L’ultima notte

Scritto da:  | 28 Dicembre 2009 | Categoria: Zibaldone

Aveva commesso un errore. Lo percepì chiaramente da come l’avversario aveva aggrottato la fronte alzando un sopracciglio al di sopra degli occhiali. Si sentì un estraneo, spaesato in quel frac che aveva deciso di indossare per quell’occasione: sapeva bene che quella sarebbe stata l’ultima partita, il match ormai per lui era finito. Ultima Notte1Lo sfidante giocò la propria mossa e tese la mano, proponendo il pari, un gesto signorile per evitare al vecchio campione l’onta di un’ultima sconfitta. Strinse tremando la giovane mano che lo chiuse in una morsa vigorosa, sancendo così il passaggio del titolo, mentre già il pubblico di casa acclamava il nuovo eroe. Rimase da solo sul palco, in piedi, lo sguardo perso, il vincitore godeva il primato, era stato sconfitto. “Ti cedo lo scettro di un paradiso di perdenti.”, disse a voce bassa, ma nessuno poté udirlo. Si svegliò all’improvviso. Erano quasi le tre ed erano passati circa dieci anni da quell’episodio: perché ricordarlo quella notte, in quell’albergo di Lisbona, dove ormai non giungevano più nemmeno gli echi di quella guerra maledetta? Si stese di nuovo sul letto, richiuse gli occhi, ma gli parve di vedere un uomo dalla barba lunga in fondo alla stanza agitare contro di lui uno scettro, forse un bastone: “Posso darti un pedone di più, il vantaggio del tratto e sconfiggerti lo stesso!” Ma non aveva ancora finito di pronunciare queste frasi sconnesse che al suo posto compariva, dietro una cortina di fumo, un altro uomo dal profilo aquilino e dallo sguardo rapace: “Non hai mai seguito la strada del buonsenso negli scacchi!” E non c’era tempo di replicare a quella apparizione, che già un’altra visione sostituiva la precedente ed era la volta di un giovane di bell’aspetto, il quale lo invitava con un gentile ed elegante gesto della mano a sedersi di fronte a lui, alla scacchiera: “Mi devi ancora una rivincita, non rammenti?” Si alzò dal letto per recarsi di corsa in bagno, a lavarsi la faccia. Alzò il viso grondante dal lavandino e guardò nello specchio il volto di quell’uomo che ormai non riconosceva più, devastato dalla scarlattina, le guance afflosciate, non c’era più traccia di quel lampo che aveva illuminato per anni quegli occhi capaci di intimorire chiunque. Per la prima volta ebbe paura. L’alba sull’Atlantico era l’ultima ad arrivare: già giorno a Mosca, già luce a Parigi, mentre lì al limite del vecchio continente bombardato, la notte era sempre alta nel cielo. Pensò ad un vizio assurdo, ad una pulsione già passata per la testa in circostanze di medesimo tormento, d’altronde pure Pillsbury aveva sfiorato quell’idea, Bardeleben c’era riuscito, il buon Yates forse vi aveva trovato conforto, ma la mano tremava ed il rasoio giaceva inerte sotto lo specchio, sotto quegli occhi spenti, inebetiti. “Mi uccideranno ugualmente. Porgeranno la mia testa su un vassoio d’argento ad un boia venuto dalla mia terra. Imbratteranno nella pozzanghera della menzogna il mio nome, le mie gesta, la mia grandezza, ma non arriveranno mai a comprendere chi ero davvero.” Ritornò in camera, aprì le tende verso un nuovo giorno che timidamente scalfiva un oceano di tenebre e si lasciò cadere sulla poltrona. Gli pareva di udire le voci di quell’incubo precedente, le sentiva mescolarsi con la vita che prendeva lentamente forma per le strade ed ancora voci di altre età lo inseguivano in un dormiveglia agitato, la gran madre Russia, le mollezze francesi, l’asprezza teutonica, in un valzer dove si incrociavano rivoluzioni, guerre, deportazioni, udiva la voce degli sconfitti provenire dai ghetti, dai campi di battaglia, dalle sfide interminabili e su tutto gli scacchi, il bianco e il nero, nessun altro colore. Ultima Notte2Entrarono per portargli la colazione. Pranzò come abitudine davanti alle sue 64 caselle. E mentre deponeva delicatamente la Donna bianca sulla scacchiera e tagliava un pezzetto di filetto con il coltello, ebbe la folgorazione di aver capito il senso di tutta una vita, ma il pensiero gli si strozzò in gola, per sempre. Qualche ora dopo vennero a prenderlo. “Chi era quest’uomo?”, chiese un fotografo inviato da un giornale locale. Gli rispose Lupi, l’ultimo amico. “Costui era Aleksander Alekhine, il più grande di tutti”. Il fotografo strinse le spalle: “Mai sentito nominare.”

avatar Scritto da: Riccardo Del Dotto (Qui gli altri suoi articoli)


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