Quel giorno che incontrai Enrico Paoli

Scritto da:  | 21 Febbraio 2013 | 26 Commenti | Categoria: C'era una volta, Italiani, Personaggi

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Questa mia conversazione con l’indimenticabile Enrico Paoli risale agli ultimi giorni di febbraio 1982, ed ebbe luogo una sera presso i locali dell’allora “Banco di Roma”, in località Settebagni (periferia Nord di Roma), in occasione dello svolgimento dell’omonimo 6° torneo internazionale. Fu pubblicata sulla nostra “Zeitnot” qualche mese più tardi. Zeitnot era una rivista bimestrale, nata nel 1981 dalla collaborazione di sei amici che si erano conosciuti al Circolo ARCI “Roma Quattro”, poi divenuto “DLF Steinitz”. La rivista, diffusa esclusivamente per abbonamento postale, resse fino al 1984 quando ci accorgemmo, nonostante i contribuiti di alcune decine di eroici abbonati o collaboratori (come Adolivio Capece), di non avere più una lira per poter andare avanti né, soprattutto, forze per insistere nella faticosa impresa.

Per inciso, fu quella del 1982 una delle edizioni migliori del torneo romano. Vinsero Pinter e Korchnoi (con punti 7 su 9), ma ottimo terzo fu Mariotti che batté Korchnoi nello scontro diretto, e dietro ancora nomi illustri tra i quali Benko, Tatai, Robatsch, Zichichi (la bandiera del Banco), Unzicker.

Enrico Paoli, dunque. Parlavo con una persona di 74 anni, ed era un piacere discorrere con lui, ascoltare i suoi aneddoti, percepire intatto tutto il suo entusiasmo e l’amore per il nobil giuoco. Altri alla sua età avrebbero appeso la scacchiera a un chiodo. Non potevo certo immaginare che ancora per tanto tempo Enrico Paoli avrebbe invece continuato a scrivere pagine fondamentali per lo scacchismo italiano. Non potevo sapere che la FIDE gli avrebbe meritatamente attribuito, nel 1996, il titolo di Grande Maestro “honoris causa” e non potevo immaginare che nel 2004 avrei potuto incontrarlo di nuovo a Saint Vincent, davanti alla scacchiera come giocatore, all’età di 96 anni. Chissà se a Saint Vincent avrebbe risposto con le stesse parole alle domande che gli posi ventidue anni prima? O forse gliene avrei poste io di diverse?

Non si poteva lasciare questa testimonianza al solo ricordo di chi quel giorno era a Roma e di chi (in verità non molti) ebbe l’occasione di leggerla sulle pagine di Zeitnot. La riporto qui nella sua interezza (furono trentatré le domande rivolte a Paoli), ringraziando Ubi e i vecchi amici di Zeitnot, senza i quali questa conversazione non sarebbe mai avvenuta, e Roberto con i nuovi amici di SoloScacchi, che hanno deciso di tornare ad ospitarla, dopo così tanto tempo. E ringrazio ancora una volta il meraviglioso Enrico Paoli, che ci ha lasciati il 15 dicembre del 2005, nella sua adottiva Reggio Emilia, a pochi giorni dal compiere i 98 anni.

Quel giorno che incontrai Enrico Paoli 2

Roma, febbraio 1982

Enrico Paoli (Trieste 13 gennaio 1908), una vita dedicata agli scacchi: maestro dal 1938, maestro internazionale dal 1951, campione italiano nel 1951, 57 e 68. Vincitore dei tornei di Vienna (1951), Imperia (1959) e Reggio Emilia (1968). Prima scacchiera alle Olimpiadi di Amsterdam del 1964, capitano della nazionale alle Olimpiadi del 1970, 72 e 76. Arbitro internazionale dal 1964.

Scrittore e teorico del gioco, apprezzato compositore di studi, cura da anni varie rubriche sulle maggiori riviste italiane e straniere. Cavaliere al merito della Repubblica per meriti scacchistici, Enrico Paoli è uno dei grandi dello scacchismo italiano di ogni tempo, certamente tra quelli che più si sono prodigati per l’affermazione e la divulgazione del gioco.

L’interesse e l’importanza della nostra conversazione con il Maestro Paoli, schietto e sincero su ogni argomento, travalica quelli che erano gli obiettivi della rubrica, ovvero l’intervista in senso stretto, ed assume la forma ed il tono di una sintesi del pensiero scacchistico del grande triestino.

Z: Maestro Paoli, può parlarci dei momenti più belli della sua già lunga carriera, e che le auguro ancora lunghissima, di giocatore e poi di organizzatore ed arbitro?

Enrico Paoli: Sono stati tanti i bei momenti, ma più di tutti, per ora, quelli che ho vissuto da giocatore. Il più bello senz’altro nel 1951, quando sono diventato Maestro Internazionale, vincendo il torneo di Vienna, a distanza di 25 anni dal successo di Monticelli a Budapest.

Z: Lei ha avuto occasione di affrontare quasi tutti i migliori giocatori degli ultimi trent’anni. Mi piace chiederle, in particolare, chi, davanti alla scacchiera, si è mostrato più sportivo e corretto e, magari, se può dirlo, chi un poco di meno.

Paoli: Tra i più corretti ricordo ad esempio Unzicker, o Petrosjan, o Tajmanov. Un po’ meno lo era Donner. C’è poi da dire di Fischer. Vede, con lui non ho mai giocato, ma l’ho visto giocare spesso con altri, l’ho visto perdere con Spassky alle Olimpiadi di Siegen e subito scappare senza nemmeno firmare il modulo. No, no, lui non è stato un esempio da seguire, come non lo è stato, e mi dispiace dirlo, il povero O’Kelly quando ebbe a perdere una partita con me: mise giù il Re e se ne andò senza neanche stringermi la mano.

Z: Ma si è imbattuto anche in giocatori che durante la partita cercano in qualche modo d’innervosire o distrarre l’avversario?

Paoli: Sì, sì, ci sono, anche se molti lo fanno a volte senza neppure rendersene conto. Ad esempio, l’americano Zuckerman, durante il torneo di Bari del 1970 continuamente toglieva dalla scacchiera dei “pelini” che nessuno vedeva: li vedeva soltanto lui. Io ero l’arbitro di quel torneo e ricordo che il buon Honfi, giocatore ungherese, venne da me a protestare per questo comportamento: “io non riesco a giocare! Ogni tanto mi appare davanti agli occhi questo dito che piomba dall’alto sulla scacchiera …”. Ma io sapevo bene che Zuckerman non lo faceva apposta, la sua era una mania, e allora che vuol fare contro le manie?

Z: A proposito di scarsa correttezza, in uno dei suoi libri lei accenna ad una sua partita con Filip sospesa in una posizione apparentemente vinta per lei e che poi fu patta soltanto grazie (per Filip) alle analisi notturne del suo “secondo”, Fichtl. Cosa ne pensa, oggi, di questo caso e di altri simili?

Paoli: E’ vero, è vero, accadono cose che mi sento di definire semplicemente indecenti. Io suggerirei di cambiare i regolamenti in questo modo: giocare il pomeriggio per cinque ore, sospendere un’ora-un’ora e mezza per la cena, poi riprendere dopo cena. E’ quello che sosteneva Canal, e prima di lui già Capablanca. Ma vedo, ragazzo, che lei ha letto il mio libro “Giocare bene per giocare meglio”. Avrà allora anche letto che nel torneo di Sofia ho avuto cinque notti di partite sospese, e analizzare tre-quattro ore per notte è un incubo e una fatica tremenda. Un’altra soluzione, vede, può essere quella adottata nel mio torneo di Reggio Emilia, ovvero cinquanta mosse in tre ore: parecchie partite finirebbero senza arrivare alla sospensione.

Z: Lei, maestro, ha appena citato una sua opera. Esiste qualcosa che vorrebbe scrivere, ma che non ha avuto ancora la possibilità di fare?

Paoli: Beh, di sicuro vorrei ancora scrivere qualche libro, ma in fondo penso che i quattro fin qui usciti hanno ben riempito una lacuna.

Giocare bene per giocare meglio

Z: Fra questi quattro qual è stato quello di maggior successo?

Paoli: Certamente quello che abbiamo già citato: “Giocare bene per giocare meglio”, che ha venduto tremila copie in pochi mesi, un “boom”, credo, per il nostro Paese. Lo stesso Canal, con la sua ottima “Strategia di avamposti”, ha impiegato dieci anni per vendere lo stesso numero di copie. Questo, però, anche perché oggi ci sono tanti giovani che leggono molto. A proposito, dovrei fare una critica a questi giovani, perché comprano troppi libri e studiano poco. Invece i libri dovrebbero essere tre o quattro, basilari, da imparare a memoria o da consultare così come si consulta un dizionario. Invece, lo vede che errori fanno i giovani? Lo vede?

Z: ..ma io, sinceramente non …

Paoli: Glielo dico io: fanno sempre gli stessi errori, giocano per la tattica, buttano i pedoni in avanti, lasciano case deboli, dimenticano, insomma, quella che è la strategia.

Z: Mi pare di capire, quindi, che lei non vede chi, fra questi giovani, abbia la possibilità di seguire le orme di Mariotti.

Paoli: Eh! Ma lei ha nominato un pazzo! Sì, Mariotti è proprio un pazzo, un genialoide. Mica è facile seguire le sue orme! In un certo senso si può dire che Mariotti (e non me ne voglia il bravo Sergio, che io conosco fin da ragazzino e che in questo momento è di là che gioca) abbia influito negativamente sull’educazione scacchistica dei giovani. Quando lui butta lì un “h5”, o un “a5”, è chiaro che mica tutti possono imitarlo in questo, come non tutti potevano imitare un Nimzowitsch, ad esempio. Mariotti è un po’ al di fuori di quello che è la norma, ha uno stile tutto suo col quale spesso riesce ad influenzare anche il gioco degli avversari. E, del resto, che succede in Italia? Guardi un Franco Scafarelli, un Renato Cappello, un Daniele Taruffi: quando cominciano ad avere la possibilità di salire, ecco il lavoro, la vita di tutti i giorni e … buonanotte, spariscono tutti. Oggi sembra promettere bene Arlandi, ma, come ho spiegato nei miei libri, i primi passi sono quelli che vengono grandi e ampi, è dopo che si fanno i passetti piccoli ma decisivi, è lì che inizia il vero e difficile lavoro, è li, purtroppo, che gli italiani se ne vanno. Non hanno tenacia. Mi chiedo, a volte, se bisogna essere tedeschi, slavi o ebrei per riuscire. Da noi l’ultimo Maestro Internazionale è stato Zichichi, ed ha 40 anni. Dove sono i giovani? Non ce ne sono.

Z: Eppure, oggi le possibilità di emergere aumentano: festivals e tornei non mancano.

Paoli: Sì, tutti questi festivals danno modo ai giovani italiani di giocare con i maestri stranieri. Io ho dovuto attendere 40 anni per giocare il mio primo torneo internazionale. Tuttavia il livello tecnico dei nostri giocatori lascia ugualmente a desiderare. Si arriva a Maestro Fide e non si va oltre. Ci vorrebbe maggiore serietà nei giovani e soprattutto bisognerebbe evitare i tornei a sistema svizzero, dove si fa questo tipo di ragionamento: “ho perso oggi, domani vincerò”. Il vero torneo è invece quello all’italiana, dove ci si deve creare una linea di condotta dalla prima all’ultima partita, dove si deve calcolare, osservare le partite degli altri, prendere nota delle aperture che vengono giocate…

Z: Qual è la sua opinione sul sistema delle categorie e delle promozioni che è in vigore attualmente in Italia?

Paoli: Ho un’opinione per niente buona, per niente. Quando io ero giovane c’erano i circoli, e basta. Oggi sentiamo qualunque salame dire “no, io non gioco il torneo sociale perché sono di seconda nazionale” e crede di essere chissà chi! Qual è, invece, la base di una società? E’ la famiglia scacchistica, cioè il circolo. Non che io non sia d’accordo con i tornei “open”, è che non sono d’accordo con le categorie. Piuttosto occorrerebbe tornare subito al sistema Elo. Enzo Giudici, di Roma, ha lottato tanto per abolire l’Elo, e mi scrisse anche affinché io sostenessi la sua battaglia. Gli risposi con queste parole “Io una volta avevo 2.335 punti Elo, adesso ne ho 2.220, ed è giusto che sia così perché sono vecchio. Non posso pretendere di avere a 70 anni l’Elo che avevo a 20. Se lei, poi, mi propone un sistema migliore dell’Elo, io glielo sostengo”. Il fatto è che non esiste niente di meglio. Con l’Elo si è potuto fare confronti fra i giocatori attuali e i campioni del passato. E, anche se non è perfetto, ma non c’è nulla di perfetto a questo mondo, può dare, più o meno, l’idea della capacità attuale del giocatore, sempre se questi ha l’intenzione di giocare; se invece ha l’intenzione di lavorare con l’alambicco, allora è un altro discorso.

Z: A proposito di alambicchi. E delle patte d’accordo, ormai piaga in tanti tornei, a tutti i livelli, cosa ci dice?

Paoli: Mah, e cosa si può fare, d’altra parte? Si era pensato di vietare la patta prima della trentesima mossa, ma allora nessuno può impedire a due giocatori di fare 1.Cf3,Cf6 2.Cg1,Cg8 3.Cf3,Cf6 eccetera. Una volta Rogoff ed Hubner si misero d’accordo per la patta dopo 1.e4. Dopo le contestazioni del direttore del torneo, continuarono così la partita: 1…a6 2.Ab5, seguitando a mettere i mezzi in presa fino a pareggiare lo stesso. Questo significa prendere in giro gli spettatori. Io li avrei volentieri squalificati per cinque anni.

Z.: Perfettamente d’accordo sull’Elo e sulle patte. Non crede però che il campionato dei giovani, la Coppa Italia, il Campionato a squadre, siano sintomi di un certo risveglio della FSI?

Paoli: Lo spero, purtroppo quello che da noi manca è la disciplina. La FSI non dimostra tutta quell’autorità che dovrebbe avere, come avviene all’estero ad esempio. Così succede che Tizio si vende la partita, che Caio si vende la coppa per diecimila lire. E tutti lo sanno e fanno finta di niente. Questi comportamenti dovrebbero essere severamente puniti dalla Federazione. Invece che accade? Che abbiamo un conte dal Verme che …boh? Abbiamo un Palladino che s’interessa soprattutto di organizzare tornei tipo Campionato del mondo. Intendiamoci, non voglio criticare, anche questo fa brodo, però sono le piccole cose, come l’allenamento dei giovani, che mancano. Perciò, quando Palladino è riuscito a strappare a suon di centinaia di milioni la finale mondiale, poteva fare ancora qualcosa di più, allestendo contemporaneamente un torneo FIDE, o magari il Campionato dei giovani.

Z.: Quindi Merano è stata forse un’occasione mezzo perduta?

Paoli: Beh, abbiamo concentrato su di noi per parecchie settimane l’attenzione del mondo: c’erano venti telescriventi, non so quanti grandi maestri e giornalisti. Interessantissimo, però dopo che traccia rimane? Cosa resta allo scacchismo italiano? Niente. Un po’ di lustro e buonanotte! Capisce cosa voglio dire? Bisogna lavorare più sui giovani. Parliamo, ad esempio, di Bela Toth: Ormai Toth è diventato cittadino svizzero, perché in Italia non trovava da vivere. All’estero i migliori giocatori vengono assunti da banche o industrie (qui il Banco di Roma è l’unica eccezione). Sa, a Venezia un giorno Hort mi disse “… ma io verrei volentieri a giocare in Italia, datemi però la sicurezza di vivere con la famiglia …”.

Z.: Non si riscontra in tutto ciò anche una latitanza delle autorità sportive politiche?

Paoli: Eh, sì! Quando parli di scacchi, a volte neanche rispondono. Solo ora qualcuno ha cominciato un po’ a rendersi conto che gli scacchi non sono soltanto un passatempo, grazie anche a Fischer, a Korchnoj, a tutto ciò che in questi ultimi anni ha fatto notizia. Ma si tratta sempre di interessamenti episodici, i buoni propositi rientrano molto presto in un cassetto.

Z.: Quando arriveremo allora ad avere gli scacchi insegnati nelle scuole?

Paoli: Ho provato ad insegnare scacchi nelle scuole. Una volta scrissi anche al Provveditore agli Studi, il quale girò tutto al Ministero della Pubblica Istruzione, da dove mi arrivò, dopo un bel po’ di tempo, una sconcertante risposta che in sintesi diceva : “Gli scacchi sono soltanto un gioco, e un gioco non adatto alle scuole”. E allora cosa si vuol fare? Quando si trovano sempre delle porte chiuse? Ad ogni modo io ho tenuto parecchi corsi nelle scuole. Ecco, quando c’è un presidente che è una persona intelligente, allora a volte si può fare qualcosa anche nelle scuole. Ma naturalmente queste iniziative di singoli, come le mie, valgono a poco: occorrerebbe entrare proprio nel programma scolastico.

Z.: E in attesa di ciò, che altro si potrebbe fare per diffondere adeguatamente gli scacchi anche in Italia?

Paoli: Ah, è molto semplice: basterebbe trovare in ogni città un Paoli o uno Zichichi, oppure avere l’organizzazione che c’è, ad esempio, in Ungheria. Pensate che la federazione ungherese ha comprato di recente tutti i libri di un certo Toth, un signore di Kecskemet, una biblioteca fantastica, due appartamenti tappezzati di libri. Certo, ogni Paese ha i suoi problemi: in Ungheria, negli ultimi campionati nazionali, Portisch, Pinter e gli altri migliori non volevano giocare perché si guadagnavano solo “forint”, che sono cosa ben diversa dai dollari. Ma chi è che gioca solo per amore degli scacchi? Karpov? Forse, però intanto a Milano si è fatto dare tremila dollari sottobanco. Il fatto è che, quando si comincia a sentire il suono del “vil metallo”, tutti quanti ridiventano uomini e le belle idee vanno a farsi benedire.

arte della combinazione scacchistica

Z.: Visto che lei ha accennato all’attuale campione del mondo, mi dice quali sono stati i tre più forti giocatori di sempre?

Paoli: Al primo io metterei senz’altro Fischer. So che Petrosjan non sarebbe d’accordo con me. Una volta ho avuto con lui una lunga discussione in proposito. Petrosjan sosteneva che Fischer non ha fatto altro che migliorare idee di altri, e che il più grande di sempre era stato Botvinnik. Io non nego che Botvinnik sia stato grande, ma Fischer ha rivitalizzato varianti che erano cadute in disuso o messe in un archivio. E poi, dove si trova nella storia un match in cui uno dei due vince 6 a 0 ed il perdente è un grande maestro del valore di un Tajmanov o di un Larsen? E’ vero che quel sistema è crudele perché chi perde una partita è poi costretto a giocare per vincere la successiva, e magari per forzare finisce per perdere. Comunque nella storia del gioco, cominciando da Morphy, non esiste nessun altro che possa vantare simili vittorie. Perciò io dico Fischer, sicuramente. E dopo di lui piazzerei Alekhine e Lasker.

Z.: Qui è il momento di porle la mia domanda preferita: riuscirà un giorno un calcolatore a battere il campione del mondo?

Paoli: No, no! Botvinnik è di questo avviso, ma secondo me è impossibile. E’ impossibile perché il calcolatore è l’imbecille più veloce del mondo. No, no! Io dico che è impossibile.

Z.: E secondo lei chi emergerà, dai prossimi tornei interzonali, come sfidante di Karpov?

Paoli: Come si può fare un pronostico? Vede, anche Timman, che è uno dei più accreditati, passa da un primo posto ad un risultato deludente. E questo perché avviene? Lo sa? Perché oggi i professionisti più forti hanno una disgrazia: sono costretti a giocare sempre, in quanto ogni volta che saltano un torneo è un guadagno perduto. Anche questi famosi matches hanno perciò un valore relativo. Karpov sarebbe in ogni caso sempre il favorito, perché sta lì ad aspettare mentre gli altri si massacrano per arrivare fino a lui. Non mi riferisco al match di Merano, che è apparso una burletta: vedere Korchnoj studiare 80 minuti alla nona mossa per fare Af8-e7 è stata una cosa pietosa. Ae7 era una mossa di sviluppo che avrebbe fatto chiunque, sprecando due minuti al massimo. Ma si parlava di sfidanti. Beh, ci sono i soliti, ho detto di Timman, poi in primo piano Kasparov, che in Russia è considerato il successore di Karpov. In Occidente ci sono giocatori in gamba, sì, ma io direi che è più facile trovare futuri campioni nella massa di milioni di scacchisti che esistono in URSS.

Z.: Mi pare di aver capito, dalle sue parole, che l’attuale sistema adottato dalla FIDE per la designazione dello sfidante al titolo mondiale non incontri troppo il suo favore. Vero?

Paoli: Sì, infatti penso che la cosa migliore sarebbe quella di abolire codesti matches e ritornare ad un Torneo di Campionato. Guardiamo ad esempio il match Polugaevsky-Mecking del 1977: con una sola partita vinta su 12, Polugaevsky è entrato in semifinale. Non è mica tanto giusto. Io vedrei molto meglio un supertorneo a doppio girone fra gli otto o dieci più forti giocatori del mondo.

Z.: Ma i tornei all’italiana non favorirebbero eventuali giochi di squadra? Mi sembra che vennero aboliti per questo motivo.

Paoli: Per evitare ciò si potrebbero forse ammettere non più di due giocatori della stessa nazione. Dirò di più: fra questi otto o dieci io metterei anche il campione del mondo. Non è giusto, ripeto, che i suoi avversari si scannino tra loro mentre il campione li aspetta al varco dopo essersi ben studiato e analizzato il gioco del suo possibile sfidante. Per determinare il campione del mondo non c’è una soluzione più giusta del torneo all’italiana.

Z.: In ogni caso, lei non crede che l’enorme approfondimento della teoria delle aperture stia un po’ inaridendo il gioco e deprimendo la fantasia?

Paoli: Questo no, perché l’apertura conta fino ad un certo punto. Quello che conta è il mediogioco. E’ qui, l’ho scritto mille volte, il vero banco di prova per un giocatore. E qui che ci sono due o tre idee che si vedono subito ed altre tre o quattro che sono nascoste. Il grande giocatore sa trovare tra quelle nascoste, e non fra quelle che si vedono, quella che secondo lui è la migliore. Purtroppo il giudizio della posizione è il tallone di Achille anche di parecchi grandi maestri.

Z.: A suo parere, quindi, è opportuno giocare la fase di apertura piuttosto velocemente?

Paoli: Se lei non conosce l’apertura fino almeno alla ventesima mossa, certamente no. Ricordo un episodio rimasto famoso, protagonista il grande maestro Matanovic, che affrontava a Bucarest un giocatore a lui inferiore e di cui non ricordo il nome. Questi si è avventurato in una variante sbagliata della difesa Francese, analizzata già su “Shakhmaty”. Ma Matanovic non conosceva quelle analisi e, pur trovando sulla scacchiera tutte le mosse giuste, finì terribilmente in ritardo di tempo e gli cadde la bandierina. Allora, dico io, sarebbe stato meglio non trovarle, le mosse giuste, ma vincere.

Z.: A proposito di tempo, il gioco lampo e semi-lampo è un utile allenamento?

Paoli: No. Io sono d’accordo con Fischer, che disse che il gioco lampo è la morte degli scacchi. Eppure Fischer, badate bene, era uno che “lampo” metteva sotto chiunque. Ma non perché si allenava a giocare lampo, semplicemente perché era uno che vedeva sempre, prima degli altri, la mossa giusta.

Quel giorno che incontrai Enrico Paoli 3(grandi maestri di lettere e filosofia, Danimarca 1934: li riconoscete?)

Z.: Insomma, Maestro Paoli, cosa sono gli Scacchi?

Paoli: E’ stata già data una risposta soddisfacente a questa domanda: sono arte, e allora dobbiamo guardare ad Alekhine, sono sport, e allora dobbiamo guardare a Fischer, sono scienza, e allora dobbiamo guardare verso Lasker.

Z.: Eppure, come abbiamo detto prima, c’è chi pone in dubbio l’aspetto sportivo degli scacchi.

Paoli: Come si fa a dire che gli scacchi non sono uno sport? Secondo me, invece, sono uno sport per eccellenza. L’ex presidente della FSI Miliani diceva che “il cervello è il re dei muscoli”.

Z.: Qual’ è la qualità basilare del giocatore di scacchi?

Paoli: L’analisi.

Z. L’elemento nervoso ha una sua importanza?

Paoli: Beh, certo, certo. Hubner lo ha dimostrato. E’ chiaro che chi ha nervi fragili non può giocare a scacchi. Ricordo che nel 1951, durante il torneo di Vienna, la notte non dormivo. Ma ero molto giovane e in forze, e riuscii a vincere lo stesso quel torneo. A Trencianske Teplice, nel 1949, ero a colloquio con Foltys, un bravissimo maestro internazionale cecoslovacco, purtroppo morto di cancro nel 1952. Gli confessai che di notte non riuscivo a prender sonno e che non volevo assumere sonniferi, temendo di non essere poi abbastanza lucido davanti alla scacchiera. Foltys mi disse: “Si ricordi, la cosa più importante per uno scacchista è dormire”. Si dice, ad esempio, che Portisch e Larsen dormano, durante i tornei, anche dieci ore. A questo proposito ho un aneddoto da raccontare. Sa che Szabo trova sempre una scusa, ogni volta che perde una partita? Eh, infatti Blackburne diceva ”non ho mai avuto la fortuna di battere un giocatore sano”. Ebbene, al maestro internazionale ungherese Flesch, celebre per il suo record di partite alla cieca, era da poche settimane nato un figlio. Un giorni ci disse “Questo bambino diventerà il più grande giocatore di scacchi al mondo”. Perché? “Perché piange come Szabo e dorme come Portisch”.

(A questo punto della nostra lunga conversazione, che si svolgeva nella sala analisi del Torneo internazionale del Banco di Roma del 1982, ci accorgemmo che la presenza di Paoli aveva attirato l’attenzione di molti presenti. E fra questi c’era la redazione di Zeitnot al completo. Franco e Catello, accaniti “postal challenger”, non potevano mancare di toccare questo argomento).

Z.: Cosa pensa del gioco per corrispondenza?

Paoli: E’ eccellente, quando però non intervengano fattori estranei. Eccellente perché facilita uno studio completo, quindi è particolarmente utile per l’analisi del mediogioco.

il Finale negli Scacchi

(Interviene qui uno spettatore, evidentemente alle prime armi): E quali libri si sente di consigliare ai principianti?

Paoli: Beh, tra quelli che sono attualmente in commercio in Italia sono validi il vecchio “Padulli”, il “Cillo/Luppi”. Ai principianti consiglio in particolare di studiare due o tre aperture e di giocare sempre quelle. Per il centro partita, un libro che consiglio a tutti è “Difesa e contrattacco” di Tibor Florian. E poi i miei, naturalmente. Vorrei aggiungere una cosa. Mi piacerebbe che i giovani cominciassero a dedicarsi un poco anche alla composizione e agli studi, un terreno che in Italia è oggi, purtroppo, alquanto trascurato.

(Ancora da altro spettatore): Secondo lei è più giusto giocare con lo stile romantico di un tempo o con lo stile così scientifico di oggi?

Paoli: Ma no, non esiste nessuno stile romantico. Lei vince una partita in stile romantico solo se il suo avversario gioca male. Ho già scritto da qualche parte che “non esistono combinazioni se il tuo avversario gioca correttamente”. Sa cosa diceva Keres? “Per avere delle chances, bisogna dare delle chances”. Pertanto lei deve rasentare il rischio e, nel rischio, cioè nella bagarre, lei deve saper trovare il bandolo della matassa. In conclusione, se lei vuole vincere in stile romantico, deve sapere che rischia seriamente di perdere.

(Insiste lo spettatore, non pienamente convinto): allora lei ritiene che quel bel gioco di una volta era soltanto una moda?

Paoli: Il fatto è che una volta non esisteva tanta tecnica, non si conosceva l’arte della difesa. Ecco perché si vedevano i Re passeggiare al centro della scacchiera. Poi giunse Lasker, professore di filosofia, che ha applicato la filosofia anche agli scacchi. Lui era tanto bravo da indurre gli avversari a sbilanciarsi e quindi a batterli. Ma Lasker aveva sempre un punto fermo, ad esempio una casa che costituiva il perno della sua difesa.

Quel giorno che incontrai Enrico Paoli 1

(L’ultima mia domanda tocca invece l’argomento che probabilmente più sta a cuore a Enrico Paoli: il torneo di Capodanno, il “suo” torneo).

Z.: Maestro Paoli, un suo grandissimo merito è stato quello di aver inventato e realizzato, per larga parte da solo, il Torneo di Reggio Emilia, già arrivato alla ventiquattresima edizione. La comune preoccupazione è questa: il Torneo di Capodanno continuerà anche quando lei non se la sentirà più di offrire tutto il suo apporto?

Paoli: Quella di organizzare tutti gli anni questa manifestazione è stata effettivamente una difficile impresa, e quando morirò io rischierà di morire anche il Torneo di Reggio. Fra poco avrò 75 anni, e la prossima sarà comunque l’ultima edizione da me organizzata. Forse, ora che ho reso noto ciò, qualcuno si muoverà. Sarebbe davvero una cosa idiota lasciar morire questo torneo, anche perché adesso gode finalmente di sostanziali aiuti da parte di banche e di enti diversi. Io ho parlato con molta chiarezza e sincerità a coloro che in questi ultimi anni mi sono stati vicini: “Ormai sono vecchio, la fatica mi ammazza. Tutto quel lavoro massacrante, che ho fatto finora, non lo potrò più fare. Se volete continuare, giovani, io vi assicuro, finché sarò vivo, tutti i miei consigli e la mia assistenza”.”

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Torno ai giorni nostri e termino con un augurio, il cui realizzarsi sarebbe un grande omaggio a Enrico Paoli da parte di chi ha a cuore il gioco degli scacchi e il futuro degli scacchi in Italia.

Che si riprenda a giocare di nuovo il Torneo di Capodanno di Reggio Emilia, una tradizione per 54 anni consecutivi, dal 1958 al 2011, ma interrotta nel 2012 per problemi che non conosco. Una tradizione che non merita di spegnersi.

Perché prima o poi un giocatore italiano dovrà ripetere l’impresa di Mariotti, ultimo italiano ad aver vinto (1969-70) a Reggio Emilia.

Perché Paoli ha dimostrato che per fare la storia del gioco non contano tanto i titoli personali quanto la generosità nel proprio impegno.

E perché non si perda la memoria di Enrico Paoli, in quanto è di tante altre persone come Enrico Paoli che avrà bisogno il nostro Paese, e non soltanto negli scacchi.

Qui mi piace ricordarlo, da ultimo, ripresentando la sua ottima partita giocata nel 1950 a Venezia contro il fortissimo Kotov, partita che vinse il premio di bellezza.


P.S.: Scartabellando nell’archivio di SoloScacchi (“Blog Archives”), troverete molte altre pagine su Enrico Paoli, tra le quali vi segnalo il bell’articolo di Mauro Berni “10 febbraio, il giorno del ricordo”, uscito il 10.2.2011.

 

 

 

avatar Scritto da: Marramaquís (Qui gli altri suoi articoli)


26 Commenti a Quel giorno che incontrai Enrico Paoli

  1. avatar
    Ivano E. Pollini 21 Febbraio 2013 at 06:40

    Bravo Riccardo!

    Raramente ho letto su SoloScacchi un articolo così interessante e “istruttivo”.

    Mi rendo conto che c’è sempre da imparare molto dall’esperienza dei “grandi” e personalmente sento di aver ancora molto da imparare da questo gioco millenario e dall’esperienza dei grandi giocatori, come Paoli, Rosselli del Turco, Monticelli, Castaldi e altri ancora.

    Mi devo complimentare con te ancora una volta per l’interesse dei tuoi contributi e lo stile con cui li scrivi.

    Grazie e complimenti vivissimi.

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    Fabio Lotti 21 Febbraio 2013 at 10:06

    Ottima lettura che mi ha fatto ricordare tante cose del passato. Paoli indimenticabile.

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    Mongo 21 Febbraio 2013 at 10:57

    Che altro dire: sublime!

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    Stefano Tescaro 21 Febbraio 2013 at 18:40

    Lettura interessante (molto) e piacevole.
    Grazie per aver condiviso l’intervista

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    Zenone 21 Febbraio 2013 at 21:13

    Complimenti a Marramaquís per questo pezzo che, onestamente, ha il sapore della nostalgia. Le parole del GM Paoli sanno “di buono”, di passione e sincerità. Il GM Paoli ha dimostrato in questa intervista di non avere peli sulla lingua e chiamare le cose con il loro nome. Un esempio.

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    Marramaquis 21 Febbraio 2013 at 21:46

    I vostri apprezzamenti mi fanno piacere e vi sono grato. Ma possibile che non ci sia nessuno che voglia provare ad indovinare chi sono i due giocatori della foto in bianco e nero posta a metà dell’articolo?
    Ehi, Ramòn, quanti punti hai ancora nel cassetto da attribuire a chi ci azzecca? Dai, cerca di essere generoso come lo è sempre stato Paoli: 50 punti a giocatore? Di più?

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    Martin Eden 22 Febbraio 2013 at 07:59

    Ramón mi risulta assente all’appello… voci affidabili lo danno imbavagliato in fondo alla stiva del Granma in seguito ad un tentativo di ammutinamento nei confronti di Capitan Mongo… quindi per il punteggio ci rimettiamo alla tua coscienza ed alla tua generosità… ma se intanto ci vuoi anche versare un anticipo del rimborso IMU fa’ pure 😉
    Io nel frattempo mi leggo e mi rileggo questa pagina stupenda coi saggi consigli di quel Grande (in tutti i sensi) Maestro che fu Enrico Paoli…

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    lordste 22 Febbraio 2013 at 12:30

    C’è da dire che Paoli in questa intervista prende anche qualche “sfondone”, dal giudicare il pessimo Padulli uno dei migliori libri di scacchi in Italia, al pensare che “mai un computer batterà il Campione del Mondo ” (profezia destinata a cadere pochi lustri dopo)…
    …e poi, considerare Petrosjan un giocatore corretto dopo quello che ha fatto passare a Fischer e Korchnoi…. :mrgreen:

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      Cardillo - Cordiferro 23 Febbraio 2013 at 10:04

      Lungi da me il proposito di dare il via ad una futile polemica a valle di questo meraviglioso contributo di Marramaquis, l’ennesimo in questa altrettanto meravigliosa cornice di tesori che è questo sito ma desidero semplicemente provare a interpretare il pensiero del grande maestro fiumano.

      Quando Paoli cita Petrosjan tra i giocatori più corretti è evidente che si riferisce a quelli da lui incontrati sulla scacchiera infatti quando parla di Fischer puntualizza di esser stato presente all’incontro in questione, appunto quello con Spasskj alle Olimpiadi.

      Parlando di computer occorre ricordare che siamo all’inizio degli anni ’80, quando addirittura il termine “personal computer” era del tutto ignoto… al massimo si vedeva circolare qualche scacchiera scacchiera della Mephisto o della Fidelity, prezzi da capogiro per processori oggi ridicoli… Ricordiamo inoltre che Paoli era del 1908 epoca in cui il cinematografo muoveva i primi passi e tante tecnologie a cui oggi le nuove generazioni sono più avvezze praticamente dell’aria che respirano potevano essere al massimo appannaggio di fantasie talentuose come quella di Jules Verne 😉

      Il Padulli?? d’accordo, non sarà stato un grande testo ma, di nuovo, cerchiamo di calarci nel panorama scacchistico italiano di quegli anni, quando prima che la gloriosa Mursia proponesse al pubblico italiano quella stupenda collana editoriale denominata “i giochi” e dedicata appunto agli scacchi e al bridge… cosa c’era a disposizione nelle librerie? Il Salvioli, il Miliani e, per i principianti… giusto il Pasquinelli ed il Padulli…
      Facile criticare tutto questo nel 2013, facile ma alquanto ingiusto…
      Grazie

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    Zenone 22 Febbraio 2013 at 15:42

    Ok, il giocatore a destra potrebbe essere Walter Benjamin a sinistra senz’altro Bertold Brecht.

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    Marramaquis 22 Febbraio 2013 at 21:16

    Zenoneeeeeeeeeeeeeeeeeeee !!!!!!!!!! Right! Sono loro, Brecht e Benjamin (Walter) nel 1934 a Skovbostand, presso Svendborg, in Danimarca. Cinquemila punti per te (forse), più tutta l’IMU che mi verrà rimborsata. Promesso. Peccato che l’arbitro ultimo sia il severissimo Maròn, pardòn: Ramòn.

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      Mongo 23 Febbraio 2013 at 00:20

      Bertold Brecht era abbastanza facilino, ma Walter Benjamin per me è un Carneade. 😕

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    Jas Fasola 23 Febbraio 2013 at 11:58

    Nel 1982 gli scacchi in Italia erano, considerate le risposte di Paoli (tra l’altro sono sorpreso non abbia consigliato “Il libro completo degli scacchi”;) davvero indietro nei confronti delle altre nazioni. Un esempio? Se qualcuno ha il suo “Il finale negli scacchi” (nel 1982 doveva essere gia’ in commercio) provi a guardare il finale T+A vs T. C’e’ un metodo di difesa della parte in svantaggio? No, non c’e’ (vado a memoria). Eppure si tratta di metodi che avevano allora un centinaio di anni…
    Articolo quindi interessante da un punto di vista storico, mentre sul valore delle risposte date sarei piuttosto dubbioso.

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      Cardillo - Cordiferro 23 Febbraio 2013 at 16:06

      In effetti anche per quanto riguarda i finali, per il lettore di lingua italiana, sul mercato c’era davvero poco a disposizione: il trattato di Paoli era l’unico testo “sistematico”, poco quilibrato per quanto riguarda il materiale trattato, con una parte, la prima quella dedicata ai finali di Pedoni, davvero mirabile, soprattutto l’analisi delle case critiche, mentre poco didattiche (e anche utili, se posso permettermi) risultavano altre sezioni. Eppure un grande libro, non solo per dimensioni. Non dimentichiamoci che arrivò alla quarta edizione e Paoli ci teneva moltissimo, tra le sue “creature” era forse quello che citava con più affetto…
      Che altro?!? Il Grigorjev: monografia esemplare dedicata ai finali di Torre, invito chiunque si sia avventurato oltre pagina 3 a venire a cena mia stasera (non esco a far la spesa apposta di proposito…;), fantastico ma pressoché inaccessibile alla maggior parte dei lettori sotto la categoria Magistrale e poi?? Ah, sì, un bel libello di Capece sui finali di Pedoni, purtroppo non rammento l’editore (De Vecchi??). Il “Practical Chess Endings” di Keres è stato tradotto in Italiano da Mursia (traduzione pessima come ha sottolineato Martin Eden in una delle vostre interessanti recensioni) solo all’inizio degli anni ’90.
      Tutto intorno il deserto… credo che abbia davvero ragione Jas a parlare di arretratezza culturale del settore anche se un ottimo concetto Paoli lo ha espresso davvero: “meglio pochi testi da apprendere a fondo (Dottor Pili cucù?!? “overlearning” in linguaggio tecnico, giusto?), piuttosto che dozzine dimenticati lì a prender polvere sugli scaffali…”
      Ancora complimenti per l’articolo e per il sito! 💡

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    Wolf 24 Febbraio 2013 at 10:03

    Un grande articolo per un autentico Mito degli scacchi!
    Quanti aneddoti si potrebbero raccontare…oltre ai tanti che lui stesso racconta nei suoi libri.

    Per chi non l’avesse mai conosciuto segnalo il filmato della sua intervista a Unomattina del luglio 2004 (meno di un anno dalla sua scomparsa)in cui si evidenzia la sua straordinaria vitalità!

    Il link (lunghissimo) è questo:

    http://www.scacchiemiliaromagna.it/scacchiemiliaromagna_finoalsettembre2009/notizie%20-%20fsi%20comitato%20regionale%20emilia%20romagna/pagine%20archivio%20fotografico/foto_18dic05.html

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    Punta Arenas 1 Marzo 2013 at 10:20

    Articolo molto interessante, con i ricordi di un “padre” storico dello scacchismo italiano.
    Peccato però per la totale mancanza di comprensione (nel 1982) della potenza di calcolo dei computers e del loro futuro come imbattibili giocatori di scacchi, (già 15 anni dopo questa intervista sarebbero riusciti a battere un Campione del mondo in carica del livello di Kasparov in un match a tempo lungo), ciò che rende totalmente “datate” e fuori epoca le considerazioni di Paoli, peraltro di grande interesse quando riferisce aneddoti quali i comportamenti e le manie di tanti giocatori.

    Questo è il punto fondamentale: dal 1997 i computers hanno tolto enormemente prestigio al gioco umano, anche di alto livello. Oggi anche un super-GM over 2700 viene “sezionato” con disincanto da principianti che usano Fritz, Rebel, etc., mentre nel 1982 anche un 1a nazionale era guardato con rispetto e un po’ di invidia nell’ambiente, al circolo, ecc.

    Dobbiamo farcene una ragione, e guardare meno agli scacchi per il “prestigio” delle categorie e dell’elo, e più per la bellezza del gioco, a qualsiasi livello.
    Altrimenti è finita…

    Ultima considerazione: mi spiace ma Petrosian era tutt’altro che corretto, e tutti lo sanno benissimo. Oltre alle provocazioni con Korcnoi al Ciocco nel 1977, già citate, non dimenticherei nemmeno quelle contro Mecking a San Antonio 1972.
    Petrosian continuava a far rumore facendo tintinnare il cucchiaino nella tazzina del caffè, fino all’esasperazione di Mecking (già piuttosto nervosetto di suo), che poi perse.

    Ed anche il match dei candidati con Huebner nel 1971, fu deciso a favore di Petrosian all’ultima partita, dopo 6 patte, e io sentii direttamente Huebner, anni dopo, lamentarsi molto per il fatto che la sala torneo in cui avevano giocato era molto rumorosa, con una fermata d’autobus affollatissima fuori dal salone, il cui rumore (che Petrosian poteva non sentire staccando l’apparecchio acustico) lo deconcentrava molto.
    Insomma, Petrosian era tutt’altro che un “santerellino” e ci ha giocato parecchio con la sua sordità.
    Quanto a Fischer, al tavolo di gioco invece era correttissimo. (non mi risulta che non abbia firmato il formulario con Spassky a Siegen 1970, poichè poi si trattenne in sala alcuni minuti, forse sarà andato un attimo al bagno)
    Addirittura arrivò al punto di dire “sorry” a Taimanov, con fare spiaciuto prima di dargli il doppio a Re e Torre, dopo la sua madornale cappellaccia che gli costò la Torre nella 5a partita del match del 1971.
    Insomma, Paoli si era lasciato infuenzare un po’ troppo dalle sue simpatie personali.

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    Punta Arenas 1 Marzo 2013 at 10:34

    Ah dimenticavo… sempre per smentire le parole di Paoli a proposito della presunta “correttezza” di Petrosian, andrebbero citati i famosi commenti al vetriolo di Bobby Fischer nel 1962, dopo il torneo dei Candidati a Curacao.

    Fischer riferì che i russi – tra cui ovviamente Petrosian – avevano l’abitudine di avvicinarsi al suo tavolo, mentre lui giocava, e – in assenza dell’arbitro – commentavano ad alta voce la sua partita.
    Poi, quando lui chiamava l’arbitro, zittivano e negavano di aver parlato, oppure se ne andavano.

    Un comportamento che più scorretto non si può, altro che correttezza di Petrosian.
    E d’altra parte i russi sapevano bene che nel 1962 Bobby (reduce dalla vittoria all’izt di Stoccolma) era il loro avversario più forte, e al tempo stesso era poco più di un ragazzo, di appena 19 anni, e molto emotivo.

    Quindi la strategia di scorrettezze per fargli saltare i nervi è ancor più riprovevole, perchè fu accuratamente pianificata.

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    alfredo 2 Marzo 2013 at 14:35

    Ho avuto con il GM Paoli una lunga consuetudine che porto nel cuore oltre che decine di lettere e cartoline ( erano solitamente foto di quadri dipinti dalla sua amatissima moglie che lui usava come cartoline )
    di lui voglio ricordare le ” polemiche” suscitate dall’intervista rilasciate a New in chess ( 1 numero del 92) in cui faceva affermazioni forse un po’ provocatorie sui giocatori italiani .
    per quanto riguarda Fischer voglio ricordare che Karpov e Fischer erano d’accordo sul fatto che Paoli fosse l’arbitro del loro match ( le condizioni poi poste da Fischer fecero’ si che il match saltasse) .
    Ho chiesto alcune volte a Paoli di Fischer . Parlando tutti e due in veneto mi disse ” el xera un rustego ” .
    Diciamo che forse Paoli intendeva la correttezza “formale” assoluta a cui lui stesso si atteneva ( anche se tutti sanno che aveva un bel ” caratterino” )
    In questo forse Bobby era un po ” cow boy” ma non mi risulta che nessun avversario si sia mai lamentato del comportamento di Bobby sulla scacchiera .
    Anche il modo di presentarsi , quasi sempre in giacca e cravatta , era inappuntabile .
    Amava troppo quel gioco che era la sua vita per ” deturparlo” con un comportamento men che corretto .
    l’unico scatto di nervi , non si puo’ definire ” scorrettezza” fu quando fece cadere i pezzi al termine di una partita con Pachman in cui aveva buttato via una posizione vinta .
    ma si scuso’ subito .
    Ripeto : ritengo che il giudizio sulla ” correttezza ” di Fischer sia forse piu’ su alcuni aspetti cmportamentali ma al di fuori del gioco . I giocatori che personlmente diedero a lui piu’ fastidio ,dopo O kelly , mi disse che furono il GM Uhlmann per il suo comprtamento dopo una sconfitta al torneo di cieunfuegos ( ho forti dubbi che si scriva cosi) del 1973 ( vinto dal grande Smyslov. La sconfitta contro Paoli costo a Uhlmann il primo posto almeno ex aequo ) e il comportamento di un MI ex jugoslavo a Bari nel 1970 di cui non cito il nome perchè ancora attivo in italia . il comportamento che lo infastidi si riferiva a una partita riportata in un suo libro e da lui vinta ( non so se ” l’arte della combinazione scacchistica” o “Giocare bene per giocare meglio” , dovrei guardare ma preferisco andare al momento a memoria ).Ma lo spessore di questo giocatore non è minimamente paragonabile a quello dei grandi da lui citati. Ah un altro giocatore con cui ebbe una sorta di diverbio sulla scacchiera fu il grande Najdorf ma qui non si puo’ parlare di scorrettezza . Rispose in maniera piccata alla risposta un po’ arrogante che gli diede Najdorf a una sua offerta di patta in posizione patta !

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    Punta Arenas 3 Marzo 2013 at 11:55

    @alfredo

    La partita di Uhlmann-Paoli da te citata, è quella del torneo di Cienfuegos 1973, Cuba, 10° Memorial Capablanca, e fu commentata dallo stesso Paoli sull’IS n° 820, del febbraio 1974, a pag. 58 (conservo ancora quel numero!).

    Paoli così commenta il “cappellone” di Uhlmann (che dopo aver ostruito la diagonale c5-g1 alla sua Donna in c5, con 25. d4??, dopo 25…Cxg2 26. Rxg2 Dg5+!) “dopo mezz’ora di riflessione giocò 27. Rh1 De3! 28. Rg2 Axf3+ 29. Txf3 De2+ 30. Rg3 Dxd1.

    E Paoli commentò:

    “Una Torre in meno! Voi avreste certamente abbandonato. Anch’io! ma il grande maestro no!”

    Quindi Paoli se la prese perchè ritenne “scorretto” (e forse offensivo) il fatto che un GM come Uhlmann non abbandonasse subito dopo avere perso una Torre netta dopo una cappella, con posizione evidentemente persa.

    Si può sicuramente condividere lo stato d’animo di Paoli, ma ci andrei piano a giudicare così “scorretto” il comportamento di Uhlmann.

    Uhlmann stesso infatti – e Paoli non poteva non ricordarlo, perchè era successo nel 1971! – si trovò addirittura con una Torre netta IN PIU’ con Larsen, nel suo match dei Candidati (l’aneddoto è riportato anche da Bagnoli nel suo esilarante “Scacchi Matti. La mossa sbagliata al momento sbagliato”;) del 1971, ma poi cappellò ancora incredibilmente, e perse pur avendo avuto una Torre in + e posizione stravinta.

    Quindi Paoli avrebbe dovuto aspettarsi che Uhlmann – che aveva perso 2 anni prima anche con una Torre in più – non gli avrebbe fatto sconti.

    E perchè avrebbe dovuto, visto che Larsen (ben più forte di Paoli) non lo fece ed ebbe ragione, riuscendo a vincere pur con una Torre in meno?

    Insomma: Paoli certamente pensò: “Uhlmann mi ritiene un brocco!”

    No, non è così, quasi certamente Uhlmann pensò: “Se Larsen ha recuperato con una Torre in meno contro di me, perchè non provarci anch’io con questo IM Paoli?”

    Ciao

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      alfredo 3 Marzo 2013 at 12:18

      caro amico ciao e grazie
      ricordo bene la partita e il commento
      ma in realtà il retroscena fu un altro .
      da quello che mi racconto’ Paoli il torneo veniva ripreso dalla tv cubana che a un certo momento punto’ i riflettori su Paoli . Paoli che aveva un problema agli occhi mi disse di essere stato ” accecato” e istintivmente blocco’ l’orologio e si porto’ le mani agli occhi ( penso fosse una semplice congiuntivite che gli procurava fotofobia) . Dopo essersi ripreso riprese in moto l’orologio e una o due mosse dopo avvenne la cappella del ortissimo giocatore della germania Est . alla conclusione della partita Uhlmann si scaglio’ verbalmente contro Paoli dicendo che il suo omportamento lo avevo infastidito e deconcentrato ed era causa del suo errore . adesso non ricordo bene ( ti parlo di una cosa che mi racconto’ circa 30 anni fa) ma Paoli mi sembra che sottolineo’ che l’arbitro ( e arbitro di altissimo livelllo era Paoli stesso ) richiamato da Uhlmann e subito accorso aveva avvallato un breve time out per dare a Paoli il tempo di recuperare la vista .
      Quindi la ” scorrettezza” di Uhlmann non era per Paoli l’onta del proseguire la partita con una Torre in meno quanto il comportamento del giocatore tedesco dopo la conclusione . Relata refero . Grazie e ciao ! buona domenica

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        alfredo 3 Marzo 2013 at 12:32

        invece la dinamica è molto simile all’episodio avvenuto con Najdorf .
        penso si trattasse di una olimpiade anni 50 ( dovrei vedere in questo caso , vorrei essere preciso) . Paoli , appena divenuto MI ( lo divenne nel 1951 all’età di 43 anni) offri’ patta a Najdorf in quel momento con reshewky e gligoric il piu’ forte giocatore non russo al mondo . Najdorf rispose sprezzante che non concedeva patta a un giocatore cosi’ ” debole” . Paoli rispose che per quanto ” debole” sapeva quando un finale era patto o meno e ci fu uno scambio di battute ( non so in che lingu) piuttosto pesante . Ma fini’ tutto li’ . Li vidi colloquiare amabilmente a Merano 81 . certo erano passati tanti anni . Devo dire che Paoli aveva un po’ il cruccio di non essere diventato GM e teneva bene a mente il numero di “scalpi” di GM collezionati . Mi ricordo ma , questo risale alla metà degli anni 70 , che mi disse 15 . bisognava considerare che a quei tempi i GM erano circa 200 di cui la metà circa russi .

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          alfredo 3 Marzo 2013 at 13:00

          per quanto riguarda il giocae ex jugo non faro’ il nome ma la partita (non il comporamento del giocatore che si infurio e butto all’aria la scacchiera sbraitando )è riportata ne ” l’arte della combinazione scacchistica .
          devo dire che questo giocatore non è mai stato simpatico neppure a me , per quanto non ci abbia mai avuto a che fare .
          per me era l’opposto di quel grande signore che fu Vujovic . Ricordero’ sempre quando compravo un libro da lui ( lo facevo sempre , sapevo che doveva mandare i soldi a casa per aiutare un figlio studente ) me ne aggiungeva sempre un altro , piu’ piccolo ma in qualche modo ” prezioso ” , con un sorriso buono .
          ho scoperto con gioia che quasi tutti i giocatori ( io non lo sono attivamente) conservano un buon ricordo di ” mitko” e delle sue qualità umane ( e bisogna dire che anche sulla scacchiera i pezzzi li metteva spesso nelle case giuste … )

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            alfredo 3 Marzo 2013 at 13:11

            comunque tengo a precisare che anche in questo caso è una cosa riferitami da Paoli , non ero testimone . si’ certo Paoli come tutti aveva simpatie e antipatie . per me mostro subito una simpatia e un affetto molto grande . e quanto fosse stimato è dimostrato anche dal fatto che quanto fu proposto come GM honoris causa non vi fu giocatore ” di livello” che non supporto’ la proposta . e mi ricordo a Milano il rispetto che portavano per lui tutti i campioni che partecipavano al torneo che arbitrava . anche se alla fine delle partite no resisteva al richiamo della foresta e analizzava con i giocatori . lui si definiva ” ultimo tra cotanto senno” ma tutti lo consideravano alla pari e valutavano con attenzione le mosse da lui proposte .

  17. avatar
    Pasquale 17 Ottobre 2014 at 20:59

    Caro Riccardo,

    vorrei chiederti una cosa in merito al Maestro: mi puoi contattare via e-mail per favore? arroccolungo@alice.it Grazie!

  18. avatar
    Franco 6 Marzo 2022 at 12:59

    Scrive Paoli in un suo libro:

    “In una mia partita disputata molti anni orsono, contro Cala’ a Venezia, si giunse alla sospensione con il tratto a lui.

    Tutti se ne erano gia’ andati: eravamo soli con il direttore del torneo.

    Dopo mezz’ora di silenziosa e rispettosa attesa, ebbi il coraggio di interromperlo:

    “Ma che cosa studi? Non vedi che c’è matto alla prossima ?”

    La sua risposta fu pronta: ” Allora abbandono.”

    =============

    C’e’ qualcuno che ha conosciuto o giocato contro questo Cala’ ?
    Che categoria magistrale aveva ?
    In che periodo storico poteva essere inquadrata questa partita ?

  19. avatar
    Franco 8 Marzo 2022 at 15:01

    Parrebbe che si trattasse addirittura di un ingegnere.

    https://it.wikipedia.org/wiki/Ugo_Cal%C3%A0

    Qualcuno lo ha conosciuto ?

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