Date una lezione di scacchi a Marramaquís…

Scritto da:  | 30 Marzo 2012 | 16 Commenti | Categoria: Zibaldone

ovvero “la variante d’Aroldo”

Mi sa che non interessa a nessuno, neppure a mia moglie, sapere quando, come e da chi ha imparato il gioco Marramaquís, così come non interessò mai a nessuno (o non capitò) insegnarglielo. Comunque approfitto lo stesso del gentile invito (“aperto a tutti”) di Pantagruel (suo articolo del 25 marzo, cfr. qui) e siccome si è confessato qui pure il mio amico Martin Eden, trovo il coraggio di farlo anch’io, con un poco di ritardo. Tenete presente, benché ovvio, che potete smettere di leggermi quando vi pare, fin da adesso.

Mi confesso, quindi. Anzi ci faccio perfino un pezzo, o meglio un pezzetto, quasi uno scherzo, scusandomi con tutti coloro che senza dubbio hanno presentato storie molto più sensate e illustri della mia, di uno, cioè, che non sarà mai candidato maestro o candidato ad altra cosa di noto e che pertanto, quasi per antonomasia, una storia nemmeno dovrebbe averla, figuriamoci poi raccontarla.

Sì, in effetti, come il titolo del pezzo lascia capire, nessuno mi ha mai insegnato questo gioco (e si vede, eccome se si vede), ancora sto aspettando, ma comincia ad essere troppo tardi.

Seppi a 7 anni che esistevano gli scacchi, allorché nostro zio ci spedì da Milano, per Natale, come sempre, un pacco dono con dei giochini. Quello era un giorno che io e mio fratellino aspettavamo per un anno intero, un giorno di festa indimenticabile, piuttosto diverso da quelli di oggi.

C’era un po’ di tutto, quell’anno, dentro il desiderato pacco, compresa una piccola scacchiera nera e gialla, con degli strani pezzi, altissimi e magri, di colore avorio e nero, accompagnata da un foglietto di quattro pagine “le regole del gioco”. Lessi attentamente le regole, disposi con cura i pezzi sulla scacchiera, restandone affascinato. M’innamorai subito dei quattro alfieri, dall’elegante armatura e dal fiero profilo di cavaliere quattrocentesco.

Spostai i pezzi, poi li rimisi a posto, li spostai di nuovo e li rimisi a posto, ma non seppi andare troppo oltre e non ebbi alcuna occasione di capire in seguito qualcosa di più, di capire cosa significasse “fare una partita”, non avendo famigliari, o amici di scuola, in grado di spiegarmi meglio e farmici appassionare. Mio padre, per farsi perdonare, m’insegnò, di lì a poco, la “dama”. Non mi piacque.

Mi fermavo ugualmente a lungo, sulla scacchiera, a pensare e ad immaginare Torri e Alfieri impegnati in arditi ed emozionanti combattimenti. Quasi piansi un giorno, quando il triciclo di mio fratello tranciò di netto la testa di un alfiere bianco. Mia madre, poi, che stravedeva solamente per “Scala Quaranta”, non voleva che trascurassi troppo “i compiti”, pertanto …

Pezzi e scacchiera furono presto abbandonati in un angolo della cantina, finché l’estate successiva, in vacanza sulle aspre montagne reatine, un amichetto, Aroldo, chiese se qualcuno sapesse giocare a scacchi. E mostrò una scacchiera da fare quasi invidia a Onassis. Non potei resistere e cominciai subito a toccare e predisporre i pezzi. Sorprendentemente, mi accorgevo di ricordare perfettamente le regole basilari e la posizione di tutte le figure. Alla prima partita fui mattato in poche mosse, col bianco, una specie di “matto dell’imbecille”. Neanche questo mi piacque, per la verità.

Ricordo ancor oggi la faccia antipatica di Aroldo, la sua espressione da campioncino spocchioso. Le partite andarono avanti per un po’ di pomeriggi, cominciavo a vincere quasi sempre io, ma vincevo, secondo Aroldo, perché lo confondevo, perché non conoscevo bene le regole, in quanto spingevo i miei pedoni di due passi alla loro prima mossa, cosa che secondo lui non si poteva fare. In realtà lui (doveva essere proprio negato per questo gioco) si sottoponeva, allegramente, ogni pochi tratti, ad

un doppio di cavallo: non li vedeva proprio, d’improvviso un mio destriero piombava nel suo campo e zac-zac, doppio di qua e doppio di là. Vincevo solo con i cavalli, cominciavo a divertirmi, ma si discuteva di continuo.

Giungemmo ad un compromesso: io potevo spingere tutti i pedoni di due passi al loro primo avanzare, ma lui aveva diritto a ripetere fino a 8 mosse se si accorgeva, dopo averle fatte, di aver sbagliato (“no, qui non va bene, torniamo indietro”). Comoda, eh, la “variante d’ Aroldo”?

Ricordo, di quelle partitelle, che l’unica mia strategia fosse quella di buttarmi in avanti con gli otto pedoni, a costo di regalarli tutti, per dare spazio all’azione degli altri pezzi che dovevano intervenire in seguito, a scacchiera mezza vuota. Una pazzia strategica, che Aroldo detestava, ma intanto perdeva lo stesso.

Io generalmente aprivo “a4” o “h4” col bianco e “a5” col nero, e lui subito aveva di che lamentarsi “Mio padre mi ha detto che questo non si deve mai fare! Non sai giocare! Come faccio a perdere con uno che non sa giocare?”.

Aroldo cominciò a star lì a pensare anche più di dieci minuti prima di muovere e io questo, a mia volta, non lo sopportavo. Ovviamente non c’era l’orologio.

Beh, soprattutto fu la storia delle regole pedonali e della “variante d’Aroldo” a far litigare di brutto i due ragazzini. Dopo l’ennesimo scacco matto subìto, Aroldo buttò all’aria pezzi e scacchiera, dicendo di non voler giocare più con uno che vinceva solo perché non conosceva il regolamento. Sparì.

Preferii dimenticare gli scacchi per sempre. O almeno così pensavo. O forse non volevo cercare altre occasioni di discutere con qualcuno. Li ripresi in mano solo dopo quasi quattordici anni, ne avevo ormai ventuno, ed avevo pure qualche altro pensiero. Era forse già troppo tardi per imparare bene il gioco, ma troppo presto per impedir loro di occuparsi di me, ovvero di “scacchizzarmi”.

Sì, proprio di “scacchizzarmi” (vedere il Devoto-Oli).

Era il 1972, e Fischer ne fu il responsabile. Come con tanti altri, era sempre lui l’assassino. Lessi Porreca e Capablanca, poi, come tutti in quel tempo, le “60 partite da ricordare”. Il mio idolo era Znosko Borovsky. Su, non trattatemi male: ho quasi sempre scelto, nella vita, un idolo “sbagliato”, o meglio un “dio minore”. Ieri era Znosko Borovsky, oggi è Vladimir Akopian. Non si può?

Tutto ciò fu sufficiente per metter piede, una sera, nella sede di un “sindacato”, dove da qualche mese s’incontravano alcuni appassionati come me, e giocare un torneino fra soli non classificati. Per forza, perché lì non si presentò per lungo tempo nessun classificato e forse in pochi sapevano che esistesse una graduatoria nazionale o chi fosse il campione del mondo.

Il destino volle quindi che, ancora una volta, nessuno potesse insegnarmi granché, pure lì, sul gioco degli scacchi, e che io dovessi rimanere con i limiti dell’autodidatta.

Vinsi un bel po’ di partite e il torneo, ma soltanto per mancanza di gente dal gioco dignitoso. Probabilmente ero l’unico, lì in mezzo, ad aver letto ben tre libri di scacchi. Mi bastò.

Era inevitabile, viste le premesse, che quello sarebbe rimasto, più o meno, il primo ed unico successo della mia folgorante e dimenticabile carriera.

Provai, più in là, con qualche festival e per qualche anno; all’inizio andò benino, ma vincere una partita cominciò presto ad essere un’impresa ardua, già mi abituavo ad aggrapparmi ai mezzi punti, come un ex, e neppure ci riuscivo sempre.

E poi, che dire? Che certi risultati di scambio negli ultimi turni, concordati al bar dell’albergo o da qualche altra parte, mi facevano letteralmente schifo … Ricordo che una domenica mattina, ultimo turno, indisposi perfino gli organizzatori, in quanto tutte le partite erano finite ormai da ore ed io alle 14 ero ancora lì, vanamente chino sulla scacchiera, contro uno slavo tosto, tale Muha, a rischiare di far rinviare la premiazione. Ogni tanto l’arbitro, Gino Piccinin, si avvicinava a guardare la situazione, preoccupato (non c’erano gli stringenti regolamenti odierni). Vanamente per me, purtroppo.

Pian piano, di conseguenza, sarei di nuovo tornato a lasciare pezzi, riviste, appunti e libri in uno scaffale di un’ altra cantina. Mi ero, prima di far ciò, soltanto assicurato che il circolo romano, che nel frattempo era stato avviato con alcuni amici, del quale avevo proposto il nome, e presso il quale si era riusciti ad organizzare alcune attività e manifestazioni che avevano avvicinato tanti bravi ragazzi e tanti bravi giocatori, fosse in grado di camminare sulle proprie gambe negli anni a venire. Così fu, fortunatamente.

Lasciai lo Steinitz con qualche rimpianto, questo sì, ma non importa. Come non importa se là qualcuno mi ricorda, come non importano le classifiche e i tornei. L’importante è la mia memoria, ricordare e sapere di aver contribuito, fra i tanti, a creare e trasmettere qualcosa di positivo, forse, o almeno crederlo.

Ma è chiaro come pure la mia memoria non sia più quella di una volta, perché ogni tanto fatico a concentrarmi persino sul movimento dei pedoni: mi dite se li posso spingere di una sola casella o di due, al loro primo tratto? E ho quasi dimenticato anche la “variante d’Aroldo”.

Comunque, come suol dirsi, “a volte ritornano”, e adesso, dopo quasi altri trent’anni di letargo ed oblìo, eccomi riaffacciato, da umile spettatore e talora scribacchino, e come sempre in terza o quarta fila, sul balcone degli scacchi.

Alcuni amori ritornano, certo che ritornano, non ci basta non dimenticarli.

Ebbene sì, mi sento di nuovo “scacchizzato”. Martin Eden, oggi, e non più Fischer, è l’assassino. Ed ha un complice dal nome abbastanza strano (quasi come il suo … e il mio): Fritzcarraldo.

Guarirò un’altra volta? Mi “descacchizzerò” per sempre, un giorno? Ne dubito.

A proposito … ehi, Aroldo! Se per caso esisti ancora e stai leggendo qui, sappi che non ti concederò mai la rivincita, baro di un Aroldo! Bar.oldo!

Però, per favore, è ora che qualcuno dia finalmente una vera lezione di scacchi a Marramaquís …

(P.S.: nella prima e nell’ultima immagine c’è il nostro gatto, Mosè, che sembra avere buon feeling con regine e re).

avatar Scritto da: Marramaquís (Qui gli altri suoi articoli)


16 Commenti a Date una lezione di scacchi a Marramaquís…

  1. avatar
    Alessandro Corsi 30 Marzo 2012 at 07:40

    Semplicemente delizioso, grazie, continuate sempre così.

  2. avatar
    Fabio Lotti 30 Marzo 2012 at 10:10

    La variante Aroldo mi pare piuttosto interessante… 🙂

  3. avatar
    Ivano E. Pollini 30 Marzo 2012 at 11:11

    Caro Marramaquis,

    un’altra bella sorpresa da parte tua di buon mattino!

    Nel tuo intervento ci sono molte cose apprezzabili, ma ho avuto un tuffo al cuore vedendo la foto del bambino che “gioca a scacchi” col micio (forse Blu di Russia) identico ad un gatto (Rudi)che ha vissuto con noi e ci ha allietato per 17 anni, ed è morto due anni fa (tutta la famiglia in lutto).

    Bello il tuo micio.

    Letture di Capablanca e Fischer e… Znosko Borovsky!

    Se di quest’ultimo autore hai letto “The Middle Game in Chess” (Bell & Sons, London 1965), che c’è di meglio?

    Anche Capablanca nel suo “Primer of Chess” (London 1935) dice che il libro di Znosko Borovsky sul centro-partita era (allora) “pressoché l’unico libro in materia che riteneva meritevole di essere letto”.

    Il tuo articolo è veramente delizioso e aggiungerei divertente e sincero!

    “..uno che non sarà mai candidato maestro o candidato … una storia nemmeno dovrebbe averla, figuriamoci poi raccontarla”.

    Invece la storia hai fatto bene a raccontarla. E’ una storia piuttosto comune e diffusa,ma non tutti… la vogliono raccontare.

    Inoltre, se qualcosa del nostro gioco è valido, è cercare di giocare nel modo più corretto possibile e seguendo le regole.

    L’Elo, il titolo nazionale (1a Nazionale), Candidato e Maestro hanno un valore relativo e spesso NON corrispondono al “titolo altisonante”. Botvinnik non si considerava un professionista.

    Mi piacerebbe giocare con te la tua “variante degli otto Pedoni” all’Accademia Scacchi Milano..se passi da Milano..non credo che potrei darti una lezione di scacchi, ma forse,insieme,qualcosa impareremmo….

    Ancora complimenti per il tuo pregevole contributo.

    Best wishes

    Ippi (Ivano E. Pollini)

    PS – Per favore Martin Eden mettimi la foto al commento!

    • avatar
      Marramaquìs 31 Marzo 2012 at 19:06

      Ciao e grazie, Ivano. E chissà mai? Potrei magari decidermi, un giorno o l’altro, ad andare a trovare il mio buon vecchio zio Filippo, novantenne milanese DOC ancora in ottima forma, che vive nella periferia nord di Milano, a Bruzzano. E’ lui lo zio del pacco! Bruzzano è lontana dall’Accademia Scacchi?

      • avatar
        Ivano E. Pollini 31 Marzo 2012 at 22:23

        Caro Marramaquis,

        wellcome a Milano e all’ASM!

        Beato zio Filippo!

        Ma prima di tutto, spiegami p.f. da dove arriva questo tuo originalissimo e raro pseudonimo.

        Poi inviami il tuo e-mail in modo che io possa eventualmente inviarti ogni informazione utile al tuo probabile viaggio (!)…se davvero pensi di farlo…

        Su Google puoi vedere dov’e’ Bruzzano (non e’ male), oppure io stesso posso inviarti per attachment ogni informazione utile.

        L’ASM e’a Porta Ticinese, vicino alle Colonne di San Lorenzo, non lontano dal centro di Milano (Piazza del Duomo).

        Io abito a Porta Romana, non lontano dal centro e dall’ASM.

        Sia che tu passi da Milano oppure no, e’ comunque un piacere poterti conoscerti anche solo per e- mail. Un’esperienza che hai in comune con Martin Eden, che anche conosco solo via e-mail!

        Se e’ il caso, il tempo poi..provvedera’!

        Ciao

        Best wishes

        Ippi

        ********************

        Ivano E. Pollini

  4. avatar
    Venanzio Berton 30 Marzo 2012 at 12:18

    storia simpaticissima. bravo. venanzio berton

  5. avatar
    Mongo 30 Marzo 2012 at 12:44

    Davvero un pezzo esemplare e detto da uno che non ama troppo i gatti… 😉

  6. avatar
    Pantagruel 30 Marzo 2012 at 12:55

    Bene, i ricordi mi piacciono troppo e questo è esattamente quello che speravo quando ho tirato giù il pezzo che tu hai citato.
    Davvero divertente!

  7. avatar
    Luciano Nucci 30 Marzo 2012 at 14:47

    Il tuo gatto ha lo stesso mantello di quello che avevo io da ragazzo e, a proposito di ricordi, mi vengono in mente dei pomeriggi passati davanti alla scacchiera ad analizzare (non c’era ancora il PC) le mie partite per corrispondenza. Ebbene, davanti a me, dall’altra parte della scacchiera, c’era Chicco (così si chiamava il felino), a braccia, o meglio a gambe conserte, che osservava sornione e poi, di botto, allungava una gamba e… zac partiva un pedone, o un alfiere o qualcos’altro, modificando radicalmente la posizione. Chissà, forse avrei potuto vincere qualche partita in più se solo avessi dato retta all’istinto felino :mrgreen:

    • avatar
      Zenone 31 Marzo 2012 at 11:58

      Chiedo scusa se esco dal tema. Ma mi sembra di ricordare un “Luciano Nucci” che ha frequentato per qualche tempo Viareggio e la Versilia. Sbaglio? E’ lei?

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        Luciano Nucci 1 Aprile 2012 at 09:49

        Certo Zenone, sono proprio quel Luciano Nucci. Per la precisione ho frequentato la Versilia dal 1993 al 1998, periodo durante il quale ho lavorato a Massa. Ero iscritto al Circolo di Sarzana ma frequentavo regolarmente anche quello di Seravezza.
        Luciano Nucci

        • avatar
          Zenone 1 Aprile 2012 at 15:16

          Il Mondo è piccolo e quello degli scacchi ancora di più! Penso che da qualche parte conservo ancora delle nostre partite!

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            Luciano Nucci 3 Aprile 2012 at 11:05

            Io sicuramente le ho (le conservo tutte). Quello che non ho è la certezza della tua identità, anche se non credo di sbagliarmi nella mia ipotesi.

  8. avatar
    Zenone 31 Marzo 2012 at 11:59

    Il pezzo di Marramaquis è delizioso. Forse scriverò anch’io un post sull’articolo di Pantagruel anche se la mia storia è simile alla sua.

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    Brunov 1 Aprile 2012 at 15:07

    Di soggetti come Aroldo ce ne sono tanti, negli scacchi come nella vita. Se ci fate caso, tutti voi hanno conosciuto almeno un Aroldo. Tali personaggi non ammettono mai di aver sbagliato ma danno sempre la colpa agli altri, alla sfortuna, agli imbrogli di cui sarebbero vittima. Anche in politica è così: la colpa è sempre dell’opposizione, dei governi precedenti, dei complotti internazionali!

  10. avatar
    Vince 27 Agosto 2012 at 09:09

    Candidato a nulla?? Ma se questa è una delle cose più belle che io abbia mai letto…

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