il caso Morphy, 6ª parte: una sigaretta…

Scritto da:  | 31 Dicembre 2012 | 5 Commenti | Categoria: Racconti
Mosca, estate 2001
 
         Mentre parcheggiavo davanti al numero 14 di viale Gogol riflettevo sul comportamento di Irina. Le piacevo, non c’era dubbio, ma mi chiedevo perché e quanto. Salì in macchina con disinvoltura, sistemandosi la minigonna che metteva in mostra un paio di gambe affusolate e perfette. Con mia sorpresa, accese immediatamente una sigaretta: “Ti disturba?”.
            “No, anch’io ogni tanto…”
            “Io spesso, appena posso”.
            “Me ne offri una?”
            Accese una sigaretta, tenendola tra le labbra in un modo che mi eccitò, e me la passò mentre svoltavo l’angolo diretto verso l’indirizzo che mi aveva dato. In poco più di dieci minuti fummo sotto casa sua, uno delle migliaia di appartamenti realizzati nella “Nuova Mosca”. Non sapevo come comportarmi, ma fu lei a rompere gli indugi: “Forza, vieni su”.
            Chiusi a chiave la mia Fiat e la seguii fino all’ascensore. Premette il pulsante del sesto piano, dove l’ascensore si bloccò con un rumoroso sobbalzo e le porte si aprirono cigolando.
            Girò la chiave nella toppa ed entrò annunciando: “Mamma, sono arrivata!”.
            Dalla porta della cucina si affacciò sul corridoio una donna sulla cinquantina che recava in viso le tracce di una bellezza non ancora sfiorita. La somiglianza con la figlia era impressionante: stessi capelli biondi, lunghi e lisci, stessi occhi cerulei, stessa corporatura appena appesantita sui fianchi dall’inesorabile trascorrere del tempo.
            Irina mi indicò il piccolo soggiorno posto di fronte alla cucina, abbracciò la madre che mi guardava con aria interrogativa, e mi presentò: “Mamma, questo è Yuri Salov”. Le strinsi la mano lievemente imbarazzato, e lo fui ancora di più quando la madre sorrise e, rivolta alla figlia, disse: “Hai gusto nelle tue scelte”. Poi scoppiò a ridere trascinando anche noi due in una risata collettiva che contribuì a sciogliere il ghiaccio.
            “Si accomodi, signor Salov, vuole bere qualcosa?”
            Irina si allontanò, ricomparendo poco dopo indossando una tuta da ginnastica che la rendeva in un certo modo ancora più attraente. La madre, dopo il mio fermo rifiuto ad approfittare del contenuto di alcune bottiglie, era scomparsa in cucina. Ero seduto sul piccolo divano ed Irina si rannicchiò vicino a me, ripiegando le lunghe gambe sotto di sé.
            Vedendo che non mi ero versato da bere sentenziò: “Mi sto innamorando dell’unico uomo astemio di Mosca”.
            La frase ed il modo in cui l’aveva detta mi lasciarono senza parole. La sua franchezza mi piacque e stavo per replicare quando Irina domandò: “Vuoi fermarti a cena?”
            Il colpo di grazia. Crollai. “Sì, mi farebbe piacere”
            “Mamma, cosa c’è per cena?” chiese Irina. Dalla cucina la madre rispose: “Pirojki con funghi e formaggio. Vanno bene, Yuri?”
            Uno dei miei piatti preferiti. “Benissimo!”
            Irina si alzò con un movimento flessuoso: “Dammi una mano ad apparecchiare”. Stendemmo una tovaglia a fiori, sistemammo posate e tovaglioli e dopo pochi minuti eravamo seduti a tavola chiacchierando come vecchi conoscenti.
            Le cose stavano andando molto in fretta e la faccenda non mi dispiaceva, anche se mi sentivo un po’ in colpa per quello che c’era dietro al mio nascente rapporto con Irina. Mi resi ben presto conto che il legame tra madre e figlia era fortissimo, e che entrambe avevano una comune visione della vita, concreta e senza formalismi. Passammo al “tu” in un modo assolutamente naturale, spontaneo, ma io continuai a chiedermi come e quando dire ad Irina l’obbiettivo al quale puntavo fin dal primo giorno in cui avevo messo piede al Circolo Centrale. Temevo che il rivelarle lo scopo per il quale mi ero ripresentato in viale Gogol potesse alterare una situazione che mi rendeva felice.
            Quando la madre dichiarò: “Be’, io vado a letto, domattina alle cinque devo essere in piedi” alzandosi, ritenni opportuno fare lo stesso, ma lei mi tese la mano con un sorriso: “Grazie della visita, Yuri, spero di vederti più spesso” e scomparve in direzione di quella che doveva essere la sua camera da letto.
            Sparecchiammo il tavolo, tornammo a sederci sul divano ed Irina tornò a chiedermi se volevo bere qualcosa. Rifiutai, poi, raccolto tutto il mio coraggio, decisi di essere onesto fino in fondo nei suoi confronti: “Irina, devo dirti una cosa”.
            Mi fissò, seria: “Avanti”.
            Non sapevo come esporle i fatti, ma una volta iniziato il racconto tutto divenne abbastanza facile. Lei mi seguiva attentamente, senza perdere una sola parola e quando terminai rimase un po’ in silenzio, poi, sorprendendomi, chiese:” Yuri, tu credi alle sensazioni, all’istinto, alle decisioni che non hanno ragione di essere sul piano razionale, ma che devono essere prese a qualunque costo?”
            “Perché mi chiedi…”
            “Yuri, la prima volta che ti ho visto al circolo ho avuto una di quelle sensazioni ed ho avuto l’impressione che anche tu…”
            “Sì, anch’io, ma ti ho detto la ragione per cui…”
            “Ho capito” mi interruppe “e se potrò ti aiuterò nel tuo… lavoro, ma adesso sto parlando di noi due, soltanto di noi due”.
            “Incredibile” commentai “quello che può accadere in una sola giornata nella vita di un essere umano. Ti ho visto e la mia vita è cambiata”.
            “Ed io sentivo che la mia stava cambiando”. Si avvicinò, mi baciò quasi con violenza, poi si alzò di scatto dal divano e disse: “Credo sia ora che tu vada”.
            “S-sì, certo”.
            Sulla porta mi sfiorò le labbra con le sue: “Buona notte, Yuri”.
            Le accarezzai i capelli. “Buona notte, Irina”.
 
Mosca, gennaio 1959
 
            Bondarevski apprese la notizia della morte del segretario del Circolo Centrale quasi casualmente, scorrendo rapidamente la Pravda. Sollevò il ricevitore e chiamò l’amico Valeri alla Lomonosov. “Hai saputo?”
            “Cosa?”
            “Il segretario del Circolo Centrale. E’ morto”
            “Quando? Come?”
            “Ieri, poche ore dopo la nostra visita al circolo. E’ stato investito da un camion militare”
            Silenzio, poi: “Cosa hai deciso di fare, Igor?”
            “Non saprei. Rendere pubblica la scoperta? Non se ne parla, troppi rischi di essere contestati, anche se le prove dovrebbero risultare schiaccianti per chiunque. La domanda è sempre quella: come hanno fatto questo appunti di Morphy a finire in Germania, nella casa di qualche ebreo?”
            “Sì, d’accordo, ma dovremo pur decidere qualcosa in proposito”
            “A parte i tuoi due assistenti e la tua segretaria, e dando per scontato che quella ragazza, Tatiana, non abbia capito un granchè della faccenda, siamo gli unici a ritenere autentici quegli appunti. Aspettiamo, pensiamoci un po’ su e risentiamoci tra qualche giorno”.
            “Va bene, Igor. Ciao”
            “Quei fogli vanno messi sotto chiave da qualche parte”, pensava Bondarevski “e dobbiamo analizzarli nuovamente per scongiurare l’ipotesi di un falso costruito con estrema perizia. A quale scopo, tuttavia, costruire un falso del genere? Nessuno, visto che l’ebreo che li possedeva avrebbe potuto, a suo tempo, usarli e renderli noti al pubblico scacchistico. Noi sappiamo che sono autentici, ma con la mia notorietà e nella mia posizione non posso correre il sia pur minimo rischio di venire sbugiardato da qualche cercatore di peli nell’uovo. No, dobbiamo tenerli nascosti da qualche parte e la prima per sona che devo convincere a farlo è proprio il mio amico Valeri”.
            Quasi nello stesso momento, il bibliotecario capo della Lomonosov pensava, sulla questione, in modo praticamente contrario. “Perché tenere nascosta la scoperta? Igor esagera, qualcuno potrebbe certamente contestare l’autenticità di quei fogli, ma la maggioranza potrebbe tranquillamente ammettere tale autenticità. D’accordo, la domanda è sempre sul come e quindi sul quando questo manoscritto di Morphy abbia potuto raggiungere la casa di qualche ebreo europeo, ma l’annuncio della scoperta potrebbe an che scatenare una ricerca di più ampio respiro che potrebbe portare ad una conferma definitiva dell’autenticità degli appunti”.
            Nessuno dei due, tuttavia, immaginava che il ritrovamento nascondesse qualcosa di enorme, di inimmaginabile, ma entrambi nutrivano la sensazione, dapprima quasi impalpabile ed in seguito sempre più concreta, che dietro quegli appunti scritti da Morphy si nascondesse un segreto che andava ben al di là di una ricerca di storia scacchistica.
 
Mosca, estate 2001
 
            A meno di impegni suoi o miei, Irina ed io andavamo a pranzo ogni giorno insieme. Il nostro legame si stava rafforzando, assumendo l’aspetto di un fidanzamento anche se da questo era assente l’aspetto sessuale: ci desideravamo a vicenda, ma c’era qualcosa che tratteneva entrambi.
            “Tu hai visto casa mia. Quand’è che mi mostrerai la tua?” chiese Irina con la sua abituale franchezza.
            Quasi mi strozzai con la forchettata di spaghetti che stavo masticando: “Anche stasera” risposi farfugliando.
            Si mise a ridere silenziosamente. “Chissà che razza di disordine!” . Non aveva torto: la mia vita da scapolo mi aveva fatto prendere abitudini deprecabili, buttavo le camicie usate una sopra l’altra e, quando me ne rimaneva una, andavo di malavoglia alla lavanderia self-service sotto casa, approfittando dell’occasione per lavare anche biancheria, lenzuola, tovaglie e tutto il resto. Rientravo a casa con un paio di borse pesantissime e sistemavo tutto nei cassetti senza un preciso ordine. Le poche stoviglie che avevo usato nei giorni precedenti le lavavo usando un detersivo di colore verdastro che, nelle intenzioni del produttore, avrebbe dovuto “profumare di limone”.
            Il giorno in cui Irina, durante il pranzo, mi rivolse quella domanda, era uno dei giorni “critici”, e pensai che non potevo ospitare anche per pochi minuti una ragazza – Irina! – in mezzo a quel caos.
            “Vorrei avere il tempo di mettere un po’ d’ordine, sai, vivere solo…”
            “Stasera stacco un paio d’ore prima, ho chiesto un permesso, perciò se hai bisogno di una mano…”
            Alle quattro e mezza uscì dal portone di viale Gogol, salì in macchina e ci avviammo verso Vnukovo e la mia inevitabile vergogna. L’aria era calda, appena mitigata da un venticello che faceva frusciare le foglie degli alberi. Parcheggiai la Fiatdavanti alla piccola palazzina e salimmo al primo piano. Aprii la porta di casa aspettandomi un grido di orrore da parte di Irina la quale, senza scomporsi, iniziò a raccogliere camicie, slip, lenzuola, infilò il tutto in una grande borsa che tenevo allo scopo e ordinò: “In lavanderia, subito”.
            Rientrai dopo un paio d’ore, portandomi appresso il borsone che ora profumava di pulito, e quando aprii la porta rimasi a bocca aperta. Irina aveva spazzato e lavato il pavimento, rifatto il letto, spolverato i mobili e messo le stoviglie lavate nello scolapiatti: il piccolo bilocale aveva cambiato aspetto. Iniziò a svuotare la borsa, riponendo di volta in volta la roba lavata nei giusti cassetti, mentre dalla finestra spalancata entrava, tiepida, l’aria del tramonto.
            “Incredibile” mormorai.
            “Incredibile quanto si può essre disordinati” mi rimproverò lei. “Comunque, mi è venuta fame. Cos’hai in frigorifero?”
            Aprii lo sportello: due barattoli di yogurt, un vassoio di plastica nel quale giaceva, tutta sola, una braciola di maiale, due vasetti di salsa, due bottiglie d’acqua ed una di vino bianco consumata a metà. Sbirciando da sopra la mia spalla Irina commentò: “Dov’è il supermercato più vicino?”.
            Scendemmo in strada e subii un notevole salasso del portafogli a causa di Irina che schizzava da uno scaffale all’altro riempiendo il carrello. Ripercorremmo i duecento metri fino a casa carichi come muli e, mentre riempivo il frigorifero, Irina si mise ai fornelli. Alle otto di sera sedemmo a tavola davanti a due deliziose braciole di maiale condite con panna acida e ad una bottiglia di vino bianco degli Urali sul fondo della quale, terminata la cena, non rimase una sola goccia.
            In pochi minuti sparecchiammo, Irina lavò coscienziosamente le stoviglie e  accendemmo una sigaretta. “Fenomenale” fu il mio unico commento ed Irina emise una risatina. In quel momento un pensiero mi colpì: “Tua madre…”
            “E’ da sua sorella a Smolensk. Torna tra qualche giorno”. Altra risatina.
            “Razza di furbetta! Il permesso, la madre assente… ha organizzato tutto!” pensai.
            “Già” confermò lei leggendomi nel pensiero, e mi si avvicinò.
            Facemmo l’amore tutta la notte. Quando crollammo, sfiniti, stava albeggiando e mi addormentai sentendomi appagato e felice come non mi capitava da parecchio tempo.
            Mi svegliò il profumo del caffè. Irina indossava soltanto gli slip e mi soffermai a guardare le forme perfette del suo corpo flessuoso, sentendo che il mio desiderio di lei si risvegliava. Riempì due tazze e si avvicinò al letto, sedendosi sulla sponda ed allungandomi una tazza: “Buongiorno, signor Salov”.
            “Ciao” risposi, allungando una mano verso la tazza e l’altra verso di lei.
            “No, adesso no, dobbiamo parlare di cose serie”
            Sorseggiai il caffè mentre lei faceva lo stesso, guardandomi da sopra l’orlo della tazza.
            “Adesso, Yuri, dobbiamo studiare un piano di battaglia”
            “A proposito di cosa?”
            Fece un gesto di impazienza: “Per aprire quella valigia! Per cos’altro? Non ci tenevi tanto?”
            “Ci tengo, sì, ma tu dovresti coprirti, se no non rispondo di me stesso e tendo ad avere le idee confuse”.
            Rise, si infilò la camicetta ed iniziò: “Visto che al mio lavoro tengo parecchio, non possiamo certamente andare nello stanzino,  aprire in qualche modo la valigia, esaminarne il contenuto e tanti saluti. Negli orari d’ufficio in biblioteca c’è un andirivieni di soci che chiedono o riportano libri in prestito. Allora? Fatti venire qualche idea”
            A dire la verità, ogni giorno avevo pensato a come realizzare quanto Irina mi stava prospettando, ma non riuscivo a riflettere chiaramente; il pensiero della biblioteca era inevitabilmente collegato all’immagine di lei. “Potremmo forzare le serrature, visto che la chiave non c’è” azzardai.
            “Avevo pensato la stessa cosa, ma senza forzarle”.
            “Potremmo tentare il sistema di Arsenio Lupin” provai. “Lui riusciva a aprire le serrature con una facilità…”
            “Ammesso che sia possibile, della qual cosa dubito fortemente” replicò Irina “ti rendi conto che un’operazione del genere durerebbe parecchio tempo? No, così non va” concluse.
            “Senti, Irina, è stata l’occasione per conoscerti. Chiudiamola qui e non ci pensiamo più. Al direttore dirò che è stata una falsa traccia, e finirò la serie di interviste, e scriverò questa benedetta serie di articoli”.
            “Eh, no! Adesso sono io che voglio andare fino in fondo! Voglio sapere cosa c’è dentro quella valigia!”. Ridacchiò: “Magari foto pornografiche…”. Scoppiammo a ridere.
 
Mosca, marzo 1959
 
            Da qualche tempo Bondarevski e Valeri non si sentivano. I fogli giacevano ancora in un cassetto del laboratorio chiuso a chiave, chiave gelosamente custodita dal bibliotecario capo della Lomonosov. E da qualche tempo nella mente di Bondarevski si stava facendo strada un’idea che, se confermata, avrebbe consacrato una volta per tutte l’autenticità dello scritto di Morphy.
            Senza consultare l’amico, Bondarevski decise di verificare l’ipotesi che aveva concepito. Grazie alla collaborazione di un’impiegata, riuscì a rintracciare un funzionario del ministero della cultura socio, come lui, del Circolo Centrale. Sollevò la cornetta del telefono e compose il numero fornitogli dall’impiegata; gli rispose una voce di donna: “Ministero della cultura, qui è l’ufficio del compagno Verlinski”.
            “Buon giorno, compagna, sono il Grande Maestro Igor Bondarevski. Desidero parlare con il compagno Verlinski”.
            “Compagno Bondarevski, hai detto? Un momento”
            L’attesa fu brevissima: “Qui Verlinski. Con chi parlo?”
            “Sono il compagno Bondarevski. Ci siamo visti al Circolo Centrale un paio di settimane fa…”
            “Certo, compagno. A cosa devo l’onore di questa telefonata?”
            “Sono alle prese con un piccolo mistero che tu, compagno, potresti aiutarmi a risolvere. Riguarda certi documenti giunti dalla Germania alla fine della Grande Guerra Patriottica. Parte di questi documenti è finita da voi, mentre un’altra parte è finita alla Lomonosov. Ho il sospetto che voi conserviate ancora degli scritti che, in un certo modo, dovrebbero integrare quelli finiti all’università”.
            “Potrebbe essere, ma la ricerca potrebbe prendere parecchio tempo. Qualche anno fa abbiamo iniziato a riordinare montagne di documenti sequestrati in Germania, ma la scarsità di personale e la non adeguata competenza di quello operante rendono la cosa estremamente difficile e lenta. Se tu potessi fornirmi qualche indicazione più precisa…”
            “Sicuramente dovrebbero far parte di materiale confiscato dalle SS in casa di persone di origine ebraica” riprese Bondarevski “ma non ho la minima idea di cosa possa trattarsi. Dovrei vedere di persona, e forse, ripeto forse, riuscirei a capirci qualcosa”:
            “Può darsi che la faccenda non sia poi tanto complicata” rispose Verlinski “Il materiale di accertata origine ebraica venne separato, anni fa, allo scopo di individuare eventuali superstiti dello sterminio nazista e loro eventuali parenti in Unione Sovietica. Questo è tutto quello che so al riguardo. Conosco il collega incaricato della selezione del materiale e potrei metterti in contatto con lui… va bene?”
            “Certamente, compagno”. Bondarevski ottenne nome e telefono interno del ministero e dopo aver ringraziato Verlinski fece la chiamata: “Compagno Veresov? Sono il Grande Maestro Bondarevski, ho avuto il tuo numero dal compagno Verlinski” e proseguì spiegando per sommi capi cosa stava cercando.
            “Mmmm… sezione ebraica? Sequestrati in Germania? Sì, è roba mia, ma ne abbiamo esaminato soltanto una piccola parte, la scarsità del personale…”
            “Sì, certo, capisco, ma mi farebbe piacere poter dare un’occhiata di persona. E’ difficile, ma un piccolo colpo di fortuna potrebbe anche capitarmi, soprattutto se assistito da una persona della tua competenza”
            Fu proprio la fortuna ad aiutare Bondarevski in quella che pareva un’impresa disperata. L’unica traccia della quale disponeva era una sigla tracciata a penna sul retro di uno dei fogli scritti da Morphy, sicuramente frutto della prima frettolosa catalogazione effettuata dagli uomini del KGB sul treno sorvegliato dal maggiore Rudenko: L-452.
            Quando Veresov lo fece entrare in quello che veniva chiamato “magazzino”, Bondarevski rimase di stucco. Il locale, lungo una quarantina di metri, ospitava una serie interminabile di tavoli sui quali, in ordinato disordine, giacevano migliaia di quaderni, libri, fasci di fogli legati sommariamente con giri di spago, fotografie singole e di gruppo e documenti di identità recanti nomi come Blumenfeld, Spielberg, Horowitz: nomi ebraici.
            Bondarevski non sapeva dove iniziare a mettere le mani. I documenti erano da scartare, visto che nulla indicava il proprietario del manoscritto di Morphy, ed anche i libri, probabilmente, avrebbero dato un esito negativo. Non restavano che i quaderni ed i fogli sparsi. Aprì distrattamente la copertina di un quaderno e, sulla prima pagina, lesse una sigla: M-144.
            “Cosa significa questa sigla?”
            Veresov guardò poi disse: “Ah, quella. Si tratta delle sigle apposte da quelli dei servizi quando il materiale arrivò a Mosca”
            “Con quale criterio?”
            “Da quanto mi disse il mio predecessore, ora in pensione, il materiale era contenuto in diverse casse fabbricate dai tedeschi, e quelli dei servizi catalogarono il materiale in base alla cassa di… appartenenza. Quando il materiale giunse qui da noi lo separammo in base alla sua natura, libri, foto, e così via, ma tenendo se possibile raggruppato il materiale proveniente dalla medesima cassa. Questo quaderno, ad esempio, era contenuto nella cassa numero 144 e la M indica, credo, l’iniziale del nome del catalogatore”.
            “Quindi, se io stessi cercando qualcosa che recava il numero 452…”
            “Dovremmo cercare nel mucchio che era contenuto nella cassa numero 452, cioè da quella parte” spiegò Veresov, indicando una serie di tavoli alla loro destra. Si diressero verso un lungo tavolo che, come gli altri, era interamente occupato da documenti: “Vediamo… ecco qua: cassa 452” annunciò trionfalmente Veresov indicando una zona del tavolo.
            Bondarevski represse a stento la propria eccitazione e, indicando i documenti, domandò: “Posso guardare?”
            “Certo, compagno, sei qui per questo”.
            Aprì un quaderno dalla copertina slabbrata: sulla prima pagina stava scritto, con calligrafia infantile, il nome della proprietaria di un tempo: Michaela Goldberg. Aprì un secondo quaderno, meno malandato del primo: il proprietario era stato tale Solomon Mandelbaum ed il contenuto del quaderno non era altro che il diario di un adolescente.
            Aprì la copertina di un terzo quaderno, voluminoso e dalla spessa copertina nera, ancora in discrete condizioni. Il nome del proprietario gli balzò incontro dalla prima pagina: Dr. Emanuel Lasker. Seguiva una data: 1933.  Un tuffo al cuore! Poteva essere quello il documento la cui esistenza lui aveva ipotizzato? Sfogliò con aria distratta le prime pagine, scoprendo che il suo tedesco non era sufficiente a decifrare il testo. Rivolto a Veresov dichiarò: “Potrebbe essere questo lo scritto che stavo cercando”.
            “Ah, un vero colpo di fortuna, compagno!”
            Ignorando il commento Bondarevski riprese: “Come posso fare per avere questo quaderno? E’ necessaria una verifica comparata dei due scritti, questo e quello della Lomonosov”
            “Non è così semplice, compagno. Dovresti presentare una domanda a questo ministero ed attendere il nulla osta, ma ho forti dubbi che questo non sia possibile. Abbiamo avuto altre richieste, ma sono state tutte respinte. Fino a quando il materiale non sarà completamente esaminato e catalogato… e poi, la scarsità di personale…”
            “Si potrebbero fare copie fotostatiche” propose Bondarevski.
            “Anche per queste occorre l’autorizzazione, compagno” ribattè Veresov scuotendo la testa.
            Il senso di frustrazione di Bondarevski aumentò: “Non è possibile! Io devo poter esaminare il contenuto di questo quaderno!”. Poi, con una ispirazione del momento, chiese: “Posso fare una telefonata?”
            “Certo, compagno, seguimi”.
            Uscirono dal “magazzino”, percorsero alcuni corridoi ed entrarono in un ufficio scarnamente arredato. “Il mio ufficio” spiegò Veresov. Gli indicò il telefono ed uscì chiudendosi la porta alle spalle. Bondarevski compose il numero di Valeri alla Lomonosov e non appena l’amico venne a rispondere gli comunicò il risultato della sua visita al ministero.
            “Formidabile!” fu il commento del bibliotecario capo “Se riuscissimo a stabilire una connessione tra i nostri fogli e quel quaderno, anche se non riesco ad immaginare quale possa essere, avremmo trovato la prova tangibile dell’autenticità… In tedesco? Potrei tradurlo io stesso!”
            “Qui al ministero fanno parecchie difficoltà, purtroppo”
            “Ci sentiamo dopo, fammi fare qualche telefonata”
            Valeri era pur sempre il bibliotecario capo della più importante università dell’Unione Sovietica. Scomodò tutte le sue conoscenze di alto livello, all’università e al ministero, fino a quando non trovò la persona giusta, il direttore dell’archivio del ministero. Espose il caso, senza accennare se non vagamente al perché della sua ricerca, ed ebbe finalmente l’indicazione sul come rivolgere la domanda ed a chi consegnarla. Nel frattempo, Bondarevski lo aveva raggiunto dopo aver lasciato il ministero e ringraziato Veresov.
            I due si consultarono. Valeri confermò di poter tradurre il testo, nonostante il suo tedesco fosse un po’ arrugginito negli anni, convocò la segretaria e le ordinò di battere a macchina la domanda di prelievo del quaderno dal “magazzino” del ministero. Dopo una mezz’ora i due si avviarono verso l’austero edificio del Ministero della Cultura e dello Sport dell’Unione Sovietica, distante poche centinaia di metri, si fecero annunciare alla “persona giusta”, dovettero firmare entrambi una serie interminabile di documenti e poterono entrare in possesso del quaderno.
            Uscirono dall’edificio nutrendo un senso di trionfo: forse avevano tra le mani la chiave del mistero. “Visto?” disse Valeri “Così vanno le cose, oggi”.
            “Già, ma non dovrebbero andare così” fu l’acido commento di Bondarevski, il quale era comunque ansioso di cercare la traccia che collegasse il quaderno appena prelevato ed i fogli.
avatar Scritto da: Paolo Bagnoli (Qui gli altri suoi articoli)


5 Commenti a il caso Morphy, 6ª parte: una sigaretta…

  1. avatar
    Vanni 1 Gennaio 2013 at 18:22

    Appassionantissimo, complimenti. Vorrei che non finisse mai. E anche chieder al Sig. Bagnoli come ha avuto l’ispirazione per questo bel racconto.

  2. avatar
    paolo bagnoli 1 Gennaio 2013 at 18:35

    Ringrazio per i complimenti, ma essi andrebbero fatti all’amico Enzo Minerva, celebre compositore di problemi e studi.
    Il finale concepito da Enzo, tuttavia, non è quello che ho scritto e che leggerai, ma è stato suggerito da un altro amico, Fabrizio Zavatarelli, al quale avevo fatto leggere il dattloscritto per un suo giudizio e per eventuali suggerimenti di carattere storico, vista la sua competenza in fatto di scacchi ottocenteschi (Fabrizio ha appena terminato la stesura di una splendida biografia di Kolisch).
    Di mio, oltre alla banale stesura del testo, c’è soltanto l’idea del “meccanismo” del racconto, per rendere plausibile il tutto.

  3. avatar
    Australopithecus 2 Gennaio 2013 at 17:30

    Confermo! Anche a me piace tantissimo. Spero ci siano ancora parecchie puntate prima della paventata conclusione… 😯

  4. avatar
    paolo bagnoli 2 Gennaio 2013 at 18:58

    Non vorrei deludervi, ma il cerchio si sta stringendo e penso che tra qualche puntata arriverà il finale… che tuttavia non sarà un finale “conclusivo”.

  5. avatar
    Alessandro C. 15 Gennaio 2013 at 07:43

    Sono tra quelli che vota per avere subito tutte le altre puntate di questa bellissima serie: dobbiamo aspettare ancora tanto? 🙄

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