Una sera d’autunno, al circolo…

Scritto da:  | 15 Novembre 2012 | 2 Commenti | Categoria: Racconti

– Morta la vacca! –

L’esclamazione, sorprendente e veramente inaudita, rimbombò come una cannonata sotto le quiete volte del Bar Ristorante “Nuovo Corona”, Lungotanaro San Martino 1, dove il Circolo Scacchistico Alessandrino teneva le sue riunioni, tutti i martedì e venerdì, ormai da qualche anno.

Non che il locale risuonasse mai di grida allegre, cori anche volgari, o risate nel corso dei banchetti che ospitava nelle più diverse occasioni. Gli stessi compassati scacchisti, alla fine di un torneo o di una assemblea, non si vergognavano certo di ordinare spaghetti e vino al signor Bargioni, il titolare del locale che molto generosamente ospitava il sodalizio, in forza solo della sua grande passione, peraltro poco corrisposta, per il millenario gioco dei Re. In quelle occasioni certo, anche i giocatori più seriosi, quelli che non dicono una parola in tutta la sera, se sono immersi in una partita importante, quelli che al massimo sussurrano “Acconcio” quando rettificano la posizione lievemente irregolare di un pezzo, quelli che magari accendono due sigarette prima di accorgersi che la terza, nel posacenere, è ancora a metà (eh sì, è l’autunno del 1973 e si fumava ancora tranquillamente e molto in tutti i locali pubblici), in quelle occasioni, dicevo, anche costoro si lasciavano andare a un po’ di sana allegria come tutti i mortali… Ma quando si giocava o si analizzava, mai! E chi trasgrediva questa semplice regola non scritta attirava subito dapprima quegli sguardi ostili che trapassano, poi gli stizzosi e sibilanti “Sssst!” dei vicini; e se insisteva veniva invitato più o meno gentilmente (spesso meno) ad uscire per andare a disturbare altrove.

– Morta la vacca! Ya la vaca està muerta! Ah! Ah! Ah! – continuò, più forte e sguaiata di prima, quella voce rauca, ed i pochi presenti, riuniti intorno a due o tre tavolini in fondo al salone solo parzialmente illuminato, questa volta si scossero, si guardarono, si resero conto di aver proprio udito bene, e cominciarono a chiedersi l’un l’altro chi poteva essere il titolare della suddetta voce, chi poteva seminare tanto sgomento, con tale impietosa noncuranza, in quel luogo consacrato.

– Tranquilli, state tranquilli, è tutto a posto! – li rassicurò a bassa voce Lumìa con il consueto tono fermo ed autorevole, lo stesso con il quale era abituato a risolvere le situazioni più spinose o imbarazzanti, che in un circolo scacchistico, come in ogni altro umano consesso, non mancano mai – È solo che il nuovo socio, ehm, il señor Lowy, è un tantino esuberante, come avrete modo di vedere e sentire, conoscendolo. Anzi, visto che dalle sue… esclamazioni mi sembra che abbia finito di giocare, venite che ve lo presento… –

Lumìa, Armando Lumìa… come lo rivedo davanti ora, quarant’anni dopo, era uno di quei siciliani freddi, non so se mi spiego, alla Leonardo Sciascia ecco, che non perdeva mai la calma se non voleva, che a detta dei suoi alunni insegnava la Fisica come pochi, che giocava a scacchi con un’abilità pari alla correttezza ed all’ironia sorniona con cui ti stupiva con nuove varianti scovate chissà dove, non per tenerle gelosamente per sé, ma per farne parte generosamente a tutti. Lumìa, che teneva a questo accento non scritto quasi quanto teneva al Circolo Scacchistico Alessandrino cui aveva dedicato tanto del suo tempo, del suo impegno e del suo ingegno non invano, ma per condurlo a livelli tecnici, organizzativi ed umani di eccellenza. Quante cose ci sarebbero doverosamente da aggiungere sul suo conto, ed un giorno qualcuno dovrà pure farlo, se vorrà tracciare la storia di quegli anni del glorioso C.S.A.! Ma adesso dobbiamo ritornare, avvicinandoci con gli sbigottiti soci di allora, al poliedrico, vulcanico e strano personaggio che Lumìa stava per presentare loro.

– Señor Lowy, ehm (schiarita di voce), permette che le presenti gli altri componenti del Consiglio Direttivo del Circolo, di cui le ho parlato l’altro giorno… il ragionier Giulio Contino è il nostro tesoriere, il professor Giorgio Banti è il direttore tecnico, il signor Giovanni Ongarelli è responsabile della diffusione e delegato presso la Federazione ed il giovane Eugenio Castellotti, più noto come l’Alfiere è l’addetto stampa… Signori, vi presento il signor José Lowy, commerciante di pietre preziose di origini sudamericane… ah sì, del Venezuela, che risiede attualmente a Valenza ed ha una così grande passione per il nostro gioco che due giorni fa mi ha chiesto subito, appena entrato, la tessera del nostro Circolo sottoscrivendo anche una generosa offerta. Bene, imparerete a conoscervi davanti alla scacchiera, adesso noi consiglieri torniamo al nostro lavoro organizzativo.-

Noi restammo un attimo ad osservare il nuovo venuto, basso di statura, tarchiato, che dimostrava tra i cinquanta ed i sessant’anni e forse più, vestito di nero, che portava occhiali molto spessi e che sorrideva, o piuttosto sogghignava, mentre ringraziava “el señor Lùmia (Armando restò impassibile) e tutti vosotros per la acoglenza y el grande onore ricevuto”.

“Y ahora – concluse – tutti al bar por bere insieme algo!”

Questo argomento fu senza dubbio decisivo, per sciogliere quel tanto di ghiaccio che la situazione, così strana, cominciava a formare in modo un poco preoccupante. Mentre ci domandavamo con sguardi e gesti chi fosse davvero lo straniero, lo seguimmo tuttavia docilmente al banco, neanche si trattasse del pifferaio di Hamelin. La serata continuò per lui con altre partite lampo, mentre noi consiglieri terminavamo la nostra riunione. Ogni cinque minuti circa tuttavia, il grido “Morta la vacca!” poco simpaticamente ci interrompeva e ci informava che Lowy aveva battuto un altro dei soci.

La curiosità nei confronti del nuovo arrivato non poteva certo diminuire col passar del tempo: egli d’altra parte divenne uno dei frequentatori più assidui del nostro Circolo, pur continuando a tacere praticamente tutto di sé; e questo contribuì a rendere sempre meno chiara l’atmosfera che lo circondava. Dagli amici valenzani che, essendo dell’ambiente, qualcosa comunque erano riusciti a sapere, apprendemmo poche e scarne e imprecise notizie: ebreo ungherese (pareva), scampato alle persecuzioni razziali (sembrava), esperto di pietre (quasi certo), rifugiato in Sudamerica (forse), aveva messo insieme un’ingente fortuna (molto probabilmente), era tornato in Europa da poco (l’accento e l’incerto italiano non lasciavano dubbi). Spesso si presentava al circolo insieme ad una donna molto bella e molto più giovane di lui: la moglie (poteva darsi), accompagnata da una ragazzina sui dieci anni (certamente figlia di lei, data la forte somiglianza,); madre e figlia si sedevano disciplinatamente vicino a lui e non dicevano parola né si muovevano per tutta la serata. Sempre vestito di nero, estate e inverno, sempre il capo coperto da un cappello a larghe tese, naturalmente nero, col freddo arrivava avvolto in una mantella, una vera cappa (nera) che aumentava l’alone di mistero che lo circondava, e e che a me ricordava il logo di un vino allora piuttosto noto, il porto Sandeman. Ve lo ricordate? No? Non importa, tracciata più o meno bene a memoria, l’etichetta riproduceva un “omino nero” come questo:

Nessuno di noi, nemmeno i più scafati, osava per altro porgli domande dirette o intavolare conversazioni che andassero oltre la stretta cortesia od il commento di una partita. È che la sua espressione… beh, scoraggiava ogni indagine, ecco: dietro quei due fondi di bicchiere circondati dalla pesante montatura (nera, ovviamente) brillavano due occhi che (poteva ben essere) avevano visto cose… che noi non potevamo neppure immaginare e quindi non eravamo tenuti a sapere. Sembrava uscito direttamente da film come “Il terzo uomo”, tanto per intenderci. Quanto poi al suo stile, egli giocava… in un modo che non avevamo ancor visto. Si poteva dire scorretto, o almeno assai poco corretto. Parlava in continuazione, commentando “in diretta” le sue e le mosse dell’avversario, sovente enfatizzando le une e deridendo sarcastico le altre. Velocissimo, teneva una mano incollata all’orologio per guadagnare anche quei pochi secondi, muoveva quasi senza pensare, in modo automatico e pretendeva che anche l’avversario facesse altrettanto, pungolandolo più o meno bonariamente, sfottendolo, mandandolo sovente in confusione; nella concitazione rovesciava spesso pezzi e pedoni, rimettendoli a posto in modo inappellabile. Non ricordo cosa giocasse col Nero; ma poi, qualche volta, aveva avuto il Nero? Col Bianco ricordo, invariabilmente, dei tremendi Gambetti di Re, con pezzi spinti sul Re avversario sempre e comunque, incurante di perdite e sacrifici, fino alla stoccata conclusiva e a quella esclamazione finale, sempre la stessa, diventata ormai un vero tormentone, e che sapeva vagamente di corrida: – Morta la vacca! –

Il señor Lowy era diventato col tempo un po’ uno spauracchio, un po’ un simbolo del nostro Circolo. Alcuni lo fuggivano, temendo la (più che probabile) figuraccia; altri lo cercavano con l’ostinazione del giocatore d’azzardo che pensa: “Prima o poi riuscirò a far saltare il banco, è solo questione di tempo e di pazienza…” Certo faceva richiamo e contribuì non poco alla rapida crescita, numerica e anche qualitativa, del sodalizio in quel paio d’anni. Tuttavia con il gioco a tempo lungo, nei due, tre tornei importanti che venivano annualmente organizzati, la musica era un po’ diversa. I giocatori più esperti e tecnicamente preparati riuscivano ad imbrigliare il suo ossessivo offensivismo e ad averne ragione. Credo di poter dire che con Banti, Lumìa o Miglietta, tanto per fare alcuni nomi, non riuscisse quasi mai a prevalere. Ma con tutti gli altri quasi sempre sì, piazzandosi in tal modo sempre ai primi posti. Non riuscì mai comunque ad imporsi nel Campionato Provinciale, a quel tempo la nostra più importante manifestazione.

Il suo cavallo di battaglia erano, lo avrete capito, le partite blitz, a tempo breve. I tornei di un giorno, lampo o semilampo che fossero, in quegli anni stavano decollando un po’ dovunque e spesso lo videro protagonista. Ho il preciso ricordo di una domenica trascorsa nelle Langhe, sarà stato l’autunno dell’anno dopo il suo arrivo. Partimmo con due macchine, Lowy sbaragliò tutti gli avversari (giocando anche decine di amichevoli negli intervalli, per lui troppo lunghi, tra una partita e la successiva) ed alla fine era così felice che insistette per fermarsi a La Morra per cenare tutti insieme. A sue spese. Suoi ospiti. Una cenetta a base di fonduta, tartufi e Barolo in uno dei migliori ristoranti dell’epoca, per una decina di persone. Calcoliamo per difetto un migliaio di euro attuali? Il Nostro pagò senza batter ciglio, felice della sua e della nostra giornata. Che strano personaggio!

Passò come una meteora, nel cielo del C.S.A. Ma stava passando, e non ce ne rendevamo ancora conto, anche il C.S.A. stesso, ‘quel’ Circolo, quell’idea di Circolo che si era realizzata, grazie al lavoro e alla passione di tanti, ed alle acute intuizioni organizzative di Lumìa, nel quinquennio ’69 – ’74.

L’apogeo fu raggiunto con la progettazione e la realizzazione del Festival Internazionale di Valenza. 146 giocatori vennero da otto Paesi europei, si disputarono cinque Tornei. Tra parentesi, in quell’occasione Lowy non brillò: pur giocando, per così dire, in casa ed avendo già raggiunto una classificazione di tutto rispetto, Prima nazionale con quasi 1800 punti Elo (la nostra Federazione era allora agli inizi dell’applicazione di questo sistema, che Lumìa aveva per altro già avviato all’interno del Circolo), arrivò solo settimo nel Torneo di Prima Classe col 50% dei punti.

Il C.S.A. ottenne lusinghieri ed autorevoli riconoscimenti per l’organizzazione di quel Festival, ma fu il suo canto del cigno. Dopo il “Provinciale” di quello stesso anno cominciarono le defezioni, i distacchi, le scissioni (dovute, anche ma non solo, all’eccessiva politicizzazione imperante in quegli anni, quando tutto era o doveva essere politico, dai voti accademici al modo di divertirsi). Gli scacchisti che frequentavano il “Nuovo Corona” e che avevano ormai superato la storica barriera del centinaio, si divisero in diversi rivoli, qualcuno smise del tutto di giocare, qualcuno si tuffò nel lavoro, chi nello studio, chi negli impegni familiari o semplicemente scelse altre forme di passatempo. La sede cominciò a cambiare, il Circolo fu ospitato qua e là da bar ed organizzazioni varie, il patrimonio organizzativo accumulato in anni di lavoro andò in gran parte disperso.

E Lowy? Scomparve, semplicemente come era apparso. Forse poco interessato alle nostre beghe, forse attratto da altri e nuovi e più redditizi affari in altre parti del mondo, forse semplicemente perché, come tutti, invecchiava: ma lui era già uno dei più anziani…

Come il lettore avrà capito, chi scrive adesso questa piccola storia non fu tra i suoi ammiratori; altri erano per lui i modelli da ammirare, le persone adulte e più mature che gli sarebbe piaciuto emulare o diventare. Eppure… qualcosa di me, e penso di tutti quelli che l’hanno frequentato a quei tempi, se n’è andata insieme a lui. Sarà stato il fascino dell’avventuriero, sarà stata l’aura di mistero che lo circondava, sarà stato il fatto che non è mai frequente e mai banale imbattersi in qualcuno che (forse) ha dovuto giocarsi davvero la vita in qualche occasione. Sarà stato, più semplicemente, che un altro pezzettino della nostra gioventù se ne rotolava via, insieme al señor Lowy, insieme al tempo che, a tutto indifferente, tutto trascina con sé.

avatar Scritto da: Eugenio Castellotti (Qui gli altri suoi articoli)


2 Commenti a Una sera d’autunno, al circolo…

  1. avatar
    Mongo 16 Novembre 2012 at 10:03

    Ciao Prof., ti aspettiamo questa sera al circolo!!

  2. avatar
    Wholebrain 16 Novembre 2012 at 10:59

    Ma professore… ma come, scrivi un articolo sul Circolo Scacchistico Alessandrino e lo svendi a Mongo?? Questa me la segno… e anche tu Mongo, preparati al peggio questa sera! ;)
    Chiedo il permesso di ripubblicare il pezzo sul nostro sito http://www.alessandriascacchi.it, visto che moralmente gli appartiene di diritto.
    Saluti allo staff di soloscacchi, siete bravi a parte questo Mongo qua, ma non preoccupatevi, stasera ve lo faccio fuori io!

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