Scacchista di strada

Scritto da:  | 5 Aprile 2012 | 9 Commenti | Categoria: Cultura e dintorni, Zibaldone

(Scritto in Congo in una notte senza luna, la luce di candela,  con un topino che danzava sulla zanzariera e un ragno curioso che  entrava in una scarpa per tessere una tela d’immaginaria bellezza).

Sconsiglio, come si faceva con i film di Lino Banfi (bei tempi!), la lettura di questo articolo ai deboli di ‘cuore’ ed ai minori di anni 14 se non sotto la supervisione di un adulto.

Sono in Congo… Mi hanno detto che c’è un bel clima, bella gente, buoni amici… Incidentalmente ci sono anche i ragazzi soldato, orfanotrofi, scuole da costruire, circoli scacchistici da improvvisare… Insomma è una bella vacanza-studio… Le “escort” sono tutte impegnate con i parlamentari, così vado solo con un mio amico prete nero-nero. Il mio compagno di viaggio è scampato ad un paio di massacri tribali per distrazione… Però ha un bel sorriso, di quelli che non si vedono in televisione e ti fanno pensare che un bel morso al nemico è sempre meglio di qualsiasi consiglio per gli acquisti.

Ho portato un po’ di sigari aromatizzati alla grappa, la mia pipa preferita e del tabacco scandinavo alla vaniglia… Se a volte non ritroviamo la strada del ritorno, me la spasso in riva a un bel fiume inquinato a giocare con gli scacchi con quelle scimmiette che — dicono certi antropologi — vivono in una sorta di mutuo aiuto, cioè ciascuna aiuta all’altra ad affrontare l’esistenza quotidiana.

Anna, la mia compagna, è preoccupata per la mia tosse da rigurgito e per la deficienza di vitamina ‘E’ che mi porto addosso dal ’68, quando bastavano i sogni a far scomparire tutti i dolori, quando si cantava “Bella ciao” in osterie di porto con filosofi del vino e della vita vera, e sapevamo che solo la resistenza sociale (in direzione ostinata e contraria) e l’indignazione accompagnavano i nostri passi verso una società di liberi e uguali. Formidabili quegli anni, anche i vini vennero più buoni… Figuriamoci i sogni.

E se perdo gli occhiali nella giungla? (Li perdo sempre). Sono al buio come una talpa e posso confondere un leone con un gatto selvatico e abbracciarlo. Ho anche portato un libro di Bronstejn, del quale spero presto di riuscire a scriverne la recensione per SoloScacchi, così rido da solo della mia ignoranza scacchistica studiando le sue partite.

Dormo vestito, come sempre, perché ho paura che un ‘coccodrillo’ mi entri nel letto; una volta ho trovato un ‘ippopotamo’ nel mio sacco a pelo, diceva che era di passaggio. (Ogni riferimento alle opere del De Santis è puramente voluto; NdA).

Mi affranco così a quel popolo di disperati al quale i bianchi hanno portato via tutto, perfino le foglie dell’albero del pane (il Coltan l’ha preso tutto Steve Jobs e quelli della Apple, Ibm, Sony, Disney; anche i telefonini, ipad, tablet, hanno le loro esigenze). Però ci sono ancora gli scorpioni, qualche serpente e un po’ di malaria, quella vera, da mangiare in scatola. Lì, con le mani dei gorilla grandi ci fanno i posa cenere per le case della buona società quotata in Borsa.

A volte piove e i pochi gorilla che sono rimasti non hanno l’ombrello, così ne ho portato uno giallo, tanto per non dare nell’occhio.

Spero di incontrare Lumumba o il Che o Sankara o Mandela… Mi dicono che sono là a pescare in laghi dove galleggiano corpi di bambini saltati sulle mine antiuomo fabbricate con cura in Italia, Cina, Russia e vendute a prezzi stracciati in Svizzera (il paese che ha inventato l’orologio a cucù), mai visti nei depliant delle agenzie turistiche… E poi c’è anche un regista caparbio, non ancora famoso, che cerca di fare con pochi soldi, quanti servirebbero a comprare i biscotti al cane di un Marchionne qualunque, un film sulla rivoluzione dei gelsomini… Ma, come certo sapete, il loro profumo può mutare il flusso delle costellazioni. (‘Il profumo dei gelsomini’ è anche un’opera teatrale scritta, diretta ed anche interpretata dal sottoscritto; forse un giorno, Martin Eden permettendo, ne leggeremo il testo su questo sito; NdA).

Mi hanno fatto tagliare la barba da corsaro senza brulotto, dicono che ci sono certi ragazzi armati che non sopportano i bianchi con la barba: li prendono per terroristi o mercenari della Cia e li ficcano in galere umide, poco comode, dannose per pelli delicate come la mia.  Ho detto alla Farnesina che non sono mica bianco, da tempo appartengo alla Nazione dei Seminole, l’unica tribù indiana che non mai firmato un trattato di pace con gli Stati Uniti; niente da fare: ciao mia adorata barba… A proposito dei ragazzi soldato, in Uganda mi sono commosso l’anno passato, quando un gruppo di questi ragazzi rubati all’infanzia, con i quali ho mangiato teste di capra e patate con i vermi ed ho provato ad insegnargli il nostro nobil gioco, hanno piantato un alberello con inciso sopra il mio nome; poi mi sono pisciato addosso dalla paura quando mi hanno portato in un villaggio dove tutti erano ubriachi e giocavano a tiro a segno con i fucili. Accidenti alla prostata!

Ricordo ancora con gioia, la notte ubriaca di stelle che mi guardava un po’ stupida e mi fece pensare a  Fischer in Islanda, quando vestito solo con una coperta, dopo una sauna, teneva un cavallo in mano con l’aria di chi pensa a: “Che ci faccio qui?“… Ma anche lui, dopo essere entrato nella storia degli scacchi ed averla volutamente abbandonata dopo solo due anni di regno, aveva compreso che gli idioti stanno sempre dalla parte del più armato e albergano nella fenomenologia della mediocrità.

Lo scacchista di strada è colui che, una volta viste le sue partite, ti dà la sensazione che le sue migliori mosse siano già state fatte o ancora da fare… Io traffico con gli scacchi sulla strada, sgangherati, indocili… Non ho mai compreso bene il matto arabo, l’attacco di minoranza, l’importanza delle case deboli. Ho da sempre intuito che dietro un GM c’è un bel genio: la sola mossa buona è quella che dopo averla giocata due volte non la dimentichi; ecco perché sono esperto in stalli e finali perduti… E pensare che c’è chi ancora crede che con gli scacchi possa ascendere alla “celebrità del mondano” e non si accorge di diventare un patetico clown della società dello spettacolo.

Così sono venuto in Congo a sostenere (per quanto posso, con i miei scacchi) i progetti di un amico prete (congolese) ed un’associazione in difesa dei bambini (tutta gente perbene), dalle parti del lago Kivu: la zona infestata dai “ribelli” rwuandesi e ugandesi (bande armate, mercenari, banditi inclini al saccheggio e al tiro a segno su quanti circolano da quelle parti, anche se vanno a caccia di farfalle). I militari della Repubblica Democratica del Congo che sorvegliano quei confini non scherzano, in pochi giorni mi hanno arrestato tre volte e questo è disagevole per uno scacchista di strada come me. La galera mi fa male, non la sopporto… Ho  bisogno del mio bagno, dei miei libri, dei miei scacchi, di vedere un certo cinema (magari muto o in bianco e nero) mentre fumo la mia pipa con il tabacco alla vaniglia. In galera dovrebbero metterci quelli che stanno al governo, senza distinzione, le gerarchie ecclesiastiche, i mercanti di armi, i responsabili della Banca mondiale,  del debito estero, dell’Onu, della Croce Rossa, i criminali della finanza globale… Non gli scacchisti di strada, che hanno solo l’ardire di ‘giocare’ seguendo un Utopia dalla parte degli esclusi, dei violentati, degli offesi… E cos’è l’Utopia? Nient’altro che camminare in avanti senza mai raggiungere l’orizzonte del sogno… questa è l’Utopia. Camminare insieme agli ultimi, a chi non ha voce né volto e accogliere il diverso da sé, fare della fraternità e dell’uguaglianza un ponte verso una società di liberi e di uguali.

I militari congolesi non volevano comprendere perché ero lì a fare delle “semplici partite a scacchi”. Eppure cercavo di spiegarmi alla meno peggio in italiano e loro mi rispondevano in swahili, francese, inglese… Mi chiedevo, ma come è possibile che siano così ignoranti, conoscono solo tre lingue e non comprendono il ‘mandrogno’, dialetto alessandrino (che tanto fa ridere nella mia triste città). Così la prima volta che mi hanno fermato si è risolta con il pagamento di quattro euro donati dal mio risoluto accompagnatore in cambio di giocare una simultanea nella “spiaggia pubblica”. Lì donne e bambini ridono ancora,  i giovani pescatori mi lasciavano vincere qualche partita e qualcuno mi ha offerto del pesce appena arrostito sul carbone.

La volta successiva mi hanno sequestrato in un villaggio, che si chiama “Rubare”, insieme al mio amico prete (che è di quelle parti) e ci hanno scortato in una sorta di Hotel Rwanda (dodici militari armati fino ai denti). C’era da morir dal ridere se non dalla paura. Comunque il maggiore (un Watusso alto quanto un fusto di banane) era stato a scuola dal mio amico prete che aveva insegnato in quel villaggio dimenticato da dio e dagli uomini. Come si sa i buoni allievi non dimenticano mai i bravi maestri e così siamo stati a parlare per quasi sei ore, senza un filo di luce… Non capivo niente di quanto dicevano il capitano, il maggiore, il colonnello e il prete nero-nero, vedevo solo i loro denti bianchi-bianchi, davvero invidiabili… Guardavo i ragazzi armati che ci circondavano e pensavo che sarebbe stato davvero un peccato non poter più vedere le partite di Carlsen, Aronian, Caruana… Ovunque c’erano soldati (nemmeno ventenni, armati di ottimi fucili a ripetizione, con la faccia non proprio di lavoratori che cantavano la Marsigliese)… Abbiamo bevuto non so quante birre, infine li ho battuti tutti con delle partite napoleoniche… In fondo erano simpatici, nello loro smisurata imbecillità, tuttavia non mi sentivo a mio agio, mi ricordavano certi nazisti che si occupavano di  ‘pulizie etniche’ che caricavano gli ebrei, gli zingari, gli omosessuali, i disabili ed i sovversivi senza un filo di grazia sui treni per Auschwitz (che arrivavano in perfetto orario) ed offrivano a tutti il biglietto di sola andata… Alla fine della festa ci hanno scortato nel villaggio del prete, Ntamugenga (Luogo senza capi), perché hanno poi detto al mio amico che l’intelligence locale era venuta a conoscenza di un agguato lungo la strada (preparato da alcuni simpatici giovani del villaggio dove avevo anche giocato a scacchi con il capo) per prenderci i pochi soldi che avevamo e quel che era più grave, derubarmi della mia scacchiera… Ora, siamo d’accordo che fondare un banca è un atto criminale quanto e certo più di rapinarla, come diceva Bertold Brecht, ma sottrarre scacchi e scacchiera ad uno scacchista di strada è qualcosa di inaccettabile… Roba da andare direttamente all’inferno senza passare dal tribunale sui crimini contro l’umanità.

L’ultimo giorno è stato il più difficile; ho giocato a scacchi con delle lavandaie e dei pescatori sul lago Kivu… In un attimo mi sono trovato circondato da rigidi poliziotti in borghese, poi una piccola folla vociante mi si è fatta intorno. Gridavano in francese, inglese, swahili. Cercavo di rispondere in ‘mandrogno’. Capivo che non conoscevano la lingua nemmeno qui. Cosa imperdonabile nella società della comunicazione globale. Il mio autista tremava come una foglia di fico. La mia paura era celata bene, credo… Mi sudavano anche i coglioni dal terrore, però facevo finta di essere John Wayne quando sparava negli occhi agli indiani in Sentieri selvaggi… I poliziotti chiedevano soldi, il passaporto e la scacchiera (ci risiamo dico dentro di me, si vede proprio che ce l’hanno con gli scacchi). Volevano che li seguissi in caserma… Il capo-manipolo aveva urlato (in un inglese da baronetto, alla Beatles, per intenderci) che mi mettevano in galera… Porca miseria! Penso… Stai a vedere adesso che mi portano in una cella senza acqua né luce e mi danno da mangiare qualche patata e un po’ di riso… Il che è disdicevole per uno scacchista di “fame internazionale” come sono io (che gioca con un certo grado di qualità, riconosciuta soprattutto nelle più malfamate osterie di porto, nei lebbrosari o nei manicomi)… Ed al mio labrador poi chi ci pensa… e Anna, Viola, Lulù (la più dolce gnappetta del mondo), i miei amici dell’E.C.G. Scacchi Club, gli spaghetti col peperoncino di Anna, i tramonti malinconici dal cavalcavia, il mio covo foderato di libri del Guevara in via Marx, i miei amici in anarchia… Insomma, non è davvero possibile che possa passare non so quanti giorni in una galera che nemmeno conosco. Infine un poliziotto si è staccato per andare a chiamare il camion dei militari dove dovevo salire, ho cominciato a bestemmiare  (in ‘mandrogno’ stretto) e quando ho visto passare un ragazzo, con il quale avevo già giocato qualche partita, su una motocicletta… Gli ho fatto cenno con gli occhi (che sono una sorta di esperanto internazionale) e sono saltato in sella. Ho indicato al mio autista di montare sulla moto dell’ altro ragazzo. Ho detto al ragazzo — “Scappa, vola sino all’ottava traversa” —. Ho chiesto “asilo politico” nel primo villaggio incontrato lungo la strada della fuga. Quando al villaggio hanno visto in che condizioni ero sono stati caritatevoli e mi hanno aperto le porte del paradiso… Il mio autista, temendo che i militari entrassero nel villaggio, ha cominciato a correre verso il lago e si è nascosto sotto un cespuglio, poi è scivolato nell’acqua e gli ho allungato una mano… Tremavamo dalla paura; ho acceso un sigaro alla vaniglia in attesa che accadesse qualcosa… Poi è arrivato il mio amico prete ed abbiamo pranzato con il pesce del lago, però alcune verdure mi hanno regalato la diarrea… Due padri, non so a quale ordine appartenessero, mi hanno dato un paio di pastiglie vaticane e ho retto, non proprio bene, fino al ritorno a casa, avevo comunque conservato nel mio fedelissimo tascapane  i formulari con quasi tutte le più di duemila partite giocate durante tutto il viaggio. Quell’ultima notte in Congo, bagnato di sudore freddo, ho detto al solito topino che veniva a giocare tra le mie cose: sono gli scacchi bellezza, e nessuno non ci può fare niente!

infanzia in Congo

In quella terra fertile, ricca di molte cose (il Coltan, ad esempio, che come sappiamo è quasi solamente in Congo e permette la comunicazione delle nuove tecnologie in tutto il mondo… O i diamanti, merce di scambio dei “signori della guerra” per  nuovi saccheggi del continente africano), il potere politico impone un sistema di deprivazione e uccide l’immaginario sociale… Fabrizio De Andrè aveva compreso tutto quando cantava: “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori”… La critica radicale del dominio dell’uomo sull’uomo è passata per le armi… Organizzare la vita collettiva diventa difficile… La sovranità del popolo (ma in ogni parte della terra è la medesima cosa) è seppellita nell’assassinio dei Lumumba africani e gli uomini (non solo africani) non potranno conoscere la bellezza della democrazia partecipativa finché tutti i beni non saranno messi in comune, finché non ci saranno né villani né nobili e finché con le budella dell’ultimo massacratore non sarà impiccato l’ultimo padrone. Il raggiungimento di una società di liberi e uguali è tutta qui.

Sia lode ora a uomini di fama e a scacchisti di strada.

Ho letto le 2 ‘Letterine giocose dal Congo’ di Pino Bertelli sul blog di Utopia Rossa (www.utopiarossa.blogspot.com) e mi sono talmente immedesimato nei tratti e nei sentimenti di Pino che le ho fatte mie. Nell’originale l’io scacchista di strada, è invece lui fotografo di strada, quello che riesce meglio al signor Bertelli, che essendo anche lui contrario ad ogni forma di copyright mi ha detto, tramite l’amico Massari, prendi e fanne pure ciò che vuoi, ma con onore!!

avatar Scritto da: Mongo (Qui gli altri suoi articoli)


9 Commenti a Scacchista di strada

  1. avatar
    Giuliano 5 Aprile 2012 at 06:25

    Un racconto suggestivo, letto con avido interesse alle 5 del mattino, tra sogno e realtà, speranze e disillusioni. Complimenti! (adattamento compreso)

  2. avatar
    fds 5 Aprile 2012 at 09:20

    “…essendo anche lui contrario ad ogni forma di copyright mi ha detto, tramite l’amico Massari, prendi e fanne pure ciò che vuoi, ma con onore!!”

    😉

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    Fabio Lotti 5 Aprile 2012 at 09:21

    Racconto di grande spessore umano.

  4. avatar
    Jas Fasola 5 Aprile 2012 at 11:29

    Mi sembra di capire dalla tosse da rigurgito che sei anche tu iscritto al mio stesso club (Club dell’Ernia Jatale) 😥

    • avatar
      Mongo 5 Aprile 2012 at 12:43

      Mi auguro per te che il tuo ‘club’ non sia così ‘tragico’ come il mio (AVED), anche se ce ne è, purtroppo, di peggiori!!! :mrgreen:

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    Luca Monti 5 Aprile 2012 at 12:02

    Complimenti davvero.Racconto intenso e coinvolgente.

  6. avatar
    Marramaquìs 5 Aprile 2012 at 18:02

    Mongo, quasi non ho parole. Oggi, per me, tu hai 5.109 punti Elo, come i metri del Ruwenzori. Sei il Maestro più Grande di tutti. Grazie.

  7. avatar
    Yanez 5 Aprile 2012 at 21:11

    Emozionante e denso di contenuti …da leggere tutto d’un fiato!

  8. avatar
    Lilly 10 Aprile 2012 at 22:07

    Grande come sempre ! Bello ! (Il pezzo che hai scritto s’intende 😆 ) Baci

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