i Re degli scacchi: Mikhail Tal

Scritto da:  | 15 Ottobre 2012 | 6 Commenti | Categoria: C'era una volta, Personaggi, Stranieri

Gli occhi. Sì, gli occhi sono la “cosa” che ti colpisce di più in queste foto d’epoca che sfoglio con tanta cura. Lo sguardo brucia-caselle incorniciato, con il passare degli anni, in un volto mefistofelico (si sente odore di zolfo) fa riemergere dal mondo fiabesco visioni di Orchi cattivi, di Mangiafuoco terribili. Occhi scuri, profondi, capaci di bucare il futuro, di prevedere al di là di ogni possibilità umana.

Mikhail Nechemjevic Tal, o più affettuosamente Misha, nasce a Riga il 9 novembre 1936, conosce gli scacchi a sette anni e a dieci si becca il matto del barbiere dall’impertinente cugino. E’ la goccia che fa traboccare il vaso. Si incavola di brutto e si getta a corpo morto tra le braccia di Caissa con tutta la passione e la forza tipica dei giovani. Koblentz intuisce il suo talento e lo perfeziona. Progredisce in maniera prodigiosa. E’ una meteora: campione lettone nel 1953, campione dell’Urss e Grande Maestro nel ’57, si ripete l’anno successivo con la vittoria al torneo internazionale di Portorose. E finalmente il fatidico torneo dei Candidati del 1959, che si svolge nelle tre città iugoslave di Bled, Zagabria e Belgrado. Il 29 agosto il torneo ha inizio con gli otto giocatori che devono affrontarsi reciprocamente attraverso quattro partite: Smyslov, Keres, Petrossiàn, Benkö, Olafsson, Gligoric, un certo Robert James Fischer e Tal. Un bel gruppetto, non c’è che dire. Tal è primo e si permette anche il lusso di rifilare un secco quattro a zero al mitico Bobby.

Era una furia scatenata, una forza tremenda della Natura, con lui la scacchiera diventava un vulcano in eruzione, una foresta in fiamme. I sacrifici scoppiavano come petardi impazziti. Che fossero del tutto corretti o meno poco importava. Stava agli avversari dimostrarne l’inconsistenza, la fallacità. Ma gli avversari continuavano a sbagliare e, quasi sempre, venivano travolti. Questo modo di giocare scatenò consensi e mugugni, lodi e critiche sia presenti che future.

Se un Petrossiàn era sicuro che poteva fare miracoli con il suo indomito coraggio, c’era un Kortschnoi che lo considerava solo un Maestro di “grande routine privo di originalità e innovazione”. Se Ivkov era convinto che “il più grande è Tal, il più complesso è Tal”– anche se in quest’ultima affermazione si può forse carpire una sfumatura ironica-, c’era subito uno Smyslov sicuro che i suoi successi non dipendevano dalla sua abilità ma da un sacco di trucchi, espedienti, artifici. Bronstein lo adorava, Euwe arrivò persino a scrivere che egli era più forte dello stesso Alekhine quanto a capacità combinative. D’altra parte Bobby Fischer definiva il suo gioco “unsound”, come a dire oscuro e fallace e Taimanov dichiarò apertamente che se un giocatore così avventuroso avesse vinto una seconda volta il massimo titolo sovietico lui avrebbe smesso di giocare a scacchi (fortunatamente si rimangiò le parole quando il Nostro lo vinse di nuovo nel ’58). Chi può, infine, dimenticare il sarcastico consiglio di Botvinnik “Se Tal sacrifica un pezzo prendilo. Se lo do io controlla le varianti. Se lo dà Petrossiàn non lo accettare”, dove tutta la creatività e la profondità dei suoi sacrifici veniva ridotta a pura e semplice sciatteria di giocatore da caffè!

Già, Botvinnik. Doveva affrontarlo e tutti i nodi, come suole dirsi, sarebbero venuti al pettine. Ma chi era in realtà il campione del mondo? Mikhail Moiseyevich Botvinnik aveva visto la luce a Pietroburgo il 17 agosto 1911 e si era dato anima e corpo agli studi scientifici. Ingegnere capo presso il dipartimento degli Urali, studioso e ricercatore in materia di elettronica, era il classico Cervellone con una testa grande così e il suo aspetto ci fa venire in mente il solito, attillato professore di liceo che tutti gli studenti ricordano con un misto di piacere e soggezione. Aveva conosciuto tardi gli scacchi (si fa per dire) solo a dodici anni, ma aveva fatto subito vedere di che pasta fosse fatto battendo, da imberbe giovincello, il mitico Capablanca durante una simultanea tenuta a Mosca nel 1925. Era praticamente diventato il successore di Alekhine nel 1948, dopo avere sbaragliato Smyslov, Reshevsky, Keres ed Euwe. Nel 1951 aveva respinto l’assalto dello scatenato David Bronstein in un match durissimo terminato in parità. In seguito se l’era dovuta vedere con il solito Smyslov, al quale aveva ceduto e poi ripreso lo scettro del comando.

Se un computer avesse dovuto scegliere un giocatore del tutto opposto, completamente diverso da Tal, non avrebbe fatto altro che puntare il suo freddo indice su di lui, Botvinnik. Un attendista nato, un “contropiedista” (ma su questo termine non sono poi tanto d’accordo Roberto Allievi e Walter Temi nel loro ottimo “100 partite di Mihail Botvinnik”, Mursia, Milano 1997) capace di ribaltare a suo favore nell’arco di un sospiro una situazione critica. Con due “tipetti” così eterogenei c’era da vederne delle belle!

I bookmakers del tempo li davano praticamente alla pari. La domanda che sorgeva spontanea sulla bocca di tutti era se la forza giovanile, dirompente di Tal avrebbe travolto l’esperienza e la tenacia del “vecchio” Botvinnik. La risposta non si fece attendere e il nostro Misha divenne il nuovo campione del mondo a soli ventitré anni. Una gioia piena e totale ma di breve durata. Quasi un anno dopo lo “scientifico” Botvinnik, preparatosi a dovere, riuscì ad evitare le insidie di un gioco pericolosamente tattico e con la sua superiorità strategica mise alle corde il più giovane avversario. Si riprese, meritatamente, la corona.

Ma fu tutto merito suo o anche, almeno in parte, del male che perseguitò Tal praticamente per tutta la vita? Ecco un altro aspetto da considerare, la salute, un tasto dolens per il nostro campione, una maledetta malattia renale che non smise mai di tormentarlo. Non per questo condusse una vita rigorosa. Anzi, fumava come un turco e Bacco non gli fu certo antipatico. Insomma il classico genio e sregolatezza. Un elemento, invece, positivo della sua personalità è senza dubbio la memoria. Una memoria stupefacente sottolineata da un fatto ben noto che voglio ricordare alle giovani generazioni. Durante il torneo internazionale di Zurigo del 1959 il nostro Misha tenne una esibizione in simultanea al termine della quale uno dei trentotto opponenti gli chiese un giudizio sulla sua partita. Egli rispose che aveva trascurato di giuocare una mossa migliore al diciassettesimo tratto, al che l’amatore si meravigliò che potesse ricordare l’intera partita. Allora Tal trascrisse senza sforzo le mosse di tutte le partite.

Ma ritorniamo a noi. La sconfitta, la delusione, la sofferenza di passare da un ricovero all’altro non distrussero né piegarono questo Terremoto della scacchiera che si prese ancora le sue belle e brave soddisfazioni e per poco non si ritrovò ancora a combattere per il titolo mondiale. Nel 1963 piegò l’ostinata resistenza di Portisch, poi quella di Larsen ma fu fermato da uno straordinario Spassky che proprio in quegli anni stava raggiungendo la pienezza della sua maturità scacchistica. Il colpo fu duro ma non spense il Vulcano che di tanto in tanto ritornava a farsi sentire con le sue tremende eruzioni. Allora erano guai per tutti e non c’era Fredda Logica che riuscisse a fermarlo.

I lettori non pretenderanno che qui rinnovi le gesta del Campione in tutta la loro ampiezza. Basta sfogliare il catalogo dei suoi risultati nel bel libro dello stesso Tal e J.Damskij “Tal magia dell’attacco”, Prisma, Roma 1997, per restare di stucco a bocca spalancata. Una serie ininterrotta di successi e di prestigiosi piazzamenti anche nei momenti più cupi della sua vita. Egli volle “combattere” fino in fondo, fino all’ultimo respiro. Nel mese di aprile del 1992 lascia, benché ormai stanco e disfatto, l’ospedale di Mosca per partecipare al torneo di Barcellona dove riesce a infilarsi tra i primi dieci. Rientrato in Russia il brontolio cupo del magma infuocato si acquieta. Il 28 giugno 1992 le ultime scintille volano alte verso il cielo.

Mentre sfoglio con devozione le foto dedicate alla sua vita, alla sua carriera agonistica, sono colpito dagli occhi. Sì, gli occhi. Anche quando il male ha ormai devastato il suo volto rendendolo simile ad un teschio vivente, gli occhi mantengono intatto il loro fascino, conservano il loro mistero. Gli occhi del grande, indimenticabile Mikhail Tal.

Il solito sentito e doveroso ringraziamento alla prestigiosa rivista L’Italia Scacchistica!

avatar Scritto da: Fabio Lotti (Qui gli altri suoi articoli)


6 Commenti a i Re degli scacchi: Mikhail Tal

  1. avatar
    Zenone 15 Ottobre 2012 at 19:38

    Guardando le foto e leggendo il pezzo dell’ottimo Lotti, vorrei cimentarmi in qualcosa di stranamente più serio:

    Gli occhi del “Mago”

    Lo sguardo del bambino
    scrutava le caselle
    quegli occhi grandi intorno
    guardavan già le stelle.

    Non conoscevi ancora
    qual era il tuo destino
    ma gli dei sapevano:
    l’Olimpo era vicino.

    Nessuno lo predisse
    che Tal era un portento
    solo il grande Koblentz
    intuì quel suo talento.

    Sia Fischer, Smislov e Keres,
    Petrosjan, Benko e Spasskij
    dovettero subire
    la forza dei suoi attacchi.

    La forze di quel gioco
    sulla scacchiera esplode
    annienta l’avversario
    ma anche il Mago erode.

    Ho visto infin un uomo
    andar lungo la Daugava,
    il genio se ne andava,
    il corso ne seguiva.

    M’han detto che a volte
    si vede a Riga un vecchio
    seduto sulla riva
    muovendo l’acqua a cerchio.

    Si dice che abbia occhi
    rossastri come brace,
    di non poter giocare
    non sa ancor darsi pace .

    Per questo credo giusto
    raccoglier la sua sfida
    pensar d’averlo avanti
    e giocar una partita!

    Zenone

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      akirod 20 Novembre 2019 at 17:20

      Zenone – almeno quello di Elea – era un finissimo analista che produsse dei paradossi definiti da un certo Bertrand Russell “smisuratamente sottili e profondi”.
      Perciò, spero che tu sia capace di notare, in questo articolo di Lolli che tu definisci “bello”, la meschina scopiazzatura da “La parola ai campioni del mondo” di Jacov Estrin, Prisma Edizioni, pag.115.
      Chissà se l’eventuale “obbiettività” dei gestori o gestore di questo sito giudicherà/nno “commento offensivo” questa mia segnalazione. Vedremo…

  2. avatar
    Marramaquis 15 Ottobre 2012 at 20:00

    Come scriveva (più o meno) Italo Calvino “chi ha occhio, trova le mosse che cerca anche ad occhi chiusi”.
    Un grazie a Fabio Lotti (e a Zenone): è sempre un’emozione parlare e leggere del magico Tal.

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    Fabio Lotti 16 Ottobre 2012 at 13:29

    Grazie a voi.

    • avatar
      Mastro Ciliegia 17 Ottobre 2012 at 22:43

      Lodi, lodi e ancora lodi all’ottimo Fabio Lotti per questa stupenda galleria di ritratti di campioni e fuoriclasse senza tempo!

      • avatar
        akirod 20 Novembre 2019 at 17:21

        Ma certo ! “Lodi e ancora lodi”… lolol… a questa scopiazzatura da “La parola ai campioni del mondo” di Jacov Estrin, Prisma Edizioni, pag.115.
        Lodissime, anzi!

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