La forza del passato

Scritto da:  | 3 Giugno 2013 | 8 Commenti | Categoria: Racconti

La forza del passato 1

Ricordo che quando giocavo a scacchi c’era un russo, un russo vero di nome Victor Balanda che si conquistò la mia adorazione, oltre a una leggendaria squalifica a vita, per la sua inclinazione a sbrogliare le situazioni difficili con una gagliarda metasoluzione: stendeva l’avversario con un cazzotto in faccia mossa che ancora oggi, credo, nell’ambiente viene chiamata “variante Balanda”

Gia, il vecchio Balanda. La meteora più sfavillante che abbia attraversato il firmamento scacchistico degli anni Settanta: nessuno sapeva quanti anni avesse, dove vivesse o come si mantenesse, spuntò dal nulla e comincio a macinare vittorie a un ritmo impressionante, tanto che sembrava avviato verso il famoso Torneo dei Candidati, nel quale si designa lo sfidante per il titolo mondiale. Poi, un giorno, ad Acapulco, si trovò in grave difficoltà di fronte ad un outsider messicano, e, dopo avere consumato quasi tutto il tempo alla ricerca della mossa che gli evitasse l’onta della prima sconfitta, si alzò in piedi e gli lasciò andare un cazzotto dritto in bocca, mandandolo all’ospedale. Fu squalificato, espulso dal torneo e in seguito radiato da ogni competizione ufficiale (non senza un grottesco dibattito in seno al Comitato di Disciplina della Federazione Internazionale, poiché il regolamento non prendeva nemmeno in considerazione il caso di violenza fisica nei confronti di un avversario), e sparì dalla circolazione. Ma un anno e mezzo dopo, in occasione del Campionato Mondiale, ci fu un’amnistia, e Victor Balanda ne beneficiò, tornando alle competizioni.

Consolat de Mar

Ed è proprio al momento in cui ricompare sulla scena, a Palma di Maiorca, nel 1979, che risale il ricordo che conservo di lui, preciso e netto: eccolo mentre attraversa il salone del Consolat del Mar con addosso il solito abito marrone di velluto, incurante delle occhiate che lo infilzano da ogni direzione – perché malgrado la presenza di un paio di grandi maestri internazionali, è lui l’attrazione del torneo; ecco il suo lungo volto barbuto, il naso da falco, la pelle squamosa, lo sguardo sotto gli occhiali di metallo. E’ un torneo a cadenza italo-svizzera, nel quale ogni concorrente affronta quello che segue in classifica al termine di ogni turno, e così Balanda dopo quattro vittorie di fila si ritrova a duellare con i più forti. Altre vittorie, un paio di patte, ed eccolo all’ultimo incontro, ormai secondo in classifica, seduto di fronte ad un grande maestro suo connazionale che lo precede di mezzo punto: per superarlo e rendere trionfale il proprio rientro deve vincere, mentre se pareggia o perde verrà scavalcato anche da molti altri. Il suo avversario lo ricordo appena, una figura abbastanza ordinaria avvolta nella nebbia dell’oblio, come del resto anche il suo nome, poiché sebbene fosse il più forte giocatore del torneo, e quel torneo uno degli ultimi a cui io abbia partecipato, ciò che sta per accadere lo sfuocherà per sempre nella mia memoria. Io sono in prima fila, ho dato forfait al mio ultimo incontro pur di avere questo posto, perché Balanda per me è un idolo, nel mio pantehon di ventenne ha preso il posto di Bobby Fischer, e la sua esibizione non me la perderei per tutto l’oro del mondo. La partità è una Ruy Lopez classica, la partita preferita di Balanda, e attorno al tavolo c’è un silenzio irreale, favoloso, due o trecento persone immobili e concentrate sull’icona verdastra -per via delle luci-, vagamente subacquea -, di questi due russi che si fronteggiano sotto un enorme ventilatore da soffitto. L’altro ha i bianchi e gioca per la patta, è chiaro, e Balanda ha consumato un po’ troppo tempo nel tentativo di stanarlo; ma può ancora farcela, ha una posizione promettente sul lato di Donna e le torri messe leggermente meglio. Non sta perdendo, non è in difficoltà, e anche se alla fine dovesse accettare la patta rimarrebbe pur sempre imbattuto. Eppur, ecco che in lui scatta qualcosa: me ne accorgo solo io, ne sono certo, e non saprei dire nemmeno come io possa avere tale certezza, su cosa sia basata, ma ce l’ho.

Qualcosa scatta in Victor Balanda e di colpo la scacchiera, i pezzi, la posizione, diventano irrilevanti, perché la soluzione si è spostata altrove, oltre quel tavolo, oltre le regole che rendono d’un tratto ridicolo questo rito dell’intelletto che fino a un momento fa sembrava sacro. Eccolo che comincia a perdere tempo: si sfila gli occhiali, se li pulisce, li rimette, poi si volta a guardare gli spettatori, quasi tutti grigi borghesi monomaniaci la cui fantasia non ha il minimo sbocco fuori da quelle sessantaquattro caselle, incapaci perfino di concepire ciò che sta per succedere, sebbene sia gia successo una voltae sia proprio per questo, in fondo, che si trovano qui. Mentre il suo orologio continua a correre, ecco che Victor Balanda si alza, lentamente come ha gia fatto altre volte nel corso dell’incontro, ma stavolta la sua concentrazione è diversa, è quella del leopardo in mezzo alla savana che calcola la direzione del vento, la distanza dalla preda, la velocità necessaria per raggiungerla… Il suo avversario, questa nebbia cartesiana piena di calcoli e partite mandate a memoria, è seduto compostamente, assorto, il mento poggiato sul dorso delle mani, i gomiti appoggiati al tavolino. Non ha capito nulla, nemmeno lui, non teme, non sospetta, non vede la dura realtà che prende forma dinanzi ai suoi occhi: vede magari una cervellotica combinazione di mosse che, in futuro, di cui questa partita ormai è priva, gli potrebbe regalare un pedone, ma non vede il cazzotto partire, un gancio fenomenale che lo centra in pieno volto, tra bocca e naso, e gli spegne ogni luce: crolla, secco, con un lugubre tonfo sul pavimento, passando direttamente dal volto lucido e soddisfacente previsto dei suoi calcoli a quello confuso e tumefatto di quando si risveglierà sull’ambulanza (“dove sono? che è successo?” ) e il medico a bordo gli raccomanderà di star tranquillo. Ecco fatto: Balanda si siede, spiege avanti un pedone e ferma il suo orologio. Sorride, mentre intorno a lui si scatena il finimondo e rimane impassibile al suo posto, strattonato, insultato, minacciato, mentre si cerca di rianimare il suo avversario, perché nonostante tutto la variante Balanda non è ancora compiuta: occorre che l’avversario non si rialzi occorre che l’arbitro sia costretto a interompere la partita senza poter scrivere nel suo referto che Balanda ha abbandonato, ha perso, o ha pareggiato, no, occorre che si scervelli per trovare nella sua legnosa lingua di burocrate le parole che spieghino l’accaduto (“colpiva l’avversario al volto con bruta violenza, procurandogli la perdita dei sensi e la conseguente impossibilità di proseguire l’incontro, e poi effettuava la mossa 41…h5-h4” ).

Un evento assolutamente inconcepibile nel piccolo mondo cui appartiene lui, eppure assolutamente semplice, e normale, nel grande mondo al quale appartiene Balanda.

E l’avversario non si rialza, e l’avversario non si rialza, non si rialza…

La forza del passato 2

avatar Scritto da: Sandro Veronesi (Qui gli altri suoi articoli)


8 Commenti a La forza del passato

  1. avatar
    Marramaquis 3 Giugno 2013 at 08:52

    Càspita, ragazzi, altra firma di assoluto prestigio! Per quei pochissimi che non lo conoscessero, Sandro Veronesi (nato a Prato nel 1959 e fratello maggiore del regista Giovanni) è uno dei più noti scrittori italiani contemporanei.

  2. avatar
    alfredo 3 Giugno 2013 at 09:32

    Il libro prende il titolo da una poesia di Giorgio Bassani , recitata da Orson Welles ( !) ne ” la ricotta” di Pasolini .
    E’ il libro di Veronesi che amo di piu’ . Ancor piu’ del giustamente famosissimo ” Caos Calmo”
    Da ” La forza del passato” stato tratto anche un film con Sergio Rubini e il personaggio centrale del libro ritorna poi in ” Caos Calmo”
    Veronesi nel 1992 cerco’ di incontrare anche Bobby Fischer come racconta nel suo
    ” Live”.
    Questo è il pezzo .
    Però : Pasolini, Bassani, Welles .
    Quella era cultura.
    Ovviamente felice che il nostro sito ospiti uno dei piu’ grandi scrittori italiani

  3. avatar
    Mongo 3 Giugno 2013 at 11:20

    Capperi!!!
    Grande racconto e notevole è lo spessore del suo autore. Complimenti.
    Farò mia questa variante! 😉

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    Enrico Cecchelli 3 Giugno 2013 at 13:51

    La “marcia in più” dell’autore si vede (anche) da questo: in poche righe di
    racconto, siamo portati a terminare d’un fiato la narrazione, quasi in apnea,
    presi per mano dal ritmo del racconto come una pietra che rotola lungo un pendio,
    una palla di neve che man mano s’ingrossa. Questa comunque è la prima
    impressione che ho avuto anche se maldestramente espressa.
    Complimenti!!!

  5. avatar
    Martin Eden 3 Giugno 2013 at 21:24

    Non è facile apprezzare un racconto quando lo scenario è quello familiare che si conosce bene del proprio ambiente, dei propri luoghi, della propria casa come in questo caso per noi gli scacchi… si è spesso inclini a dar troppo peso ai dettagli, a soppesare con troppa cura i particolari, finendo inevitabilmente per perder la visione d’assieme o meglio per non apprezzarla appieno.
    Non è questo comunque il caso di queste pagine di Sandro la cui lettura è d’impatto sia per il neofita che per l’appassionato più esigente, e l’emozione provata è proprio quella avvincente e travolgente di chi assiste a bordo ring alla ripresa decisiva di una sfida di pugilato in cui un gancio fenomenale, come quello di Balanda, “spegne ogni luce” negli occhi e nelle speranze dello sconfitto…

  6. avatar
    Andrea Beretta 3 Giugno 2013 at 22:43

    …magnifico! Compliment!

  7. avatar
    paolo bagnoli 3 Giugno 2013 at 22:47

    For-mi-da-bi-le !

  8. avatar
    Zenone 3 Giugno 2013 at 22:52

    Ecco perché amo questo “posto”: ogni giorno dai un’occhiata e scopri che ci sono grandi scacchisti e/o ottime penne per godere della lettura e del nostro gioco.
    Sandro Veronesi ho imparato a seguirlo anche su twitter ed ho il piacere di seguirlo sul nostro blog.
    Grazie

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