Il giocatore di scacchi che non impiccarono

Scritto da:  | 30 Aprile 2012 | 2 Commenti | Categoria: C'era una volta, Personaggi, Stranieri

La sera seguente – 20 gennaio – Wallace si recò nella zona di Menlove Gardens, ma, nonostante esistessero le vie Menlove Gardens South, North e West, non riuscì a trovare – visto che era inesistente – la Menlove Gardens East indicata da Qualtrough nella telefonata della sera precedente, e non poté fare altro che rientrare, un tragitto abbastanza lungo, ed alle 20.45 circa varcò la porta di casa al numero 29 di Wolverton Street.

Sua moglie, Julia, giaceva morta sul pavimento del salotto, colpita da un corpo contundente – probabilmente un randello – che non venne mai trovato. Wallace chiamò la polizia, e l’ispettore Herbert Gold iniziò immediatamente le indagini. Il giorno seguente tutti i quotidiani di Liverpool e del Regno Unito pubblicarono la notizia con grande risalto, mettendo sotto pressione gli inquirenti.

Due giorni dopo il delitto, Wallace, al City Café, in presenza dell’amico Caird, chiese a Beattie una precisa indicazione sull’orario della telefonata del misterioso Qualtrough, ma Beattie non poté fornire un orario preciso, indicando “le sette o poco dopo”. Le indagini accertarono l’orario preciso della telefonata (le 19.20) grazie alle registrazioni del centralino locale della zona di Anfield: la chiamata era stata effettuata da una cabina (il cui numero era Anfield 1627) distante poche centinaia di metri dall’abitazione dei Wallace.

Il 2 febbraio l’ispettore Gold arrestò Wallace con l’accusa di omicidio premeditato e di aver inventato il personaggio di Qualtrough per crearsi un alibi per la sera del 20 gennaio. L’inizio del processo venne fissato per il 22 aprile, e la stampa si scatenò dividendosi tra innocentisti e colpevolisti. Presidente del procedimento sarebbe stato il giudice Justice (nomen omen) Wright, la difesa fu affidata all’avvocato Roland Oliver, mentre la Corona – la pubblica accusa – sarebbe stata rappresentata da Edward George Hemmerde.

Fin dalle prime battute del processo accusa e difesa si trovarono d’accordo su di un punto: l’autore della telefonata, il misterioso Qualtrough, era certamente anche autore del crimine. Le due tesi, tuttavia, differivano proprio su questo personaggio: l’accusa sosteneva che Qualtrough non era altri che lo stesso Wallace, mentre la difesa affermava che il “telefonista” era un rapinatore il cui scopo era quello di allontanare Wallace fornendo un indirizzo rivelatosi inesistente.

La difesa, inoltre, accampava altri argomenti.

Dov’era il movente? Dalla testimonianza di Caird, che occasionalmente frequentava l’abitazione dei Wallace per giocare a scacchi col padrone di casa, i coniugi parevano una coppia assolutamente tranquilla. In più, non esisteva un movente di lucro: la morta non possedeva beni. Anche Beattie descrisse Wallace come persona timida e riservata, senza eccessi di sorta e totalmente alieno da atteggiamenti violenti. Riferì anche che, in una conversazione di molto tempo prima, Wallace aveva giustificato le sue rare visite al circolo col motivo di non voler lasciare sola la moglie nelle ore serali.

Dov’era l’arma del delitto? Si trattava, dall’esame del coroner, probabilmente di un randello, ma questo randello non era stato trovato né all’interno dell’abitazione né all’esterno.

Dov’erano gli eventuali testimoni a carico? Esistevano soltanto quelli a discarico, se così si potevano definire i soci del circolo coinvolti nella faccenda.

L’accusa, tuttavia, insisteva sulla tesi formulata dall’ispettore Gold al termine delle indagini: Qualtrough e Wallace erano la stessa persona, la telefonata era partita da una cabina situata a poca distanza dalla casa del delitto e, studiando i tempi, Wallace avrebbe potuto effettuare tale telefonata alle 19.20 e raggiungere il City Café alle 19.45, nonostante la notevole distanza che separava i due luoghi , grazie ad una fermata di tram posta a pochi metri dalla cabina telefonica La difesa, tuttavia, contestò tale ipotesi, sostenendo che Qualtrough aveva telefonato da quella cabina proprio per verificare se e quando Wallace sarebbe uscito di casa per recarsi al circolo.

Perché Qualtrough non aveva richiamato, come suggerito da Beattie? Anche questa considerazione andava ad aggiungersi alla rete di indizi che surrogavano l’accusa: Qualtrough / Wallace non poteva richiamare in quanto stava percorrendo il lungo tragitto tra Wolverton Street ed il City Café.

Ogni dettaglio connesso al delitto poteva essere interpretato in due modi, tra loro contrastanti, interrogatori e controinterrogatori si susseguivano, facendo pendere la bilancia ora in favore dei colpevolisti ora degli innocentisti. Di fronte a questa intricata matassa di indizi e di smentite, l’atteggiamento di Wallace fu imperturbabile e distaccato, anche quando si affacciò alla ribalta, inaspettatamente, una nuova figura: Richard Gordon Parry, un ex collega di Wallace, frequentatore anch’egli del City Café dove, il giovedì sera, si riunivano gli attori di una compagnia di dilettanti.

Fu lo stesso Wallace a scagionare Parry da qualunque sospetto. Dichiarò di averlo visto di tanto in tanto da quando Parry era passato ad un Compagnia assicurativa concorrente e che il loro ultimo incontro era avvenuto in novembre proprio al City Café ; in tale occasione si erano scambiati un breve saluto. L’ipotesi di una complicità di Wallace e Parry nel delitto venne ben presto accantonata, e Parry uscì di scena rapidamente.

L’accusa puntava chiaramente a consolidare una serie di indizi, uno dei quali faceva parte della deposizione che Wallace aveva rilasciato all’ispettore Gold prima di venire arrestato da quest’ultimo: “Non avevo detto ad alcuno che sarei andato al Circolo, e non riesco a pensare a qualcuno che sapesse che vi stavo andando”. Ebbene, come poteva Qualtrough sapere con certezza che Wallace si sarebbe recato al Circolo la sera del 19 gennaio? Per preparare il delitto della sera del 20, Qualtrough doveva aver consultato il tabellone del torneo, e doveva aver visto che Wallace aveva “saltato” gli incontri con McCartney il 24 novembre 1930 (incontro che, come abbiamo visto, venne “recuperato” la sera del 19 gennaio), con Moore l’8 dicembre e con Walsh il 5 gennaio 1931.  Dal tabellone risultava che l’unico incontro del torneo disputato da Wallace era quello del 10 novembre contro Lampitt: cosa rendeva Qualtrough sicuro della presenza di Wallace la sera del 19 gennaio?

Era un argomento a favore dell’accusa, ma il dibattimento proseguiva con un “botta e risposta” che rimetteva continuamente tutto in discussione. La tesi difensiva, che descriveva Qualtrough come un ladro intenzionato ad allontanare da casa Wallace per rubare il denaro incassato da quest’ultimo dai clienti, venne controbattuta dall’accusa con gli argomenti che sono stati appena esposti.

Un capitolo importante del processo fu quello che si incentrò sugli aspetti puramente scacchistici dell’intera vicenda. L’accusa ammise  la complessità del caso, attribuendola alla capacità dell’imputato – grazie alla sua abilità scacchistica – di architettare piani complessi e di saper prevedere mosse e contromosse future. “Noi crediamo” disse il sovrintendente Moore a Wallace nell’interrogatorio che portò poi all’arresto ed all’incriminazione “che lei abbia pianificato ed eseguito questo crimine con la stessa abilità e preveggenza che avrebbe usato giocando una partita di scacchi”. Di tale “abilità” parlarono, anche dopo la conclusione del processo, alcuni esperti giocatori locali, primo tra tutti l’avvocato Hector Munro, un Maestro locale iscritto allo stesso club di Wallace, e che definì lo stile di gioco di quest’ultimo come “esecrabile”. “Ogni apertura che egli giocava poteva essere descritta come ‘una chiusura’”.

Diciotto anni dopo il processo, Munro scrisse alla rivista Chess , che si era occupata del caso Wallace, quanto segue: “Ritengo di essere particolarmente qualificato a parlare di questa faccenda, poiché sono stato l’avvocato del signor Wallace fino alla sua morte, ed anche perché ero (e sono ancora) membro del Liverpool Central Chess Club. Conoscendo, io penso, come minimo parecchio di più su questo caso di chiunque altro al mondo, sento il dovere di dire che secondo me Wallace era innocente.(…) Wallace lavorava per la Prudential, che supportò la sua difesa. (…) Dopo la sua assoluzione in Corte d’Appello fu reintegrato, e ricordo che pensò sempre di avere il diritto di essere considerato innocente. Penso che a tale proposito egli avesse perfettamente ragione. (…) Sfortunatamente egli era già malato prima del processo, e confidava molto nell’assistenza da parte della moglie. Senza di lei la sua salute declinò rapidamente. (…) Che la sua detenzione sia stata annullata per decisione unanime della Corte d’Appello fu, secondo me, un trionfo della giustizia britannica”.

Altri usarono definizioni come “un incapace entusiasta” o “un vandalo scacchistico” o ancora “un giocatore di terza categoria iscritto ad un oscuro e piccolo circolo” e così via, fino al consocio che dichiarò: “A parte l’uccisione di sua moglie, penso che Wallace meriti l’impiccagione per essere un così scadente giocatore di scacchi”.

Si giunse così al 25 aprile, giorno in cui vennero pronunciate le arringhe: Nel corso dell’intero dibattimento il giudice Wright non aveva nascosto le proprie perplessità riguardo la tesi accusatoria, ma la giuria popolare fu di diverso avviso: dopo poco più di un’ora di camera di consiglio, giudicò Wallace colpevole di omicidio premeditato, e Wright non potè fare altro che condannare l’imputato a morte mediante impiccagione.

Il difensore Roland Oliver presentò immediatamente il ricorso in appello. In tale secondo grado di giudizio, il 19 maggio,  Wallace  venne prosciolto dalle accuse sulla base di prove insufficienti e posto in libertà. In seguito, molti conoscenti lo evitarono, nonostante egli protestasse la propria innocenza, ma il caso continuò ad essere discusso in articoli e libri che riscossero un notevole successo tra il grande pubblico, che continuò ad essere diviso tra innocentisti e colpevolisti. Parecchi anni dopo anche il grande Raymond Chandler, creatore del personaggio di Philip Marlowe e giallista di fama mondiale, espresse il proprio giudizio nei termini seguenti: “Il caso Wallace è unico tra tutti gli assassinii misteriosi (…) Lo definisco l’assassinio impossibile in quanto Wallace non poteva averlo commesso, così come nessun altro”.

(continua…)

avatar Scritto da: Paolo Bagnoli (Qui gli altri suoi articoli)


2 Commenti a Il giocatore di scacchi che non impiccarono

  1. avatar
    Mongo 1 Maggio 2012 at 01:20

    Sempre più intrigante…

  2. avatar
    Attilio M. S. Leone Liistro 30 Dicembre 2018 at 19:10

    Non ci sono elementi per ritenere che si fosse trattato di un omicidio per rapina, come invece ipotizzato da qualcuno.

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