Autorità e prestigio – Scacchi e il resto del mondo

Scritto da:  | 17 Aprile 2013 | 13 Commenti | Categoria: Scacchi e scienza

Autorita e Prestigio 3

L’autorità è una parola che oggi come oggi piace poco. In un’epoca in cui regna sovrano lo scetticismo, sembra impossibile pensare all’esistenza di autorità di qualunque natura esse siano. Alla parola ‘autorità’ si associa sempre qualche personaggio storico a noi poco gradito: qualcuno pensa ad un politico, qualcuno pensa a un religioso, qualcun altro pensa ad un guru sociale. A ognuno la sua autorità sgradita. In particolare, negli scacchi hanno sempre dominato tre generi di autorità: i teorici, i campioni e, più nascosti, i burocrati. Per chi voglia le definizioni di queste tre categorie, dovrà aspettare qualche riga. Due domande: oggi esistono ancora delle autorità? Ma, soprattutto, chi sono le autorità?

La seconda domanda è di importanza capitale, perché si parla spesso di autorità di questo e di quello, senza definire in alcun modo il termine. Inoltre, non è possibile fornire una risposta qualunque alla prima domanda, se non si è preliminarmente definita l’autorità. Si dà spesso per scontata la conoscenza dei termini alla base delle argomentazioni, solo perché la loro investigazione richiede molto più sforzo e tempo. Oppure perché si è talmente invogliati a parlare del tema caldo, che ci si dimentica il lavoro preliminare, come chi alza la vela senza aver mollato il cavo dell’ormeggio. Avanza, ma poco e rischia di perderci la barca.

Definiamo, dunque, l’autorità. L’autorità è una persona che gode di un certo prestigio. Niente che sia altro da una persona può essere un’autorità. Il caso del software è un buon esempio: esso non è da considerarsi come autorità, se non come autorità dei risultati della programmazione, pensata da qualcuno; il software è, cioè, simile ad un libro, la cui autorità dipende da chi l’ha scritto e da come lo ha scritto. Ciò non toglie che tanto il software che il libro possano costituire la base del prestigio dell’autorità.

La presenza di un certo prestigio è in grado di garantire all’autorità la capacità di cambiare le credenze di una certa quantità di persone, la cui definizione vedremo più oltre. Sicché un’autorità è autoritariamente giustificata solo se gode di un certo prestigio, che costituisce la sostanza della sua autorità (in inglese sarebbe tradotto con source of prestige justification, che è molto più chiaro che in italiano). Definiamo ora il prestigio, o, meglio, ciò su cui si fonda:

L’autorità A gode di un certo prestigio P in un dominio informativo D solo se:

(1) fornisce risposte in un dominio specifico, le cui risposte sono più valide che invalide;

(2) abbrevia la distanza sociale tra due individui di cui uno è un’altra autorità;

(3) opera all’interno di uno stato di interessi con altre autorità.

Prima di chiederci se le tre condizioni sono negoziabili, cerchiamo di capire cosa significhino. Con ‘dominio informativo’ si intenda una certa parte della realtà che costituisce uno specifico ambito di interesse o di studio per qualcuno, il cui risultato è la formazione di un insieme discreto di credenze su di essa. Esempi di dominio informativo: filosofia, storia, scacchi, scienza, società, religione, scacchi… Ogni dominio informativo può essere ulteriormente partizionato in sottodomini, ma qui non ci interessa considerarli. Basta averne dato una definizione chiara.

La prima condizione (1) fornisce una definizione di ciò che un’autorità è capace di fare. Una qualunque autorità ha un ambito ristretto in cui esercita le sue capacità. Un’autorità militare fornisce delle risposte sui mezzi idonei per vincere una battaglia. Ma un’autorità militare non necessariamente ci sa dire come divertirci, il cui dominio attiene ad un certo ambito sociale, che presuppone la conoscenza delle pratiche convenzionalmente adottate in una società per divertirsi e non tutte le società hanno gli stessi modelli di divertimento, ad esempio, se con ‘divertimento’ si intende una qualunque attività capace di sviare l’attenzione sulla realtà, allora si selezionano precisi modelli comportamentali volti a realizzare il divertimento così definito. Un’autorità religiosa ci dà delle dritte sulle dottrine, ma non è detto che sia un esperto di astronomia.

Ben difficilmente un’autorità è una persona che ha influenza su tutti i domini informativi della realtà, giacché ogni dominio è diverso da un altro e richiede delle competenze diverse, che non si possono acquisire che con la conoscenza teorica e con l’esperienza. E’ possibile che un’autorità in un campo lo sia anche in un altro, ma è impossibile che lo sia in tutti i campi. Questo vale per le società evolute, cioè la cui diversificazione delle conoscenze ha consentito la differenziazione dei vari domini più ristretti. Nelle società pregresse o primitive esistevano le figure degli stregoni (ad esempio) che ricoprivano importanti ruoli sia in ambito epistemico (fornivano informazioni sulla realtà dei fatti) sia in ambito religioso (garantivano l’esecuzione dei riti) che politico (potevano determinare decisioni che prescrivevano guerre, come nei casi delle tribù cannibali, dove il cannibalismo assumeva una dimensione religiosa e rituale). Di sfuggita, facciamo notare che, allora, non solo le autorità sono sempre esistite (quanto meno, dall’avvento della storia, da Erodoto, che ce ne attesta la presenza), ma sono anche presenti in società diverse da quella occidentale, sicché non si tratta di una nostra peculiare forma sociale, ma attiene all’essere umano e alle sue aggregazioni sociali.

Tornando alle società con multidomini informativi diversificati, i politici sono delle ottime autorità (se lo sono) nel loro dominio, cioè in quello politico, ma non sono, assai spesso, grandi autorità epistemiche, perché ciò esula dalla loro attività o così gli pare.

Dunque, parlare di ‘autorità’ in generale è, spesso, fuorviante, perché sembra che esse godano di un grado di assolutezza che, in genere, non possiedono. Ad esempio, Belen Rodriguez, celebre starlet, sarà un’autorità sul genere di vestiti da scegliere, sarà anche una certa autorità sociale, perché ad alcuni sa indicare il suo way of entertainment, che potrà essere più o meno condiviso. Ma la sua capacità di diffondere idee sulla scienza è pari a zero. Anche perché, se iniziasse a parlare di scienza, probabilmente quelli che la seguono negli altri domini… non la seguirebbero più.

Belen Rodriguez

Prima di passare agli altri punti, vediamo se questo primo punto è negoziabile. Si può pensare ad un’autorità che fornisca solo risposte inadeguate, ciascuno nel proprio dominio? No. Per esempio, un teorico dei finali che ci dica solo cose false sui finali, perderebbe ipso facto tutta la sua autorità. Semplicemente non sarebbe più ascoltato e la sua capacità di influenzare il pensiero degli altri, indice e sintomo dell’autorità, sarebbe dissolta. In realtà, ad un certo grado di sofisticazione è pensabile ad un’autorità che, nel suo dominio, dica anche solo cose false. Immaginiamo un grande matematico che ha fondato la sua celebrità sulle grandi scoperte nel passato. Ma da un certo momento in poi, egli impazzisce e incomincia a fornire solo risposte false, solamente che la complessità di tali falsità le cela agli occhi di quasi tutti e, così, tutti gli credono sulla fiducia, pur non sapendo se egli sia ancora una valida autorità. Ma questo caso suppone che in precedenza tale matematico avesse una autorità legittima sul suo campo. Sicché al massimo si può dire che un’autorità può perdere il suo peso nel suo dominio, ma prima doveva avercelo avuto. Esempi simili sono ritrovabili nella storia degli scacchi, come delle scienze. Che senso ha ancora leggere dei testi che ci insegnano cose ormai ‘ovvie’ perché superati? Pensiamo ai trattati di finali. Chi comprerebbe un trattato del ‘600 se non per ragioni storiche? Ma prendiamo i casi di celebri grandi giocatori che hanno continuato a giocare fino a tarda età. Li ammiriamo come grandi uomini, ma ci interessano meno le loro partite, rispetto ai campioni del momento perché crediamo, generalmente, che il campione attuale sia una autorità migliore del vecchio campione. Qui non stiamo parlando se tale aspettativa sia giustificata, stiamo solo considerando ciò che accade sempre o per lo più.

Veniamo ora alla seconda condizione (2). Ogni autorità è una persona che intrattiene legami con altre persone, alcune di esse saranno altre autorità. Anzi, è essenziale che una autorità sia connessa con altre perché, altrimenti, la sua stessa capacità di formulare delle buone risposte potrebbe venire meno. Ad esempio, un celebre teorico di aperture non potrà che essere amico di qualche altro teorico, se non altro perché ha bisogno di confrontare le sue idee e le sue intuizioni, per massimizzare (1) la percentuale delle sue risposte valide su quelle invalide. Nessuna autorità nasce dal niente e nessuno vive eluso dal resto del mondo. Al massimo un’autorità intrattiene relazioni solo con le sue fonti scritte, costituendo la sua capacità di fornire risposte solo su materiale cartaceo. Ma anche in questo caso, egli fa da tramite tra lui, i suoi eventuali lettori e gli autori degli altri testi. In generale, poi, vale la massima che ogni autorità è relazionata con due generi distinti di persone: altre autorità, persone qualunque (definite semplicemente quegli esseri umani con basso grado di prestigio). L’autorità, secondo (2), svolge un altro importante ruolo: quello di costituire un ponte tra una persona che cerca e una persona o materiale informativo che è cercato. Ad esempio, se voglio sapere se esistono dei buoni lavori di scacchi, la cosa migliore che possa fare è chiedere ad un mio amico esperto, se sa fornirmi delle buone informazioni. Non chiederei tale informazione ad una persona scelta a caso, perché non mi abbrevierebbe la ricerca, e non necessariamente mi fiderei di lui. Ad esempio, mi fido di chi mi dice l’ora solo se l’ha vista sul suo orologio (a cui sono disposto a credere), ma non mi fido di chi mi dice l’ora a caso perché, anche se avesse ragione, non sarei in grado di saperlo. Mentre sono disposto a fidarmi di un GM che mi dica che la mia mossa era inferiore, come sono disposto a credere ad un esperto che mi consiglia un libro tecnico sulle aperture. La fiducia è il risultato di un’aspettativa, cioè di una nostra credenza di cui non conosciamo il valore di verità, ma saremmo disposti a puntare su di essa: noi non sappiamo se un giocatore che su 100 partite con il nero ha giocato la difesa siciliana, giocherà nuovamente 1…c5 contro la nostra 1.e4, ma saremmo disposti a scommetterci, con la conseguenza che ci studieremo delle varianti sulla siciliana e non, poniamo, sulla variante di cambio della spagnola! In tutti questi casi le autorità stanno svolgendo un utile servizio di tramite nella rete sociale, vale a dire che abbreviano, grazie alle loro molteplici relazioni umane, il percorso che congiunge me con quell’opera o persona.

Chapeau haut de forme sur fond blanc 1

Per renderci conto: vogliamo spedire una lettera a Kasparov, ma solo nella speranza che Kasparov la legga. Supponiamo che Kasparov sia pieno di lettere di ammiratrici, e che non leggerà mai probabilmente la nostra se non passa attraverso qualcuno che conosce, un intermediario. Così aumentiamo la probabilità che Kasparov legga la lettera. Allora incominciamo a chiederci chi conosce Kasparov, e ci viene in mente che Garry era amico di un amico di un nostro amico. Allora ripercorriamo all’inverso la catena. Evidentemente, questi amici indiretti sono delle autorità sociali che sono in grado di abbreviare la distanza tra noi e Kasparov e, molto probabilmente, costoro sono anche esperti di scacchi. Così, se voglio sperare di trovare un difficile lavoro ottocentesco sulle aperture di inizio secolo XIX, punterò tutto su storici scacchisti, e non su altri, perché mi aspetto che le autorità (gli esperti) sappiamo abbreviare quella che, altrimenti, sarebbe una ricerca lunghissima.

Domandiamoci, dunque, se possiamo negoziare questa seconda condizione. La risposta sembra essere affermativa. Pensiamo agli eremiti. Essi erano continuamente in contatto con la popolazione locale (se non altro per mangiare) e rilasciavano importanti informazioni sulle cose divine, sicché essi erano realmente in contatto con altri. Ma questo vale per il punto (1). Si potrebbe supporre ad una sorta di asceta degli scacchi che, pur conoscendo tutte le verità, non le comunichi a nessuno. In fondo, costui sarebbe sempre una peculiare forma di autorità, sebbene inaccessibile. Ma l’inacessibilità non è una condizione problematica. Certo, rimane il fatto che nel nostro mondo ordinario le autorità devono avere molti contatti con altre autorità, se non altro perché, appunto, necessitano anche loro di informazioni affidabili su domini che non le competono e, allo stesso tempo, hanno bisogno di confrontare le loro opinioni con gli altri. Un esperto di aperture può fare a meno di studiare principi strategici e tattici generali? No. Allora avrà bisogno di un’autorità di supporto in materia, quanto meno inizierà a studiare sui soliti manuali di tattica, per poi cercare di comprendere a fondo i principi strategici su altri manuali. E, si badi, tali manuali non possono essere scritti da egli stesso, perché abbiamo supposto che costui è esperto di aperture. Tornando, poi, al caso immaginario, si può realmente pensare, oggi, ad un asceta che conosca tutte le verità scacchistiche, ma che non abbia mai visto una sola partita di Carlsen?

Veniamo, ora, alla condizione (3). Le autorità sono delle persone, come detto, e come tali hanno degli interessi. Sicché tutte le autorità tendono a cercare di massimizzare il loro prestigio mediante convergenze o divergenze di interessi tra autorità. Questo fenomeno è ben mostrato dalle equipe di scacchi. Tutti i grandi GM studiano e lavorano con tanti studiosi più specifici, che dedicano del tempo a studiare singoli aspetti del gioco o degli avversari. Questo significa che ciascuna autorità specifica nell’ambito di studio a dominio ristretto converge nell’interesse generale di massimizzare le conoscenze del grande GM. Ma questa condizione (3) ha anche conseguenze molto più ampie. Un’autorità politica necessita spesso delle alleanze con autorità non-politiche perché abbisogna di giustificazioni super partes. I teorici politici e gli intellettuali (autorità epistemiche) hanno sempre aiutato le autorità politiche a trovare ragioni o nuovi scopi per le loro azioni. Allo stesso modo, i teorici militari hanno contribuito a migliorare le tecniche militari. Ma la condizione (3) ci dice anche che le autorità cercano di trovare alleanze disparate, in base alle necessità del momento. Un’autorità sociale che voglia fare una bella festa sa a quali altre autorità sociali chiedere, ad esempio, a calciatori o attori, che, in quella dimensione, aumentano il prestigio dell’autorità sociale che li chiama (non c’è bisogno di chiamare in causa noti politici nostrani; in fondo, è sempre stato così, è inevitabile). E viceversa. Perché l’alleanza tra due autorità aumenta la forza reciproca delle due autorità alleatesi, come dimostrò la reciproca affermazione nel medioevo tra il papa e l’imperatore, un processo storico esemplare.

Possiamo considerare negoziabile la condizione (3)? E’, naturalmente, negoziabile. Possiamo pensare al seguente controesempio. Un fortissimo GM, che rispetta (1), che ha tanti altri amici GM con i quali confronta le sue idee scacchistiche (condizione (2)), non è interessato ad associarsi in alleanze con altre autorità scacchistiche, perché è scettico in tal senso, pensa che sia sbagliato e che gli porti via del tempo.. Allo stesso modo, la solita figura dell’asceta onnisciente è un buon esempio: egli non è interessato che alla contemplazione della verità, ed ogni forma di alleanza con gli altri esseri umani lo disgusta. Ciò non toglie che nel suo dominio egli sia un’autorità e goda di un prestigio senza pari.

Abbiamo notato che la condizione (1) sembra la sola non negoziabile. Ma ne siamo sicuri? In fondo, una persona che sia amica di tante autorità (dunque, capace di abbreviare la interrelazione tra le persone che conosce e le altre autorità) e che assomma ai suoi interessi gli interessi delle autorità è, in qualche modo, una autorità anch’essa. Abbiamo un esempio dalla storia che mostrerà come ciò sia chiaro: Mecenate non era un grande artista, storico o letterato, per quanto scrisse anche lui delle opere. Eppure, egli godeva di un prestigio unico a Roma, per la sua amicizia con Ottaviano Augusto e con tutti gli altri del suo entourage intellettuale (Tito Livio, Orazio, etc.). E quando qualcuno gode di un certo prestigio ha anche una certa autorità. Certo, si potrebbe dire che Mecenate non viola (1) se si considera come autorità sociale, in grado di fornire delle risposte su domini di attività sociali della Roma dell’epoca. Siamo d’accordo, ma era solo un esempio immaginario. Il punto è, però, fondamentale.

Autorita e Prestigio 1

Sembra che nessuna condizione (1-3) sia necessaria a garantire la presenza del prestigio, ma sembra anche che siano tutte e tre condizioni sufficienti che determinano il prestigio. Fra l’altro, non c’è nient’altro in grado di garantire prestigio alle persone, se non in relazione al rispetto delle condizioni (1-3). Allora possiamo dire che la condizione generale necessaria è che il rispetto di almeno una delle tre condizioni, con al più tutte, cioè almeno una condizione deve essere rispettata, posto che possono essere rispettate tutte e tre congiuntamente. Se nessuna di queste tre condizioni è rispettata, la persona non gode di alcuna autorità (uno sciocco che vive di birre al bar non dice niente di interessante o vero, non conosce alcuna autorità e non ha interessi con alcun’altra persona di prestigio; quanto peso ha costui in termini di prestigio?).

Fra l’altro, se una condizione viene meno, il peso del rispetto delle altre due condizioni deve essere maggiore! Cioè se uno scacchista è scarso, per godere di grande prestigio deve essere amico di tanti altri scacchisti eminenti e deve poterli rendere avvicinabili. Viceversa è uno scacchista come tanti. Stiamo attenti. Qui non stiamo traendo giudizi morali, si può essere scacchisti qualunque ed essere scacchisti virtuosi e dei buoni uomini, ma questo non è il problema che ci sta a cuore, che è descrivere ciò che accade nei termini della logica autoritaria, perché essa ha una sua logica.

Abbiamo raggiunto un punto importante. Un’autorità è una persona che gode di un certo prestigio. Il prestigio sostanzia l’autorità, che, senza di esso, è una persona qualunque. Il prestigio è in funzione delle risposte che l’autorità è in grado di fornirci, della capacità di connettere più persone ad altre persone o materiali informativi ed è, in fine, in relazione di interessi, più diversi, con altre autorità.

Ma le autorità hanno un senso di esistere, abbiamo necessità della loro presenza? Nonostante le apparenze, in un mondo così globale e decentrato, la risposta è affermativa nel modo più forte possibile. Finché esisterà l’uomo, ci saranno autorità, perché nessuno può fare a meno di ricevere informazioni dagli altri. Nessuno ha il tempo per studiare tutto, nessuno ha la possibilità di essere onnisciente, né ci sono le energie disponibili per dedicarsi ad ogni attività possibile. Non si può essere contadini, studiosi di metafisica, letterati, giocatori di tennis, reporter dal fronte di guerra, carpentieri e esperti subacquei nello stesso tempo. Ma abbiamo bisogno dei contadini, abbiamo bisogno dei letterati, forse un po’ meno degli studiosi di metafisica, ma da tutti abbiamo bisogno di risposte che non potremmo avere altrimenti. L’importante, allora, è che le autorità facciano bene il loro dovere, cioè forniscano per lo più risposte vere. E’ per questo che ci sono le previsioni del tempo. Perché noi non saremmo in grado di prevedere il clima e abbiamo, però, bisogno di conoscere il futuro climatico.

In secondo luogo, le autorità hanno anche l’importante missione di aumentare il grado di verità disponibili nel loro dominio, contribuendo, così, alla conoscenza del mondo. E anche questo è possibile solo a loro, perché gli altri non hanno il tempo e le risorse per farlo. Ad esempio, si può studiare logica a casa propria, ma quanto tempo occorre per scoprire cose dette secoli prima, se non ce lo dice nessuno? Abbiamo bisogno di scorciatoie e le autorità ci sono per questo! Le autorità, nonostante tutto, ci sono e sono belle prospere.

Autorita e Prestigio 4Il prestigio di un’autorità è stato definito. Esso ha delle importanti conseguenze in sede sociale e culturale. Se un’autorità pensa che giocare 1….Cf6 sia una buona mossa, egli lo dice e molti se ne convincono. In base a quanti egli è in grado di influenzare è pesabile, misurabile il grado di forza di una certa autorità. Si badi che qui non ha importanza il contenuto del pensiero dell’autorità, perché anche noi avremmo potuto pensare a 1…-Cf6 come prima mossa. Ma quanti ci avrebbero seguito (il nostro peso è pari a zero)? E, infatti, è capitato che sistemi di apertura, prima snobbati (cioè, c’erano! ma non erano presi in seria considerazione) poi sono diventati celebri. In questo senso, in base al prestigio che possiedono, le autorità possono influenzare l’andamento degli eventi perché sono in grado di imporre una certa opinione nello stato sociale costituito. Anche perché essi influenzano indirettamente tutti gli altri. Quando Alekhine adottò la difesa che prese il suo nome, non solo contribuì a diffonderla, ma pure a diffonderne gli antidoti, arrivando, cioè, direttamente o indirettamente a influenzare il gioco di tanti appassionati e esperti. Il risultato è, dunque, che c’è una differenza tra le conseguenze sociali e culturali di una certa opinione di un’autorità. anche quando questa è perfettamente identica a quella di un neofita. Questo perché il prestigio dell’autorità impone una forza psicologica di credibilità a quelle che sono le credenze che gli altri si formano a partire dalla sua. Vale a dire che gli altri si aspettano che egli abbia tendenzialmente ragione, sicché va capito e accettato. Ma non tutti godono di tale prestigio e la storia ci insegna (specie tristemente quella militare) che molto spesso avere ragione non costituisce affatto una solida base per diffondere le proprie credenze! Non basta, perché manca il prestigio.

Veniamo, ora, più precisamente agli scacchi. Storicamente negli scacchi hanno dominato tre generi di autorità: campioni, teorici, i ‘prescelti’ e burocrati. Raramente figure mecenatiche vengono ricordate a lungo, perché la loro autorità è rapidamente scomparsa perché non verteva sul dominio degli scacchi ma su quello sociale. Ad esempio, chi ricorda anche un solo nome di chi finanziava gli incontri di Ruy Lopez o di Gioacchino Greco? E quanti ricordano Ruy Lopez? Evidentemente, non c’è paragone. I grandi campioni hanno sempre goduto del prestigio dovuto molto alla prima condizione e alla seconda condizione. Ma c’è un ‘esemplare’ del tutto particolare di autorità scacchistica che è andato estinguendosi, parliamo del sacro e venerabile decano del circolo, il ‘prescelto’.1 Questa figura, a metà strada tra lo stregone e il santone, era colui che al solo apparire, scendeva il silenzio, regnava l’attenzione e la sacralità del pensiero scendeva sul suolo terreno per concentrarsi nelle sue labbra. Parliamo del “campione del circolo”. Questa figura vintage è quasi del tutto sparita perché si è del tutto scalzato il suo ruolo. Egli aveva la funzione (1-2) di dare per lo più risposte vere su argomenti scacchistici e di fare da tramite con altre autorità di inviolabile importanza. Ad esempio, quando iniziai a giocare mi ricorderò sempre che adottavo usualmente la difesa pirc. Un giorno mi vide giocare questa figura leggendaria che mi disse: “Questa apertura fa schivo. A 1.e4 si risposte sempre con 1…e5″. Ricordo bene che lo guardai e rimasi allibito. Era sceso il silenzio e tutti si fecero attenti. Aveva elargito un’importante verità. Peccato che la sua autorità non era tale ai miei occhi. Un’altra volta, in un torneo semilampo, lo sfidai e a momenti non vincevo. Ma lui sentenziò: “Ormai sei uno dei nostri!” Chissà cosa avrebbe detto se l’avessi battuto!

Chi non ha conosciuto un personaggio del genere? Probabilmente le nuove generazioni. Perché oggi, col software, si ha un bel da fare a elargire simili perle di saggezza, giacché il pc mostra quanto spesso tali informazioni siano… per lo più inattendibili. Così, questa peculiare forma di autorità scacchistica è venuta meno, fa parte dei tempi passati. Certo, quando prima non esistevano sistemi adeguati alternativi essi potevano fungere un’importante funzione, sia morale che epistemica, ma oggi sono solo degli anacronismi. Si badi, invece, quanta distanza ci sia tra questi ‘mostri sacri’ con i campioni: le autorità dei campioni sono rimaste invariate, prima di tutto perché migliorano sensibilmente i livelli di affidabilità delle risposte, in secondo luogo perché sono in grado di rispondere alle esigenze degli scacchisti anche nei giorni del software. In definitiva, neppure il teorico ha perso il suo prestigio, per quanto possano essere cambiati i suoi strumenti, basti considerare i lavori sulle aperture di Pantaleoni o gli studi sui finali di Dvoretsky per rendersene conto. Questo perché la base del prestigio del teorico si fonda sulle sue pubblicazioni, sulle capacità di fornire valide informazioni (condizione 1) e di riuscire a collegare, mediante bibliografia e partite, persone con esigenze informative diverse ad altre persone o a informazioni altrimenti a loro inaccessibili (condizione 2).

Autorita e Prestigio 2

In base a quanto detto, è possibile anche giudicare l’operato di un’autorità. Un’autorità è buona solo se compie bene i suoi doveri, vale a dire: (1) aumenta la conoscenza della realtà che gli interessa; (2) connette le persone che richiedono il suo tramite e (3) si impegna per favorire convergenze di interesse virtuose. Un’autorità che rilascia per lo più risposte inattendibili è da condannare, tanto più perché egli ha la responsabilità di influenzare l’opinione di tante persone. Un’autorità che non connette persone sta ostacolando la buona società, che vuole che più persone si aiutino a vicenda, aumentando, così, il grado di felicità loro e, indirettamente, di molti altri. La violazione di (2) comporta, dunque, un aumento sensibile dell’infelicità nella società e ostacola la libera ricerca della conoscenza. In fine, egli dovrebbe promuovere interessi di categoria che possano far del bene anche a tutti coloro che li seguono, giacché essere dei grandi capi comporta grandi responsabilità: i propri effetti hanno grande influenza su tutti gli altri. Così, essere un’autorità non è solo un fenomeno definito, che si svolge secondo precise logiche, essere un’autorità significa anche accettare di avere delle responsabilità dirette, in relazione alla grandezza del proprio prestigio. E questo, purtroppo, è spesso ignorato da molte autorità nostrane, giacché si sbeffeggiano bellamente dei loro compiti, ignorando le conseguenze sulla vita degli altri.

In conclusione, negli scacchi, come in tutto il resto, le autorità sono rimaste quasi le stesse, e la loro forza è rimasta immutata, perché gli uomini avranno sempre bisogno di scorciatoie, e questo è inevitabile. Tanto più in un mondo a domini informativi sempre più ristretti che richiedono l’intervento e studio di grandi specialisti, che abbiano tempo, risorse ed energie in grado di affrontare sfide sempre più specifiche e sempre più di dettaglio. Certo, una domanda rimane aperta: quante autorità virtuose ci sono oggi nel nostro piccolo panorama? Questa è la domanda con la quale, dopo tutto questo discorso, possiamo e dobbiamo fare i conti.

1 Per un divertente esempio di come si costruisce il prescelto, rimando a Pili G., 2010, 2001, filosofia degli scacchi, Scacchitalia, cap. 7.

 

avatar Scritto da: Giangiuseppe Pili (Qui gli altri suoi articoli)


13 Commenti a Autorità e prestigio – Scacchi e il resto del mondo

  1. avatar
    Jas Fasola 17 Aprile 2013 at 21:52

    Gli scacchi sono un piccolo mondo, con poche regole, diversamente da altri sport e settori della vita.

    Negli scacchi l’autorità è adesso e diventerà sempre più il programma di scacchi, che rispetta la condizione A e non le altre, in quanto la risoluzione della condizione A è anche la soluzione del problema.

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      Giangiuseppe Pili 18 Aprile 2013 at 02:15

      Caro Jas

      E’ possibile. Però è anche vero che il pc ha un senso fintanto che c’è qualcuno che lo avvia. Egli rimane utile PER NOI non per sé. I suoi risultati sono utili perché abbreviano una ricerca, ma la risposta della ricerca rimane oggetto del giudizio. E il giudizio è determinato dalla ragione, una ragione che è inscritta nel dominio delle cose mentali. Fino a questo momento, per delle ragioni precise (ho provato in tanti modi a dimostrarlo nel mio lavoro del 2012), il pc non si avvicina al pensiero senziente di un essere umano. Prima di allora sarà sempre una calcolatrice il cui unico risultato è valutato in base alla NOSTRA utilità.

      Giustamente osservi che il Pc non ricade nelle condizioni (1 e 2) sicché la sua autorità è significativamente limitata. Non dimentichiamoci che, appunto, gli scacchi sono un fenomeno culturale e storico, cioè Umano.

      Piuttosto, possiamo giudicare l’operato di un kirsan ilyumzhinov, che può definirsi quasi un folle e un incapace per i punti (1-3). Non ne rispetta manco uno, a quanto mi è dato di capire dai molteplici articoli che ho letto sulle varie riviste e lavori di scacchi sull’argomento. E’ di questo, penso, che dovremmo preoccuparci maggiormente.

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    Giangiuseppe Pili 18 Aprile 2013 at 02:18

    E’ sempre un piacere vedere i miei articoli pubblicati su SoloScacchi, che rimane uno dei blog che fa più bene agli scacchi perché dimostra che è possibile decentrare il fenomeno delle autorità, senza mai venire meno nell’impegno di nessuno e della qualità. Ringrazio, ancora una volta (ormai quante!) il caro Martin per la preziosa impaginazione!

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    Joe Dawson 18 Aprile 2013 at 07:18

    Scacco, tabacco e farfallina riducono il sito in cenerina… 😉

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    alfredo 18 Aprile 2013 at 15:41

    Caro Giangiuseppe,
    farsi leggere da Kasparov non è poi così difficile, basta mettere dopo “dear Mr Kasparov” una cifra dai 50 .000 euro (ma anche dollari possono andare) in su.
    In quanto a Belen si vede proprio che non la conosci; quando ci uscivo io non faceva altro che parlarmi di Witthenstein, Popper, Kripke (se so qualcosa di costui è grazie a lei) e penso fosse ad un passo dalla dimostrazione dell’ipotesi sui numeri primi di Rienman.
    Io intimidito dal suo sapere l’ho lasciata al suo destino di medaglia fields sicura (anche se per i logici è dura. Per questo occupava il suo tempo anche dilettandosi in altri campi del sapere matematico).
    Sono stati poi Borriello e Corona a rovinare la ragazza, ma non ho rimpianti… Semplicemente non era il mio tipo.

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      fds 19 Aprile 2013 at 10:02

      🙂 🙂 🙂

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    alfredo 18 Aprile 2013 at 18:09

    Non so se la notizia è attinente al (solito bellissimo) saggio di Giangiuseppe (ma a tuo padre non è venuto in mente di chiamarti Ugo?) ma la notizia è stata ripresa anche dalla stampa nazionale e potrebbe essere fonte di ulteriore approfondimento.
    Anche ricordando un commento di Franco (Trab) che sospettava che io nascondessi un chip (non per giocare a scacchi però!).
    Ecco qui il link.

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      Giangiuseppe Pili 18 Aprile 2013 at 21:01

      Carissimo, una curiosità: perché UGO?? Le ragioni del mio (brutto) nome (che è stato oggetto di diatriba tra me e un mio vecchio professore di estetica) sono da ricercare nella necessità di volermi chiamare “Giangi” come abbreviazione. Siccome Giovanni era previsto (visto che mio padre evitò di farmi chiamare “Giobatta”, come altrimenti avrebbe voluto mia madre… una volta mi disse: “Tu che ti lamenti del tuo nome, pensa a come ti saresti dovuto chiamare), e Giuseppe per via dell’amato nonno, fu deciso “Giangiuseppe”, sicché, infatti, mi si chiama Giangi in famiglia!
      Hugo fu uno dei nostri cani, il secondo Boxer, morto prematuramente di leismaniosi.

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    alfredo 18 Aprile 2013 at 21:19

    caro Giangiuseppe era una citazione del grandissimo Troisi. In un film discuteva con la moglie incinta che voleva dare al figlio un nome “importante” come il tuo mentre lui voleva un nome semplice. E motivava la cosa con una certa logica (non dirlo a me che mi chiamo Alfredo Ermenegildo, proprio così su tutti i documenti. Non è un primo e un secondo nome, è un primo nome).
    Diceva Trosi che se tu chiamavi il figlio “Ugo” se ti scappava di mano dicevi “Ugo” e lo fermavi subito.
    Se lo chiamavi mettiamo “Alfredo Ermenegildo” il tempo di dire tutto e il bambino era già finito spiaciccato sotto una macchina 😀
    Penso fosse una scena da “Ricomincio da tre”

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      Giangiuseppe Pili 18 Aprile 2013 at 22:28

      Si! Ho visto diverse volte il film! Non avevo colto il riferimento… Anche se io non mi chiamo Massimiliano! 😉

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    alfredo 18 Aprile 2013 at 21:22

    ecco la scena

    ricordando un grande artista e una splendida persona

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      Mongo 19 Aprile 2013 at 09:38

      Pensa che mia figlia, che volevo chiamare ‘Ernestina’ (facile capire il perché!), si chiama ‘Viola Aleida’, come primo nome.
      ‘Viola’ è un doppio omaggio: una cara amica della mia compagna si chiamava ‘Viola’ di cognome ed è anche una bellissima canzone di Celentano.
      ‘Aleida’ è la seconda moglie del Che (Toh, sempre illo!!) e della seconda figlia, dopo Hildita avuta però con la prima moglie Hilda Gadea.
      Gli altri tre figli ‘ufficiali sono in ordine di nascita: Ernesto, Celia (come la madre del Che) e Camilo (un omaggio al suo caro amico Camilo Cienfuegos, granmista e scomparso/assassinato [secondo alcuni il mandante fu Raul Castro, il fratello di Fidel ed attuale presidente cubano] nel primo anno della Cuba liberata).

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    alfredo 19 Aprile 2013 at 17:11

    Essì …Celia de Serna.
    Cantata in una splendida canzone da Roberto Vecchioni.

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