L’Enigmatico

Scritto da:  | 22 Dicembre 2009 | 3 Commenti | Categoria: Stranieri, Zibaldone

Bottecchia3Mai definizione fu più azzeccata ed emblematica di quella coniata per descrivere il grande Campione friulano Ottavio Bottecchia: l’Enigmatico! O “l’énigmatique” come era in origine, fu infatti in Francia, sua seconda patria, che l’appellativo ebbe origine… E tutto nella sua vita fu in effetti assai enigmatico o quanto meno misterioso e curioso: le origini, il successo e, ovviamente, la morte.
Ma andiamo con ordine, sono i primi anni del ‘900 ed il concetto di sport, come lo intendiamo oggi giorno era molto lontano da venire, del professionista super pagato osannato a destra e a manca assurdo parlarne, lo sportivo era, nelle migliore delle ipotesi, poco più che uno stravagante. Il calcio era per così dire ancora in fasce, un calcio i cui primi vagiti avevano un forte accento inglese: il Genoa Cricket and Football Club di Mister Garbutt, padre di tutti i “Mister”, dettava legge su tutti i campi, per la verità all’inizio ancora ben pochi, e l’unico altro sport che, in termini di popolarità, gli teneva testa era il ciclismo. Origini albioniche per il calcio, discendenza francese per il ciclismo: “le velo” appunto. E prima che i nostri si facessero strada in entrambe le specialità dovettero passare alcuni anni.

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Giusto gli anni della Grande Guerra in cui il soldato semplice Bottecchia Ottavio, muratore strappato all’edilizia per servire la Patria, incuriosì un superiore che ne notò le doti di forza e robustezza vedendolo trasportare in salita, su una pesante bicicletta militare, una ancor più pesante mitragliatrice. Il passo verso altre più gloriose ma altrettanto faticose salite fu breve: terminata la guerra osteggiato dal padre che avrebbe preferito un figlio muratore in famiglia piuttosto che uno scapestrato su due ruote, Ottavio intraprende le prime gare. L’esordio al Giro fu da “isolato”: qualcosa di impensabile ai giorni nostri, l’isolato partiva solo con la propria bicicletta ed i propri muscoli in un’avventura di tappe di quattrocento e più chilometri sulle strade sterrate di quei tempi senza poter contare su nulla di più che la propria forza di volontà. Eppure da “isolato” nel 1923 all’esordio al Giro Bottecchia giunge quinto terminando con un distacco di tre quarti d’ora da Costante Giradengo, il Campionissimo, ma è sufficiente per esser notato da una squadra francese, l’Automoto, che, dovendo aprire una filiale in Italia decide, per ragioni promozionali, di ingaggiare un ciclista italiano.

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Racconta a tal proposito Ninni Radicini che “I più grandi, tra cui il più titolato, Girardengo, declinano l’offerta, preferendo rimanere a correre in Italia, magari con ingaggi inferiori a quelli del Tour ma in corse meno sfiancanti. Il Giro d’Italia, come termine di paragone, si correva in poco più tremila chilometri: il Tour era una volta e mezza in più. Bottechia per l’Automoto è l’ultima scelta. Non poteva essere altrimenti dato il curriculum del veneto, pur essendo stato la rivelazione del Giro d’Italia del ’23.
Persona semplice e taciturna, non fa grande impressione quando si presenta in Francia. Squadra e organizzazione sono convinti che quel curioso ciclista italiano, dall’abbigliamento (non volutamente) eccentrico e con uno stecchino nel risvolto della giacca, avrebbe abbandonato dopo tre tappe. A loro, in verità, poco importava. Gli bastava presentare alla partenza un paio di italiani (l’altro era il più smaliziato Santhià, un buon gregario).
Dovettero subito ricredersi. Tavio si dimostra un ciclista formidabile. Grazie alle tecniche apprese da Ganna (il primo vincitore del Giro), che aveva creduto in lui come professionista, riesce a utilizzare nel migliore dei modi le sue doti naturali. Rimane per sei giorni in maglia gialla ma alla fine il Tour lo vince l’idolo locale, Henry Pelissier.
Bottecchia2Il vincitore morale, per il pubblico, per i giornalisti, per gli organizzatori, e forse anche per i dirigenti dell’Automoto, è però quell’italiano, sconosciuto fino a un paio di settimane prima, secondo nella classifica finale. Tutti, Desgrange per primo, sono convinti che sia lui il futuro. Sommerso dagli inviti degli organizzatori di altre corse, Tavio totalizza ingaggi fino ad allora inimmaginabili. L’anno successivo, il 1924, è quello della prova del nove. E’ davvero un campione? Per i francesi lo è. E lo è anche per gli italiani, i cui maggiori quotidiani dispiegano uomini e risorse per seguire la corsa francese, come mai era avvenuto prima, anche perché fino ad allora gli italiani alla Grande Boucle avevano raccolto le briciole.
Certo tutta questa attenzione verso Bottecchia, l’ultimo arrivato, non era molto gradita suoi colleghi. Ma piaccia o no è lui il ciclista piu’ forte del momento. Il Tour lo vince, entrando nella leggenda, arrivando primo nella tappa Bayonne-Luchon, con quattro montagne da scalare, tra cui Tourmalet. Non è più il “garibaldino” di un anno prima. Ha maturato doti di controllo della corsa, necessarie soprattutto per il ciclismo dell’epoca, in cui ognuno deve risolvere da solo ogni problema: dal cambio del tubolare forato alla ricerca del cibo per sfamarsi.
I francesi lo adottano. Qualcuno vorrebbe farlo nel vero senso della parola, visto che mettono in mezzo pure la genealogia. Secondo alcuni “Botescià”, come lo chiamano i tifosi d’Oltralpe, sarebbe di origini francesi (suo avo sarebbe un soldato dell’esercito di Napoleone passato dalle parti del Veneto…;).
Bottecchia4Anche in Italia i giornali, le cui vendite si impennano con le sue vittorie, lo esaltano come sportivo esemplare. Lo esalta, con qualche fronda, anche il regime, che tale diventerà ufficialmente nel ’25, pochi mesi prima della vittoria del secondo Tour, nonostante i tanti ostacoli posti da Desgrange (18 tappe invece di 15, nessun abbuono ai vincitori di tappa, dieci minuti di penalizzazione).
Le sue vittorie e la celebrità sono motivo di vanto per i tanti italiani emigrati in Europa e in America. Dall’Argentina riceve un invito dal Club Huracan per una tourneé. Accetta e parte da Marsiglia insieme con Alfonso Piccin, amico di vecchia data e ciclista anche lui. Dopo un mese di viaggio arriva a Buenos Aires, accolto da una folla che lo esalta come un eroe. Anche lui, come loro, ha dovuto lasciare la propria terra e i propri cari per guadagnarsi il pane. Adesso – ricco e rispettato – rappresenta ciò che ognuno di coloro che lo aspettano avrebbe voluto diventare emigrando.”

Bottecchia6Misterioso e quanto mai enigmatico è infine l’epilogo della storia di Ottavio Bottecchia. Dopo la vittoria al secondo Tour, scrive Emanuela Audisio, che Bottecchia “nel ’27, alla Parigi-Bordeaux, accusa un malore. Il 22 maggio dello stesso anno muore suo fratello Giovanni, con cui ha condiviso la passione per le due ruote. Giovanni viene investito mentre pedala verso casa: trauma cranico, niente da fare.
Ottavio assiste cognata e nipoti. E risale in sella, vuole reagire al dolore. E il 3 giugno: fa colazione, uno zabaione con quattro uova arricchito di marsala, nella bisaccia qualche uovo sodo. Pedala da solo, il suo gregario ha da fare. Verso mezzogiorno, la notizia: il campione è caduto, trauma cranico anche per lui. I due fratelli Bottecchia muoiono a tre settimane di distanza, nello stesso modo.
La nipote Elena dirà che quella mattina Ottavio non stava bene. Cercò qualcuno che lo accompagnasse nell’allenamento. Ma non trovò nessuno. Tre contadini sono testimoni della coda dell’incidente: avvertono il tonfo, vedono l’uomo rialzarsi. Lo riconoscono, gli asciugano il sangue che cola dalla bocca, se lo caricano in spalla e lo portano nell’osteria del Paese. Viene il prete a dargli l’estrema unzione.
Placido di Santolo ha un calesse, ma per trasportare Bottecchia all’ospedale vuole soldi. Sono cinque chilometri. Non fa sconti, è irremovibile. Uno sconosciuto si offre di pagare. A Trasaghis, a metà strada, Placido si ferma per dissetarsi in osteria. La via è dissestata. Le ultime parole di Bottecchia sono: «Malore, malore». In ospedale la diagnosi è: «Frattura della base cranica, della clavicola destra, escoriazioni al gomito destro». Ma la strada non era pericolosa. Forse il caldo. Si ripensa a quello stop nella Parigi-Bordeaux. Il corridore era parso assente. Però la sua bici è senza un graffio.
Mistero, giallo. Due persone si accusano, un’altra accusa. Ci sono tre diversi assassini, tre moventi diversi. Un contadino: «L’ho ucciso perché rubava la mia uva». Un sardo emigrato negli Usa, Berto Olinas, agonizzante con tre coltellate nel ventre, sussurra: «E stata la mafia a eliminare i due fratelli, perché lui non stava ai patti con le scommesse». Il parroco Dante Nigris, che impartì a Bottecchia gli ultimi sacramenti: «E rimasto vittima di un agguato politico». Il libro verifica tutto: date, tesi, imprecisioni, salite e discese. E finisce con un altro dolore. Certe fughe sono inarrestabili. Belle nella loro tristezza.”

C’è stato un Bottecchia degli scacchi?

Difficile rispondere, di figure “enigmatiche” la storia del nostro gioco abbonda ma l’interessante articolo di Biker sulla “Superfinale del Campionato Russo” mi ha riportato alla mente la figura leggendaria del MI Nikolai Kopylov stupendamente tratteggiata dal Igor Nikolayev con queste parole:
Kopylov1“Non divenne mai GM ma ottenne il soprannome di “Campione dei Campioni” Perché? Nel 19o Campionato dell’URSS (1951) sconfisse 3 campioni: Botvinnik – campione del mondo, Keres – campione dell’USSR, e Petrosian – campione di Mosca. Nella sua lunga carriera scacchistica riuscì a battere, tra gli altri, anche stelle quali Smyslov (1951), Bondarevsky (1951) e Taimanov (1952). Pareggiò con Bronstein (1947) ed il giovane Karpov (1970). E questi sono solo i nomi più famosi. Ottenne altri prestigiosi successi con molti forti Grandi Maestri. Il suo stile di gioco rappresentò un enigma per molti di noi. E se a questo si aggiunge che il fatto che Kopylov non fu un vero scacchista professionista a tempo pieno, aveva infatti un dottorato ed un impiego di professore universitario, si può capire facilmente lo spessore ed il talento di questo personaggio prodigioso. Morì nel 1995 durante un torneo di scacchi.”
Ebbe tre figli, ed uno di questi fu il celebre scienziato e fisico Vladimir N. Kopylov le cui ricerche nel campo della teoria dei superconduttori sono state apprezzate a livello mondiale.
Ecco la partita in cui costrinse alla resa il grande Paul Keres vincitore di quella storica edizione del Campionato Sovietico.

avatar Scritto da: Martin (Qui gli altri suoi articoli)


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3 Commenti a L’Enigmatico

  1. avatar
    Mandriano 22 Dicembre 2009 at 17:10

    ciclismo, scacchi, cultura generale che zampilla… Martin Eden è un fuoriclasse!!

  2. avatar
    Martin Eden 22 Dicembre 2009 at 17:18

    Dai… che ho finito il foraggio! D’accordo che tutti sanno che pago bene i miei commentatori, soprattutto sotto Natale, ma lasciami spendere gli ultimi spiccioli per i prossimi articoli… che, per la gioia del nostro Capitan oh Capitan, saranno su altri sport: pulce, biglie sulla spiaggia e corsa dei tappi! 😉

  3. avatar
    Bilguer74 23 Dicembre 2009 at 11:21

    Conoscevo sia Bottecchia che Kopylov solo di nome. Non avrei mai immaginato che celassero dietro di loro storie così interessanti. Grazie Martin per averceli fatti conoscere!

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