Nuove avventure in una vecchia apertura…

Scritto da:  | 19 Novembre 2011 | Nessun Commento | Categoria: Libri, Recensioni

Nell’agone scacchistico internazionale suscitò scalpore quando nell’epica sfida per il Campionato del Mondo del 1990 a Lione Kasparov impiegò in ben due occasioni, nella 14 e nella 16 partita, l’Apertura Scozzese, al posto dell’abituale Spagnola per contrastare con successo la scelta di 1…e5 da parte dell’odiato rivale. Una patta ed una vittoria il risultato per il fuoriclasse di Baku in quel match nel match ed in seguito ebbe a definire la Scozzese come l’unica seria alternativa alla Ruy Lopez per tentare concretamente di sfruttare il vantaggio del Bianco nelle partite di Re. Ma in quanto a fascino, prestigio, interesse storico e -perché no?- importanza pratica ci sono impianti per nulla inferiori ai suddetti. Ci viene infatti in mente il Gambetto di Re, la Partita Italiana (recentemente riportata in auge dal nostro talentuoso Vocaturo), la Ponziani (di cui i Lettori di SoloScacchi già conoscono i pregi grazie agli splendidi articoli del nostro Giulio Borgo) ed ovviamente la Quattro Cavalli.
A mo’ di esordio ci sia lecito fare un passo indietro di quasi un secolo di storia scacchistica e presentare uno scontro tra due autentici monumenti del “nobil giuoco”: Siegbert Tarrasch ed Emanuel Lasker, luogo Berlino, anno 1916.

“Bene, direte voi, vittoria brillante del Nero, perché giocare questa apertura?!?”


Intanto perché appunto in quasi cento anni sotto i ponti della teoria scacchistica di acqua ne è passata e poi perché se nel 2011 il noto teorico ed analista Andrey Obodchuk si è preso per così dire l’onere e la briga di versare acqua fresca e limpida sotto le arcate dell’ormai celebre ponte della Quattro Cavalli uno o più motivi ci saranno sicuramente. Diciamo anche che nomi illustri quali quelli di Alexej Shirov and Emil Sutovsky ne hanno rinverdito gli antichi splendori. Ma non esiste migliore presentazione per un’opera importante come questa quale le parole stesse dell’Autore nell’introduzione del volume:

Emanuel Lasker ironizzando si trovò in un’occasione ad affermare che l’unico suo contributo alla teorie della aperture fu l’aver osservato che i Cavalli vanno sviluppati prima degli Alfieri. L’apertura dei Quattro Cavalli illustra questo principio in una sorta di modello ideale.. Entrambi i colori infatti sviluppano immediatamente i propri destrieri nel miglior modo inizialemnte possibile e, solo in un secodno tempo, si pongono l’interrogativo di come proseguire nel piano di gioco. Ma lasciando perdere gli idealismi ed i paradossi, se anche tale approccio fosse completamente innocuo, come si può spiegare l’interesse che hanno dimostrato verso questo impianto giocatori di successo come Nunn, Bacrot, Rublevsky, Short, Motylev e Naer? Cosa incidentalmente li unisce? La risposta è semplice: un atteggiamento creativo e profondo verso l’apertura ed uno sforzo costante di penetrare i segreti e le sfumature più importanti del gioco.
In tempi recenti i computers hanno avuto vita facile nel tentativo di dimostrare la verità dell’assioma secondo cui: “la partita finisce sempre patta”, trangugiando miliardi di linee e complicate varianti, per concludere con la lapidaria sentenza: “00:00”. I mostri al silicio sono riusciti nella non facile impresa di sentenziare con un deprimente nulla di fatto innumerevoli linee della Difesa Russa piuttosto che della Difesa di Berlino della Spagnola. Fatto incredibilmente sorprendente è tuttavia che le cose non appaiono altrettanto tristi e deprimenti nella Quattro Cavalli. E’ sufficnete infatti dare un’occhiata anche rapida alle parite più recenti giocate con la Variante Rubinstein 1.e4 e5. 2.Cf3 Cc6 3.Cc3 Cf6 4.Ab5 Cd4 5.Ac4 Ac5 6.Ce5 per rendersi rapidamente conto per esempio di come sia notevole il numero dei sacrifici di Donna da parte del Bianco, sebbene siano essi corretti o meno rappresenti un’altra questione.
E risulta quanto mai interessante confrontare questa caratteristica così tipica della cosiddetta tanto tranquilla Quattro Cavalli con impianti ‘parenti’ che passano per essere assai più taglienti e spericolati come per esempio il Gambetto di Belgrado (oggetto peraltro di trattazione detagliata in capitolo a parte del libro). Infatti nella maggioranza delle varianti di questo sistema che sovente vanno oltre il confine della teoria corrente, a meno che il Nero non giochi secondo lo stile dei Maestri del passato ed accetti a cuor leggero tutti i sacrifici, il gioco sfocia spesso in un finale pari (1.e4 e5. 2.Cf3 Cc6 3.Cc3 Cf6 4.d4 ed4 5.Cd5 Ce4?!).


Il giocatore che col Bianco desideri cimentarsi nella Quattro Cavalli deve trovarsi pronto ad affrontare le varie possibilità che il Nero ha a disposizione, già dalla terza mossa, per evitare questa apertura. Il primo capitolo del libro è infatti dedicato a queste linee prendendo in considerazione la variante 1.e4 e5. 2.Cf3 Cc6 3.Cc3 Ab4:
il Bianco non concede al Nero l’opzione di giocare una Petroff ma il Nero a sua volta non entra in una Quattro Cavalli tradizionale! Nel prosieguo del capitolo si analizzeranno anche le altre possibilità per il Nero di evitare la Quattro cavalli già dalla terza mossa, col seguito più giocato 3…g6 dopo 1.e4 e5. 2.Cf3 Cc6 3.Cc3
Il Capitolo 2 prende in esame le mosse meno giocate dal Nero al quarto tratto come per esempio 4…Ac5, 4….a6 e 4…Ad6! Quest’ultima neppure menzionata da John Nunn nella sua opera “New Ideas in the Four Knights” pubblicata nel 1993, dato che a quel tempo gli esempi significativi nel gioco pratico erano essenzialemnte minimi. Tuttavia, al giorno d’oggi, il sistema con 4…Ad6 gode di una popolarità quasi pari a quella delle linee principali.
I capitoli 3 e 4 sono dedicati alla classica 1.e4 e5. 2.Cf3 Cc6 3.Cc3 Cf6 4.Ab5 Ab4 caratterizzata da una complicata battaglia strategica generalmente con un leggero vantaggio per il Bianco, anche se Karpov, nei suoi anni migliori, ha sovrastato col Nero in molteplici occasioni i suoi avversari proprio in questa linea dimostrando che i Cavalli non sono inferiori agli Alfieri se maneggiati da un giocatore del suo calibro.)
Nel Capitolo 5 ed in quello successivo è l’immortale variante di Akiba Rubinstein (4…Cd4) ad aver l’onore del palcoscenico. Da notare che dopo 5.Aa4 Ac5 oppure 5.Ac4 Ac5 il Bianco non è obbligato alla cattura in e5 pur consci del fatto che proprio in varianti come queste gli amanti del gioco posson esser testimoni delle acrobazie più spericolate e funamboliche. E per esser sinceri fino in fondo sono state proprio le partite recenti condotte secondo queste varianti quelle mi hanno ispirato a cimentarmi in quest’opera
Ed infine il capitolo finale è dedicato a come ricavar acqua da quella pietra che è il Gambetto di Belgrado, impresa -devo ammettere- per nulla semplice e banale.

Le partite portate ad esempio, le spiegazioni dei piani di gioco, delle idee e della strategia connessa ad ogni variante di questa affascinante apertura, nonché la prosa gradevole dell’autore fanno di questo testo uno strumento di indubbia utilità per la formazione scacchistica di ogni giocatore. E per rispondere al quesito iniziale (“perché giocare questa apertura?!?”) una delle tante argomentazione che la lettura e lo studio di un’opera quale questa ci fornisce è, per esempio, la comprensione di come si possa effettivamente vincere a partire dalla seguente posizione (Chigorin vs. Forgacs, Norimberga 1906), posizione originata appunto da una Quattro Cavalli, ove tutto sembra apparentemente equilibrato e sostanzialmente simmetrico… ma solo apparentemente 😉

Posizione dopo 10...Te8

Valutazione di Soloscacchi: [rating:5.0]

avatar Scritto da: Martin (Qui gli altri suoi articoli)


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