Scacchi: dalla Psicologia alle Scienze Cognitive

Scritto da:  | 21 Gennaio 2012 | 22 Commenti | Categoria: Scacchi e scienza

Gli Scacchi sono una strada in salita, sempre più ripida ad ogni passo

Miniatura indiana del secolo XVIII: Krishna 'gioca a scacchi' con la divina Radha. National Museum, New Delhi.

Le Scienze Cognitive, attualmente di grande interesse scientifico, tendono a unificare i campi delle scienze umane – filosofia e psicologia – e delle neuroscienze, che studiano la mente e il cervello dell’essere umano, con altre discipline scientifiche, come la scienza dei computer e l’intelligenza artificiale. Le scienze cognitive hanno anche trattato alcuni aspetti del gioco degli scacchi, come la composizione di problemi e studi, il gioco alla cieca o la sfida Uomo-Computer dell’intelligenza artificiale. Lo studio degli scacchi è così diventato un importante modello ideale per lo studio della mente e del cervello umano. L’ultima frontiera è rappresentata dalla progettata realizzazione di un “Computer Cognitivo”, una macchina in grado di ragionare come il cervello umano, grazie a reti neurali di sinapsi che possono imparare dall’esperienza. Questo nuovo computer rappresenta una potente sfida per la soluzione di problemi tuttora insoluti, trovando un ordine, adesso invisibile, nella complessità del reale.

1. Introduzione

Gli scacchi sono un’esemplare manifestazione del pensiero umano ed il gioco intellettuale per eccellenza. E’ probabilmente il gioco più difficile ed esigente che si conosca, presente praticamente in ogni parte del mondo, e studiato con interesse dalla psicologia [1-3], dalla scienza dei computer e Intelligenza Artificiale (IA), e dalle neuroscienze [4,5]. Qual è dunque il motivo – il segreto – per cui gli scacchi riescono a catturare l’immaginazione collettiva a tal punto? E’ forse il famoso detto di Tarrasch: “Gli scacchi, come l’amore e la musica, hanno il potere di rendere gli uomini felici” oppure, più semplicemente, il fatto che gli scacchi riescono a gratificare le varie categorie di giocatori con una sensazione di piacere e sfida intellettuale che non si trova altrove.

Il mondo degli scacchi è vario e complesso, e diversi sono i punti di vista da cui lo possiamo considerare. Come dice un antico proverbio indiano: “Nel mare infinito degli scacchi un moscerino può bere e un elefante fare il bagno”. Possiamo chiederci quale sia la natura degli scacchi, se sono cioè un gioco o uno sport, un’arte o una scienza, e anche se gli scacchi che gioca l’uomo siano gli stessi giocati dal computer. E’ stato anche detto che gli scacchi sono un’immagine della vita: Spassky, per esempio, diceva che “Gli scacchi sono come la vita”, a cui Fischer controbatteva con “Gli scacchi sono la vita”! Certamente esiste una relazione tra scacchi e vita, come quando nei processi decisionali dobbiamo fare un’importante scelta o quando riteniamo che un elaboratore elettronico – un cervello elettronico – possa emulare l’intuizione e la creatività umana. In altri termini, si possono concepire gli scacchi come un modello ideale per lo studio della mente e del cervello umano, un modello importante, soprattutto se, come dice Kasparov, ”la vita imita gli scacchi” [6]. Vediamo allora che psicologia e neuroscienze acquistano un’importanza speciale per la nostra vita, perchè capire i meccanismi con cui operano la psiche e il cervello umano possono essere d’aiuto nella soluzione di alcune delle sfide del nostro tempo, dalla lotta alle malattie neurovegetative alla comprensione dei sentimenti che sono alla base delle nostre passioni e dei nostri gusti. Ormai questi interrogativi non interessano più solo gli specialisti, ma sono di attualità anche per l’uomo comune.

Inoltre, alcune discipline scientifiche, come la scienza del computer e la neuroscienza computazionale, studiano le relazioni tra la mente e il cervello umano e ritengono il cervello umano in grado di calcolare come un computer. Siamo nel dominio dell’IA, un’espressione che definisce l’insieme di studi e di tecniche che cercano di realizzare una macchina capace di risolvere problemi tipici dell’intelligenza umana. Questa idea di poter identificare il cervello umano con un computer apre poi un dibattito sul significato del termine “intelligenza”. E’ questo un argomento complesso, che verrà ripreso in seguito con la presentazione del progetto “SyNapse” dell’azienda IBM, un progetto che si propone di realizzare un computer cognitivo, cioè un computer intelligente e capace di ragionare come il cervello umano, grazie a reti neurali di sinapsi, che possono imparare dall’esperienza e dall’ambiente circostante [4]. Alcuni di questi temi verranno qui presentati nel tentativo di chiarire quali relazioni esistano tra scacchi e processi mentali studiati dalle scienze cognitive1. Perciò verrà anche fatta una breve descrizione del funzionamento della mente e del cervello umano, in relazione a vari tipi di studi ed esperimenti scientifici centrati sull’osservazione dell’attività mentale di campioni impegnati in partite simultanee alla cieca o in gare di soluzione di problemi e studi di scacchi in un tempo prefissato. Queste ricerche sono importanti perché hanno promosso una maggiore comprensione dei meccanismi mentali e cerebrali con cui gli esseri umani formulano i loro giudizi.

Ritengo che questi argomenti possano – in teoria – interessare anche il giocatore di scacchi, una volta che percepisca i vari collegamenti esistenti tra gli scacchi e le diverse attività umane. Tuttavia il gioco degli scacchi verrà qui descritto anche nel suo aspetto artistico (problemi e studi), tecnico (aperture, medio gioco e finali), oltre che come competizione sportiva e struggle intellettuale.

Scacchi islamici – lo “shatranj” –

I problemi di scacchi rappresentano forse l’esempio più notevole di creatività che si possa trovare nel nostro gioco, e un primo esempio è dato da un problema arabo del IX secolo. Alcuni problemi di scacchi sono sopravissuti e giunti fino a noi, grazie al ritrovamento di testi medievali arabi che li hanno citati. Sappiamo che nel mondo islamico i più grandi giocatori di scacchi, gli “aliyat”, venivano chiamati a corte da califfi, come al-Mamun e Harun ar-Rashid, nei loro palazzo a Bagdad, non solo per poter competere personalmente con loro o per semplice ricreazione, ma perché questi aliyat erano un modello di libertà della coscienza. Questi sovrani appassionati del gioco non consideravano gli scacchi solamente come un semplice passatempo, ma piuttosto come un’attività collegata al fermento intellettuale che tentavano di suscitare nel loro impero in espansione. Nel IX secolo erano noti nel mondo islamico alcuni forti giocatori, apparentemente imbattibili, ed uno di questi, al-Adli, aveva scritto intorno all’anno 840 “Il libro degli scacchi” (Kitab ash-shatranj), che rappresenta il primo testo d’analisi della teoria [7].

Un problema di al-Adli ha mantenuto intatto il suo interesse, poiché vi sono coinvolti solo Re, Torri, Cavalli e Pedoni, ossia proprio quei pezzi che conservano negli scacchi moderni le mosse dell’antico gioco degli scacchi (shatranj).

Matto in tre mosse

Dal libro degli scacchi di al-Adli

Soluzione: 1. Ch5+ Txh5 2. Txg6+ Rxg6 3. Te6#

2. Test psicologici

E’ chiaro che nel momento stesso in cui un giocatore si siede di fronte alla scacchiera per iniziare una partita amichevole al Club o una partita di Torneo, le sue conoscenze e gli aspetti strategici, tattici e tecnici del gioco si “accendono” nella sua mente. La presenza di un avversario, la pressione del tempo di controllo e l’ambiente circostante, introducono poi nel gioco degli scacchi un aspetto psicologico che tende ad influenzare la mente del giocatore, ne sia esso più o meno consapevole. Certamente tecnica, strategia e tattica sono preminenti, ma il ruolo della psicologia [8] non va sottovalutato, specialmente ad alti livelli di competizione dove la precisione è notevole.

Come ha scritto Gerald Abrahams2 in “The Chess Mind”: “La mente scacchistica è una mente importante per i giocatori di scacchi, la cui importanza va anche oltre gli scacchi. In questo gioco l’intelligenza umana raggiunge una forma di creatività che non può essere semplicemente spiegata in termini di riflessi condizionati o formazioni di abitudini. Le abitudini mentali e la memoria sono elementi della mente di un chess player, così come la conoscenza della propria lingua è parte del bagaglio di un oratore e la tecnica è essenziale ad un musicista. L’attenzione del giocatore, quando applica la sua mente a un compito specifico, è completamente controllata dalla complessità della posizione sulla scacchiera e dai limiti delle sue capacità. Altri fattori, come il temperamento, l’esperienza e l’ambiente influenzano indubbiamente il suo progresso nel gioco e lo sviluppo della sua mente verso la maturità, e fattori emotivi – ansie e speranze – ne influenzano la volontà di vincere. Ne consegue che la chess mind non è solo importante per i giocatori di scacchi – molti dei quali sanno giocare bene anche senza conoscere queste teorie – ma soprattutto per filosofi e psicologi che sono interessati al sostrato intellettuale della nostra epoca. Inoltre, nel descrivere l’importanza e il progresso della chess mind, si arriva anche a una descrizione di una delle più sottili e difficili imprese umane – la Pedagogia. Il processo di istruzione negli scacchi è in ultima analisi un processo di auto-istruzione (self-education). Ogni giocatore insegna gli scacchi a se stesso”. In questo lavoro l’Autore ha lavorato sulla base della Teoria critica della Conoscenza, riconoscendo l’influenza combinata di Immanuel Kant e Emanuel Lasker nella descrizione dei più importanti aspetti della conoscenza. Abrahams ha prodotto uno studio che cerca di rivelare cosa succede nella mente dei giocatori quando pensano, poiché la parte essenziale dell’attività di un giocatore di scacchi è il suo pensiero. “The Chess Mind” è un libro di scacchi estremamente interessante e non convenzionale, una lettura fondamentale per ogni vero amante del nostro gioco [9].

Lo psicologo francese Alfred Binet [1] è stato il primo a provare, attraverso osservazioni in laboratorio su giocatori senza visione della scacchiera (blindfold chess) che esperienza, immaginazione e memoria sono necessarie a livello magistrale, in contrasto con la convinzione che la componente visivo-spaziale, che denota la percezione visuale delle relazioni spaziali degli oggetti, sia l’aspetto principale dello scacchista. Binet conclude dicendo che esistono due tipi di giocatori: quelli che durante il gioco vedono plasticamente davanti a sè i pezzi e la scacchiera e i più abili, che ne hanno uno schema astratto. Dalle sue sensazioni ed esperienze, Richard Reti – un grande campione di blindfold chess – ha affermato che il secondo gruppo di giocatori, coloro cioè che non si affidano alla memoria visuale, hanno la netta impressione di un’effettiva interazione con l’avversario e riteneva inoltre che in questo tipo di gioco fosse facile combinare come davanti alla scacchiera, mentre sembrava più arduo formulare valutazioni posizionali [10].

Uno dei primi blinfold players è stato Francois-André Danican Philidor, che aveva giocato tre partite alla cieca in simultanea nel 1783, ottenendo un grande successo di pubblico e di stampa, che aveva descritto l’evento a grandi titoli. Dopo la sessione di gioco, essendogli stato chiesto di spiegare questa sua particolare abilità, Philidor aveva dichiarato di aver imparato a visualizzare la scacchiera di notte quando aveva avuto problemi di insonnia.

In questa figura dell’epoca e’ raffigurato Philidor bendato durante una partita “sans voir” giocata a Londra.

Fig.1 - François-André Philidor playing blindfolded at Parsloe’s Chess Club in London around the year 1780.

Un altro psicologo e maestro di scacchi, Adrian de Groot, ha analizzato in “Thought and Choice in Chess” [2] il comportamento di un gruppo di giocatori che, mentre esaminavano le posizioni loro proposte, e selezionavano una mossa o una variante di gioco, dovevano spiegare cosa passava nella loro mente. Il risultato dell’esperimento ha mostrato che non esistevano differenze significative nella selezione delle mosse candidate, nella profondità delle analisi o nel tempo impiegato tra i vari maestri ed esperti. La sola differenza significativa consisteva nel fatto che i maestri individuavano a prima vista la mossa e continuazione migliore, mentre i non-maestri venivano più facilmente distratti da mosse inferiori. A questo proposito, l’ex-Campione del mondo Emanuel Lasker aveva dichiarato che il Maestro, invece di analizzare le varie scelte possibili in una data posizione, guarda semplicemente la scacchiera e “vede” subito quali mosse debbano essere prese in considerazione. De Groot aveva anche osservato che i migliori giocatori potevano memorizzare e ricordare perfettamente le posizioni viste solo per pochi secondi, e che ciò che distingueva un maestro da un bravo giocatore era semplicemente la capacità di avere una ”full sight of the board” e ricordare le varie posizioni, mossa dopo mossa, in una partita reale. In seguito Chase e Simon [3] hanno stabilito con esperimenti dello stesso tipo che l’abilità del maestro era dovuta essenzialmente alla sua capacità di riconoscere rapidamente uno schema noto, come la disposizione dei pezzi sulla scacchiera, una certa struttura pedonale, i fianchetti, i complessi di case deboli di un certo colore, le colonne aperte, i pedoni arretrati, le potenziali forchette, le inchiodature, ecc. ed hanno definito queste unità base di percezione scacchistica come “chunks”3, cioè non singoli pezzi, ma gruppi di pezzi dello stesso colore che normalmente si difendono l’un l’altro, come, per esempio, un Pedone e un Alfiere.

A questo punto sembra anche interessante interrogarsi su quali siano le profonde ragioni dell’ universale interesse per gli scacchi e le forti motivazioni che spingono così tante persone a studiarli e a praticarli. Apparentemente gli psicologi sanno darne una spiegazione convincente anche se le loro spiegazioni sembrano talvolta speculative e non sempre coerenti. In genere vengono riassunte col desiderio dei giocatori di eccellere in campo intellettuale, col brivido che dà la tensione di un’incessante battaglia che si svolge sulla scacchiera, col bisogno di un temporaneo allontanamento delle cure quotidiane e preoccupazioni della vita ed anche col piacere di produrre schemi astratti belli e sempre nuovi (!). Se il linguaggio degli psicologi in relazione a questo tema può essere condivisibile, è invece più difficile accettare le teorie degli psicoanalisti (scuola di Freud), che ne danno un’interpretazione totalmente diversa. La teoria psicoanalitica si basa su tre concetti cardinali: la presenza di motivazioni inconsce, il fenomeno del transfer – cioè la proiezione di nostri sentimenti positivi e negativi sugli altri – e la sessualità infantile. Nel caso degli scacchi questa teoria ha perfino formulato l’interpretazione che questo gioco possa essere un veicolo per fantasie parricide (!). L’uccisione (simbolica) del padre – rappresentato dal Re – per il pieno possesso della madre – la Regina – è stata considerata una tipica fantasia inconscia del giocatore di sesso maschile e la violenta battaglia che si svolge sulla scacchiera, con tutto il ricco simbolismo degli scacchi, è diventata il campo di battaglia dove questo tema specifico diviene realtà. Il famoso studio “The Problem of Paul Morphy” del Dr. Ernest Jones del 1954 – ripreso poi da Reuben Fine nel saggio “The Psychology of the Chess Player” – ha dato avvio a questa linea di pensiero. Che queste fossero le vere motivazione che si mascheravano dietro la necessità di giocare a scacchi nel caso di Paul Morphy non appare molto credibile, anche perché queste ragioni sembrano piuttosto precostruite, adeguandosi troppo bene alla tesi da dimostrare. I principali riferimenti su cui Ernest Jones sembra aver basato il suo articolo sono “Paul Morphy, the Later Years”, di Charles A. Buck e un breve scritto di Regina Morphy-Voiter, nipote dello stesso Morphy. Entrambi i testi sono una raccolta di aneddoti e ricordi, spesso imprecisi e con errori, che assieme all’articolo di Jones, hanno contribuito ad alimentare la leggenda della presunta “pazzia” di Morphy. Jones ha sostenuto che i ripetuti rifiuti e la progressiva ostilità del maestro inglese Howard Staunton hanno avuto il valore inconscio di uno smascheramento delle reali intenzioni di Morphy, che, in linea con la sua interpretazione psicoanalitica, rappresentava il padre. Secondo questi autori, questa sarebbe stata la causa scatenante della psicosi di Paul Morphy [11, 12], che tuttavia non sembra molto credibile. Recentemente, anche il grande maestro Valeri Beim ha espresso uno scetticismo di fondo su questa interpretazione di stampo freudiano nel suo notevole libro sulla vita e la carriera di Paul Morphy [13].

Problemi e Studi

In origine c’era poca differenza tra gli studi (finali di partita) e i problemi nelle composizioni trovate in antichi manoscritti risalenti a più di mille anni fa. Le soluzioni di molti di questi studi-problemi consistevano spesso in una serie di mosse di scacco e di brillanti sacrifici in armonia con lo stile dell’epoca.

Problemi

I problemi di scacchi rappresentano l’attuazione di un’idea scacchistica ed un esempio notevole di creatività. Salvioli ha paragonato il giocatore di scacchi a chi parla conversando e il problemista a chi crea e compone, cioè al poeta. Scrive lo stesso Salvioli: ”La bellezza della soluzione risulta dalla sua difficoltà, dall’eleganza e dalla profondità della prima mossa, dal numero e dalla leggiadria delle varianti, e finalmente dall’eccellenza e dalla varietà delle posizioni di matto.” Nel suo “Primer of Chess” Jose’ R. Capablanca [14] ha raccomandato la soluzione di problemi come un esercizio utile per sviluppare la fantasia del giocatore, anche se riteneva la soluzione degli studi e dei finali la forma più utile di esercizio, poiché le posizioni proposte hanno maggiore probabilità di verificarsi in partita. Da un diverso punto di vista alcuni neuroscienziati4 ritengono che l’esperienza di risolvere i vari problemi di scacchi sia d’aiuto per la comprensione dei meccanismi mentali e cerebrali che si attivano durante la prova. Questi processi possono essere osservati e analizzati con la tecnica PET (Positron Emission Tomography): si osserva, per esempio, che durante il processo di ricerca del matto da parte di uno scacchista si attiva (illumina) l’area frontale del cervello.

Verranno ora presentati alcuni artistici esempi di composizione scacchistica:

1 – Problema di Bennet.

In questa miniatura l’economia delle forze in gioco è veramente notevole.

Il Bianco muove e da matto in tre mosse.

Problema di Bennet

Soluzione: [a] – 1. Rf3 g2-g1=D 2. Cf2+ DxC 3. RxD # .

[b] – 1. Rf3 g2-g1=C+ 2. Rf3-f2+ Cg1-f3 3. AxC #

2 – Problema di Samuel Loyd, 1869

The Lovechase” mostra la Donna bianca che insegue l’Alfiere nero in questo problema del grande compositore americano Sam Loyd [3].

Il Bianco matta in tre mosse.

The Lovechase

Soluzione: [a] – 1. Df1 Ab2 2. Db1 (minaccia 3 DxP matto) g6 3. DxA #

[b] – Se 1…Ac3 o Ad4 2. Dd3. Se 1…Ae5 o Af6 2. Df5 e , dopo 2…g6 segue 3. DxA da matto sulla diagonale nera.

[c] Se 1…g3 2. Cg6+ PxC 3. Dh3#

3 – Bonus Socius Manuscript, ~ 1266

Una raccolta di manoscritti di questi antichi problemi era stata fatta nel XIII secolo da un compilatore (problemista) che aveva usato lo pseudonimo di “Bonus Socius” [15].

Il Bianco dà matto in due mosse.

Bonus Socius, 1266 circa

Soluzione: 1. Th7-g7 Cb7 2. Ta8# Se invece 1…Cf7 2. Tg8 #

4 The original “Indian Problem” [3]

Matto in quattro mosse

H. A. Loveday, Chess Player’s Chronicle, 1845

Soluzione: 1. Rb1 (o 1. Td8 o 1. Ah1) 1…b4 2. Ac1! b5 3. Td2! Rf4 4. Td4 #

5 – Domenico Ponziani,Il giuoco incomparabile degli scacchi”, 1769

Il Bianco matta in tre mosse.

Problema di Ponziani, 1769

Soluzione: 1. Ce6+

Se 1…Dxe6 2. Dh6+!! Rxh6 (Rg8) 3. Af8 (Df8) #. Se 1…Rg8 2. Db8+ Dd8 3. DxD # (Se 1 fxe6?? 2. Df8#)

Studi

Il primo è un studio di Philidor, in cui Torre e Pedone combattono contro un Alfiere. A parte alcune eccezioni, la Torre e il Pedone di solito vincono contro l’Alfiere. Anticamente Salvio e Philidor ritenevano che questo finale fosse patto, ma Centurini, il fondatore della teoria moderna di questo finale (Salvioli), ha dimostrato che poteva essere vinto, anche se le manovre vincenti sono piuttosto laboriose e difficili. Lo stesso Centurini riteneva che questo fosse in assoluto il finale più difficile. Dopo Centurini, altri famosi teorici (Kling, Horwitz, Guretzky-Cornitz) ne hanno completato la teoria [16].

Primo studio di Philidor

Il Bianco muove e vince

Philidor, 1777

1. Ta1 Ag3 2. Ta6+ Ad6 3. Tb6 Rd7 4. Rd5 Ag3 5. Tb7+ Rd8 6. Rc6 Ah2 7. d5 e vince.

Centurini ha dimostrato che questo finale si vince agevolmente, tenendo presente che il Pedone non deve avanzare fin quando, col supporto del proprio Re, non gli siano assicurati due passi consecutivi, in modo da sistemarlo sempre su una casa dello stesso colore dell’Alfiere.

Secondo studio di Philidor

Più difficile diventa la manovra vincente se il Pedone si trova su una casa di colore differente dell’Alfiere. Questo spiega l’erronea valutazione di nullità di questo finale da parte di Philidor, che riteneva che il Re bianco non sarebbe mai riuscito ad occupare una delle due case “c5” o “e5” senza subire uno scacco da parte dell’Alfiere, e che la Torre non avrebbe mai potuto impedire all’Alfiere di dare scacco. La dimostrazione è stata data in seguito da Guretzky-Cornitz, un’autorità nel campo dei finali.

Il Bianco muove e vince

Philidor, 1777

Qui indichiamo una soluzione vincente, ma va detto che non c’è un solo procedimento per vincere e molte altre varianti sono possibili.

Diagramma

1. Ta1 Ag3 2. Ta6+ Rd6! – non 2…Ac7 3. Rf5 Rd6 4. TxA! RxT 5. Re6.

3. Ta6+ Rd7 4. Tg6 Ab8 5. Tg7+ Rd6 – e non 5. Rd4 Aa7+ 6. Re5 Ab8+ 7. d6? Rc6! =

6. Tf7 Ac7 7. Tf6+ Re7 8. Tg6 Rd7 9. Rd4 Af4 10. Tg4 Ad2 11. Tg2! Ag3 13. Tf7+ Rd6 14. Tf6+ Re7 15. Tg6 Ad6 16. Tg7+ Rf6 17. Td7 Aa3 18. Rc4 Re5 19. Rb5 e vince.

Questo è uno studio di soli pezzi, Donna e Cavallo contro Donna, del compositore tedesco Georg P. Dehler. Nei finali senza Pedoni vale la regola fondamentale di avere almeno una Torre di vantaggio per poter vincere, ma questo studio rappresenta un’eccezione al caso generale. Il Bianco vince.

Studio di Georg P. Dehler, 1908

Il Bianco vince

Studio di Dehler, 1908

Dopo 1. Cc6+ Rf5! 2. Df2+ Re4!! offre la migliore chance, poiché 3. DxD ? è stallo!

Ma dopo 3. De3+ Rd5! 4. Db3+ Re4! 5. Dd3+ Rf4 6. De3+ Rf5 7. Df3+ , e adesso il Bianco può vincere la Donna nera con una forchetta di Cavallo in tutte le varianti (7…Re6 8. Cd8+ o 7…Rg6 8. Ce5+).

I finali di Donna + Cavallo contro Donna e di Torre + Alfiere contro Torre senza Pedoni (Philidor, 1749) non sono così rari come può sembrare e possono talvolta capitare in partita viva.

Studio di Lasker & Capablanca –

Alcuni studi di Lasker sono stati creati con la collaborazione di altri compositori o giocatori. Forse il più famoso tra questi è quello composto congiuntamente da Lasker e Capablanca durante il soggiorno del Cubano a Berlino nel 1914. Un entusiasta ammiratore dei due campioni mise in palio 100 Marchi per un breve match di dieci partite lampo (blitz) da giocare al Caffé “Kerkau” di Berlino, match che fu vinto da Capablanca con lo score di 6 1/2 – 3 1/2. Il finale di una partita, vinta da Capablanca in modo originale, divenne oggetto di uno studio pubblicato poi nel Vossische Zeitung, di cui Lasker redigeva la colonna di scacchi [17].

Il Bianco muove e vince

Lasker & Capablanca, 1914

  1. Cxc7 Cxc7 2. Ta8+! CxT 3. Rc8 Cc7 4. Rxc7 Ra8 5. Rxb6 e vince.

Se 2.…RxT segue 3. RxC Ra7 4. Rc6 Rb8 5. Rxb6 e il Bianco vince.

Studio di Emanuel Lasker –

Questo studio illustra il combattimento di Torre e Pedone contro Alfiere e Pedone con la posizione dei pedoni bloccata. Il commento è di Lasker [18].

Il Bianco vince.

Studio di Emanuel Lasker, 1932

Il Bianco concepisce il piano di allontanare in modo forzato il Re nero dalla casa e5 e di dominare le importanti case d4 e d5 con il Re e la Torre.

1. Th8 Af5 2. Th4+ Ag4 3. Rg2 (zugzwang) Rg5 4. Rg3 Af5 5. Th8 Ae4 7. Te8 – Il Re nero viene ora allontanato dalla sua quarta traversa.

7…Rf6 8. Rf4 Ag2 9. Ta8 Rf7 – Qui il Bianco non può prendere l’Opposizione in f5 a causa degli scacchi d’Alfiere, ma domina lo stesso i punti importanti, concludendo la prima fase del piano. Ora deve catturare il Pedone con la Torre in una posizione in cui il Pedone Passato può vincere, cioè quando il Re nero è stato allontanato dalla casa d7.

10. Re5 Ae4 11. Ta7+ Re8 12. Re6 Rd8 13. Rd6 Rc8 14. Ta8+ Rb7 15. Tg8 Af3 16. Tg3 Ae4 16. Tc3 Ag2 17. Tc5, ed ora che il Re nero è stato allontanato dal punto d7, la mossa di cattura 18. TxP conduce alla vittoria.

Nella partita Stoltz-Pachman [16], in posizione simile, il Nero muove e vince.

Il Nero vince

Stoltz - Pachman

Il Re difensore viene confinato sulla prima traversa e poi forzato con manovre combinate di Torre e Re a entrare nella colonna “d” o “f”. Da qui, attraverso un’ulteriore manovra, viene allontanato fino alla colonna “c” o “g”, e poi il Re della parte più forte ritorna ad attaccare il Pedone avversario. Il successivo sacrificio di qualità, Torre in cambio di Alfiere e Pedone, conduce a un finale di Pedone vinto. La via per vincere non è tuttavia univocamente determinata, e ci sono più varianti, corrispondenti al piano stabilito, che conducono alla vittoria.

Qui il Nero vince, forzando il cambio delle posizioni relative dei Re. La minaccia di matto costringe il Re bianco ad evitare le colonne “d” o “f” ed il Nero raggiunge il suo obiettivo. In partita il Nero aveva continuato nel seguente modo: 1…Tg3+ 2. Rd2 Re4 3. Ad6 Th3 4. Re2 Th2+ 5. Re1 Re3 6. Ac5+ Rd3 7. Ad6 Te2+ 8. Rf1 Rd2 9. Ab4+ Rd1 10. Ad6 Tb2 11. Ac5 Tb5 12. Ad6 Tb7! 13. Rf2 Rd2 14. Rf3 Tf7+ 15. Re4 Re2! 16. Rd4 Tf1 17. Ae7 Rf3 il Bianco abbandona. Alla mossa 8. Rf1 del Bianco, il Nero avrebbe anche potuto semplicemente rispondere con: 8…Re3 9. Ac5+ Rf3 10. Ad6 Te4 11. Rg1 Te1+ 12. Rh2 Tf1 e poi Re4, Tf5 e Txd5, vincendo.

Blindfold Chess

Nel blindfold chess il giocatore non vede le posizioni dei pezzi e non può toccarli. Questo lo obbliga a formare e mantenere un modello mentale delle varie posizioni che si susseguono durante la performance. Le mosse sono comunicate verbalmente per mezzo di una notazione scacchistica standard.

Il grande giocatore francese Philidor aveva giocato tre partite alla cieca in simultanea nel 1783, ottenendo un grande successo di pubblico e di stampa. Dopo Philidor, il famoso campione americano Paul Morphy aveva giocato alcune partite alla cieca al tempo dell’American Chess Congress, nel 1857 – a 20 anni – con Paulsen e Lichtenheim. Al ritorno dal torneo di New York nel 1858, si era poi esibito in due simultanee a New Orleans, giocando con grande energia e ispirazione. Altre simultanee di Morphy erano state date a Manchester e Londra. Molto festeggiata era stata la sua celebre blindfold exhibition contro gli otto migliori giocatori di Parigi, con lo stupefacente risultato di 6 vittorie e due patte [10]. Altri celebri maestri dell’epoca specializzati nel gioco alla cieca erano stati Louis Paulsen (10 partite), Joseph Henry Blackburne (16 partite) e il Campione del mondo Wilhem Steinitz, che aveva giocato nel 1867 a Dundee sei partite con 3 vittorie e 3 patte e a Glasgow dieci partite con 8 vittorie e 2 patte. Il numero di partite alla cieca aumentò continuamente nel tempo. Mentre nel 1900 Harry Nelson Pillsbury aveva giocato a Philadelphia 20 partite in simultanea, intorno agli anni 1930 il russo Alexandre Alekhine e il cecoslovacco Richard Reti avevano giocato rispettivamente 28 e 29 partite in simultanea. La sperimentazione psicologica effettuata su questi “blindfold players” ha poi rilevato che questi giocatori non solo possiedono una profonda conoscenza tecnica del gioco ed una prodigiosa memoria dinamica, ma anche uno speciale talento per effettuare operazioni spazio-visuali con “l’occhio della mente”. Accanto a Philidor, Paulsen, Morphy, e Pillsbury nel secolo XVII e XVIII, Alehkine e Reti negli anni 1925-1930, Koltanowski, Najdorf e J. Flesch nel XX secolo, dobbiamo anche menzionare alcuni giocatori contemporanei come Kramnik, Anand, Shirov e Morozewich, che si sono cimentati in questa difficile prova tra il 1996 e il 2006 nell’Amber Tournament.

In Fig. 2 vediamo Alekhine, durante la sua famosa sessione di partite simultanee del 1925. In tale occasione aveva annunciato di volere migliorare il record dell’ungherese Gyula Breyer, che nel 1921, aveva giocato contro 25 giocatori senza vedere la scacchiera, superando il prestigioso record stabilito in precedenza da Pillsbury e Reti.

Fig. 2 - Alexander Alekhine (1892–1946) playing blindfold against 28 opponents in Paris in 1925.

Molti psicologi ed esperti di scacchi ritengono che giocare 20-30 partite alla cieca in simultanea rappresenti uno dei più stupefacenti successi della memoria umana. Questo perchè il giocatore non solo deve ricordare il continuo cambiamento dei pezzi sulle varie scacchiere, con partite che durano mediamente 30-40 mosse, ma deve anche selezionare la sua risposta per ogni posizione. Mentre le sessioni regolari di partite simultanee sono soprattutto un test di resistenza fisica, dove il giocatore deve camminare attorno al tavolo dei giocatori per molte ore, il giocatore alla cieca subisce una prova di resistenza nervosa ancor maggiore. Anche se sta seduto durante la sessione di gioco, il continuo sforzo psico-fisico non solo richiede che il giocatore “bendato” sia in buona forma fisica, ma anche che possieda una grande resistenza nervosa, dato che la fatica mentale è superiore rispetto a quella di un giocatore in una normale sessione di partite simultanee.

Prima di presentare alcune partite Philidor e Morphy, rivediamo alcuni principi di base enunciati ed applicati da questi due grandi campioni nelle competizioni ufficiali e nel gioco alla cieca. Questo ci permetterà di comprendere ed apprezzare meglio il loro piano di gioco, la loro tecnica e la bellezza delle partite. E’ noto che lo studio sistematico degli scacchi in senso moderno è cominciato con Philidor nella seconda metà del XVIII secolo. I maestri italiani (Greco) avevano già scoperto la combinazione, ma non avevano indicato come attuare questo concetto nelle varie fasi della partita ed arricchire così il gioco. La combinazione sembrava scaturire dal caso, come un’eccezione, e per questa ragione la combinazione non aveva quasi trovato posto nella teoria di Philidor, che non aveva molto evidenziato l’aspetto tattico del gioco, ma aveva piuttosto formulato un insieme di principi generali applicabili nella maggior parte delle posizioni. La sua teoria era impregnata dallo spirito del Razionalismo e si concentrava sul ruolo fondamentale dei Pedoni e su semplici conclusioni logiche. I suoi principi – in parte validi ancora oggi – erano fondati sulla logica, che fornisce il piano di gioco. Il fondamento della combinazione aveva invece trovato la sua prima formulazione nel gioco del francese Louis Mahé de la Bourdonnais, che aveva espresso la convinzione che un vantaggio di sviluppo e l’attività dei pezzi avevano valore in sé, anche quando non potevano essere utilizzati in modo diretto. Già i maestri italiani di Modena (Ercole del Rio, Giambattista Lolli e Domenico Lorenzo Ponziani), contemporanei di Philidor, avevano preso posizione contro l’accento messo solo sull’aspetto strategico e generale del gioco, e in seguito, all’inizio del XIX secolo, oltre a la Bourdonnais, anche i maestri prussiani Bledow, Bilguer e von der Lasa, e il russo Petrov, avevano messo in evidenza la ricchezza tattica del gioco degli scacchi [19].

E mentre la tecnica del gioco aumentava e si affinava, si cominciava ad intravedere l’importanza di un altro fondamentale concetto degli scacchi: lo sviluppo! Questo principio, valorizzato da Morphy, è chiaramente espresso nelle sue partite, assieme alla sua tecnica armoniosa di operazioni coordinate, cioè rapido ed efficiente sviluppo dei pezzi e apertura delle linee di importanza strategica per penetrare nella posizione avversaria, finché il Re nemico sia costretto ad abbandonare la lotta o ad essere checkmated. Questa è stata la grande lezione di Morphy nel gioco aperto. Morphy sapeva anticipare gli avversari nello sviluppo, il che gli consentiva di aprire con vantaggio le colonne centrali, sacrificando uno o due pedoni e, per portare rapidamente in gioco le Torri, arroccava presto. Il primo campione del mondo Steinitz invece, prediligendo le posizioni chiuse o semichiuse, dove l’azione dei pezzi è limitata dai pedoni, non di rado ritardava il momento di arroccare, in attesa di capire le intenzioni del Re avversario per avviare o meno l’attacco di Pedoni nello spirito di Philidor. Lo storico Jakov Nejstadt nel suo libro su Steinitz ha scritto che la sua teoria posizionale rappresenta l’evoluzione delle idee posizionali di alcune generazioni di maestri, da Philidor a Paulsen, definito “pioniere della scuola moderna”, e che nessuno, a parte Morphy, i cui attacchi erano costruiti su solide premesse posizionali, più di Steinitz ha contribuito a dare agli scacchi un fondamento scientifico.


3. Famosi giocatori di blinfold chess

Cominciamo con una partita di François-André Danican Philidor, riportata nel saggio del grande maestro Juraj Nicolac [19].

Philidor

Smith – Philidor (à l’aveugle), Londra, 1790 – Partita d’Alfiere di Re.

Posizione dopo la mossa 23 del Nero

Fig. 3 - Smith - Philidor, Londra, 1790

La partita è proseguita così:

24. Df2? – un errore. Il Bianco non doveva permettere l’apertura della colonna h, ma doveva cercare un controgioco con 24. f4.

24…Ac7 – anche 24…hxg3 25. Dxg3 Cf4 + vinceva semplicemente e rapidamente.

25. Ce2 – perde subito, ma non c’era una continuazione soddisfacente.

25… hxg3 26. Dxg3 Dxg3+ 27. Cxg3 Cf4+ 28. Rh1 Txh3 29. Tg1 Txh2+ 30. Rxh2 Th8+ 31. Ch5 Txh5+ 32. Rg3 Ch3+ 33. Rg4 Th4 #

Tuttavia, se il Bianco avesse giocato 24. f4 Dc7 (invece di 24 Df2?), dopo le mosse: a) 25. Cg4 o b) 25. f5!? il Nero non avrebbe vinto e avrebbe anche potuto perdere. Una lunga analisi compiuta con Fritz 9, che con inizia con la mossa 25. f5!?, mostra che Philidor avrebbe perduto se il suo avversario fosse stato Fritz 9 [19].

Morphy

Secondo le dichiarazioni di W. G. Boyan, un compagno di studi al Spring Hill College, Morphy aveva scoperto di poter giocare alla cieca gia’ nel 1853 – a 16 anni – quando frequentava il College. Un giorno, avendo battuto due volte uno dei suoi maestri, il gesuita Father Bordequin, disse di poter anche giocare “with his eyes shut”. Tuttavia, i primi esempi registrati di blindfold chess risalgono al tempo dell’American Chess Congress a New York nel 1857, ed a New Orleans nel 1858, dove Morphy si era esibito in due simultanee [11]. Alcune di queste partite mostrano come l’approccio dinamico al gioco di Morphy sapesse trasformare in modo rapido, e quasi fulmineo, la posizione. Secondo l’opinione di Valeri Beim, che nel suo libro su Morphy [13] ha commentato con lucidita’ le varie fasi della carriera di Morphy e il suo eccezionale talento naturale, il giovane giocatore di New Orleans avrebbe insegnato a tutte le generazioni successive le basi del dinamismo negli scacchi in ogni suo aspetto. Mentre Pausen aveva dato esibizioni a Chicago e nel West, raggiungendo il numero di 10 partite “without sight of the board”, Morphy non superò mai il numero di 8 sia a Birmingham e Parigi nel 1858 che a Londra nel 1859. Su questo tipo di scacchi aveva poi dichiarato, nel suo tipico modo laconico, che “it proved nothing” e di non avere ambizione di aumentare il numero delle partite. Tuttavia le sue partite, praticamente esenti da errori di rilevo, provano che magnifico blindfold player fosse. La prima simultanea in Europa era stata celebrata a Birmingham, il 27 Agosto 1858, durante la sua visita alla British Chess Association, dove si teneva il Congresso Annuale di Scacchi, ed è descritta con ampiezza di particolari da Frederick Edge nel suo libro di memorie [20].

Morphy-Amateur, New Orleans, 1858 – Difesa dei Due Cavalli

1.e4 e5 2. Cf3 Cc6 3. Ac4 Cf6 4. d4 – secondo l’opinione di Steinitz, sia la mossa del testo che 4 O-O sono inferiori alla mossa 4. Cg5. Tuttavia Morphy ha sempre giocato la mossa del testo (4.d4), sia nel gioco alla cieca o quando dava il vantaggio del Cavallo di Donna (Cb1).

4.…exd4 5. Cg5 d5 6. exd5 Cxd5? – questa mossa sembra un errore: sono preferibili le mosse 6…Ca5 e 6…De7+.

7. O-O Ae7 8. Cxf7! Rxf7 9. Df3+ Re6 – il Nero avrebbe dovuto restituire materiale con 9…Af6 10. Cc3 dxc3. Qui Morphy avrebbe potuto giocare 10. Te1+ Ce5 11. De4 con vantaggio, ma sceglie la soluzione più spettacolare di mobilitare rapidamente i suoi pezzi 11. Te1+ Ce5 12. Af4 Af6 13. Axe5 Axe5

Posizione dopo la mossa 13 del Nero

Fig. 4 - Morphy - Amateur, New Orleans, 1858

Dopo la mossa 13 del Nero il Bianco gioca 14. Txe5! – sacrificio di qualità volto ad incrementare il vantaggio del Bianco nella zona in cui divampa la battaglia e a sviluppare forze di riserva. Questo approccio è tipicamente dinamico: l’ Alfiere del Nero scompare dalla lotta, mentre con una mossa il Bianco rimpiazza la Torre sacrificata che non aveva alcun ruolo in a1. 14…Rxe5 15. Te1+ Rd4 16. Axd5! Tf8 17. Dd3+ Rc5 18. b4+ Rxb4 19. Dd4+ Ra5 e segue un matto forzato in 4 mosse: 20. Dxc3+ Ra4 21. Db3+ Ra5 22. Da3+ Rb6 23. Tb1# (1-0).

La descrizione della famosa esibizione di Morphy al Café de la Regence, il 27 Settembre 1858, viene riportata dalla scrittrice americana Frances Parkinson Keyes5 nel suo romanzo “The Chess Players”, incentrato sulla vita di Paul Morphy [21]. Quando Morphy annuncio’ la sua intenzione di giocare otto blindfold games simultaneamente si diffuse una grande eccitazione tra i suoi ammiratori ed una folla di osservatori si addensò nel caffe’ molto prima dell’inizio della rappresentazione fissata per mezzogiorno. Vennero predisposti otto tavoli per i giocatori ed una poltrona, dove Morphy poteva sedersi con le spalle rivolte ai giocatori e al pubblico. Jules de Rivière pronunciava le mosse per le prime 4 scacchiere e Journoud per le seconde 4, dando rapidamente inizio alla sessione di gioco. Baucher, alla scacchiera N. 1, fu il primo ad abbandonare e Bornemann, N. 3, abbandonò poco dopo, seguito da Preti, Bierwirth e Poitier. Guibert, N. 4, e Lequesne, il celebre scultore, N. 5, raggiunsero la parità, e Seguin, N. 8, abbandonò dopo 10 ore di gioco. Anche se tutti questi giocatori erano considerati maestri di scacchi, Morphy fu riconosciuto come il più forte di tutti.

Morphy-Baucher, Paris, 27 Settembre 27, 1858 – Difesa Philidor

Posizione dopo la mossa 21 del Nero

Fig. 5 – Morphy - Baucher, Paris, 1858

21. Tf3 Ad7 – dopo l’ultima mossa 21…Ad7 il Nero perde rapidamente, ma non c’era più mossa di salvezza:

22. Th3 h6 – se 22… Te8, 23. Dh5 h6 24. Cxg7 vince , e se 22…AxC, c’è matto in 2 mosse –

23. Dd2 Rh7 24. DxA Ad6 25. TxP+ RxT 26. Td3! Rh5 27 Dc7+ forzando matto in 2 mosse: 27…g6 28. Dh7+ e 29. Dh3 #

Morphy-Poitier, Paris, September 27, 1858 – Difesa Petroff

Posizione dopo la mossa 14 del Nero

Fig. 6 – Morphy - Poitier, Paris, 1858

Il Bianco vince cosi’: 15. Cg6+ Rg8 16. AxA PxD 17. AxD PxC 18. PfxP PxP+ 19. Rh1 Ag4 20. Te7 Cbd7 21. Ae5 Rf8 22. Tf7+ Rg8 23. CxP! PxC 24. AxP Cb6

Se il Nero prende l’Alfiere in d5 subisce il matto alla prossima mossa, mentre se prende l’ Alfiere in e5, si ha: 25. TxC+ scacco di scoperta e matto in 3 mosse.

25. Ad5-b3 Abbandona.

Pillsbury

La reputazione di Pillsbury negli Stati Uniti era enorme. Nel 1906 l’American Chess Bulletin scriveva che “Pillsbury era una delle meraviglie mentali dell’epoca, avendo stabilito un record mondiale contro 22 avversari di forte calibro”.

Due brevi “blindfold games” dal libro su Pillsbury di Sergeant & Watts [22].

  1. Pillsbury-Fernandez, Havana, 1900 – Partita Viennese

1.e4 e5 2. Cc3 Cc6 3. f4 e6 4. Cf3 a6 ? 5. Ac4 Ag4 6. PxP CxP ? 7. CxC AxD 8. AxP+ Re7 9. Cd5 # – Una variante del famoso matto di Legal!

  1. Pillsbury-Amateur, Newark, New York, 1899 – Gambetto di Donna Rifiutato

1.d4 d5 2. c4 e6 3. Cc3 c6 4 Cf3 Ad6 ? 5. e4 Ce7 ? 6. Ad3 O-O 7. e5 Ac7 8. AxP+ RxA 9. Cg5+ Rg6 10. Dg4 f5 11. Dg3 Dd7 12. Dh4 e il Bianco ha dato matto in 8 mosse.

In realta’ il matto poteva essere dato in sette mosse, cioe’: 12…AxP 13. PxA Rh8 14. DxT f4 15. Dh7+ RxC 16. h4+ Rg4 17. DxP+ (forse qui Pillsbury aveva pensato a 17. f3+) Cg6 18. DxC#

Alekhine

Alexander Alekhine, Campione del Mondo dal 1927 al 1946, e’ stato ritenuto da molti il più grande blindfold player di tutti i tempi. Tuttavia Alekhine non considerava la qualità di queste partite allo stesso livello delle partite di torneo e riteneva che fosse quasi impossibile non commettere qualche tipo d’errore in queste esibizioni a causa di possibili cedimenti della memoria durante le rappresentazione. Nonostante questo, Alekhine ha incluso alcune di queste partite nella raccolta dei suoi “Best Games”, dove si trovano delle vere gemme di questa specialità.

La partita Alekhine-Potemkine, giocata a Paris nel 1925, è tratta dal bel libro di Barcza, Alfoldy e Kapu, “Les Champions du Monde” [23] .

Posizione dopo la mossa 19 del Nero

Fig. 7 – Alekhine - Potemkine, Paris 1925

La partita proseguì così: 20. Ta6! Dd8. Dopo 20…Dd7 il Bianco vince facilmente con 21. Texe6+ fxe6 22. Txe6+ Rd8 23. Te7 Dd6 24. Dd2. Oppure 21. Texe6+ fxe6 22. Txe6+ Rf7 23. Txe7+ Dxe7 24. Cxe7 Rxe7 25. De2+ Rf7 26. Dh5+ Rf6 27. Dxc5 Th-d8 28. g4! e il Nero ha abbandonato.

Reti

Mentre l’1 febbraio del 1925 Alekhine giocava una simultanea su 28 scacchiere, il 7 febbraio dello stesso anno un’altra notizia faceva il giro del mondo: il maestro cecoslovacco Reti aveva stabilito a San Paolo del Brasile il nuovo primato mondiale della specialità, misurandosi con 29 avversari, con il risultato di +20 =7 -2 ! Reti era stato primatista mondiale già nel 1919, quando ad Haarlem in Olanda aveva affrontato 24 giocatori. La sua prestazione era stata poi superata nel 1921 a Kosice da Breyer, con 25 partite.

La seguente partita e’ tratta dal volume di Jan Kalendovsky su Reti [10].

Reti-van den Burken, Rotterdam 1919 – Difesa Philidor

  1. e4 e5 2. Cf3 Cf6 3. Cc3 d6 4. d4 exd4 5. Dxd4 Cc6 6. Ab5 Ad7 7. AxC AxA 8. 8. Ag5 Ae7 9. O-O-O Dd7 (?) 10. The1 h6 ? La perdita di un altro tempo porta ad una sconfitta sorprendentemente rapida.

Posizione dopo la decima mossa del Nero :

Fig. 8 - Reti - van den Burken, Rotterdam 1919

11. Txe5+! Rd8 – se 11…AxT 12. DxA+ De7 13. Dxg7 .

12. DxD+ AxD 13. Te-d5 (1-0)

4. Intelligenza Artificiale e Scienze Cognitive

Dentro la nostra testa c’è una struttura meravigliosa che controlla le nostre azioni e suscita la consapevolezza del mondo che ci circonda. Definire la mente e il cervello è una questione complessa e una precisa distinzione tra le loro funzioni non è sempre così chiara. Tuttavia possiamo farci un’idea delle loro rispettive funzioni con l’aiuto del libro di Roger Penrose “La Nuova Mente dell’Imperatore”, un affascinante contributo al campo delle scienze cognitive [24]. Per Penrose la “mente nuova” che l’intelligenza artificiale sostiene di poterci dare è qualcosa di profondamente diverso dalla mente dell’uomo. Il suo testo, oltre a proporre una semplice esposizione delle diverse funzioni della mente e cervello, ci introduce al tema di grande attualità dell’intelligenza artificiale e alla sfida “Uomo-Computer”, argomento già accennato in un precedente articolo [8]. Possiamo avere un’idea di ciò che fa il cervello considerando che le informazioni in ingresso sono dovute soprattutto a segnali visivi, uditivi, tattili e di altro genere, registrati nelle regioni primarie dei lobi posteriori. I segnali in uscita sono trasmessi principalmente da porzioni primarie dei lobi frontali che consentono i movimenti del corpo. Dunque fra ingresso ed uscita ha luogo una sorta di elaborazione [24, 25].

Per seguire meglio questo discorso sembra utile fare un breve cenno all’anatomia e ai processi funzionali del cervello che sono oggetto di studio delle scienze cognitive. Dal punto di vista anatomico, il cervello è diviso longitudinalmente in due emisferi cerebrali, nel lobo frontale e in altri tre lobi: il parietale, il temporale e l’occipitale. Nel centro del cervello, coesistono il corpo calloso ed il talamo, sede delle attività psichiche superiori del sistema nervoso. La memoria, l’apprendimento e le attività logiche, il livello di coscienza, le motivazioni, gli istinti e le emozioni, insomma tutte le attività psichiche superiori dell’uomo e degli animali, dipendono strettamente dalle funzioni del complesso strutturale formato dal talamo e dagli emisferi cerebrali. Inoltre una buona parte dell’encefalo è totalmente ricoperta dalla corteccia cerebrale, che costituisce una specie di mantello che avvolge quasi tutto l’encefalo. Nella sola corteccia cerebrale di un uomo adulto ci sono più o meno 1011 (100 miliardi) neuroni, lo stesso numero di stelle presenti nella nostra galassia. Non è solo il numero di neuroni che impressiona, ma anche la complessità dei collegamenti che esistono tra loro e che agiscono a media e a brevissima distanza. I collegamenti a media distanza vengono assicurati dagli assoni, che consentono il “colloquio” tra le diverse aree del cervello (la loro estensione misura complessivamente circa 4 km), mentre i collegamenti a brevissima distanza sono disposti dalle sinapsi, che arrivano alla cifra sbalorditiva di 1015 (un milione di miliardi). In altri termini, questa “macchina” cerebrale della scienza cognitiva non è un monolite, ma è fatta di tanti moduli con compiti diversi: c’è il centro della parola e dell’olfatto (lobo temporale), del tatto, dell’udito, della vista (lobo occipitale), oltre al cervelletto, che sovrintende alla coordinazione, al portamento e all’equilibrio. Qualsiasi teoria sul funzionamento del sistema nervoso e del cervello deve tenere conto del fatto che molta della sua attività ha la forma di un’onda elettrica in movimento. Il cervello funziona in gran parte per segnali elettrici: un segnale nervoso si trasmette come un’onda di elettricità da un capo all’altro dello stesso neurone e come segnale chimico da un neurone all’altro, e le caratteristiche degli impulsi nervosi che si generano e si propagano lungo un assone sono fisse e costituiscono un fenomeno “tutto-o-nulla” (in linguaggio binario 1 o 0) [25].

Il cervello appare così come un formidabile dispositivo di elaborazione: l’IA forte ritiene che il cervello sia un importante esempio di computer algoritmico, in realtà una macchina di Turing. Il programma di Alan Turing di “costruire un cervello”, divenuto poi il motto programmatico dell’IA, sembra difficile da sostenere in assenza di condizioni al contorno. Dopo tutto Turing ha semplicemente proposto di considerare “intelligente” ogni programma il cui comportamento sia indistinguibile da quello umano (test di Turing). Tuttavia, filosofi e psicologi hanno segnalato che l’attività cerebrale non sembra identificabile col pensiero, la coscienza e la creatività umana. Queste specifiche qualità umane non sono state inserite (almeno finora) in un programma di computer: come ha detto Roger Penrose: “Il ruolo della coscienza non è algoritmico”6. Inoltre, cervello umano (cellule neuronali) e computer digitale (atomi di silicio) non sono identificabili a livello hardware (brain), anche se possono essere confrontabili come comportamento e prestazioni a livello software (mind). Il programma dell’IA di costruire un cervello artificiale che simuli le attività cerebrali umane è certamente possibile, ma tale cervello non può essere confrontato con un cervello umano nella totalità delle sue funzioni.

Ma cosa succede nel cervello dell’uomo quando gioca a scacchi? Con la “Tomografia a Emissione di Positroni”, è oggi possibile dare una risposta a tale quesito ed affermare che quando un giocatore muove un Cavallo o una Torre il suo cervello … si illumina! Possiamo infatti osservare l’evoluzione dell’attività cerebrale durante una partita con questa tecnica di “brain imaging”, che permette di visualizzare e registrare con l’uso di un tracciante radioattivo quelle parti del cervello che si illuminano nell’eseguire un compito particolare. E’ proprio lo stato funzionale delle varie aree del cervello, e in particolare della corteccia cerebrale, che viene messo in risalto con la PET7, che permette di visualizzare l’afflusso di sangue ai vari distretti del cervello di una persona che sta eseguendo determinate operazioni mentali. L’afflusso è messo in rilievo e localizzato, se nelle vene del soggetto in esame si immette una piccola quantità di acqua in cui l’atomo d’ossigeno è stato sostituito con l’isotopo 15O. Questo isotopo decade molto rapidamente emettendo positroni (elettroni di carica positiva) che danno il nome alle tecnica. La “neuroimaging”, ottenuta con la PET, è basata sull’ipotesi che le zone di alta radioattività siano associate con l’attività del cervello umano. I positroni si annichilano immediatamente, emettendo radiazioni  di una specifica lunghezza d’onda, che vengono rivelate, restituendo un’immagine del cervello nella quale è evidenziata la regione del cervello umano in attività, come è mostrato dalla figura sottostante. Grazie a questo tipo di esperimenti che i neuroscienziati sono in grado di separare i vari “steps” del processo e identificare così le parti del cervello impegnate nei vari compiti [5].

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Fig. 9 - Brain positron emission tomography (PET)

Il paradosso computazionale: mente e computer

Non si può abbandonare l’argomento mente-cervello senza fare alcune considerazioni sul “modello computer”, cioè sull’assunzione che per certi aspetti il computer possa essere un buon modello della mente, e sul ruolo che questo modello ha giocato nell’orientare le nostre idee sulla natura della mente e del cervello. Un paradosso è quello che investe il rapporto fra hardware e software. Quello di un software distinto e indipendente da un hardware è uno dei concetti più interessanti e fecondi prodotti dalla moderna scienza dei computer. E’ su questa falsariga che è divenuto usuale paragonare il cervello all’hardware e la mente al corrispondente software. Agli albori dell’informatica i primi programmi scacchistici erano piuttosto rudimentali e si affidavano ad una ricerca sistematica di tutte le possibili continuazioni a partire da una data posizione sulla scacchiera. L’esame delle varianti, per ragioni di tempo di calcolo, veniva limitato ad una determinata profondità di tratti (semi-mosse o ply), cioè mosse del Bianco o del Nero. Tuttavia i ricercatori si accorsero ben presto che analizzare tutte le possibili varianti, applicando il cosiddetto metodo della “brute force”, implicava una limitazione nella profondità dell’analisi per rendere accettabili i tempi di calcolo del computer. Questo fatto creava un problema: se il computer si fosse limitato, per esempio, ad analizzare varianti con una profondità di 6 semi-mosse, si sarebbe potuto raggiungere al termine di una variante una posizione apparentemente favorevole, col risultato di giudicarla in modo positivo, mentre in realtà dopo qualche altra semi-mossa la posizione avrebbe potuto rivelarsi perdente. Questo problema veniva definito dai programmatori come effetto orizzontale, in altri termini il computer poteva calcolare varianti solo fino ad una certa profondità d’analisi prefissata. Per minimizzare le conseguenze negative dell’effetto orizzontale bisognava aumentare la profondità delle analisi delle possibili varianti, ma questo fatto comportava tempi di calcolo lunghissimi per una profondità di 12-16 tratti. Pertanto sorgeva la necessità di diminuire in qualche modo il numero delle varianti da analizzare, rinunciando al metodo della “brute force”. E poiché il computer digitale “pensa” in termini di valori numerici, è chiaro che al centro della sua comprensione delle posizioni sulla scacchiera doveva esserci una Funzione di Valutazione della Posizione. Dunque questi programmi convenzionali di scacchi esplorano essenzialmente un numero enorme di possibili mosse future da parte dei due giocatori e poi applicano la funzione di valutazione della posizione per decidere quale giocatore sta meglio e di quanto. E’ evidente che questi metodi algoritmici, basati solo sulla forza del calcolo, sono molto diversi da come i giocatori selezionano le loro mosse. Adrian de Groot aveva già osservato che questo approccio avrebbe dovuto tenere conto del fatto che, mentre i giocatori umani potevano selezionare le loro mosse basandosi sulla propria esperienza, questo il computer non lo sapeva fare. Il computer scacchistico fonda le sue scelte tra due mosse equivalenti basandosi unicamente sul calcolo matematico (algoritmo), mentre il giocatore esperto è creativo e decide anche grazie all’intuizione, generata dal suo addestrato istinto scacchistico. Tuttavia progressi tecnologici di molti ordini di grandezza hanno permesso all’approccio di forza bruta di essere molto più incisivo che nel passato ed oggi computer basati sull’IA, tattici e più solidi, dotati di adeguate funzioni di valutazione e regole di arresto, ed istruiti con alcune conoscenze posizionali fondamentali, sono diventati competitivi con i migliori giocatori del mondo. E’ risaputo che oggi alcuni programmi commerciali, come Fritz e Shredder, hanno anche superato giocatori di classe mondiale nel gioco rapido o nella regolare partita di torneo: Deep Blue, per esempio, ha ottenuto un punteggio ELO intorno a 2800.

Si può facilmente capire che la forza di un moderno programma di scacchi, a parità di computer, si basa sulla bontà dei criteri di selezione delle varianti. Questi criteri si basano in larga parte sulle comuni conoscenze tattico-strategiche dei giocatori umani, codificate e tradotte nel linguaggio binario dei computer. Tuttavia non è sempre facile tradurre queste conoscenze in algoritmi di gioco: in particolare i programmi di scacchi incontrano difficoltà nel trattamento dei finali, in cui conta molto la strategia, più difficile da tradurre nel linguaggio dei computer rispetto alla tattica. Ne consegue che i più forti programmi in circolazione si affidano ad appositi database sui finali che contengono le migliori varianti calcolate per i casi più semplici, cioè tutti i finali con un massimo di 5 o 6 pezzi sulla scacchiera. Con questi database i computer sono in grado di calcolare in modo esatto il finale, purché rientri in uno dei casi citati. Tuttavia, nei casi di finali con un numero maggiore di pezzi, anche i migliori programmi in commercio, mostrano i loro limiti, dato che non hanno a disposizione alcun database con varianti già calcolate e devono calcolare sul momento la mossa da giocare.

Nel diagramma sottostante viene rappresentata una posizione che crea notevoli difficoltà ai moderni computer.

Fig. 10Studio di Zachodjakin, 1930

Il Bianco muove e patta

Studio di Zachodjakin, 1930

Il Bianco, nonostante la promozione incombente del Pedone nero, si salva così:

Soluzione: 1. g7+, …

  1. 1…, Rg8; 2 Cg4,…a) 2…f1=D?; 3 Cf6+, Rf7; 4 g8=D #; b) 2…, Cxg7; 3 Cxf2, Rxf8; Ce4 con parità
  2. 1…, Cxg7; 2 Cf7+, Rg8; 3. Ac5, f1=D; 4. Ch6+, Rh8; 5 Ad6!! e il Bianco patta.

Nell’ultima variante se il Nero sposta il Cavallo allora il Bianco gioca Ad6-e5+, costringendo la figura leggera avversaria a ritornare nella casa g7 per parare lo scacco e inchiodandola permanentemente. Il Nero non può catturare l’Ac5 o il Pg5 (con Dg2+ o Da5+) senza perdere la Donna, a causa del micidiale scacco Ch6-f7+. Poiché la Donna da sola non può dare scacco matto al Re bianco, la partita è patta!

Lo studio di Zachodjakin rappresenta un tipico caso di patta posizionale, una situazione scacchistica difficilmente codificabile in un algoritmo di gioco. Sembra infatti che nessun programma scacchistico commerciale sia stato finora in grado di vedere la soluzione esatta, dato che in genere veniva giocata per la mossa 1. Cf7 che porta il Bianco alla sconfitta.

Le motivazione per creare computer che giocano a scacchi è da una parte semplicemente quella di ottenere divertimento – i giocatori possono praticare il gioco degli scacchi e divertirsi, quando un avversario umano non è disponibile – e dall’altra parte di incrementare la ricerca nel campo della conoscenza umana. Inoltre, la grande forza dei programmi di scacchi moderni ha attualizzato il confronto ”Uomo-Computer”, destando un grande interesse in ogni parte del pianeta, anche per la speranza accesa nell’animo umano dai recenti progressi dell’IA di poter identificare il cervello umano con il computer. Tuttavia esiste un ostacolo allo sviluppo di questo programma, dovuto al fatto che le nostre conoscenze delle relazioni fra cervello e computer sono tuttora piuttosto approssimative, anche se importanti progressi sono stati fatti. Sappiamo, per esempio, che il cervello e’ un organo elettrochimico con un enorme numero di connessioni, che opera con azioni parallele e globali, a bassa velocità ed energia, ma che è capace di generare in continuazione nuovi elementi e connessioni, mentre il computer è un sistema elettronico a connessioni fisse, operante sequenzialmente e localmente ad alta velocità e con energia praticamente illimitata. Non si pone dunque – almeno fino ad oggi – il problema di identificare cervello e computer come macchine a livello di “hardware”, bensì di paragonarli come comportamento e prestazioni a livello di “software”. Ma, come vedremo fra poco, oggi le cose stanno cambiando, anche se la strada verso il traguardo è ancora molto lunga.

5. Confronto Uomo-Computer

Robert J. Fischer

Bobby Fischer era uscito dal suo isolamento nel 1977, ben prima del 1992, l’anno del match di rivincita con Spassky. In quell’anno aveva giocato tre partite col computer Greenblatt, che il centro di ricerca MIT aveva realizzato. L’obiettivo immediato di Fischer era quello di dare il matto al computer, piuttosto che cercare il vantaggio materiale e sosteneva che questo è ciò che ogni scacchista dovrebbe fare, se vuole migliorare. Greenblatt non era molto forte e Fischer ha vinto senza problemi. Ma va detto che è grazie a pionieri come il Prof. Greenblatt, se oggi si hanno programmi di notevole forza come Fritz e Shredder.

La partita Fischer – Greenblatt è un Gambetto di Re accettato. Fischer non aveva grande considerazione per il Gambetto di Re di Cavallo (King’s Knight Gambit), ed aveva pubblicato una “confutazione” di questo Gambetto, ma non del Gambetto di Re d’Alfiere (King’s Bishop Gambit), che giocava spesso in simultanee o anche in partite serie (Fischer-Evans nel 1963).

Fischer – Greenblatt – Computer Match 1977 – King’s Bishop Gambit

  1. e4 e5 2. f4 exf4 3. Ac4 d5 –

le mosse 3…Dh5+ o 3…Cf6! sono più giocate, ma anche 3…d5 è possibile. Questa mossa è stata giocata per la prima volta nella partita Bilguer – Bledow del 1841.

4. Axd5 Cf6 5. Cc3 Ab4 6. Cf3 O-O 7. O-O Cxd5 8. Cxd5 Ad6 9. d4 g5 10. Cxg5 Dxg5 11. e5 Ah3 12. Rf2 Axe5 13. dxe5 c6 14. Axf4 Dg7 15. Cf6+ Rh8 16. Dh5 Td8 17. Dxh3 Ca6 18 Tf3 Dg6 19. Tc1 Rg7 20. Tg3 Rh8 21. Dh6# (oppure Ah6 #) (1-0).

Posizione finale di matto

Fig. 11 - Fischer - Greenblatt, Match 1977

Garry Kasparov

Nel 1996 la casa IBM aveva proposto al Campione del mondo Kasparov una sfida a Filadelfia (Pennsylvania) sulla base di 6 partite contro il calcolatore scacchistico Deep Blue. Kasparov aveva accettato la sfida, battendo alla fine il computer con il punteggio di 4 a 2, ma perdendo in modo clamoroso la partita d’esordio. Tuttavia, il 10 Febbraio 1996, Deep Blue entrava nella storia come il primo computer ad aver battuto un Campione del Mondo di Scacchi in una partita giocata con tempi regolamentari FIDE.

Deep Blue vs Kasparov, Filadelfia 1996

Alla mossa d’esordio 1. e4, Kasparov aveva risposto al Bianco con la Difesa Siciliana (2…c5), che può condurre ad una posizione aperta. Un difesa chiusa, come la Francese o la Caro-Kann, avrebbe forse potuto essere più adatta come sistema difensivo. Di questa famosa partita viene presentata la posizione finale, dopo la mossa 37. Txh7+ del Bianco, quando Kasparov ha abbandonato.

Posizione finale

Fig. 12 - Deep Blue - Kasparov

Vediamo infatti che dopo 37…Rg6 seguirebbe 38. Dg8+ Rf5 39. Cxf3 e il Nero non avrebbe difesa contro le minacce simultanee 40. CxT e 40. Dd5+.

Infine, l’11 Maggio 1997, con il punteggio di 3.5 a 2.5, Deep Blue si aggiudicava il match contro Kasparov, entrando definitivamente nella storia dell’informatica scacchistica. Deep Blue, costato alla IBM 5 miliardi di lire, non è in realtà un normale calcolatore elettronico, bensì un supercomputer ad altissimo parallelismo. Nella versione del 1997 i microprocessori della rete interna erano stati appositamente progettati per gestire gli algoritmi di calcolo scacchistico che infonde intelligenza al computer. Questa versione di Deep Blue era in grado di calcolare, in condizioni ottimali, più di un miliardo di mosse al secondo (!), essendo dotato per giunta di un immenso archivio di aperture e di partite giocate nei più importanti tornei di ogni epoca e luogo.

Tuttavia la sfida del 1997 si apre con una bella vittoria di Kasparov. E’ interessante notare come il campione mondiale abbia spesso adoperato aperture inconsuete nel tentativo di limitare l’uso dell’archivio dati del computer e costringerlo a consumare tempo prezioso di riflessione fin dalle prime mosse di ogni partita.

Kasparov-Deep Blue, New York, 1997 – Partita Reti-Nimzowitsch

Cf3 d5 2. g3 Ag4 3. b3 Cd7 4. Ab2 e6 5. Ag2 Cgf6 6. O-O c6 7. d3 Ad6 8. Cbd2 O-O 9. h3 Ah5 10. e3 h6 11. De1 Da5 12. a3 Ac7 13. Ch4 g5 14. Chf3 e5 15. e4 Tfe8 16. Ch2 Db6 17. Dc1 a5 18. Te1 Ad6 19. Cdf1 dxe4 20. dxe4 Ac5 21. Ce3 Tad8 22. Chf1 g4 23. hxg4 Cxg4 24. f3 Cxe3 25. Cxe3 Ae7 26. Rh1 Ag5 27. Te2 a4 28. b4 f5 29. exf5 e4 30 f4…

Posizione dopo 30. f3-f4 del Bianco.

Fig. 13 - Kasparov - Deep Blue, New York, 1997

30…Axe2 31. fxg5 Ce5 32. g6 Af3 33. Ac3 Db5 34. Df1 DxD+ 35. TxD h5 36. Rg1 Rf8 37. Ah3 b5 38. Rf2 Rg7 39. g4 Rh6 40. Tg1 hxg4 41 Axg4 Axg4 42. Cxg4+ Cxg4+ 43. Txg4 Td5 44. f6 Td1 45. g7 e il Nero abbandona.

David Bronstein

David Bronstein8 è stato un pioniere nel campo delle aperture (King’s Gambit e King’s Indian) e nelle sue conferenze spesso iniziava con le mosse 1. e4 e5 2. f4 del Gambetto di Re. Nel 1993 al Chess Palace di Long Beach – prima della simultanea contro 24 giocatori – aveva cominciato così: “Il Gambetto di Re, ecco ciò che dovreste giocare: così potete imparare a giocare a scacchi. “Play for fun. Play the King’s Gambit!”. E sulle aperture preferite dai grandi maestri aveva soggiunto:”They are boring. Look at this..” e giocava le prime 3-4 mosse della Difesa Nimzoindiana o dell’Apertura Inglese”. Questo era l’artista David Bronstein, geniale, eclettico e anticonformista giocatore russo. Una leggenda per molti appassionati di scacchi [26].

Quale fosse il pensiero di Bronstein sul tema del confronto tra uomo e computer lo possiamo scoprire dal suo intervento alla VIII Conferenza su “Scacchi al Computer”, svoltasi a Maastricht (Olanda) nel 1996. “I computer hanno ormai raggiunto un livello di “intelligenza” tale da procurare, con mosse brillanti, serie difficoltà ai Grandi Maestri. Va però sottolineato che i computer dispongono di alcuni vantaggi rispetto all’uomo, a cominciare dall’energia illimitata. Inoltre, non conoscono stanchezza, non hanno aspettative né provano gioia o delusione per il risultato di un match e, poiché l’avversario non fa alcuna differenza per loro, non sono mai sopraffatti dal timore di giocare contro il Campione del mondo! Non solo, ma mentre ai Grandi Maestri non è concesso di consultare libri di aperture durante al partita, i computer hanno accesso a qualunque tipo d’informazione che sia stata immagazzinata nel cervello elettronico, si tratti di varianti di apertura o di dati sul finale. Ciò contribuisce a far sembrare un computer uno scacchista di grande forza, ma in realtà è molto di più. Infatti nelle prime 10 o 12 mosse d’apertura o in molti finali vi trovate ad affrontare un super Grande Maestro”. Bronstein continuava così: “In un confronto con un computer non tento nemmeno di calcolare le varianti, perchè sarei ben presto sopraffatto. Piuttosto cerco una mossa chiara e utile alla mia posizione. I Grandi Maestri non eseguono singole mosse, creano piuttosto un piano che coinvolga il maggior numero di pezzi possibile, facendoli cooperare efficacemente. L’intuito e l’esperienza mi hanno insegnato che, sebbene il computer calcoli migliaia di possibili varianti, non è detto che scelga la variante giusta. Questo perchè il risultato dei suoi calcoli non è mai l’equivalente di un piano accurato. Vorrei concludere sottolineando la mia convinzione che il cervello umano sia ancora uno strumento più efficace dei più potenti calcolatori moderni, poiché si affida all’intuizione.”

Bronstein – Deep Thought II, giocata a Palo Alto (USA) nel 1992 – 20 minuti a testa. Difesa Siciliana.

1. e4 c5 2. b4 cxb4 – il gambetto d’ala, che rievoca il gioco romantico del XIX secolo. 3.a3 d5 4. exd5 Dxd5 5. Cf3 Ag4 6. Axb4 De4+ 7. Ae2 Axf3 8. gxf3 Dxb4 9. Ca3 Da5 10 Ab2 Cc6 11. c4 Dg5 12. Db3 O-O-O 13. D4 Dg2 14. O-O-O Dxf2 15. d5 Ca5 16. Db5 De3+ 17. Rb1 Dxe2 18. Dxa5 a6 19. The1 Df2 20. c5 Cf6 21. Ae5 Cxd5 22. Cc4 Dxe1 23. Txe1 f6 24. Cb6+ Cxb6 25. Dxb6 il Nero abbandona.

Posizione finale della partita

Fig. 14 - Bronstein - Deep Thought II, 1992

6. Computer Cognitivi: ultima sfida.

I computer cognitivi (intelligenti) sono la grande sfida di oggi. E’ una nuova generazione di computer che ben poco ha a che fare col computer tradizionale. Se quest’ultimo cercava di simulare i processi della mente, ora il computer cognitivo vuole andare oltre, cercando di simulare il funzionamento del cervello umano. Poiché i computer tradizionali hanno già raggiunto un livello di “intelligenza” tale da procurare serie difficoltà ai Grandi Maestri – come ha sottolineato David Bronstein – possiamo ora chiederci quale livello di abilità nel gioco degli scacchi questi supercomputer potranno raggiungere in futuro, dato che saranno in grado di imparare dall’esperienza. E non solo il mondo degli scacchi potrebbe essere rivoluzionato, ma anche la ricerca nella scienza, nei processi economici o nei fenomeni atmosferici.

Il progetto per la realizzazione di questi nuovi computer fa parte del progetto SyNapse (Systems of Neuromorphic Adapter Plastic Scalable Electronics), un programma elaborato dall’IBM, e finanziato dal governo americano. Tale programma ha già fatto un primo passo concreto nella direzione della realizzazione di questa macchina – il computer cognitivo – in grado di ragionare come il cervello umano, grazie a reti neurali di sinapsi [4], che possono imparare dall’esperienza e dall’ambiente. Sappiamo che nel sistema nervoso una sinapsi è una giunzione che permette ai neuroni di trasmettere un segnale elettrico o chimico ad un’altra cellula (neurale o di altro tipo) ed anche se il computer cognitivo è una macchina, che non contiene elementi biologici che costituiscono la base del cervello umano, ha tuttavia un motore rivoluzionario. I suoi “chips” di calcolo neuro-sinaptico ricreano i fenomeni tra i neuroni basati su potenziali d’azione (che simulano gli impulsi nervosi) e le sinapsi dei sistemi biologici con algoritmi e circuiti digitali di silicio. Questi prototipi hanno, per così dire, un nucleo “pensante”, con cui si tenta di emulare il cervello umano nelle sue funzioni specifiche, cioè la capacità di interagire all’esterno, di apprendere e di sviluppare nuova “intelligenza”.

E’ questa la nuova frontiera “hi-tech” che unisce le grandi industrie e università americane più prestigiose, dal MIT ad Harvard. E’ una sfida fondamentale che vuole risolvere i vari problemi dell’umanità e trovare un ordine, adesso invisibile, nella complessità del reale. I computer cognitivi presentano una differenza fondamentale rispetto al funzionamento dei computer tradizionali, che elaborano le informazioni in modo meccanico e sequenziale, un bit dopo l’altro, in base ad un programma predefinito (algoritmo). Il “chip” neurale va oltre l’algoritmo del computer tradizionale, essendo in grado di elaborare le informazioni in parallelo e di adattarsi all’ambiente, in modo simile a quanto fa il cervello degli uomini e degli animali. In fondo, l’apprendimento umano equivale a creare e rafforzare i collegamenti sinaptici tra le cellule del cervello. Le reti neurali dell’IA vengono considerate come modelli semplificati dei processi neurali del cervello, anche se la relazione tra questo modello e l’architettura del cervello biologica è piuttosto dibattuta nella scienza, poiché non si sa ancora molto su come il cervello lavora. Non possiamo tuttavia ignorare il fondamentale scetticismo di filosofi e psicologi, che in più occasioni hanno segnalato come l’attività cerebrale non sia identificabile col pensiero o con la coscienza e la creatività umana. Ad ogni modo, anche se la strada da percorrere è ancora lunga, resta il fatto che la posta in gioco è molto alta, potendo i futuri computer cognitivi forse rivoluzionare la scienza, se sapranno analizzare la realtà con un’intelligenza (quasi) umana. Anche se il debutto sul mercato di questi computer non è prossima, c’è ottimismo nell’ambiente americano tanto che l’agenzia governativa Darpa (Defence Advanced Project Research Agency) continua a finanziare SyNapse in milioni di dollari. Questo supercomputer, che grazie agli algoritmi del proprio software si adatta all’ambiente circostante, imparando nuove funzioni, potrebbe forse anche trovare le leggi che governano i fenomeni atmosferici o economici. Le prossime crisi economiche e finanziarie potrebbero essere previste per tempo e contrastate. Ma sorge anche il sospetto che un tale sistema, veloce come un computer e intelligente come un uomo, se sfuggisse al controllo dei Governi, potrebbe anche essere utilizzato per future guerre planetarie. Questo spiega perché l’agenzia governativa di ricerca scientifica della Difesa americana Darpa continua a finanziare il programma SyNapse con un totale a tutt’oggi di 41 milioni di dollari.

7. Conclusioni

In questo articolo sono stati presentati alcuni risultati di ricerche dedicate all’attività mentale che si sviluppa nelle partite alla cieca di campioni del passato e nella creazione e soluzione di problemi e studi di scacchi. Queste ricerche sono state efficaci e prolifiche poiché gli psicologi hanno concettualizzato questo gioco come un ideale esercizio intellettuale per conoscere come le informazioni vengano ricevute, trasformate e memorizzate nella nostra mente. Abbiamo appreso come la realizzazione di elaboratori elettronici abbia promosso studi e ricerche da parte di scienziati dell’intelligenza artificiale sulla mente composta di atomi di silicio, e di neuroscienziati sul cervello umano composto di neuroni biologici. Infine, le recenti ricerche sui computer cognitivi, la cui realizzazione sembra promettente, ci ha permesso di dare uno sguardo anche alle neuroscienze. Tuttavia non sono stati trattati altri interessanti argomenti dell’universo-scacchi. Fortunatamente, molti di questi temi sono stati presentati e discussi nei libri di Hartston & Wason [3] e Bruce Pandolfini [27], che hanno colmato alcune lacune relative a tematiche di carattere scacchistico o psicologico, come la natura degli scacchi (arte o scienza), la relazione tra talento e motivazione, la soggettività e l’irrazionalità nelle decisioni dei giocatori, il collegamento tra scacchi e vita [6, 27] o scacchi e business [27].

Rimangono ancora da capire le profonde ragioni dell’universale interesse per gli scacchi. Abbiamo visto che, anche se gli psicologi non ne danno una spiegazione del tutto convincente, il loro linguaggio sembra però essere più condivisibile rispetto a quello degli analisti, la cui interpretazione è radicalmente diversa. Personalmente preferisco credere al famoso detto di Tarrasch sugli scacchi, tratto dalla prefazione al suo testo di istruzione “The Game of Chess”, dove aveva scritto che: ”Gli scacchi sono una forma di produzione intellettuale con uno speciale “charm”, che è uno dei più alti piaceri dell’esistenza umana, anche se non il più alto”. Aveva inoltre soggiunto che: “Ogni giocatore può essere intellettualmente produttivo e partecipare a questo speciale charm, qualunque sia il suo livello di gioco” [28].

Ringraziamenti

Ringrazio i soci dell’Accademia Scacchi di Milano, Giorgio Chinnici, per avermi inviato il programma grafico per la creazione dei diagrammi scacchistici, e Rodolfo Pardi, per avermi procurato il testo di Adrian de Groot “Thought and Choice in Chess” sugli aspetti psicologici negli scacchi.

Note al testo

1. Verso la metà degli anni 1950 nascono le scienze cognitive, che cercano di unificare varie discipline scientifiche come la psicologia – studio della mente e del comportamento – e le neuroscienze – studio del cervello e del sistema nervoso – con altri campi che si occupano delle funzioni del cervello, come la “computer science” (intelligenza artificiale) e la filosofia.

2. Gerald Abrahams (1907-1980) è stato un forte giocatore inglese, che negli anni 1930 ha giocato scacchi a livello magistrale. Terzo al torneo di Hastings del 1933, dopo Mir Sultan Khan e T. H. Tylor, ed un forte blindfold player, ha scritto interessanti libri di scacchi come “Teach yourself Chess” (1948), “ The Chess Mind” (1951) e “Technique in Chess” (1961).

3. Il termine inglese “chunk” (large piece) è tradotto come “pezzo” in italiano, ma nel linguaggio di W. G. Chase e H. A. Simon, autori della ricerca sulla “percezione” negli scacchi, ha il significato di un insieme di pezzi e pedoni visti nella loro unità .

4. Per esempio, il neuroscienziato Dr. Joseph Grafman, che dirige l’“Institute of Cognitive Neuroscience” negli Stati Uniti, sostiene che il gioco degli scacchi è un modello ideale che permette di capire meglio il lavoro coordinato del cervello e ritiene molto importante l’attività di soluzione di problemi e studi per la comprensione dei meccanismi mentali e cerebrali che si attivano durante le prove.

5. La scrittrice americana Frances Parkinson Keyes (1885-1970) aveva acquistato nel 1950 la storica “Beauregard House” nel quartiere francese di New Orleans, dove Paul Morphy aveva trascorso l’infanzia e l’adolescenza. Il suo interesse per la vita del celebre maestro è diventato in seguito il soggetto del suo libro “The Chess Players”.

6. Dice Penrose: ”Se riusciremo a renderci conto che il ruolo della coscienza non è algoritmico nella formazione dei giudizi matematici (Teorema di Godel), in cui il calcolo e la dimostrazione rigorosa sono un fattore importante, allora potremo forse convincerci che un tale ingrediente non algoritmico potrebbe essere cruciale anche per il ruolo della coscienza in situazioni più generali e non matematiche”.

7. Questa tecnica d’indagine permette anche di evidenziare eventuali malattie cerebrali, come il morbo di Alzheimer, prima che la malattia si manifesti.

8. David Ionovich Bronstein (1924-2006) è stato un notevole genio creativo ed un brillante maestro di tattica che ha affascinato i giocatori di scacchi per molte decadi, assieme a Keres, Tal e Spassky. Nel 1951 ha pareggiato con Mikhail Botvinnik una sfida per il Campionato del mondo – diventando Co-campione del mondo – come ha sottolineato Max Euwe. E’ stato due volte campione sovietico, sei volte campione di Mosca, ha ottenuto numerose medaglie d’oro alle Olimpiadi, ed ha vinto numerosi tornei internazionali. Infine è stato uno dei migliori giocatori di blitz del mondo.

Riferimenti bibliografici

[1] Alfred Binet: «Psychologie des grands Calculateurs et Joueurs d’Echecs», Paris Hachette, 1894, 1 vol. VIII-364 p. 205-361.

[2] Adrian de Groot, “Thought and Choice in Chess”, Mouton, The Hague, 1965.

[3] W. R. Hartston and P. C. Watson, “The Psychology of Chess”, Facts on File, Inc., New York 1983.

[4]http://www.ibm.com/smarterplanet/us/en/businessanalytics/article/cognitivecomputing.html, SyNapse: IBM Cognitive Computing Project – An overview.

[5] Nichelli, P., Grafman, J., Pietrini, P., Alway, D., Carton, J. C., Miletich, R., 1994. “Brain activity during chess playing”, Nature, vol. 369, no. 6477, p. 191.

[6] Garry Kasparov,  “How Life imitates Chess” Arrow Books, London 2007.

[7] David Shenk, “Il gioco immortale”, Storia degli Scacchi, Mondadori, Milano, 2008.

[8] Ivano E. Pollini, “Il Ruolo della Psicologia negli Scacchi”, Accademia Scacchi Milano e SoloScacchi, maggio 2010.

[9] Gerald Abrahams, “The Chess Mind”, Penguin Book Ltd, Harmondsworth, Middlesex, 1951.

[10] Jan Kalendovsky, “Reti, poesia del paradosso”, Prisma Editori, Roma, 2003.

[11] Philip W. Sergeant: “Morphy’s Chess of Games”, Dover Publications, Inc. New York, 1957.

[12] Philip W. Sergeant, “Morphy Gleanings”, David McKay Company, Philadelphia, 1932.

[13] Valery Beim: ”Paul Morphy: Una prospettiva moderna”, Prisma Editori, Roma, 2008.

[14] Jose’ R. Capablanca, “A Primer of Chess”, London 1934. Edizione italiana: “Il Primo Libro degli Scacchi”, Mursia, Milano, 1998.

[15] Kenneth S. Howard, “Classic Chess Problems”, Dover Publications, New York 1970.

[16] Ludek Pachman, “Apertura, Medio Gioco e Finale nella Moderna Partita a Scacchi”, U. Mursia, Milano, 1983.

[17] Isaak and Vladimir Linder, « Emanuel Lasker, Second World Chess Champion » Russel Enterprises, Inc., Milford, USA, 2010.

[18] Emanuel Lasker: “Lasker’s Manual of Chess”, Dover Publications, Inc New York 1960 – First published in London in 1932.

[19] Juraj Nikolac, “L’héritage de Philidor”, Olibris, Montpellier, 2006.

[20] Frederich M. Edge, “Exploits and Triumphs in Europe of Paul Morphy”, D. Appleton & Company, New York, 1859.

[21] Frances Parkinson Keyes, “The Chess Players”, The Book Club, 121 Charing cross, London, W. C. 2. First published in Great Britain, 1961.

[22] P. W. Sergeant and W. H. Watts: “Pillsbury’s Chess Career”, Dover Publications, Inc. New York, 1966.

[23] G. Barcza, L. Alfoldy e J. Kapu, “Les Champions du Monde du Jeu d’Echecs”, Tome I : De Morphy à Alekhine, Bernard Grasset, Paris, 1984.

[24] Roger Penrose,“The Emperor’s New Mind”, Oxford University Press, 1989 – Edizione in italiano: “La mente nuova dell’ Imperatore”, BUR Scienza, 2000.

[25] Edoardo Boncinelli, « Il cervello, la mente e l’anima », Arnoldo Mondadori S. p. A., Milano, 1999.

[26] David Bronstein e Tom Furstenberg, “L’Apprendista Stregone”, Caissa Italia Editore, Roma, 2003.

[27] Bruce Pandolfini, “Every move must have a Purpose”, Hyperion, New York, 2003 – Strategies from Chess for Business and Life.

[28] Siegbert Tarrasch, “The Game of Chess”, Dover Publications, Inc., New York, 1987 – Originally published by David McKay Company, Philadelphia in 1935.

avatar Scritto da: Ivano E. Pollini (Qui gli altri suoi articoli)


22 Commenti a Scacchi: dalla Psicologia alle Scienze Cognitive

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    Orazio 21 Gennaio 2012 at 09:57

    Assolutamente strepitoso… da centellinare come un nobile millesimato! 😉

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    Fabio Lotti 21 Gennaio 2012 at 10:03

    Grande Pollino! (scherzosamente alla toscana)

  3. avatar
    Mandriano 21 Gennaio 2012 at 15:47

    …una tesi universitaria!!

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    biker 21 Gennaio 2012 at 16:29

    Altro notevolissimo scritto da parte di Ivano Pollini. Spero proprio che questi interessanti testi vengano raccolti in un libro.

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      Zenone 21 Gennaio 2012 at 17:22

      Sì, effettivamente credo che questo lavoro abbia un valore assoluto, anche grazie al fatto che spazia in vari ambiti scacchistici (scienza, storia, gioco a tavolino,studio, scacchi “alla cieca” ecc.). La pubblicazione d’interventi di questo livello non può che avviciniare ulteriormente i “non scacchisti” al Nostro Gioco.

      Una sola precisazione, Professore: in relazione al commento della “Fig.2”, relativo all’esibizione alla cieca di Alekhine a Parigi nel 1925(su 28 scacchiere[+22 –3 =3]), mi risulta che già nel 1924 il record appartenesse ad Alekhine che aveva giocato 26 partite “alla cieca” a New York (+16 -5 =5), record superiore a quello di Gyula Breyer del 1921 (+15 –3 =7). Forse il suo annuncio di voler migliorare il record dell’ungherese risale proprio all’esibizione americana.

      Ancora complimenti per questo suo scritto.

      • avatar
        Ivano E. Pollini 24 Gennaio 2012 at 10:02

        Caro Zenone,

        Lei ha proprio ragione! e grazie per il suo contributo.

        In effetti, nella prima versione dell’articolo avevo scritto la seguente frase:

        “Nel 1924, all’Hotel Alamac of New York, Alekhine aveva giocato 26 partite alla cieca contro avversari molto forti, tra cui si trovavano giocatori del calibro di Isaac Kashdan e Herman Steiner, col risultato di +16 -5 = 5. Questa esibizione senza visione della scacchiera e’ stata ritenuta in seguito la più forte che si sia mai tenuta.”

        Nella revisione finale del lavoro, che in origine era molto più lungo, ho tolto parecchio materiale (intorno alle 10 pagine) per alleggerire la lettura e comprensione dei temi trattati, per esempio una parte sulle “Reti neurali”, molti esempi di “Problemi e Studi” ed infine parti puramente narrative e anedottiche.

        Questo ha comportato automaticamente un’imprecisione nel testo, di cui NON mi sono reso subito conto, anche perchè influenzato dal Capitolo su Alekhine nel libro di Barcza et al.”Les Champions du Monde” (Ref. 23), dove si trova appunto la frase (imprecisa) che è rimasta nell’articolo.

        Per amor di completezza, le invio la citazione originale, tratta dal “Book of the New York International Chess Tournament”, 1924. With original annotations by A.Alekhine. Edited by Herman Helms.

        Alekhine’s record blinfold performance:”On April 27, in the Japanese Room of the Alamac Hotel, Alexander Alekhine established a new world’s record for blinfold play in an exhibition wherein he was opposed by 26 players of more than average skill. Alekhine wound up the perfomance with a score of 16 wins, 5 drawn games and 5 losses… Geza Maroczy and Norbert L. Lederer asted as tellers”.

        Ringraziandola per la precisazione,

        La saluto cordialmente

        IEP

  5. avatar
    Marramaquìs 22 Gennaio 2012 at 19:28

    Un colpo assolutamente …magistrale! Grazie.

    • avatar
      Ivano E. Pollini 8 Febbraio 2012 at 10:20

      Grazie Marramaquis per il suo commento incoraggiante 🙂

      Vedrò di far ancor meglio la prossima volta…

      Leggo spesso con piacere i suoi contributi sul sito.

      Con cordialità

      IEP

  6. avatar
    girolamo 22 Gennaio 2012 at 20:23

    Articolo molto interessante!!!!!!

  7. avatar
    Giangiuseppe Pili 22 Gennaio 2012 at 22:21

    Ottimo articolo, come ci si aspettava da Ivano Pollini!

    -La ricchezza dei temi è molta e tutti meriterebbero la stessa completezza di informazione e analisi. Che, naturalmente, non
    poteva essere contenuta in un articolo di questo genere. Particolarmente rilevanti ho trovato i vari riferimenti agli scacchi alla cieca e ai problemi.
    -Un’unica osservazione riguardo i contenuti: è discutibile che la creatività sia un attributo esclusivamente umano. Molte partite del
    computer sono creative in molti sensi. Tanto è vero che se fossero
    state giocate da normali uomini sarebbero stati riconosciuti come
    alfieri della umanità. D’altra parte, essendo il computer un’entità
    programmata da degli uomini, è normale che ci siano delle “tracce” in essi che si richiamano ai nostri tratti. Il software è programmato ad analizzare lunghe varianti, a difendere il re, a centralizzare i pezzi in apertura e poche altre cose: ma tutte queste sono “scoperte umane” che i programmatori hanno attinto dalla letteratura scacchistica pre-I.A., dunque, se non ci fosse stata tale letteratura, molto difficilmente avremmo avuto Deep Blue, a dimostrazione del fatto che prima l’uomo e poi la macchina.
    -I computer cognitivi… mah! Una scommessa che si basa su dati incerti, giacché di noi stessi come “entità biologiche-informative” si sa piuttosto poco. Se si dovesse svegliare e chiamarci “papà”, in fondo, non c troverei niente di così stravolgente, se non che non potrò più prendere a colpi di martello il Pc quando mi fa arrabbiare! O tappargli la bocca quando parla (al Fritz tolgo sempre la funzione irritante di prendermi in giro perché mi distoglie e accresce la mia suscettibilità!)

    Un lavoro ragguardevole, da conservare!

  8. avatar
    Ivano E. Pollini 24 Gennaio 2012 at 10:19

    Caro Gian Giuseppe,

    grazie per questo interessante commento e per la preziosa lettera inviatami privatamente con lucidi e dettagliati commenti.

    Da Filosofo e uomo di cultura, hai certamente ragione nel sollecitare approfondimenti su alcuni dei temi trattati, tuttavia, come già notato da te, la cosa sembrava piuttosto impraticabile a livello di carattere divulgativo del saggio. Come tu poi suggerisci…forse in un libro.

    Who knows?

    La tua piccola discussione su “creatività umana e del computer” è interessante, ma poi alla fine anche tu concludi che se la creatività NON è solamente una prerogativa umana, certamente la parte umana ha molto peso nella programmazione e realizzazione del computer digitale.

    E il computer cognitivo? Una sfida!

    Nella lettera inviatami (ancora grazie) sembri piuttosto scettico, o forse solo prudente nei tuoi giudizi.

    D’altronde lo sono anch’io, e non solo, ma a ben vedere, sono piuttosto prudenti gli stessi scienziati che ci stanno lavorando su (!)

    Con cordialità

    IEP

  9. avatar
    Andrea Lauro 24 Gennaio 2012 at 19:41

    Articolo ampio e milto interessante, Ivano.

    Mi riprometto di leggerlo con attenzione e farti avere i miei commenti.

    Ciao,

    Andrea

    • avatar
      Ivano E.Pollini 8 Febbraio 2012 at 10:08

      Ciao Andrea! 🙂

      In attesa dei tuoi commenti (senza fretta), dietro tua sollecitazione sto imparando a giocare a GO con Igowin (9×9). ❗ Gioco strategico giapponese molto complesso ed elegante. Guardo il “goban” e percepisco un mare in movimento, per quanto all’inizio la tavola mi apparisse come un’inerte distesa di piccoli sassi sulla spiaggia(!)

      Ciao,

      IEP

  10. avatar
    Luca Miglioli 7 Febbraio 2012 at 14:05

    Stupendo articolo
    Incredibile conoscenza della materia
    grazie per questo regalo
    Ciao

    • avatar
      Ivano E. Pollini 7 Febbraio 2012 at 19:28

      Ciao Luca!

      Grazie a te!

      La prossima volta …ancor meglio…

  11. avatar
    Hector 22 Febbraio 2012 at 21:19

    It is indeed a pleasure to read another excellent contribution to this site, and to chess, by Dr. Ivano E. Pollini.

    This new article addresses a much wider range. It touches on such notions as psychology, cognitive sciences, artificial intelligence turning these arid fields into something eminently accessible to the novice. Indeed he manages to keep the non-scientific reader, such as myself, not only interested but eager for more.

    It is clear that Dr. Pollini has a deep understanding of the game as well as a very obvious love for it. His approach is consequently a poetic one, blending art with logic and instinct with reason and a sensitivity which is hard to miss.
    There is grace and originality in the construction.
    We are led through Arabian chess, Indian chess and presented with some interesting, if difficult, problems.
    There are hints on strategy, and comparisons between the styles of such past masters as Philidor, Morphy and Steinitz.

    Dr Pollini introduces the concept of artificial intelligence in an elementary and very clear manner, making it accessible to those readers who have no previous notion of what it is.

    His shows modesty in his approach, claiming no psychological expertise (a clear advantage many would say) which makes his work so very accessible and appealing – opening the door to a mysterious world.

  12. avatar
    Ivano E. Pollini 4 Maggio 2012 at 13:25

    Reading on “Le Nouveau Guide des Echecs”, N.Giffard & A. Bienabe:
    “Hector Johnny – né en 1964 – joueur suédois. GMI. Champion de Suède 2002. Vainqueur des tournois de Villeneuve Tolosane 1989, Budapest 1989, Gausdal 1990 et 1998, Oxford 19998 et Hambourg 2001 et 2002.”

    Thank you Mr. Hector for your encouraging comment on my article.
    Maybe I will be able to do better next time, if these are the kinds of rewarding comments.

    Just wondering who are you.. ❓

    Sincerely

    Ivano E. Pollini

  13. avatar
    chess book 26 Maggio 2012 at 03:24

    If it is not too much to ask could you write some more about this. I have been reading your blog alot over the past few days and it has earned a place in my bookmarks. chess book online

    • avatar
      Ivano E. Pollini 4 Agosto 2012 at 09:22

      To chess book on line.

      A new article was issued on the 07 June 2012 by SoloScacchi: “Dal mondo degli Scacchi al mondo della Bellezza”. ❗

      Can one see your bookmarks?

      I found no evidence of my second article on your site “chess book”. ❓

      Your sincerely

      Ivano E. Pollini

  14. avatar
    H.B.Smithson 12 Gennaio 2013 at 21:42

    This is most interesting and instructive.

  15. avatar
    ferrieri eliezer 1 Aprile 2023 at 23:21

    Nell’articolo si parla di Morphy che gioco’ alla cieca durante il liceo,ma in realta’ Morphy gioco la sua prima partita alla cieca per il suo 13 compleanno contro lo zio Ernest vincendolo

  16. avatar
    Nagni Marco 2 Aprile 2023 at 08:32

    Non mi ha colpito la sua preparazione su Morphy, ma la sua costanza…..dopo 10 anni…..

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