Le roulottes di Ivan

Scritto da:  | 25 Gennaio 2012 | 14 Commenti | Categoria: Racconti

“i giri erano belli, i giri erano lunghi…”

Gli si impennavano le orecchie e questo era il percettibile segnale che non c’era più speranza di tenere.
I suoi occhi scuri e penetranti si facevano d’improvviso brillanti e fissi come quelli di un rapace sicuro del suo pasto e, dopo poche mosse, invariabilmente provavo a balbettare qualche confusa sillaba per giustificare la mia resa.
Non avevo ancora otto anni ed era la seconda estate che frequentavo la roulotte di Ivan: arrivava verso metà luglio con le sue due sgangherate Mercedes con targa yugoslava dalla vernice d’un marrone sbiadito osceno il cui unico fregio a memoria di migliori trascorsi era la stella triangolare cerchiata di metallo sul cofano, le parcheggiava nel prato di fronte al campetto del Grest, per la verità non troppo vicino per non suscitare le ire neppure troppo taciute di Don Andrea, e rimaneva lì fin verso metà settembre.
Si chiamava Ivan anche se tutti lo apostrofavano come Giuan e lui se la rideva divertito sotto la sua coppoletta unta e consumata, la barba incolta e la sigaretta perennemente penzolante da quel labbro di zingaro.
L’attività di Ivan era composta da una giostrina su cui non rammento di aver mai visto salir nessun bambino anche se lui la teneva sempre accesa “perché spegnere vetrina è dire come abbassare saracinesca di bottega” ed uno scalcinato impianto di calcinculo su cui noi piccoli avevamo il tassativo divieto di salire perché le mamme non volevano. Vedevamo in esso il sogno proibito della nostra età e coloro che, infrangendo il divieto riuscivano a farci un giro, acquistavano per gli altri l’ambita fama di grandi… ci provavo sempre ad avvicinarmi, con la mia moneta da cento lire bella pronta in tasca, quando mia madre il pomeriggio, verso le quattro, andava ad aiutar la Anna nei mestieri, ed io felice per l’allentata sorveglianza dovevo purtroppo sorvegliare Carlo, la mia piaga, mio fratello più piccolo, che non sapevo mai dove rispedire, e Ivan con un strillone burbero, articolato al momento giusto del nostro appropinquarci, ci ricacciava indietro senza neppure troppa fatica… allora, seppur a malincuore, quando la mia tasca non ne era sprovvista, riciclavo le cento lire in due partite di flipper o in quattro cazzotti al durissimo e mezzo scucito punching-ball con l’irragiungibile lucina di campione del mondo dei pesi massimi che non si accendeva neppure a martellate. Non sono mai arrivato oltre la seconda lampadina, quella dell’imberbe galletto mammolina ma a mio fratello raccontavo che le altre lampadine eran fulminate e per questo rimanevano spente, così, con la prepotenza della differenza di età, mi giocavo anche le sue partite.


Un pomeriggio di pioggia, in quelle interminabili giornate di luglio, quando ormai mi sentivo già rassegnato al rientro a casa nell’attesa di un lontano carosello o di una partita a figurine alla ricerca degli introvabili  Pileggi e Garlaschelli, il trasandato giostraio, forse per la pena che gli suscitavo nel mio bighellonare di sfaccendato mocciosetto, ci radunò davanti alla sua roulotte più grande, entrò e ne uscì dopo poco con una vecchia scatola di legno che, certo, non aveva l’apparenza di uno scrigno di oggetti preziosi.
Con fare solenne la appoggiò su una vecchia sedia messa di traverso e ne estrasse delle curiose figure di legno… non sapevo cosa fossero né ne avevo mai sentito parlare: sicuramente soldatini non erano, neppure lontani parenti di quelli di plastica monocolore della Atlantic: troppo belli per farne un uso tanto banale. Li dispose con cura, uno ad uno, sulla tavoletta di legno che fungeva anche da contenitore. Ieraticamente, ciascuno in un posto preciso, e ci disse: “questo non è gioco, non costa niente…”
Aveva un accento come lui… inconfondibile, indecifrabile, da straniero senza origine ed il tono della sua voce era serio e profondo.
Giocai con lui tutta l’estate e quella successiva, dopo Jo Condor, il detersivo Omo e la Carmencita, fino a quando veniva buio e la voce nervosa di mia madre mi cercava nel piazzale per la cena e la solita lavata di capo, per me sempre dovuta a  icomprensibili motivi, ma che, tutto sommato, sentivo lo stesso di meritare.
Ivan non lo rividi mai più, le sue scassate Mercedes ed il calcinculo, di lui mi rimangono questi sbiaditi ricordi… anche se qualche sera d’estate, lontano mi sembra di sentire ancora la sua voce, seria e profonda… “questo non è gioco, non costa niente…”

avatar Scritto da: Martin (Qui gli altri suoi articoli)


14 Commenti a Le roulottes di Ivan

  1. avatar
    MARCO 25 Gennaio 2012 at 11:18

    Bravo Martin! Un’altra prodezza letteraria con gli scacchi in sottofondo, solo accennati, come pretesto. Molla tutto e datti alla scrittura a tempo pieno!!

    Marco Pic

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      Joe Dawson 25 Gennaio 2012 at 13:59

      Oh, noi che lo conosciamo bene sappiamo che il vecchio Martin scrive questi raccontini (spesso senza rileggerli neanche…;) solo come riempitivo tra i vari pezzi di ben altro spessore che pubblichiamo su SoloScacchi…

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        Ramon 25 Gennaio 2012 at 14:01

        > spesso senza rileggerli neanche

        e si vede! 😉

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      Yanez 25 Gennaio 2012 at 14:00

      Anch’io comunque gli ho consigliato di mollar tutto …e di darsi all’ippica! 😉

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    Mongo 25 Gennaio 2012 at 14:53

    Dici, ad un certo punto: “Non avevo ancora 8 anni….”: non dirmi che dobbiamo scoprire che età avevi…
    Meglio risolvere un matto in 16 mosse!!! 😉 😉

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    Jas Fasola 25 Gennaio 2012 at 18:39

    C’e’ una cosa da chiarire, il racconto e’ autobiografico o di fantasia?

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      Orazio 25 Gennaio 2012 at 20:34

      Scusa ma che differenza fa?? 🙄

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        Jas Fasola 25 Gennaio 2012 at 21:26

        Per un non scacchista forse nessuna, ma ad uno scacchista Ivan ricorda di sicuro l’opposto (no money) di qualcuno, non dico chi perche’ non occorre, percio’ il soggetto a me non sembra originale ne’ realistico, nel caso non sia autobiografico. Se invece lo fosse sarebbe formidabile e mi aspetterei una seconda parte, non lascerei Ivan nell’oblio.

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          Ramon 26 Gennaio 2012 at 00:05

          Solo Martin può veramente svelarci l’arcano anche se dubito che lo farà… e comprendo le ragioni dello scrittore. Ma di una cosa son certo: che i suoi racconti posson esser modesti quanto volete tuttavia non ha mai plagiato nessuno.
          Se puoi illustraci invece tu a chi ti riferisci “nel caso il racconto non sia autobiografico” giacché a me, come immagino a tanti lettori, sfugge la tua allusione.
          Un saluto e continua a seguirci! 😉

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            MARCO 26 Gennaio 2012 at 13:13

            Io credo che invece modesti non siano affatto, lo dico seriamente, non per amicizia o per simpatia.
            E’ un dato di fatto che a me, come penso a molti scacchisti della mia generazione, il compianto Milorad (a cui qualcuno ha accennato in precedenti mail) in mente è tornato. La scintilla negli occhi, l’impennata delle orecchie(!) e il modo di parlare… (solo l’autore può sapere se si è ispirato a lui o meno).
            Comunque quando il riferimento è esplicito (si veda ad esempio il tratteggio della figura di Enrico Paoli in un precedente racconto) la capacità di Martin Eden di far rivivere efficacemente il ricordo di persone note è la sua caratteristica di scrittore che mi ha sempre colpito

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              Martin Eden 27 Gennaio 2012 at 07:20

              Grazie Marco ma ha ragione il buon Joe quando dice che si tratta di raccontini semplici semplici scritti al volo, spesso senza neppure rileggerli, per far da collante tra un articolo serio e l’altro dei miei cari compagni di viaggio…
              Ecco comunque qui il link al ricordo di Enrico Paoli da te citato 🙄

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          Mandriano 26 Gennaio 2012 at 00:25

          Ecco perchè è mio amico…. e non abbiamo ancora visto tutto!! Proprio lui!! Grande Martin…

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          Mandriano 26 Gennaio 2012 at 00:25

          Ivan c’è!!…

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    Jas Fasola 26 Gennaio 2012 at 10:06

    Caro Ramon, non ho di certo inteso nessun plagio ed il racconto piace anche a me. Solo che per uno scacchista un personaggio alla Ivan (o Milorad) su cui inventarsi un racconto e’ facile da trovare. Quindi semplicemente intendevo dire che se e’ un racconto di fantasia e’ discreto se fosse vero ci farei un film.

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