggio tanto povero quanto celebre solo unicamente per aver dato i natali a José de Pereda, il mio interlocutore e futuro coinquilino, a parte colpirmi per le zaffate di sangría che emanava ad ogni mia richiesta di informazioni, ebbe a colpirmi per la sua boina nera, il basco elegante portato di sghimbescio con l’eleganza che solo gli spagnoli riescono ad avere con tale capo d’abbigliamento. Tanto tarda era l’ora e tanto grande la mia stanchezza per il viaggio che riuscì ad abbindolarmi in poco tempo con l’allettante offerta di ospitalità gratuita per quei pochi giorni necessari a trovare una sistemazione migliore. Raquel era anch’ella studentessa ma, confesso, non son mai riuscito a capire né quale fosse in verità il suo rapporto con Iñaki, escluso ovviamente le consuetudini di bagordi e bevute, né quante e quali facoltà avesse mai frequentato effettivamente in un vagabondare senza sosta da quella di medicina a quella di belle arti, da quella di letteratura a quella di biologia. Eppure eran simpatici, lei navarra di Pamplona, irascibile e affascinante come una zingara, lui guascone e bugiardo come un picaro. L’atmosfera, ammetto, mi affascinava non poco e la novità della grande città contribuivano a quella sorta di ebbrezza di cui, quantunque conscio della pericolosità tardavo a volermene scrollare di dosso gli effetti.

Fino a quando un pomeriggio di fine aprile, al ritorno dalle esercitazioni al politecnico, inserita la chiave nella serratura la trovo con sorpresa chiusa con ben due giri di chiave, fatto mai avvenuto in precedenza dato che la consuetudine dei miei due coinquilini raramente li trovava già solo ad accostare l’uscio. Entro, faccio due passi e m’accorgo che tutto è ancora più vuoto del solito… sul pavimento, oltre ai soliti batuffoli di polvere qualche foglio di carta mentre degli ospiti spagnoli e del loro disordine nessuna traccia… tutto sparito, come se non fossero mai esistiti. Con un groppo alla gola, disorientato e allarmato mi affretto a largi passi verso la mia stanza, la porta è anch’essa aperta e dentro… il nulla! Solo il tavolo di legno che adoperavo come scrivania e su di esso un foglietto stropicciato con su scarabocchiato a matita: “Porfa disculpanos, no teníamos ni siquiera el dinero para el alquiler…”
“Come se fosse una novità, merda!” Eran già tre mesi che glielo anticipavo io a tutti e due… ma che bisogno c’era di fregarsi anche tutta la mia roba?? Mentre nella rabbia appallottolo senza accorgermene il pezzo di carta e faccio per scagliarlo contro la parete mi accorgo che dietro c’è lo schizzo di quattro pezzi di scacchi… Sotto c’è scritto: “con cariño a mi amigo italiano… Raquel P.D.: el bando negro juega, mate en dos jugadas…” Mi scappa un smorfia e poi da sorridere… a Madrid son rimasto per altri due anni ancora…

Malasaña 1

avatar Scritto da: Martin (Qui gli altri suoi articoli)


10 Commenti a Malasaña

  1. avatar
    paolo bagnoli 7 Agosto 2011 at 12:36

    Splendido reportage! Sembra un frammento di vita di Picabia… Se in Italia tutti scrivessero così…!

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    Mezzasalma 7 Agosto 2011 at 18:23

    Ottimo racconto e ottimo test: ho dovuto sudar dos camices per trovar la soluzion !!

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      Zenone 7 Agosto 2011 at 19:42

      Sei siempre el mejor ajedristas Mezzasalma…les mies camices sono quatros! 😛

      Mentre, seriamente ,Eden è sempre il migliore nei racconti!

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        Zenone 7 Agosto 2011 at 20:05

        Les camices sono ottos…ma siamo sicuri matto in 2?!

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          Mongo 7 Agosto 2011 at 23:32

          Si, c’è matto in due. 😉

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    purplerain 7 Agosto 2011 at 20:20

    Anche nelle esperienze poco fortunate c’è qualcosa di positivo e forse il segreto della vita è proprio questo: riuscire a prendere ciò che è buono in ogni caso.
    Bel racconto! 😉

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    Mongo 7 Agosto 2011 at 23:26

    La “tavola fiamminga” potrebbe aiutare nella soluzione!!! 😉

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    lordste 8 Agosto 2011 at 10:26

    Bel racconto, ma problema molto semplice :-))) (almeno x chi è uso ai metodi di risoluzione stile “tavola fiamminga”;) 😉

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    Luca Monti 8 Agosto 2011 at 15:28

    Complimenti per il bell’articolo.

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    Bilguer74 8 Agosto 2011 at 16:01

    Come sempre impareggiabile, Martin!

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