Com’è iniziato tutto?

Scritto da:  | 21 Marzo 2012 | 34 Commenti | Categoria: Zibaldone

Un blog come “SoloScacchi” vede alternarsi quotidianamente gli interventi del curatore del sito, gli articoli dei redattori e collaboratori, i “post” di molti appassionati e curiosi, chiose, sottolineature, lodi e critiche che hanno come comune denominatore la passione o, comunque, l’interesse per il gioco degli scacchi. Questo insieme di soggetti che si ritrova sul nostro blog, composto da persone che sanno giocare a scacchi, pur con livelli di competenza diversi, hanno un ulteriore punto in comune: in un momento della loro vita c’è stato qualcuno che li ha iniziati agli scacchi. Sembra un’ovvietà ma la figura di colui che ci ha fatto avvicinare per la prima volta al gioco è una persona che rimarrà indelebilmente legata a noi e non solo come scacchisti. Ma qual è il ritratto di questo nostro “Virgilio” a cui abbiamo permesso di condurci per quel loco eterno che sono gli scacchi? Per alcuni coincide con una persona cara, per altri con un amico, magari più grande, per altri ancora è l’insegnante di scuola a ricoprire questo ruolo o addirittura un proprio allievo, per i più fortunati un vero e proprio maestro.

La genesi del nostro interesse per gli scacchi è comunque legata alla trasmissione di una passione, il nostro occasionale insegnante proverà a inocularci questo meraviglioso virus. Poi starà a noi. Se avremo anticorpi sufficienti guariremo immediatamente dopo il passaggio del picco di febbre, i più fortunati invece si accorgeranno di essere deboli, di non avere gli anticorpi giusti e verranno infettati per sempre da questa malattia che li accompagnerà fino a quando la mente, prima ancora del corpo, lo permetterà. A questo punto, proprio grazie a questa spinta iniziale starà a noi studiare, giocare e coltivare questa passione.

Per me il volto di questa persona indimenticabile coincide con quello di mio padre. È facile quindi non dimenticarlo. È stato lui ad insegnarmi il movimento dei pezzi. Ero davvero piccolo e quella scacchiera di cartone con gli strani pezzi di plastica neri e bianchi regalatami da lui mi attirò immediatamente. La foggia dei cavalli con la testa perfettamente disegnata e con la bocca leggermente aperta, le torri con merli e mattoni e forse ancora di più la celata dell’alfiere mi attiravano. Iniziai a giocare con quei personaggi di guerra da solo, senza conoscere le regole, come se fossero i miei soldatini, poi mio padre mi insegnò i primi rudimenti, a collocare esattamente la scacchiera e disporre i pezzi. Mi mostrò il movimento di ognuno di loro: l’anomala mossa di cavallo, il povero pedone costretto ad andare avanti (solo in seguito ho saputo della sua possibile mutazione in donna), il camminare diagonale dell’alfiere, la forza assoluta della Regina e l’arrocco cioè la misteriosa mossa del Re e della torre. Dopo poco insegnai a Giancarlo, il mio migliore amico delle elementari, a muovere i pezzi. Iniziarono così interminabili e ingenue sfide che riempivano i pomeriggi d’inverno di due bambini dei primi anni ’70, quando il televisore era il sogno di “Carosello” e il computer roba da scienziati americani e russi. Sì, di quel periodo vissuto nel modesto appartamento di un condominio popolare di una città del levante ligure, mi ritornano alla mente le partite a scacchi con l’amico del cuore, spesso sotto gli occhi di papà, nella cucina a volte pervasa dal profumo inebriante del celeste kerosene che i genitori versavano nella stufa da taniche colorate conservate sul terrazzo, unici oggetti che coloravano quel luogo di giochi estivi nel cupo grigiore della città. Ancora, ricordo le stupende merende con pane, burro e zucchero o pane e olio, mangiate continuando a giocare, con le briciole che “colpivano” i severi pezzi ungendo poi, irrimediabilmente, quel cartone a scacchi. Poi la noia dei compiti, pensando agli scacchi e alle figurine “Panini”, con a fianco la mamma, perché papà era ritornato al lavoro, e poi, finalmente, ancora una partita a scacchi e una con i soldatini Atlantic, fino a quando la mamma di Giancarlo non veniva a riprenderlo.

Per me tutto è iniziato da lì ed ancora oggi quando parlo agli altri di scacchi non posso dimenticare da dove sono partito perché coincide totalmente con la mia fanciullezza, con la mia stessa esistenza e non importa se, malgrado i lunghi anni trascorsi giocando a scacchi, sono poi diventato solo una mediocre prima nazionale.

Ora penso che tocchi a voi, questo sito è forse il posto migliore per raccontarsi, per esprimere l’amore per il nostro gioco al di là delle conoscenze, dei tecnicismi e della teoria, forse anche della storia. Fate sapere cosa sono per voi gli scacchi e rendete omaggio senza vergogna ai vostri maestri, Coraggio!

avatar Scritto da: Pantagruel (Qui gli altri suoi articoli)


34 Commenti a Com’è iniziato tutto?

  1. avatar
    Giangiuseppe Pili 21 Marzo 2012 at 10:42

    Caro Pantagruel,

    La tua storia è abbastanza simile alla mia. Fu la buon’anima di mio padre (anche se lui non vorrebbe essere chiamato “anima”, non avendoci mai creduto)a insegnarmi a giocare. Ero molto piccolo e avevo meno di cinque anni. Comprese subito che non ero un bambino prodigio perché non lo battevo. Uno dei ricordi “più antichi” che ho riguarda proprio una partita al circolo di scacchi di Cagliari, nella quale mio padre giocava e, allo stesso tempo, combatteva per farmi stare seduto sulle sue ginocchia. Contando che, sin da allora, non ero un essere particolarmente agitato! Poi mio padre decise di fare l’istruttore di scacchi alla mia scuola (1992-1997), e ricordo di essere stato particolarmente imbarazzato quando giocammo una partita a scacchi viventi e io ero il cavallo che dava matto (l’unica volta in cui fui “raccomandato” in vita mia!).Poi ho abbandonato gli scacchi fino ai quindici-sedici anni e poi e poi! Eccomi qui!

  2. avatar
    Claudio 21 Marzo 2012 at 12:00

    Fu all’oratorio; vidi 2 ragazzi giocare e mi sedetti vicino per curiosare e in seguito ho provato senza successo; ho imparato quasi subito per imitazione e usavo le loro stesse aperture: Cf3, g3 e Ag2 con il bianco; la siciliana con il nero; poco tempo dopo, era l’estate del ’72, mi ricordo che, nonostante il caldo ero a casa a vedere il match Fischer Spasskj; mi ricordo solo la seconda partita, quando Fischer non si presentò e Spasskj passeggiava nervosamente avanti ed indietro e io non capivo; dopo le superiori ho avuto l’occasione di giocare delle partite con un anziano partigiano e in seguito ho iniziato a frequentare un circolo.

    • avatar
      Jas Fasola 21 Marzo 2012 at 13:34

      eri a casa a vedere il match Fischer-Spasskj? Ma dove?

      • avatar
        Claudio 22 Marzo 2012 at 10:08

        a casa mia 😉 ; la tele in bianco e nero – solo due canali – e la cronaca era di Nando Martellini.

  3. avatar
    Maurelio 21 Marzo 2012 at 14:10

    Campo scuola della parrocchia, metà anni ottanta. Appresi fin da subito l’errata apertura della doppia mossa di pedone 😆
    Non sapevo nulla di Fischer & C. Probabilmente l’eco del match si era già spento.
    Il gioco mi entrò letteralmente nel sangue e il virus non fu mai veramente debellato, ma rimase sopito fino ai tempi dell’università, quando esplose violentemente a causa dei compagni di corso e di tornei galeotti.

  4. avatar
    Pantagruel 21 Marzo 2012 at 14:37

    Andiamo ragazzi, continuate, io sono curioso e ingordo (non può che essere così, per me!). Nei vostri commenti mettete date, aneddoti e,se volete, fate i nomi delle persone con cui giocavate, degli amici, dei luoghi (sì, anche quelli geografici). Ho pensato di raccogliere tutto in un altro “pezzo” riassuntivo, che ne dite?

  5. avatar
    Mongo 21 Marzo 2012 at 15:53

    Ho imparato, parolone grosso, a giocare a scacchi nel 1974 all’età di 9/10 anni. Il babbo munito del Padulli della Mursia mi imparò il movimento dei pezzi tralasciando l’arrocco, la presa en passant e la patta.
    Feci un torneo all’oratorio arrivando alla finalisima nella quale il mio avversario arroccò; chiamai il prete/arbitro per esigere la ripetizione della mossa da parte del mio avversario, ma ebbi la brutta notizia che quella strana mossa di re ed una torre in contemporanea era una mossa regolare e finii per perdere l’incontro.
    L’anno dopo, con un compagno delle medie, giocammo una partita interminabile finendo con re solo contro re solo a darsi vicendevolmente la caccia, sino a quando esausti cercammo la bibbia, il già citato Padulli, e scoprimmo che re contro re è partita patta. 😉

  6. avatar
    Martin Eden 21 Marzo 2012 at 18:44

    Se è vero che esiste un qualche legame tra la precoce età in cui si apprende il gioco ed il livello agonistico che si raggiunge da adulti credo, anzi son sicuro, di essere l’eccezione vivente a questo comune assunto. Ho infatti appreso, come tanti, da mio padre i rudimenti del gioco, a non più di sei anni, e la cosa che maggiormente mi sorprendeva era che bisognasse attendere la mossa dell’avversario per farne una seconda. Mi sembrava così innaturale…
    Ecco, muovo qui il Cavallo, poi mangio là con la Torre, poi l’Alfiere, e via che è matto! A cosa serve aspettare che l’avversario pensi la sua mossa?!?
    Poi è trascorso del tempo, forse qualche anno, alla conclusione del quale ero convinto che i pezzi degli scacchi potessero muovere tutti indistintamente esattamente come le pedine della Dama, in diagonale, con le stesse regole…
    Traumi infantili? Carenza d’affetto?? Ecco, considerati gli scarsi risultati ottenuti in seguito tutto può essere… 😉
    Complimenti anche da parte mia a Pantagruel per questo suo gradevolissimo contributo 🙄

  7. avatar
    vecchio cuore 21 Marzo 2012 at 20:14

    Come si muovono i pezzi credo di averlo imparato a 7/8 anni ma è stato solo a 12 (quindi molto avanti con l’età per poter ambire a diventare “qualcuno”;) che un mio zio, che in gioventù era stato una buona prima nazionale, mi ha spiegato qualcosa di più del semplice movimento dei pezzi. Da lì ho iniziato a frequentare il circolo della mia città ma l’amore vero è nato nel ’72 con il match Fischer / Spasskj. Ricordo che, sempre assieme a quel mio zio, leggevamo assieme i resoconti sul match che venivano pubblicati su “Il Giornale”, una delle poche testate che, se non ricordo male, riportava anche le partite. All’epoca non c’era internet e solo così si potevano ammirare le giocate di Fischer. Il tifo, per quanto ci riguardava, era a senso unico. Non nascondo che c’era una buona dose di politica in ciò. Per mio zio (io ero troppo giovane per avere le idee chiare) era fondamentale che fosse sconfitto il rappresentante dell’Urss. In epoca di guerra fredda in Italia la maggioranza stava con gli americani. Poi l’arrivo alla III^ categoria nazionale seguita da un lunghissimo periodo di oblio. Peccato, mi dispiace molto, ma prima gli studi e poi il lavoro mi hanno allontanato dal Nobil Giuoco. Ora il vecchio amore è tornato, ormai da qualche anno, e non vedo ragione per abbandonarlo di nuovo…

    • avatar
      Roberto Messa 21 Marzo 2012 at 23:02

      Perdona la pedanteria, ma nel 1972 non poteva essere Il Giornale perché non esisteva ancora. Fu il Corriere della Sera che mandò una delle sue migliori penne in Islanda, ricordo che in spiaggia nell’estate del 1972 leggevo i racconti di questo inviato, che non era uno scacchista ma era riuscito ad avvicinarsi e a capire molto bene i protagonisti. Ma del match Fischer-Spassky non c’era testata che non dedicasse spazio e inserti. Credo di averne conservato uno dell’Europeo con tutte le partite, lo ricordo per i diagrammi bianco-verdi (in onore alla pretesa di Fischer di avere una scacchiera con case scure verdi anziché marroni o brune come consueto). Uno di quei dettagli “stupidi” che ti affascinano e che non ti dimentichi per il resto della vita…
      Comunque anch’io imparai a muovere i pezzi a 8 o 9 anni con mio padre e mio fratello, ma poi non li vidi più fino al 1972, quando di anni ne avevo 15…

      • avatar
        vecchio cuore 23 Marzo 2012 at 20:19

        Ma certo che perdono la precisazione, chè di pedanteria non si tratta. E aggiungo: caspita, che precisione. E’ vero, nel ’72 “Il Giornale” non c’era ancora. Ho fatto una piccola ricerca in internet ed ho verificato che in quell’anno Montanelli stava cominciando a cullare l’idea di dar vita ad una nuova testata. Il primo numero uscì il 25 giugno 1974. All’epoca ero ancora molto giovane e a distanza di tanti ho pensato che si trattasse del Giornale perchè ricordo che quel mio zio ne è stato assiduo lettore e quindi ho associato lui, il suo giornale preferito e l’evento. Probabilmente, quindi, seguivamo i resoconti su “L’Arena” di Verona, altra testata che egli leggeva. Non ho nulla da obiettare poi sul fatto che un po’ tutti i giornali seguissero il match. Io non ho ricordi in tal senso, ma non mi sogno di mettere in discussione quelli sicuramente più precisi del sig. Direttore (per me sempre “il Direttore” di Torre & Cavallo).

        • avatar
          Roberto Messa 24 Marzo 2012 at 12:42

          Bisogna dire che Il Giornale di Montanelli diede molto spazio agli scacchi. Adolivio Capece curava molto puntualmente la rubrica settimanale (che è stata a lungo – insieme al Televideo curato da Sebastiano Izzo – una delle poche fonti di notizie aggiornate sull’attività scacchistica italiana e non) ma riusciva a ottenere dalla testata ampi spazi fuori rubrica, sia per la copertura dei vari match Karpov-Korchnoi e Karpov-Kasparov, sia per dare visibilità a non pochi eventi scacchistici nazionali. Quando nel 1994 Montanelli ruppe con Berlusconi e fondò La Voce, Capece lo seguì nell’avventura del nuovo quotidiano, pur sapendo che si trattava di un tentativo “eroico” del vecchio Indro, infatti La Voce ebbe vita breve (15 mesi). La rubrica degli scacchi su “Il Giornale” passò a Ennio Arlandi, ma non ricordo quando venne soppressa, del resto come quasi tutte le rubriche di scacchi dei quotidiani e settimanali alla fine del XX secolo.

  8. avatar
    Roberto Messa 21 Marzo 2012 at 23:52

    Beh a questo punto devo raccontare anche la “mia” storia. Come dicevo imparai a muovere i pezzi a 8 o 9 anni con mio padre e mio fratello, ma poi non li abbandonammo completamente fino al 1972, quando di anni ne avevo 15… Esaltati dalla risonanza del match Spassky-Fischer, in spiaggia cominciammo a giocare: eravamo io, mio fratello Pietro e Luigi (uno dei più cari amici “del mare” – di quelli che da bambino fino all’adolescenza ritrovavi ogni anno nel rituale mese di vacanza a Spotorno). Nel breve intervallo tra il mare e la montagna andai in una libreria e acquistai il Padulli, dove giocai ancora un po’ con mio fratello e con Marco Preti, poi diventato un noto alpinista e scrittore di romanzi di montagna. In uno dei suoi libri c’è pure un personaggio “di fantasia” che gioca a scacchi tra un’arrampicata e l’altra, ma non sono io perché non ho mai avuto il coraggio di seguire lui e mio fratello sulle rocce… In compenso mi arrampicavo (non senza fatica) su e giù per gli “gnomoni” dei finali di R+D vs R+P del Padulli… totalmente inutili a quel livello di gioco, ma la suggestione fu fortissima e lasciarono un segno indelebile. In breve mio fratello e Marco non vollero più giocare con me e scelsero definitivamente la montagna. La scuola ricominciava il primo ottobre, seconda liceo scientifico, a novembre mi decisi a varcare la soglia del Circolo Ufficiali, all’interno del quale era ospitata la Società Scacchistica Bresciana, i ragazzi non erano graditi dai militari in pensione che passavano i loro pomeriggi al Circolo Ufficiali, soprattutto non erano graditi i capelli lunghi e i blu jeans… Quelli degli scacchi (che in generale non erano visti di buon occhio) riuscirono comunque a far accettare alcuni ragazzi tra i 15 e i 16 anni… Non posso non nominare i miei amici del circolo: Giuseppe e Renato avevano allora 30 o 40 anni più di me ma mi vollero davvero bene e a loro devo molto della mia maturazione (non quella scacchistica, non avevano neppure una categoria nazionale!). Giuseppe non c’è più. Renato sta abbastanza bene e lo vedo regolarmente: ha più di ottant’anni ma una cultura umanistica che ancora oggi vi fa secchi tutti quanti. A scuola non andavo volentieri. Ricordi alla rinfusa: nel 73 una mia compagna di classe rimase incinta e si dovette sposare con il moroso di 25 anni, nel 74 ci fu la strage in piazza della Loggia, alla fine del 75 la patente e la mia prima auto (una A112 rossoscuro), finalmente nel 1976 il calcio nel sedere alla maturità (38 sessantesimi). In quegli anni (1973/76) andavo al circolo a giocare a scacchi quasi tutti i pomeriggi e la sera, dopo che i miei spegnavano la TV e andavano a nanna, mi dedicavo al Grigorjev, al Romanovsky, alle 60 Partite da ricordare (ma molte ora le ho dimenticate…;).

  9. avatar
    Roberto Messa 22 Marzo 2012 at 00:00

    Scusate i refusi dei due post precedenti… l’ora è tarda e non ho “corretto le bozze”.
    Spero si capisca abbastanza.
    Ah, dimenticavo di dire che i soldatini dell’Atlantic ce li avevo anch’io, ma vennero molto prima degli scacchi…

  10. avatar
    fritzcarraldo 22 Marzo 2012 at 08:06

    Tutti i giocatori che oggi sono sopra alla quarantina, hanno ricordi molto simili su come iniziarono. Il compagno di banco, il Padulli (e anche il Porrecone), i primi mesi (o anni?) al circolo, dove inevitabilmente si prendevano legnate da qualche maresciallo o ragioniere in pensione.
    Ricordo molto bene quando imparai, a casa di un amico delle scuole medie, con il disco di Profondo Rosso che non finiva mai di girare in sottofondo.
    Oggi, per fortuna o sfortuna che sia, è tutto diverso. Si impara nei corsi delle scuole, poi al circolo tra coetanei. E la prima volta che si incontra un maresciallo in pensione lo si legna…..

  11. avatar
    Claudio 22 Marzo 2012 at 10:05

    Sono lo stesso del post 2; il mio primo libro fu l’ABC degli scacchi del Pasquinelli e in seguito il Porreca che ancora tengo tra i libri “storici”; poi un amico mi consigliò “Il mio sistema” di Nimzowitsch e fu con quel libro che imparai ad amare il gioco nella sua complessità e profondità; ancora oggi conservo con cura quel libro, un pò sciupato per la verità, per il numero di volte che l’ho studiato, ma ancora adesso mi capita di andarmi a rivedere alcune partite che in parte utilizzo nelle lezioni ai miei allievi.

  12. avatar
    Pantagruel 22 Marzo 2012 at 18:50

    Ci siamo ragazzi, proseguite…vi prego!

  13. avatar
    Massimo Benedetto 22 Marzo 2012 at 19:57

    Appresi le regole del gioco all’età di sette anni da mio padre nel lontano 1976. E fu subito amore.
    Ricordo ancora quei pezzi di plastica tipo Staunton e la scacchiera di compensato col cassetto a scomparsa per riporli. I pezzi erano di plastica veramente scadente (forse cinesi :razz:) e infatti un torrido giorno d’estate i raggi del sole che filtravano dalla finestra della mia cameretta li deformarono irrimediabilmente fin quasi a fondere quelli neri che assorbivano meglio il calore… Solo allora mio padre si decise (esclusivamente in sua presenza) a farmi giocare con i suoi “preziosi” pezzi di bosso verniciati e la scacchiera con la superficie traslucida di non so quale legno, marca “Dal Negro”.
    Siccome in breve tempo imparai a battere regolarmente mio padre (solo perché egli era un giocatore assai debole…;) mi illusi di essere un piccolo prodigio, ma il mio entusiasmo fu improvvisamente raffreddato da mio zio (un discreto dilettante) che mi inflisse due sonore sconfitte nel giro di mezz’ora. Ricordo che mi sentii un vero idiota quando mi fece notare che la torre valeva 2 pedoni piú del cavallo e dell’alfiere! Non lo sapevo…nessuno me lo aveva mai detto e quindi spesso aprivo regolarmente con h4 e Th3 mettendo la T in presa dell’Ac8!
    Siccome, come disse qualcuno di cui non reputo conveniente citare il nome, per me “le sconfitte sono sempre state come delle sferzate che mi hanno solo spronato ad andare sempre piú avanti”, decisi di vendicarmi.
    Cosí iniziai a “studiare”. Sforbiciai tutti gli articoli di Vladimiro Grgona nella collezione dei numeri di Panorama di mio padre e li incollai su un block notes. Poi come un cospiratore mi chiudevo in camera e con scacchiera di compensato e pezzi “storzellati” riproducevo le partite. Era l’epoca del match Karpov-Korchnoi, a Merano.
    Nel giro di sei mesi riuscii a vendicarmi sanguinosamente dell’onta subita dallo zietto, dopodiché vennero meno le motivazioni e quindi mi dimenticai degli scacchi fino all’età di 12 anni, quando, investii il mio piccolo gruzzolo nell’acquisto dell’ “A B C degli scacchi” di Pasquinelli.
    E da quel momento l’amore per gli scacchi non mi ha piú abbandonato.

    • avatar
      YG 22 Marzo 2012 at 20:31

      Oh Vladimiro… Quanto l’ho letto. E quanto avrei fatto per essere al suo posto! :)

      • avatar
        Massimo Benedetto 23 Marzo 2012 at 14:41

        Vladimiro era un mito!
        Il block notes con i suoi articoli ancora lo conservo tra i miei memorabilia scacchistici.

        Quando ormai ero passato a testi più evoluti come il “Manuale” di Porreca (padre dello scacchismo napoletano che ho avuto la fortuna di poter conoscere e apprenderne gli suoi insegnamenti quando frequentavo il circolo della BNL a Napoli) e “Il mio sistema” di Nimzowitsch, il mio beneamato Pasquinelli decisi di prestarlo ad un amico che manifestava una certa passione per il gioco ma non l’ho mai più riavuto indietro… 🙁
        Peccato…mi mancano i commenti alle le partite del “giovane rag. Giovanni Arturo Piovesana” e di “Michele” Botvinnik e “Alessandro” Alekhine (il libro fu scritto nel periodo autarchico…;). 😉
        Ho scoperto recentemente che, secondo le quotazioni del negozio Le Due Torri di Bologna, il Pasquinelli è oggi considerato “libro raro” e le copie in circolazione hanno un valore che oscilla tra i 75 e i 150 euro secondo l’età dell’edizione.

  14. avatar
    YG 22 Marzo 2012 at 20:34

    Galeotto fu il Padulli, e per più d’uno a quanto si legge. Nel mio caso, quasi…

    Credo che mio padre mi abbia regalato una copia del vetusto manuale in un’età imprecisata tra i 5 e i 10 anni. A ogni Natale, e non di meno tra Natale e Natale, arrivavano infatti vagonate di libri sui quali mi lanciavo avidamente; tra i tanti ricordo una intrigante “Storia del Minotauro”, un libro sulle fasi evolutive dell’uomo preistorico e una assai meno amata “Storia della nave”. Non saprei dire con esattezza il perché di questa nautica freddezza, ma probabilmente già al tempo dovevo aborrire il nuoto, cui mi sono applicato sempre con enorme fatica e nullo divertimento, nonostante l’immeritata fortuna di un corpo che galleggia quasi a dispetto della sua volontà…
    Per tornare a noi, non credo che il Padulli mi abbia ispirato granché visto che per arrivare agli scacchi avrei dovuto aspettare i 12 anni. Credo fosse settembre 1981 o giù di lì quando ebbi l’idea di andare a segnare, io piccola ma velocissima ala subentrata negli ultimi 15 minuti di partita, le ultime (uniche? boh, non ricordo) due mete per gli Aquilotti del glorioso Ceccherelli di Roma, impegnati in allenamento sul verde quanto improvvisato campo di Villa Doria-Pamphili contro le Aquile, sempre del Ceccherelli, di due anni più grandi.
    Il pilone delle Aquile, al tempo anche nazionale Under 16, mi prese allora con tutta la sua benevolente stazza e mi lanciò in aria al gioioso grido di “E bravo il piccoletto!” Fu quella la fine della mia tutt’altro che esaltante carriera rugbystica. La caduta fu talmente rovinosa che mi ruppi radio, ulna e chissà cos’altro ancora. Naturalmente, di fronte a tutti quei colossi, feci quasi finta di niente, osservando con una certa preoccupazione ma non meno stoica dignità quel polso che si gonfiava come una lussureggiante melenzana siciliana…
    Fatto sta che, siccome al tempo studiavo pianoforte in una sezione distaccata del conservatorio, non me la sentivo proprio di tornare a casa dicendo che mi ero fatto male giocando a rugby (mia madre aveva sempre e giustamente osteggiato questa mia follia), e così inventai un’improbabile caduta da un albero di fico. Non credo che i miei ci abbiano mai creduto ma temo che non abbia fatto granché differenza: infatti, nonostante mi fossi regolarmente seduto al piano per far finta di svolgere (di malavoglia come sempre) gli esercizi quotidiani, ben presto il dolore fu tale che mi dovetti rassegnare all’idea di essere portato in ospedale. Lì, qualche giorno dopo, avrei nuovamente di malavoglia ceduto all’etere di cui i medici fecero come vedremo abbondante uso per ridurre le fratture sotto anestesia. Ricordo chiaramente che avevo deciso di dimostrare che nulla avrebbe potuto farmi perdere coscienza e avevo escogitato un trucco banale: contare le luci della lampada operatoria. Pensavo: se aggiungo sempre uno, sarà impossibile che io smetta di pensare. Così feci per talmente tanto tempo che venni a sapere che per addormentarmi mi avevano dato tre volte la dose necessaria a un adulto. Ebbene, ora posso rivelare tranquillamente che nemmeno quella fu in realtà sufficiente! Dovevo aver assunto talmente tanto etere da essere più rimbambito di De Niro nell’ultima scena di “C’era una volta in America” (per inciso, il mio film preferito, che al tempo era ancora da girarsi) così che quando il dottore disse, “Beh, nel frattempo tagliamo” – rivolgendosi all’aiuto e intendendo ovviamente “tagliamo la garza protettiva intorno alla stecca che fascia il polso” – ricordo nitidamente di aver visto un essere di bianco ammantato avvicinarsi minacciosamente a me con quello che sembrava un trinciapolli gigantesco e modificato alla “Inseparabili” (un film di Cronenberg con una splendida doppia interpretazione di Jeremy Irons che non consiglio ai deboli di stomaco, ma a tutti gli altri invece sì). Decisi di svenire, dandola vinta a quei “bastardi” di medici…. (ancora oggi, ho bisogno di dosi di anestetico da cavallo prima di cedere – sarà colpa di quella prima esperienza?)
    Al risveglio, vomitai un inferno di parolacce sulla malcapitata infermiera che ebbe la sventura di imbattersi nei miei primi secondi di coscienza, e che io ricordo brutta come la sorella deforme della morte. Mia madre arrossì per la vergogna quando le raccontarono delle mie prodezze, pur non potendosi in cuor suo rassegnare all’idea che le avessero detto la verità: semplicemente non poteva immaginare che io conoscessi tutte quelle parolacce. A dire il vero, forse non lo immaginavo nemmeno io…
    Ridotto all’impotenza da un gesso che frenava ogni mia ambizione di movimento, tentai di trovare qualcosa da fare in quei lunghi 45 giorni che mi separavano dal ritorno alle mie amate corse e agli ancor più amati salti (il prossimo sport con cui mi sarei cimentato, indubbiamente con maggior successo, fu non del tutto incomprensibilmente l’atletica leggera, che mi avrebbe regalato due ricordi di cui sono molto orgoglioso: il primato personale di 6,87 nel lungo, una misura di tutto rispetto per uno junior, e una frazione di staffetta 4×100 “alle costole” di Angelo Cipolloni, mi piace pensare corsa sotto gli undici netti anche se il mio personale sui 100 di 11.2 era tutt’altro che impressionante). Fu allora che il Padulli, e probabilmente lo stimolo di mio padre, mi riportarono agli scacchi. Credo di aver divorato il libro e di aver presto deciso che avevo bisogno di avversari. Lessi su Il Messaggero, al tempo quasi un giornale serio, di un torneo al Comitato di quartiere di Via de’ Serpenti, nel Rione Monti – non ricordo se di mia iniziativa o su imbeccata di uno dei miei genitori.
    In via De’ Serpenti feci un incontro che non saprei definire altro che folgorante. Appena varcata la soglia a scendere del Comitato di quartiere sono quasi certo di aver sentito risuonare distintamente l’inconfondibile “Meeeeenghia” di Rosario Lucio Ragonese. Ancora oggi non riesco a spiegarmi come io non sia fuggito terrificato all’istante… :)
    Fu probabilmente Lucio a indirizzarmi verso il DLF di Via Flavio Stilicone 69, che cominciai a frequentare non senza aver vinto prima l’ennesima battaglia con mia madre, che non ne voleva sapere di lasciarmi tornare a casa alle 10 di sera, specie considerando che abitavo dall’altra parte di una città non piccola come Roma. In quel circolo incontrai scacchisti fortissimi che per me ancora oggi hanno il sapore della leggenda, su tutti i Maestri Marco Pangrazzi e Massimo De Blasio (entrambi quasi 2300 al tempo). Ricordo come guardassi affascinato le loro analisi del match Karpov-Korchnoj (ott-nov 1981; le mosse arrivavano tramite il solito “Il Messaggero”, il giorno dopo, e tutti aspettavamo il socio che avrebbe portato il ritaglio di giornale; fu quando Korchnoj vinse la sesta partita, una spagnola aperta in cui i suoi cavalli giocarono un ruolo importante, che mi innamorai dello sfidante) e ricordo anche la prima volta che Massimo prese in considerazione una mia idea – non so perché ma volevo fortissimamente giocare un salto di cavallo in una casella dove era in presa da più pezzi. Trovai l’ardire di suggerire la mia mossa, che fu prontamente dismessa da tutti gli astanti. Tutti tranne Massimo, che disse “Aspetta, aspetta, che forse il ragazzino una qualche ragione ce l’ha”. Naturalmente vide tutto quello che io non avevo nemmeno sospettato, ma io ne uscii estremamente motivato.
    Pangrazzi lo ricordo invece come lo scacchista più letale di tutti i tempi… :) Giocava con me una lampo tutte le sere, e dopo avermele suonate di santa ragione mi diceva: “E anche per oggi non hai imparato niente.” Credo proprio di non essere mai riuscito a batterlo, anche perché di lì a poco si sarebbe trasferito a Udine per lavoro, ma devo dire che era proprio tanto ma tanto forte…
    Dei miei primi passi al DLF ricordo anche il primo torneo, nel mese di novembre. Dopo un esordio disastroso contro Marco Dori – giocai un Dragone omettendo …d6 e perdendo rovinosamente – fui accoppiato contro un tale D’Onofrio, un signore credo sulla sessanta-settantina, ma è difficile dirlo perché a quell’età ti sembrano tutti “vecchi”. Fu allora che affrontai la mia prima “preparazione casalinga”. Mi dissero infatti che il D’Onofrio giocava la Philidor e che c’era un certo trucchetto che avrei potuto tentare… Al venerdì mi presentai alla scacchiera e, con mia sorpresa, il Nero giocò tutte le mosse che mi avevano spiegato. Dopo 4…Ag4? giocai tutto tremante 5.Cxe5! e dopo 5…Axd1?? fui deliziato nel riprodurre alla scacchiera il matto di Légal. Vinsi così la mia prima partita di torneo, sacrificando niente meno che la donna! Da adulto, avrei avuto l’atroce sospetto che quello che io ritenni al tempo un pollacchione era in realtà un compiacente nonno che sacrificò volentieri un proprio turno di gioco per motivare il più giovane socio del circolo…

    Dopo questa lunga digressione, credo sia tempo di tornare alle origini, e cioè al manuale che ci ha portati per sempre nel mondo delle 64 caselle. A Natale avrei ricevuto una nuova triade di libri, stavolta tutti scacchistici: “Il mio sistema” di Nimzowitsch, “La difesa Francese” di Porreca e “Il finale negli scacchi” di Paoli. Per inciso, tutti e quattro i libri, Padulli compreso, sono ancora ostinatamente nella mia libreria.
    Se il Padulli mi aveva insegnato le regole, “Il mio sistema” mi sarebbe entrato dritto dritto nell’anima. Avrei amato a tal punto il capolavoro di Nimzowitsch che quasi 25 anni dopo ne volli curare una nuova edizione, un’impresa che mi avrebbe dato enorme soddisfazione.
    Mi accorgo solo ora che ho sbagliato a non condividere quest’ultimo episodio in una prefazione a quell’edizione, omaggiando così la memoria di mio padre, cui devo l’incontro con la stimolante prosa del grande pensatore lettone. Forse era semplicemente troppo presto. Lo faccio ora, con sette anni di ritardo e grazie a questa bella iniziativa di Soloscacchi.

  15. avatar
    Mauro 23 Marzo 2012 at 08:12

    Correva l’anno 1978. La città è Roma. Avevo cinque anni. Una sera mio papà, girando fra i canali, si imbattè in Teleregione 45. Tre signori (Tatai? Passerotti? Mariotti? Non ricordo) commentavano le partite di un match di due “signori russi” (Karpov e Kortschnoi?). C’era anche una specie di concorso, del tipo “indovina la mossa”. Gli ascoltatori potevano telefonare e suggerire la mossa migliore in una data posizione (oppure, indovinare le mosse di una partita).
    La trasmissione si chiamava “Scacco Matto”, se non erro, e durava
    qualcosa come 30 minuti.
    Mi ricordo che mio papà, visto l’effetto magnetico che quelle mosse
    avevano su di me, mi comprò una scacchierina e me la diede.
    Rigiocavamo le mosse insieme, ma non riuscivo a tenere il ritmo dei commentatori. E allora cominciai a giocare contro papà.
    Attività agonistica: zero carbonella.
    Arrivamo al 1989. Siamo a Monterotondo (paesino in cui vado al liceo scientifico locale). Vengo a sapere (non mi ricordo nemmeno come) che si svolge un torneo “semilampo” “UISP”. Parole a me sconosciute. Vado. È una domenica. Gioco le mie sei partite. Vengo divelto in quasi tutte. In una, un signore “dal punteggio ELO molto alto, 2250”, di nome Fabrizio (il M Benedetti, per la cronaca) mi spiega tutte le cappellate che faccio e mi offre una rivincita, ugualmente persa. Però mi incoraggia, mi dice anche “bravo” per un pezzo messo in presa ma non catturabile. È una iniezione di fiducia.
    Passa un anno. È il 1990. Roma, EUR, Palazzo dei Congressi. Grandissimo, immenso torneo “semilampo”, credo anche questo “UISP”.
    Ci vado. Partecipo. Incontro un signore, una “terza nazionale”, non mi ricordo il suo nome, ma solo il suo cognome, che non è italiano e mi sembra di origine russa o slava: Zupicich. Lo batto. Lui mi parla di “circoli”. Gli dico dove abito. Lui mi dice: “vai allo steinitz a via bonomi”. Ci vado.
    Luglio 1990. Arrivo in via Ivanoe Bonomi, 81. Mi presento. Mi danno il benvenuto. C’è un “torneo di selezione” per un altro grande torneo, da giocarsi nientepopodimeno che a Castel S. Angelo (!). Ad organizzarlo è un signore, capelli bianchi, sorriso amabile, grande organizzatore, battuta sempre pronta, occhio arguto. Ha un nome strano, che non ho mai sentito prima: Ascenzo. Lui organizza il torneo. Al secondo turno gioco contro un “Candidato Maestro” piuttosto bravo. Mi fa a pezzi. Al termine della partita mi spiega dove ho sbagliato. Gentile, preparato. Si chiama Folco. Al termine del torneo, non so come, arrivo terzo. Ascenzo mi fa i complimenti e mi dice che mi sono qualificato. Contentezza.
    Gioco il torneo a Castel Sant’Angelo, anche lì arrivo terzo, salgo sul podio e Ascenzo mi premia con coppa e il suo “bravo!”.
    Una settimana dopo formalizzo l’iscrizione al circolo. Il resto è storia di un altro onesto spingilegno 🙂

  16. avatar
    Pantagruel 23 Marzo 2012 at 09:49

    Sì, così…liberatevi amici scacchisti, non vi vergognate. Ci sono ancora molti che frequentano questo blog che non hanno ancora voluto condividere con noi la loro esperienza…intervenite!

  17. avatar
    Luciano Nucci 23 Marzo 2012 at 10:47

    Io ho iniziato tardi ad interessarmi agli scacchi. Intorno ai 15 anni imparai le regole insieme ad un amico al paesello dei nostri genitori dove andavamo in vacanza ogni estate. Fino ai 22 anni fu l’unico contatto che ebbi con il gioco, qualche partita in estate e poi nulla fino all’estate successiva. Nel 1972 seguii il match del secolo ma più come evento socio-politico che scacchistico. Poi, era il 1975, il settimanale di enigmistica “Domenica Quiz”, al quale ero abbonato, organizzò dei tornei di scacchi per corrispondenza, mi iscrissi ad uno di questi, acquistai il “Porreca” e fu la fine. 😉 Mi appassionai subito al gioco per corrispondenza, infatti mi iscrissi quasi subito all’ASIGC. Iniziai a giocare a tavolino solo agli inizi degli anni ’80, quando fui coinvolto da un amico nella fondazione dell’Associazione Romana Scacchi (tra i soci fondatori c’era, tra gli altri, anche Sergio Mariotti), ma mi limitari comunque a giocare in tornei sociali. Il mio primo torneo ufficiale fu quello di Civitavecchia nel 1985, al termine del quale fui promosso 3^ nazionale. Da allora, mentre ho continuato a giocare regolarmente per corrispondenza, a tavolino la mia attività è stata molto più irregolare, un paio di tornei un anno e poi niente per 2 o 3 anni, e così via. Parlo sempre di tornei ufficiali perché tornei sociali nei vari circoli presso i quali sono stato iscritto li ho sempre giocati. Ricordo con piacere anche un paio di tornei “interministeriali” organizzati dal vulcanico Ascenzo citato in precedenza da Mauro. Buone partite a tutti.

  18. avatar
    fds 23 Marzo 2012 at 11:33

    Come giocatore ho poco o nulla da aggiungere a quanto già letto.
    Si comincia a 14 anni nel 1972 con la storica sfida, in compagnia del ‘migliore amico’ il cui fratello maggiore ci ha insegnato le regole, tralasciando l’arrocco e la presa en passant. Fu un dramma vederli fare dall’avversario nel primo torneo ufficiale. Mascherai lo sbigottimento senza darlo a vedere, spero. Si lascia quasi subito per altre cose. A metà degli anni ’80 mi trovo a vivere a Parma e, come collega di lavoro, c’è Afro Ambanelli.
    Grossissimo appassionato, giocatore di valore per corrispondenza, bibliofilo di razza. Riesce (facilmente) a risvegliare il vecchio amore. Mi regala “Apertura, Medio Gioco e Finale nella moderna partita a scacchi” di Pachman. Lo studio religiosamente, tranne i finali (ahi) che verranno dopo con “Cosa bisogna sapere sui finali” di Averbakh, seguito da “Dal medio gioco al finale” di Mednis e “La strategia nel finale” di Shereshevskij. Dopo un paio di anni torno a vivere in Campania. Da NC partecipo in quel di Portici al mio secondo torneo: quello di 3N come ‘raccomandato’ (grazie Gigetto Salsano, organizzatore dei mitici tornei internazionali dei primi anni ’70 a Cava de’Tirreni) per pareggiare il numero. Ero così teso e emozionato (caratteristica che purtroppo non è mai passata…;) che in una partita realizzo di averla giocata con un pezzo in più (sacrificato in medio gioco complicatissimo in una Najdorf dal mio avversario con il N) solo nel post mortem! Faccio 5 punti su 8 e divento 3N senza passare per i tornei minori :mrgreen: .

    Forse è più interessante il percorso da istruttore.
    Nello stesso periodo, con amici appassionati si crea l’occassione di fondare un Circolo nella mia città.
    Va tutto bene per parecchi anni poi, per mille motivi, il numero dei frequentatori cala. Che si fa? Si chiude o si prova con i giovani e i giovanissimi? Si decide di provare con corsi gratuiti nelle scuole e al Circolo. I corsi vanno così bene che cominciamo a far man bassa di titoli regionali nei tornei giovanili. L’allora undicenne Marta D’Auria arriva pure all’azzurro ai Campionati Giovanili dell’Unione Europea 2003 a Graz.
    Di quel periodo mi piace pensare di essere stato utile alla crescita non solo scacchistica di tanti ragazzi e ragazze, con il valore aggiunto di aver potuto stringere tante nuove amicizie importanti con i loro genitori.
    L’unico piccolo rammarico di quegli anni riguarda mia figlia, che all’età di circa 7 anni invitai al Circolo a seguire il corso per bambini che cominciava in autunno. Alla seconda lezione consecutiva che si addormentò mentre spiegavo le regole, capii che non era tanto interessata agli scacchi…

    Perché si diventa arbitro di scacchi? Quasi sempre il motivo è che il Circolo non ha tanti soldi da spendere invitandone uno da fuori per i tornei sociali. Mi procurai il regolamento ufficiale degli scacchi e quello dell’Italo-Svizzero. Ricordo con un poco di nostalgia i tempi cui gli abbinamenti si facevano a mano usando le schede in cartoncino. Diventai abbastanza pratico e, in seguito, partecipai a un corso di formazione per Arbitro Regionale (tanto valeva ufficializzare l’attività). Presi la qualifica ma, seppur mi mantenevo aggiornato con i nuovi regolamenti, ai tornei preferivo partecipare come giocatore e non come arbitro. Quando a inizio millennio dovetti arrendermi all’evidenza dei fatti, ovvero che malgrado le conoscenze scacchistiche non proprio elementari, in torneo non rendevo causa emotività esagerata, pian piano invertii il motivo di partecipazione ai tornei. Quello come arbitro oramai è praticamente esclusivo, per due motivi. Il primo è il tempo necessario per mantenersi aggiornati: i regolamenti sono esplosi come numero e corposità, e cambiano di continuo. Il secondo è che dò una mano al Settore Arbitrale nella gestione e modernizzazione, e quest’attività si mangia l’ultima fetta di tempo libero.

  19. avatar
    Claudio Ruzza 23 Marzo 2012 at 12:30

    A sei anni ricevetti in regalo dai miei genitori una damiera col cassettino per le pedine e lo schema di “tria” sul retro, a parte c’era una scatola con un set di pezzi degli scacchi in plastica, un po’ troppo grossi per le caselle della damiera. I miei, poveretti, saranno stati mal consigliati dal venditore. Loro non hanno mai nemmeno imparato i nomi dei pezzi 🙂
    A quell’epoca provavo un fascino tremendo per i pezzi degli scacchi, mi mettevano quasi soggezione.
    Mi accontentavo di sapere come si mettevano nelle caselle di partenza. Mi sembrava fascinoso soltanto il vederli occupare tutte le caselle, non solo quelle nere come si faceva con le pedine della Dama.
    Ogni tanto tiravo fuori la mia damiera, giocavo a dama con mia mamma o con mio papà, poi a fine aprtita schieravo i pezzi degli scacchi e li ammiravo rapito. Di giocare nemmeno a parlarne, nessuno sapeva le regole. Ma ero contento lo stesso. Era il 1971 o gù di lì.
    Balzo in avanti di 10 anni, agosto 1981, una Milano rovente e desolata, a differenza dei miei amici avevo già speso il bonus delle vacanze estive e non sapevo bene come tirar sera. Vengo a conoscenza di una manifestazione che si chiamava “vacanze a Milano”, al parco sempione. Ci andai per curiosità, finii per piantar radici agli stand del Master Mind e degli scacchi.
    Non mi ricordo il nome dell’istruttore di scacchi, mi ricordo invece il simultaneista, il Maestro Lazzarato. Intravidi Astengo, un simpatico 3N di nome Lavatelli, il suo bambino che all’epoca aveva 5 anni e che giocava sulle ginocchia del papà, conobbi un ragazzo della mia età all’epoca già fortissimo che si chiamava Michele Del Medico, appresi dell’esistenza di tornei per comuni mortali e non solo i campionati del mondo, scoprii che la gente si preparava anche studiando su libri a tema scacchistico.

    Scoprii un mondo. E ci volli entrare.

    Non ne sono ancora uscito, e non succederà tanto presto.

    Claudio Ruzza

  20. avatar
    JTS 24 Marzo 2012 at 13:41

    Sono arrivato a quest’articolo del vostro bellissimo blog seguendo una segnalazione su it.hobby.scacchi. Mi permetto di farvi un appunto: nel post sul newsgroup indicate solo l’indirizzo web http://www.soloscacchi.net e non c’e’ un link diretto al presente post; gia’ dopo una settimana e’ un po’ piu’ difficile trovarlo, figuriamoci quando e’ passato un po’ piu’ di tempo.

    • avatar
      Ramon 25 Marzo 2012 at 20:32

      Ciao, grazie per l’osservazione. Il motivo per cui segnalando l’articolo non mettiamo il link diretto è solo nella speranza (o illusione?) che per cercarlo i Lettori si facciano un giretto anche sul resto del sito… Certo, dal punto di vista del lettore ci si perde un po’ di tempo, è vero, ma è un modo per esprimere un minimo di apprezzamento a tutti quelli che per pura passione ed entusiasmo dedicano tanto tempo ed energie a scrivere e mandare avanti questo sito. 😛

      • avatar
        Claudio Ruzza 26 Marzo 2012 at 22:57

        Capisco il punto di vista ma credo che la politica di non mettere il link esatto sia controproducente.
        Io personalmente (e altri, per quel che ne so) trovo fastidioso esplorare una home page spesso ricca di contenuti per cercare faticosamente l’articolo che mi ha attirato.

        Preferirei di gran lunga vedere subito il link “civetta”, per poi (se ho tempo) esplorare il resto del sito.

        Just my two cents

  21. avatar
    angelo 56 25 Marzo 2012 at 23:36

    Io non sono certo un gran giocatore ma gli scacchi mi hanno accompagnato in gran parte della vita. Mi ricordo bene anche il famoso incontro Fischer Spassky, io avevo 15 o 16 anni e mia zia (direttrice dell’ufficio postale) mi aveva trovato un lavoro in un paesino vicino al mio (che raggiungevo a fatica – la strada era tutta in salita – con una vecchia vespa 50), la febbre degli scacchi in quegli anni era cosi forte che vedevo in varie case i ragazzini di 9/10 anni che provavano a giocare a scacchi ed io che erano ormai anni che giocavo mi sentivo un grande maestro…. Ma che mi ha introdotto nel mondo degli scacchi è stata proprio questa mia zia delle Poste che abitava nell’appartamento sopra di noi ed era appassionata di gialli e scacchi ma non trovando nessuno con cui giocare ha preso di mira me e mio fratello (di un anno più giovane) e a 7 o 8 anni eravamo spesso la sera dalla zia a giocare (che per invogliarci ci dava mi sembra 10 lire a partita che per noi era un ottimo incentivo….). All’inizio comunque giocava soprattutto con mio fratello che sebbene fosse un anno più giovane era più bravo di me (circostanza che il tempo non ha quasi mai variato) ma poi, quando con mio fratello ormai perdeva sempre ha cominciato a giocare spesso anche con me (cosi almeno qualche partita riusciva a vincerla…;) poi per sfortuna di mia zia anche con me non riusciva più a vincere una partita ed il suo entusiasmo per gli scacchi andò un po’ alla volta diminuendo… per cui cominciammo a giocare tra di noi mentre pochi nostri amici del paese giocava e quei pochi, perdendo sempre, con scarso entusiasmo. Cosi, lontani dalla città, lontani dai circoli, non frequentando cosi giovani i bar (dove rare volta incontravamo vincendo qualche giocatore da bar del paese..)la passione per gli scacchi rimaneva confinata a qualche sfida tra di noi. Solo dopo i 25 anni a una 15 di chilometri da noi, in un paese un po’ più grande prese vita un circolo di scacchi con diversi giovani della nostra età e allora per una decina d’anni furono tornei, sfide ed incontri, io divenni terza nazionale e rimasi la, mio fratello naturalmente mi sorpassò diventando prima nazionale, ormai da tanto tempo io non faccio più tornei e gioco solo su internet ma l’amore per gli scacchi è rimasto grazie a mia zia, scomparsa ormai da tanti anni, ed alle 10 lire che ci dava quando vincevamo….

  22. avatar
    Pantraguel 27 Marzo 2012 at 14:04

    Non importa se siamo grandi giocatori, professionisti o amatori, a qualsiasi livello, l’importante è raccontare. Ma dov’era questo ufficio postale?
    Ciao e grazie a tutti.

  23. avatar
    Marramaquìs 27 Marzo 2012 at 14:11

    Io abbandono: non mi ricordo come ho iniziato.

    • avatar
      Pantagruel 27 Marzo 2012 at 15:28

      Ho capito…la privacy 😉

  24. avatar
    Marramaquìs 27 Marzo 2012 at 21:21

    Perbacco, sì, non mi pare giusto tacere, un giorno o l’altro confesserò.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *


CLICCA QUI PER MOSTRARE LE FACCINE DA INSERIRE NEL COMMENTO Locco.Ro

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

La Palestra dei Finali

Chess Lessons from a Champion Coach

Torre & Cavallo - Scacco!

Strategia di avamposti

I racconti del Grifo

57 Storie di Scacchi
2700chess.com for more details and full list

Ultimi commenti

Problema di oggi