i Besagnini

Scritto da:  | 12 Gennaio 2012 | 5 Commenti | Categoria: Zibaldone

Ora che arcigni argini di pietra ne controllano le sponde, laggiù verso la foce, il colosso appare domato, pur riuscendo di quando in quando a spruzzare con effetti devastanti la città nelle peggiori occasioni. Eppure quel che più tali argini hanno cancellato per sempre, a Genova, lungo le sponde del Bisagno, sono quelle bancarelle, più o meno improvvisate, che fino all’inizio del ‘900, si potevano scorgere costeggiando le rive del fiume… si chiamavano besagnini.
In questi giorni, nel mio gironzolare senza posa per mete e luoghi senza traguardi son capitato per caso nel capoluogo ligure e, avendo colà qualche ora da trascorrere, immerso muto nei miei pensieri di orso vagabondo, ho sentito per la strada che i besagnini son tornati. Dalla stazione Brignole son due passi, qual migliore occasione per accertarmi io stesso del ritorno, coi miei propri occhi?!? Scendo dal mio treno dai finestrini incrostati di salsedine e, quasi di corsa, ad ampie falcate, raggiungo il luogo… eccoli là, ci son davvero! Discendo i ripidi gradini di pietra di una crêuza, poi una scaletta di ferro ed eccomi lì sui ciottoli del torrente in secca… Chiedo, quasi titubante, informazioni ad un freddoloso passante il quale, col bavero alzato, dapprima mi squadra sospettoso e infine mi bisbiglia: “Occhio! è gente infida, mercanti venuti dall’est… dietro quei banchetti di frutta e verdura si nasconde la redazione di un giornale giacobino: non ti fidare, si tratta dei refiosi di SoloScacchi…” e, senza neppure girarsi per accennare un saluto di commiato, prosegue frettoloso dileguandosi tra le brume odorose di pesto mezzo rancido della vecchia Zena…
Incuriosito mi avvicino per indagare meglio… la prima bancarella che incontro sembra davvero malandata, a penzolare dal tendone un’insegna di ferro arrugginito con un’insegna di vernice rossa ormai screpolata che, non senza fatica, riesco a decifrare in “Recensioni”. Sul tavolo alcuni vecchi libri di storie dello Yukon dai dorsi unti e le pagine ingiallite. Il “titolare” si fa chiamare Martin Eden, la barba irsuta, sfumacchia una sigaretta perennemente al filtro… non ha voglia di parlare, lo intuisco subito, e l’unica cosa che mi bofonchia è che le cose vanno male… irrigidito rientra con fare furtivo nella sua specie di roulotte da zingaro male in arnese… avvedutosi della mia delusione un avventore si premura di raccontarmi la storia che c’è dietro. Affari non ne fa più, le sue recensioni non le ha mai lette nessuno, anche se lui vive nell’illusione che l’inchiostro versato sia ben speso ed al momento sbarca il lunario sgraffignando qua e là fotografie artistiche, rigorosamente protette da copirait, senza chiedere l’autorizzazione a nessuno, rispacciandole quando riesce, ad incauti acquirenti con ambigue inserzioni su Ebay a prezzi da usura.
Vado oltre… proprio accanto v’è un banchetto dall’aspetto ben più attraente. E’ quello di un tal cserica, almeno così si fa chiamare, anche se sospetto che sia solo uno pseudonimo dietro cui si celano altre storie di balordi e malandrini… sugli scaffali chili di vecchie polverose cartoline. Ne riesco a identificare solo alcune… Margate, San Sebastian, Budapest, Scheveningen, Pozzolo Formigaro…
cserica è un tipo sfuggente, misterioso, evidentemente anch’egli nasconde trascorsi poco puliti, decido pertanto di proseguir oltre… ecco, su un’ansa del fiume s’allarga un ampio greto, vi trovan posto i venditori di animali.
Il nitrire di vecchie giumente dalla flaccida pellecchia mi lascia immediatamente presagire che si tratti di un qualche Mandriano. E questa volta l’aspetto da giostraio sorridente del titolare mi fa riacquistare la fiducia perduta nei primi sciagurati incontri… le orecchie a sventola e le ganasce da Shrek del buffo tipo, non so come ma, mi ispirano decisamente simpatia anche se gli zoccoli dei suoi quadrupedi scalpitanti mi suggeriscono di non fidarmi troppo e di non sostare a lungo…
Forse faccio bene, anche perché la mia attenzione è immediatamente catturata dai miagolii che provengono dalla piazzola attigua: sono i gatti di Marramaquís. L’aspetto elegante e raffinato del personaggio mi incuriosisce, spiengendomi a fantasticare circa la sua provenenza, probabilmente un hidalgo andaluso… o forse un gentiluomo normanno, eppure quando lo sento farfugliare in vernacolo trasteverino uno spavaldo saluto di benvenuto, temendo per la mia incolumità decido di rientrare verso bancarelle meglio frequentate. Qui mi imbatto prima in un tal FritzCarraldo, un buffo venditore di vecchi grammofoni senza puntina che espandono, da vecchie radioline a transistor nascoste sotto l’imballo, improbabili melodie pucciniane, poi, andando oltre, in un mieloso commerciante di scritti corsari, si fa chiamare Ramón ma è solo un triste ragazzo di borgata ormai decrepito e trasandato. Spaccia come cartoni per bambini consunte locandine di pruriginosi filmetti per adulti, il titolo meno sospetto è “Saronno o le 6 giorni del Vigorelli”.
La bancarella attigua è quella del Mongo… un chiacchierone alquanto singolare: mi accoglie presentandosi come il figlio clandestino del Che ma il suo accento da mandrogno me lo fa sgamare subito. Smercia carrozzine tarocche della Chicco e quella su cui vede assiso gli fa la pubblicità peggiore: ha una ruota rossa con su il marchio Ferrari mentra sull’altra, sotto gli ideogrammi scancellati, puzza ancora di container Hanjin. Mi regala un amuleto boliviano ma il fetore del suo sigaro mi impone di non sostare ancora. C’è un tal Yanez, che arrota la erre a mo’ di dinoccolato personaggio lusitano ma, una volta scoperte le sue inconfondibili origini comasche, poco avvezzo ai dialetti lacustri, lo mollo lì per entrare finalmente nell’unica botteguccia dall’aspetto serio. Quella di un certo Luca Monti alias “Canal(e) nella Manica”: il baffo svolazzante dapprima m’illude d’aver infine incontrato un serio commerciante ma, allorquando cerca di propinarmi un vecchio e strambo mandolino peruviano sdoganato quale nobile strumento a corda di un non meglio identificato maestro trapiantato in Padania, tra me e me penso: “Cocquio, Joe! qui ti stanno a fregà…” Giro i tacchi, strizzo l’occhio alla Lanterna, acchiappo al volo un tocco di fügassa dall’ultimo banchetto all’angolo e una bottigliozza di vin duse da Zenone l’enologo, e, rapido come un giaguaro nella notte che già incombe, mi allontano da questa curiosa accozzaglia di besagnini…

avatar Scritto da: Joe Dawson (Qui gli altri suoi articoli)


5 Commenti a i Besagnini

  1. avatar
    Luca Monti 12 Gennaio 2012 at 22:20

    😛

  2. avatar
    Zenone 12 Gennaio 2012 at 22:49

    “CREUZA DE MÄ!
    Ómbre de môri, môri de mainæ,
    dónde ne vegnî, dôve l’é ch’anæ?
    da ‘n scitu duve a l’ûn-a a se mustra nûa
    e a neutte a n’à puntou u cutellu ä gua
    (…;)
    E ‘nt’a barca du vin ghe naveghiemu ‘nsc’i scheuggi
    emigranti du rìe cu’i cioi ‘nt’i euggi
    finché u matin crescià da puéilu rechéugge
    frè di ganeuffeni e dè figge
    bacan d’a corda marsa d’aegua e de sä
    che a ne liga e a ne porta ‘nte ‘na creuza de mä”

    (“Viottoli del Mare”
    Ombre di facce facce di marinai
    da dove venite dov’è che andate
    da un posto dove la luna si mostra nuda
    e la notte ci ha puntato il coltello alla gola
    (…;)
    E nella barca del vino ci navigheremo sugli scogli
    emigranti della risata con i chiodi negli occhi
    finché il mattino crescerà da poterlo raccogliere
    fratello dei garofani e delle ragazze
    padrone della corda marcia d’acqua e di sale
    che ci lega e ci porta in un viottolo del mare)
    [F. De Andrè, Creuza de mä – 1984]

    Nient’altro. Grazie!

    • avatar
      Davidoff 12 Gennaio 2012 at 23:02

      Non so perché ogni volta che l’ascolto mi commuovo. E non sono ligure. 😥

  3. avatar
    Mongo 13 Gennaio 2012 at 11:04

    Ma sei matto a chiamare ‘fetore’ l’inconfondibile ‘profumo’ dei miei Habana!!!!
    Complimenti per il pezzo, farai strada qui da noi. 😉

  4. avatar
    Ricardo Soares 13 Gennaio 2012 at 13:28

    Saude, amigo meu, inefavel e surprendente Joedaw!

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