Réti…colato

Scritto da:  | 16 Settembre 2012 | 13 Commenti | Categoria: C'era una volta, Cultura e dintorni, Curiosità, Personaggi, Stranieri, Zibaldone

Poi, d’un tratto, il gioco del gatto con il topo finì…

Il cielo piangeva come non mai quella sera di metà novembre, novembre 1958; pareva già di essere in inverno, ai piedi della Sierra Maestra. Un inverno che si preannunciava lungo e duro da superare, almeno come quello che l’aveva preceduto.

Dopo tre anni di guerra contro i ribelli, passati su vari fronti, il tenente Ángel Sánchez Mosquera, il più coraggioso, il più assassino, il più ladro fra tutti i capi militari che aveva Batista, su una sedia a rotelle per le ferite riportate nella battaglia di Pica Pica, non si faceva più alcuna illusione.

Nelle ultime settimane i barbudos guidati da Ernesto Che Guevara e da Camilo Cienfuegos avevano preso Camagüey, Las Villas, Fomento, prima di fermarsi per prepararsi alla conquista di Santa Clara. Ora cominciavano giorni di noia, di logoramento, di sostanziale vuoto.  Non di tranquillità però: le bande dei ribelli erano sempre attive e non si doveva proprio abbassare la guardia.

Piovigginava. Il sottotenente Gino Doné Paro (uno dei quattro stranieri imbarcatisi sul Granma), e le compagne del M 26-7  Lidia Doce Sáanchez e Clodomira Acosta Ferrals, avanzavano a stento, qua e là scivolando ed inciampando, il freddo che passava facilmente le loro leggere e lacere divise. Nel buio ormai incombente i tre ribelli cercavano di superare, per sentieri scoscesi e pericolosi, quell’ultimo ostacolo che li separava dalla loro città, Santa Clara, dalla quale mancavano ormai da parecchi mesi. Non avevano più notizie dei loro cari da quando si erano fatti rivoluzionari dandosi alla clandestinità.

Dopo la loro ultima missione non erano poi riusciti ad aggregarsi alle truppe dei ribelli e così, privi di comandi, si erano dati alla macchia; avevano risalito la Sierra Maestra clandestinamente, ora precedendo ora seguendo la linea del fronte, muovendosi per lo più di notte e nascondendosi di giorno, elemosinando qua e la un po’  di pane, un po’ di paglia, un’ora di riposo. Ora la loro odissea stava per finire: oltrepassate le linee controllate dai barbudos, si arrampicavano verso Santa Clara, ancora controllata dagli uomini dell’esercito di Batista,  contando di discendere finalmente verso la cittadina, se tutto andava bene, dopo quella notte.

Sarebbero arrivati a casa… a casa! Con tutto quel che ciò significava, nonostante le condizioni non certo molto floride con cui sapevano, temevano, di doversi confrontare. Dovevano poi, subito, pensare ad organizzare la guerriglia urbana per favorire l’ingresso in città delle truppe dei ribelli. Spesso è proprio la vicinanza della meta che induce a ridurre le cautele; o forse è semplicemente la stanchezza, lo sfinimento: non si può continuare a fuggire in perpetuo…

Sfortuna volle che i tre passassero proprio sotto alla postazione di una sentinella, da poco allertata dall’ufficiale nel suo giro serale di ispezione: “Alt! Chi va là? Fermi o spariamo!”.

Le intimazioni, quasi sparate, colsero i nostri tre completamente di sorpresa.

Impietriti, attoniti, non pensarono nemmeno di tentare la fuga e furono subito catturati e condotti davanti a Sánchez Mosquera, ancora intento alle sue annotazioni burocratiche. “Toh! Tre ribelli!”, esclamò levando lo sguardo sul lacero terzetto. “Cosa stavate facendo?”, cominciò a chiedere, esaminando nel frattempo i pochi documenti ed effetti personali sequestrati. “Ecco, tenente, noi … non siamo guerriglieri…  Noi siamo solo dei contadini e… Stiamo tornando a casa…” , cominciò a spiegare Gino, l’unico che sembrava in grado di parlare. “Ah! – Esclamò beffardamente Sánchez Mosquera – Quindi tu non sei un ribelle agli ordini di quel bischero di Fidel Castro, no? E voi due non siete guerrigliere, no?”. Tre teste si mossero, speranzose, in una muta conferma. “Allora siete spie, sabotatori, banditi – esplose in un crescendo quasi cumbiano – presi sul fatto nelle nostre linee! E come tali sarete trattati!… Sergente: fucilateli tutti, subito. Alla svelta!”.

Il sergente e quattro soldati stavano già portando via i tre malcapitati, che ora avevano ben compreso quale sarebbe stata la loro sorte e perciò tentavano di protestare e di resistere in ogni modo, quando lo sguardo di Sánchez Mosquera fu catturato da qualcosa, nel mucchietto di oggetti che aveva davanti, che prima gli era sfuggito. Chiese perciò ad alta voce che venisse ricondotto Gino Donè Paro. “Questo pezzo, questo re degli scacchi e tuo, forse?”.

Si, è un po’ il mio portafortuna…” .

Tu non sei cubano… Tu sei straniero… Tu sei italiano, vero? Conosci dunque il gioco degli scacchi?”.

Beh, si, mi e sempre piaciuto giocare, ma sono solo un dilettante…

Ach… Dilettante! Io invece sono un Maestro qui a Cuba! Non può esserci partita tra noi… Tuttavia… è tanto tempo che non gioco! Ascolta! Tu fai ora una partita con me e se tu vinci… Ah! Ah!… o anche se solo se tu fai patta, tu sei salvo, libero, vai a Santa Clara o dove tu vuoi. Se perdi, sei morto! Accetti?

A Gino Doné Paro non restava molta scelta, quindi accettò.

Era esausto, affamato, pieno di sonno e di freddo. Stava per essere fucilato, non giocava anch’egli da anni, l’ultima partita la fece in Messico con il Che Guevara alcuni anni prima, ed ora doveva vedersela con un maestro. Tuttavia, deciso tra se che non gli restava altro da fare, cercò di annullare mentalmente tutte le difficoltà, si sedette alla scacchiera, ebbe in sorte il Bianco, cominciò una partita di attacco e, almeno all’inizio, sorprese l’avversario. Il quale però non era Maestro per nulla: facendo valere una tecnica superiore, con un’abile serie di cambi ristabilì ben presto l’equilibrio, costringendo l’italiano ad entrare in un finale con due pedoni di meno, apparentemente senza scampo. Ecco la posizione, con mossa al Bianco:

Era ormai notte fonda. Gino si rese conto di essere perduto ma non volle ancora darsi per vinto e, le mani protese a schermare gli occhi dalla cruda luce dell’unica lampadina che pendeva dal soffitto, si mise a pensare freneticamente, non poco disturbato per altro dai sarcastici commenti di Sánchez Mosquera: a quale arbitro, d’altronde, poteva appellarsi?

Scarsone, perché non abbandoni, italiano dei miei stivali! Non vedi che il mio re è nel quadrato, mentre il tuo re può prendere al massimo il mio pedone arretrato?  Tu, non hai più scampo, non hai più alcuna speranza, abbandona!” continuava a declamare trionfante. Eppure Gino voleva ancora qualcosa a cui attaccarsi, ma cosa?

Inspirò profondamente, chiuse gli occhi. I farneticamenti di Sánchez Mosquera si attutirono come in una nebbia, e dalla nebbia uscì distintamente, sempre più distintamente la voce pacata del Che Guevara, che in Messico durante la preparazione alla guerriglia, durante i momenti di pausa, tirava fuori la sua scacchiera e giocava a scacchi con gli altri guerriglieri: “Vedi, Gino, negli scacchi, come nella vita, le cose non sempre sono quelle che sembrano a prima vista: prendi per esempio questi studi di Retí, che mi sono arrivati proprio oggi da Hilda… L’autore li chiama: ‘finali con un contenuto straordinario’, ed ha ragione. Vedi questo ad esempio? Il Bianco sembra battuto, perché ha due svantaggi, ma il Nero non può approfittare di entrambi…”.

La nebbia si squarciò, sulla brandina del Che comparve, nitido, un libretto sulla cui copertina giallina era impressa, sotto grandi caratteri gotici, proprio la ‘sua’ posizione!

(Erano molto comuni libri in tedesco in tutta l’America Latina in quel periodo, a causa della numerosa presenza di tedeschi fuggiti dalla Germania sul finire della II guerra mondiale ed emigrati in Argentina, Uruguay, Brasile e Cile; NdA)

Ora ricordava perfettamente quel frontespizio, e lo ‘lesse’ ad alta voce al suo avversario: “Richard Retí: Samtliche Studien, Märisch Ostrau, 1931: non le ricorda nulla, Maestro?“.  Gino senza accorgersene parodiava pericolosamente l’accento di Sánchez Mosquera.

Ecco qua: il Bianco muove e patta!”… E giocò Rg6 con grande sicurezza.

Sánchez Mosquera impallidì, poi arrossì, impallidì di nuovo. Prese anche lui tempo, rifletté a lungo e poi, riluttante, con una smorfia tirata, tese la mano: “D’accordo, hai pareggiato. Grazie a… Retí sei libero. Prendi il tuo Re porta fortuna e vattene: l’ufficiale di Batista ha una sola parola!

Grazie tenente ma… Le mie due compagne?… Sono libere anche loro?

Oh, quelle? No, non posso più salvarle, non hai udito gli spari? Sono già state fucilate, quelle non erano scacchiste…”.

Albeggiava. Gino Doné Paro, scosso ancora da sentimenti contrastanti, scendeva a balzi, quasi correndo, il ripido pendio: la gioia per essere salvo, sia pure per il momento, e di poter rivedere di li a poco i suoi cari, o almeno quelli che gli restavano, lo inebriava; ma era inquinata dalla pena per le  due compagne, morte senza colpa, senza enfasi e senza motivo; solo per un capriccio della sorte, perché ‘non erano giocatori di scacchi’.

Egli era salvo a prezzo delle loro vite. Non lo avrebbe mai dimenticato. Per il resto della sua esistenza, giurò a se stesso, avrebbe aiutato gli altri, fossero cubani, italiani o stranieri, purché in difficoltà. Avrebbe pagato questo debito. Lo doveva.

Albeggiava. Ángel Sánchez Mosquera scrutava il fondovalle, in direzione di Santa Clara. Quel puntino scuro che a tratti scorgeva muoversi nella foschia doveva essere Doné Paro… Si, quel dannato ribelle italiano!

Sorrise, suo malgrado, la prima volta dopo mesi.

Ripensò agli avvenimenti della notte, alla loro singolarità. Nessun rimorso, quando mai, per le due ‘ribelli’ fucilate, no; aveva solo obbedito agli ordini. E invece… Tutto sommato, provava quasi una sorta di soddisfazione per l’esito di quella strana partita. Certo, aveva lasciato andare un potenziale nemico (per di più con un salvacondotto, nel caso fosse incappato in un rastrellamento dei soldati di Batista in pianura…) e nessun superiore l’avrebbe scusato, se avesse saputo. Certo, non aveva vinto la partita come avrebbe potuto e dovuto e per questo, sotto sotto, il suo ego scacchistico continuava a lamentarsi. Tuttavia… Sentiva che presto la guerra sarebbe finita: questione di mesi se non addirittura di settimane. Questo pensiero, che la sera prima lo aveva riempito di vuoto, di amarezza e di disgusto, riusciva ora ad apparirgli come un inizio di nuove possibilità, come un segno di speranza. Debolmente, quasi impercettibilmente, sorrise ancora: laggiù il puntino mobile era ormai scomparso.

Sánchez Mosquera  alzò ugualmente il braccio in un ultimo, silenzioso saluto.

avatar Scritto da: Mongo (Qui gli altri suoi articoli)


13 Commenti a Réti…colato

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    Jas Fasola 16 Settembre 2012 at 11:04

    Bravo Mongo! Rubami pure bellissimi studi, come questo!

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    piercarlo bina 16 Settembre 2012 at 12:01

    Bellissimo, Mongo. Anche se triste, per l’ assassinio delle due compagne, ma…”Mai nessuno scorderà – tutti i nomi degli eroi – morti per la libertà”.
    La cosa incredibile è che anche a me, che non posso neppure definirmi un dilettante, quasi d’ impulso è venuto da giocare Rg6 !
    Ciao !!!

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    Leo 16 Settembre 2012 at 21:47

    Quanta creatività… Bravo Mongo !!!

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    paolo bagnoli 16 Settembre 2012 at 22:50

    Bello, veramente! Da quanto riesco a capire, la tua ammirazione per il Che è pressochè sconfinata. Sui rapporti tra lui e “i” Castro, tuttavia, ci sarebbe molto da dire e molto su cui riflettere…

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      Mongo 16 Settembre 2012 at 23:31

      Proprio un anno fa, circa, era il 7 ottobre, data dell’ultima pagina scritta del diario di Bolivia del Che, ho organizzato ad Alessandria l’incontro annuale della Fondazione Guevara con argomento proprio ‘i rapporti tra Che e Fidel’. Non erano solo rose e fiori!
      (L’incontro del 2012 si terrà in Sardegna, Nuoro il 5 ottobre e Pabillonis dal 6 al 7 ottobre). 😎

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    purplerain 17 Settembre 2012 at 13:40

    Mongo, apprezzo la tua ammirazione per il Che che a mio avviso rappresenta un esempio per il genere umano sull’emancipazione dell’uomo.
    Ma toglimi un dubbio: sbaglio o hai fatto confusione sulle stagioni?
    So che a Cuba ci sono due stagioni distinte, Da Novembre ad Aprile è quella secca e fresca ma le temperature min. non scendono mai sotto i 18 gradi tanto che questo è il periodo migliore per visitare l’isola.
    Hasta siempre!

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      Mongo 17 Settembre 2012 at 14:19

      Hai ragione, ma l’ho fatto apposta; volevo fare risaltare il coraggio/eroismo dei guerriglieri, ricamandoci sopra una sorta di inverno assai simile al nostro.
      Ti assicuro però che quando piove e sei ben inzuppato d’acqua sulla Sierra Maestra il freddo, anche se non polare, lo senti eccome.

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    purplerain 17 Settembre 2012 at 14:33

    Comunque bellissima la foto del bimbo che gioca a scacchi e (scusami della dimenticanza) complimenti anche per l’articolo 😉

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      Mongo 17 Settembre 2012 at 15:57

      La foto è merito dell’impareggiabile Martin Eden.
      L’ipirazione per l’articolo l’ho avuta dal ‘vecchio’ prof. di matematica di mia sorella. :mrgreen:

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        Eugenio Castellotti 18 Settembre 2012 at 17:04

        Se per “ipirazione”, si intende un’intossicazione da iprite, non so quali rimedi suggerire. Se invece il banale refuso nasconde una “ispirazione”, beh! allora rimando te ed i gentili lettori al periodico on line “Novi…tà” n. 9 del Dicembre 2010. Contiene un racconto che si direbbe proprio “ispirato” al tuo, caro Mongo. La Sierra Maestra diventa l’Appennino emiliano, il bieco ufficiale cubano si trasforma in un tenente della Wehrmacht, qualche nome è cambiato ma lo studio di Reti è proprio quello su cui già rifletteva il Che.
        E l’autunno, da noi, è proprio la stagione delle piogge.
        il vecchio prof. di mat.

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          Mongo 19 Settembre 2012 at 17:04

          Pensa che il Gino Doné Paro stava bene anche nel tuo racconto, essendo stato un partigiano e finita la guerra emigrò in America (dove poi si mise con una cubana del M 26/7 e conobbe i Castro ed il Che in Messico durante una missione) alla ricerca di un lavoro.
          Uscirà a breve da Massari Editore una bella biografia su Gino scritta da Katia Sassoni; assolutamente da non perdere.

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            Mongo 20 Febbraio 2013 at 15:05

            E’ finalmente uscita la biografia di Gino Doné, l’italiano del Granma di Katia Sassoni per i tipi della Massari Editore.
            E’ ordinabile (€ 10,00) anche on-line sul sito: http://www.massarieditore.it

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              Fuser 20 Febbraio 2013 at 19:09

              Grazie ! me la procurero’ al piu’ presto 😉

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