Memorie di un pedone progressista

Scritto da:  | 20 Dicembre 2009 | Nessun Commento | Categoria: Racconti

Pubblichiamo questo racconto a tema scacchistico inviatoci da Grunt e cogliamo l’occasione per segnalare il suo bel Blog ricco di creatività e di spunti interessanti: La Stanza di Grunt

La Stanza di Grunt1

Siamo solo dei pezzi di legno – parole vostre. Poiché non siamo fisicamente autonomi, voi pensate che siamo inanimati, ma non è esattamente così. Ci muovete voi, siete voi a spostare le truppe in battaglia, è vero, ma questo non vuol dire che non abbiamo vita.
Alt: mi devo già fermare! Continuate a definire questa una “battaglia”, in realtà non fate altro che farci correre avanti e indietro come matti, e quando ci mandate ad occupare una postazione in cui stava un fratello del tutto simile a noi, però di colore diverso, voi dite che l’abbiamo “mangiato”. E che siamo cannibali? Beato colui che è “mangiato”, invece, almeno va un po’ fuori e si riposa, ha il tempo di riflettere sui propri errori; e poi nella scatola si sta molto più comodi che qua; ci si può sdraiare, nella scatola. Sappiate che chi scrive in questo momento è un Pedone, sta davanti, in prima linea, e sa cosa vuol dire essere “mangiato”.
Chiusa parentesi. Stavo dicendo che ognuno di noi, ogni componente dell’esercito, viene, nel corso della “battaglia” – soprassediamo pure sul termine, ma se non si è capito, io che sono un Pedone Nero non ucciderei mai (pardon, “mangerei”, per voi umani imbecilli) un fratello, anche se non è del mio colore, invece voi umanoidi pseudo-dotati di cervello questa cosa della violenza verso chi è del colore diverso ce l’avete un po’ nel sangue, mi sa. Beh, tutto per dire che voi ci usate a vostro piacimento, ci credete soltanto pezzi di legno con applicato alla base un involucro di velluto verde, per farci scivolare meglio sulla… come la chiamate?.. ah sì, “scacchiera”. Che nome idiota; della forma non ne parliamo. Se siete convinti che questa sia una battaglia, allora potevate fare un campo simile a una foresta, a un deserto, o magari alla steppa, visto che quest’idea stupida di farci ammazzare di botte viene dalla Russia. Invece no, il campo è fatto di caselle bianche e nere, di forma perfettamente regolare, niente insidie, trabocchetti, fiumi, ponti, paludi, zone più in ombra che altre. Siamo due eserciti di identico potenziale che si affrontano in un territorio di assoluta regolarità geometrica, perfettamente simmetrico. Dove si è mai vista una guerra così? Pare uno scontro da laboratorio, piuttosto.
Uff… noto che continuo a soffermarmi su queste quisquilie e sui termini che usate voi umani e finisce che non riesco a dire quel che voglio dire.
Cerco di riprendere il filo; dicevo che per voi siamo semplici pezzi di legno da far correre avanti e indietro, e credete che non abbiamo un’anima vero? Voi, si voi, non pensate alla tristezza di un Alfiere che viene posto sulla casella bianca e vive sapendo che non potrà mai scorazzare felice su diagonali di caselle nere; questo è ingiusto, ma è meglio che non torni sulla fissa che avete per i colori. E del Cavallo? Che dire a proposito del Cavallo? Lo fate muovere soltanto in quel modo bizzarro; pensate forse che un Cavallo non possa galoppare dritto? Ah già, essendo nata in Russia l’idea di questo bellissimo gioco, probabilmente eravate ciucchi di vodka nel momento in cui avete deciso le regole. E zac! Un momento di ubriachezza e avete scolpito nella pietra regole immutabili nell’eternità. La prova? Malgrado ci sia stata la Rivoluzione francese, noi non ci siamo ancora liberati dell’ancient regime. Nel nostro quadrato figlio della perfezione assoluta non è ancora giunto il concetto dell’eguaglianza. Abbiamo dei re, ancora! Hanno libertà assoluta di movimento, loro, però, siccome nella testa di voi umani regnano tanti stereotipi, qui i Re, per rispecchiare il vostro immaginario, sono vecchi e zoppi, e vengono mossi a malapena di un passo alla volta; come me del resto, con la differenza che io sono giovane, agile e sveglio, ciò nonostante mi muovete di un passo alla volta ugualmente. Ah già, la prima volta che mi muovete mi concedete ben due caselle: gentilezza, o fretta da parte di entrambi gli eserciti di arrivare l’uno sotto le armi dell’altro? Intanto il Re se ne sta dietro, riparato, se ha bisogno arrocca pure (questa poi…). Come tutte le guerre, è una guerra tra potenti questa, e mandate noialtri, carne da cannone, davanti, in prima linea. E vogliamo parlare un po’ della Torre? Da quando in qua fortezze di tali peso e dimensioni si spostano così velocemente, perfino più velocemente dei Cavalli.
Ma a parte il regime di disuguaglianza sociale nel quale ci tocca vivere, a parte la casta di privilegiati, a parte gli atti di razzismo di cui ci macchiamo contro la nostra volontà, a parte l’infamia di dover cambiare nome a seconda della casella che occupiamo (credo che tutto ciò vada contro i diritti fondamentali di ogni uomo), la cosa più grave è che voi pensate che noi scacchi non abbiamo un’anima. Ridicolo. Siamo solo dei pezzi di legno, vero? Lasciatemi raccontare cosa mi è capitato ultimamente.
Vi ho detto che sono un Pedone, forse non vi ho ancora svelato il colore: sono Nero. Stavo tranquillo nella mia casella, immerso in riflessioni impegnate (I have a dream: l’eguaglianza sociale e la pace nel mondo) quando ad un tratto un balzo del Cavallo Bianco che un momento prima stava di fronte a me ha fatto scomparire una Torre del mio reggimento (tutto questo ha del paranormale: noi tutti ancora ci stiamo chiedendo come sia stato possibile, ma se a voi piace così…). Non ho avuto nemmeno modo di salutare quell’amichevole massa di mattoni sulla quale appoggio la schiena quando il Re e la Regina non sono nei paraggi, che ..puf.. è stata polverizzata seduta stante, senza che rimanesse nemmeno qualche calcinaccio per terra.
Mentre mi arrovellavo ho notato subito davanti a me, lungo la traiettoria lasciata libera dal Cavallo, la creatura più bella che avessi mai visto nella mia breve carriera di scacco: un bellissimo esemplare di Regina Bianca. Oh, ma dovreste vederla! Immaginatevi un angioletto biondo, vestita di un raffinato tessuto bianco – tessuti così in Occidente ve li scordate – con due trecce spioventi sulle spalle, che malgrado tutte le corse fatte in tutte le direzioni profumano timidamente di fresco. Abbastanza alta, avvolta in un principesco vestito che dava l’idea del morbido, e che non s’impegnava abbastanza nel celare un fisico snello e armonico; ma quel che più mi attraeva era il profumo di fresco che si portava in giro. Non sono bravo a riconoscere gli odori, sono nato qui, e qui sto da sempre, in questo campo schermato dalle essenze; ma grazie a Lei ora conosco il profumo delle rose e del balsamo. E che personalità perbacco! Che stile, che garbo, che raffinatezza nei movimenti! L’ho tenuta d’occhio un po’, non tralasciando anche di abbozzarLe qualche sorriso ogni qualvolta mi si presentasse l’occasione di farlo senza essere processato per il reato di alto tradimento.
Adesso, ad esempio, non c’è nessuno nei paraggi, mi trovo in una zona un po’ desolata – sono nel quadrante destro della parte dove sta l’esercito… Uff… via, per capirci: sono in G6, che facciamo prima. Dicevo: non c’è quasi nessuno, soltanto un fratello, un Pedone che sta nella casella dietro di me, la cui lancia mi difende; a lui devo dire grazie: prima un Alfiere mi guardava in modo minaccioso. Era il classico ghigno malefico degli uomini di Chiesa, e ho avuto paura per una manciata di minuti (equivalenti a due mosse a testa; ma quanto siete lenti a pensare?!), ovvero fino a quando il vescovo dal sorriso satanico non si è visto zompare sullo sterno un equinosauro di 150 kg. Penserai di esser finito nel Regno dei Cieli, caro mio, ma secondo me sei finito soltanto nella scatola.
Passano i turni, Lei mi è vicina, a volte molto vicina, a volte è talmente vicina che rimango inebriato da quel profumo, così perdo la cognizione del tempo e rimango stordito nella mia casella, che in compagnia del pensiero di Lei non mi sembra nemmeno più stretta e angusta, ma pare essere invece perfettamente calzante alla mia piccola misura; non la voglio né più grande più piccola, anzi a volte dimentico perfino di che colore è. Poi Lei sparisce, se ne va chissà dove, e io torno razionale. Quando scendo dalle nuvole mi vengono mille pensieri, ma uno predomina su tutti gli altri: la terribile paura che i miei l’abbiano mangiata (passatemi il termine, preferisco scrivere “mangiata” che dover dire che è finita con l’Alfiere in una scatola buia). Mi rintristisco, mi rintano; ecco: ora questa casella schifosa mi è di nuovo stretta, vorrei muovermi veloce, come gli altri pezzi, più liberamente, vorrei poter girare tutte e 64 le caselle e andare a vedere adesso dove si trova, assicurarmi che sia salva, che non sia ferita e che sul suo viso sia ancora acceso quel candore luminoso; vorrei spingerla dolcemente contro il muro fortificato di una Torre, abbracciarla e baciarla in modo passionale; vorrei fuochi d’artificio in sottofondo, e applausi del castellano.
In realtà non posso muovermi da qui, per via delle vostre stupide regole.
Sempre regole, regole, regole. Mi tengono inchiodato qui, in questo punto anonimo, lontano dal gioco. Tutto si muove velocemente, pare che il resto della mia truppa conduca una battaglia il cui tempo è orchestrato dall’odio. Tutti si muovono frenetici a sbattono i piedi con eccessiva crudezza nei movimenti; io, immobile, sono la pace e l’amore in persona, e non voglio che il tintinnio di lame qui attorno scalfisca il mio pensiero che con leggiadro fare si rivolge a lei.
Ma eccola che ritorna. Caspita, com’è bella! Mi guarda, mi sorride anche lei. Volete sapere quanti miei fratelli ha “mangiato”? Ve lo dico io: zero. É innocua, si vede, lo leggo nei suoi occhi, che non sono iniettati di sangue come quelli di tutti gli altri qui, ma vogliono pace e amore, come i miei. Io e lei siamo gli unici ad aver capito che non siamo in battaglia. Andremo d’accordo, vedrete. In questa piazza monotona ci sarà pur un rigagnolo alla riva del quale stenderci; parleremo un sacco, le racconterò di me, mi dirà di lei; mi illuminerà il volto col chiarore del suo sguardo, poi faremo all’amore sotto le stelle e fianco a fianco ci addormenteremo.
Ad un tratto sento un rumore di passi, un velo di polvere si solleva da terra. Mi passa davanti il Pedone mio fratello, quello che mi proteggeva. “Stai attento”, mi fa passandomi a destra, “ti vedo distratto”.
Di lì in poi non ricordo nulla, ho sbattuto varie volte la testa facendo capriole avanti e indietro. Non ho la chiara percezione di cosa potesse essermi successo, ma devo essere stato travolto da qualcosa che con la forza di un tornado e la velocità di un fulmine mi ha scaraventato qui fuori dal mondo. Ora vedo tutto nero. Tenebre, nulla attorno a me a parte un sorriso che si colora nel buio di questa grotta anch’essa schifosamente squadrata. Il ghigno degli ecclesiastici. Nella mano stringo un pezzo di stoffa pregiata che proviene dall’Oriente. Lo annuso, profuma di fresco.

avatar Scritto da: La Redazione di SoloScacchi (Qui gli altri suoi articoli)


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