Così fan tutti

Scritto da:  | 5 Maggio 2013 | 4 Commenti | Categoria: Racconti

“No, non sono tre giorni, son già cinque giorni che non chiami!”
“Va bene, mamma, ho avuto da fare…. Qui in città tutto corre più in fretta, lo sai…”
“Ma almeno stai bene, sì?”
“Certo che sto bene, ci siam sentiti tre giorni fa!”  fece sornione.
“Ma tu mangi, vero?”
“Sì, sì stai tranquilla…qui ho tutto quello che mi serve… ora però vado, che ho da rivedere degli appunti… ti chiamo io per il fine settimana, stai tranquilla ma’…”
“Guarda che se non chiami vengo su con tuo padre”
“Va bene, va bene… non ti preoccupare…”

Posato il ricevitore, si affrettò verso la finestra, ma con profondo disappunto notò come dall’altra parte del cortile, nello stabile di fronte, la tenue luce del soggiorno di quell’appartamento al quarto piano si fosse nel frattempo spenta.
Solo lo schermo di un piccolo televisore solleticava con guizzi repentini la parete di fronte alla finestra, la piccola parete che Alberto conosceva ormai così bene e che, in almeno un paio di occasioni, aveva pure fotografato.
Di lei, che immaginava accovacciata in un divanetto fuori dalla portata del suo sguardo, nessuna traccia…

“Accidenti” pensò… “Proprio adesso doveva chiamarmi?”

Cosi fan tutti 3Alberto, giovane studente al secondo anno di giurisprudenza, era arrivato a Torino da un paio di mesi. Poche conoscenze in ateneo, la sola passione per la fotografia a creargli talvolta qualche utile diversivo alla monotonia, conduceva una vita abbastanza ritirata e, tolta la frequenza obbligatoria ad alcune materie, passava la maggior parte del suo tempo a casa. Viveva in una piccola palazzina nel quartiere Aurora, occasione procuratagli da un cugino che molti anni prima aveva fatto il servizio militare nel capoluogo piemontese e che aveva mantenuto un certo numero di amici del posto; ragazzo tranquillo, molto riflessivo, si trovava bene in quel piccolo appartamento, che lasciava di rado e malvolentieri. Il piccolo saloncino, che aveva eletto a zona studio, si affacciava su di un piccolo cortile rettangolare, delimitato da quattro palazzine abbastanza diverse tra di loro. Quello di fronte aveva l’aria di essere la più signorile delle quattro. Le giornate abbastanza corte – si era verso la fine di novembre – Alberto in genere faceva una pausa verso le quattro del pomeriggio: si preparava una tazza di tè, che sorseggiava poi guardando distrattamente fuori dalla finestra.
Fu in una di quelle pause che notò qualcosa di curioso, posando lo sguardo sulla palazzina di fronte: notò la luce accendersi nel soggiorno, e subito dopo una ragazza bionda che con estrema rapidità liberava un paio di poltroncine da alcuni giornali, raccogliendo poi in una sola mano – forse la destra – un’altra infinità di piccole cose, che portò con sé in una stanza attigua.
Poi riapparve e si diresse dalla parte opposta, salvo poi rientrare in scena, in quel piccolo soggiorno dalle pareti di un colore indefinibile, in compagnia di un’altra persona.
Un uomo, apparentemente sopra la cinquantina, con un pesante cappotto scuro ed un cappello intonato.
I due sedettero sulle poltroncine, la ragazza gli offrì qualcosa di caldo da bere – forse un tè, pensò Alberto sorridendo – poi questa si alzò e si spostò nella stanza di fianco, di cui Alberto poteva vedere solo la tapparella semiaperta di una finestra; una luce verdastra rischiarò l’angolo lontano della stanzetta, e dopo pochi istanti anche l’uomo lasciò il soggiorno e sparì alla vista di Alberto.
Il loro incontro – se così lo possiamo chiamare – durò circa una mezzora, poi l’uomo riapparve, con il cappotto ripiegato sul braccio destro, seguito a brevissima distanza dalla ragazza, anch’essa vestita, che lo accompagnò verso la porta.
Dopo pochi istanti Alberto la rivide, ma subito la riperse, immaginandosela però prontamente quando vide accendersi la luce di quello che intuì dovesse essere il bagno, se non altro per il vetro della finestra tanto tenacemente opaco da cedere il tratto alla fantasia del giovane studente.
Ciò che aveva visto non lasciava troppo adito a dubbi, specie per la differenza di età tra i due – seppur vista solo di sfuggita, difficilmente la ragazza poteva avere più di venticinque anni, mentre l’uomo come minimo ne aveva il doppio -; non aveva notato una particolare familiarità, quindi escludeva che potesse esserci tra di loro un qualche legame di parentela, ed anche altre ipotesi, cui peraltro dedicò scarsa attenzione, gli parvero poco plausibili. Fortemente incuriosito, incominciò a fissare la propria attenzione su quel piccolo appartamento, che ebbe ben presto modo di rendersi conto di come si animasse per qualche ora a metà pomeriggio, salvo poi ripiombare nella monotonia serale, monotonia accompagnata solo di quando in quando dalla luce tremolante del televisore sulla parete di cui si diceva.
Per quel che poté vedere alla mattina l’appartamento era vuoto, ma in quelle poche ore – in genere dalle quattro alle sei del pomeriggio – Alberto annotò con regolarità quanto vide: una ventina di uomini diversi, a volte anche tre nello stesso pomeriggio, di età compresa, almeno in apparenza, tra i quaranta-quarantacinque e i sessanta. Una volta pescò anche un attempato signore, magrissimo, sicuramente vicino agli ottanta.

I preliminari duravano pochi minuti, poi la scena si spostava nella stanzetta attigua, dove immancabilmente si accendeva quella strana luce verdastra.

Si ritrovò una domenica di dicembre a riflettere sul fatto che anche la sua vita era diventata monotona, scandita dagli appostamenti pomeridiani e da lunghe serate di studio sempre più discontinuo e demotivato, con frequenti puntate in camera da letto da dove, complice la tapparella lenta e con la luce rigorosamente spenta, Alberto si concedeva indulgentemente la curiosità di sbirciare nell’appartamento di fronte in cerca della sagoma di quella misteriosa ragazza bionda.
Di lei infatti, escludendo i soli incontri pomeridiani, non sapeva praticamente nulla; si era fatto l’idea che fosse dell’est – forse ungherese, magari moldava – e più di una volta si era fermato davanti al portone della palazzina, e studiando i campanelli del citofono aveva isolato un cognome straniero che pareva confortare la sua ipotesi, ma per il resto buio totale…

Era fermamente deciso a scoprire altri particolari della sua vita, così mise a punto un piccolo piano: si sarebbe messo in strada, nel marciapiede di fronte, e una volta visto arrivare uno dei suoi clienti abituali, lo avrebbe seguito fin dentro cercando di arrivare sul pianerottolo e poi… beh, poi li avrebbe improvvisato…

Nel giro di qualche giorno effettivamente la cosa gli riuscì – non che fosse poi così difficile – ma una volta giunto davanti alla porta di ingresso, dove peraltro la targhetta del campanello gli confermò l’intuizione precedente, la totale assenza di rumore dall’interno lo disorientò alquanto. Andò quindi ad accucciarsi nel pianerottolino superiore, avendo cura di non far rumore e di non svelare la sua presenza allorquando l’uomo uscì dall’appartamento della ragazza bionda.
Ripeté l’espediente ancora per un paio di volte, senza che gli esiti finali si distinguessero particolarmente dalle precedenti esperienze, finché un pomeriggio di dicembre inoltrato decise di passare all’attacco.
Uscito il secondo dei due uomini di quel giorno, lascio trascorrere alcuni minuti per precauzione, poi scese delicatamente e si avvicinò alla porta; attese ancora un minuto abbondante, guardandosi alle spalle almeno tre o quattro volte, poi allungò il dito e suonò il campanello.
Udì dei passi leggeri avvicinarsi alla porta, poi si ritrovò davanti alla ragazza bionda.

Si era immaginato quel momento decine di volte – in almeno un paio di occasioni culminando in una doccia bollente – ma ciò che vide lo colse, come spesso accade quando la fantasia ha il tempo e lo spazio per lavorare ai fianchi l’ansietà (come un pugile con il sacco in palestra), quasi del tutto impreparato.
La ragazza indossava una tuta color lilla, abbinata a delle ciabattine di spugna chiare; aveva i capelli raccolti in una coda e, cosa che più lo lasciò interdetto, aprì la porta mentre stava mangiando una mela di color rossastro.

Cosi fan tutti 4

Alberto alzò la mano destra, il pollice ben disteso, facendo segno all’indietro quasi a voler  dire “Son qui per lo stesso motivo di quel signore…” mentre la ragazza, togliendosi la mela di bocca esordì “Non avevi un appuntamento, vero?”

Al diniego di Alberto, che ancora non aveva pronunciato una sola parola, la ragazza si tolse dalla soglia e lo invitò ad entrare, terminando poi con un “Fa lo stesso, tanto a quest’ora non arriva più nessuno…”

Si accomodarono entrambi nelle poltroncine del soggiorno, che trovò più morbide e consumate di quanto non gli fossero sembrate dal suo punto di osservazione domestico, e quasi subito la ragazza gli chiese se avesse gradito un tè..
Quel déjà vu rassicurante ebbe l’effetto di allentargli parecchio la tensione che andava attanagliandolo oramai da parecchi minuti.
“Come hai fatto ad arrivare fin qui?  Non ti ho mai visto giù al….”
“Sai come funziona, no… un passaparola… e comunque non ho molto tempo di frequentare locali, qui a Torino”
“Cosa fai studi?” chiese la ragazza.
“Sì, all’Università… studio “legge”… ma non sono di qui… E tu?”

La ragazza rimase un attimo in silenzio.

Cosi fan tutti 2“Mi chiamo Natasha, che stupida, non mi ero ancora presentata… Natasha… sono di Kiev”
“Alberto… di Kiev, quindi …. ucraina?!”
“Sì..bravo..” condendo il motto d’approvazione con un sorriso che parve ad Alberto il flash di un fotografo…

“Allora, cosa vuoi fare?” chiese Natasha.

Alberto arrossì leggermente, poi si schiarì la voce e riprese il discorso.

“Non saprei di preciso… di solito quanto prendi?”
“Venti euro..”
“Ma per…”
“Al massimo due, quindici minuti l’una…”
“Ah, così poco.. pensavo molto di più”
“Beh, qui in casa, sai…non ho spese.. al limite,  per chi vuole che lo faccia alla cieca ne prendo trenta”
“Alla cieca…”
“Al massimo lo posso fare con quattro tutti insieme, ma non di più, e prendo cento…”
“Però…ma non è difficile?”
“Alla cieca?”
“No, dicevo con quattro tutti insieme..”
“No, no.. solo con più di tre o quattro poi fai fatica a concentrarti.. finisce che uno lo trascuri.. poi lui va via contento lo stesso, anzi… ma non piace a me”
“Ma non hai mai avuto problemi?”
“Guarda, fino a adesso me la son vista brutta una volta sola..”
” Ma è da molto che lo fai?”
“No, ho incominciato in aprile, così per scherzo… poi ho visto che la gente aumentava.. così mi sono organizzata”
“Quella volta, mi dicevi…”
“Ah, sì.. un ragazzino, un ragazzino di sedici anni…;  una cosa incredibile… mi entrava da tutte la parti, ho provato a difendermi in tutti i modi ma a un certo punto non ci ho capito più nulla… mi si è pure annebbiata la vista…”
“E poi?” chiese Alberto con voce trepidante.
“Poi niente… ci ho messo più di due settimane a riprendermi… Poi ho ricominciato e le cose son tornate ad andar bene”

Alberto fissò la ragazza con leggero disappunto.

“Beh, allora cominciamo?” chiese lei.. “Preferisci iniziare col nero?”

Alberto la guardò con aria assente, immaginandosela distesa sul divano con della biancheria intima scura…

“Secondo me stai meglio col bianco… ma comunque… sì… adesso è meglio che vada.. è già tardi e…”

Tirò fuori il portafoglio e le porse una banconota da venti euro…

“Scusami se abbiamo solo parlato”, si schermì.

La ragazza lo guardò stranita.

“Ma no, cosa fai, metti via quei soldi.. non abbiamo fatto niente”
“Sì, lo so… però…”
“Guarda, vieni quando vuoi… al massimo se c’è già qualcuno aspetti lì nel salottino, o se vuoi puoi anche venire di là a vedere…”

Alberto si alzò di scatto e si congedò freddamente dalla ragazza.
Non nascose a se stesso di provare disgusto.

Si era ormai prossimi a Natale così, nei pochi giorni che mancavano al suo rientro a casa, dai suoi, si impose di pensare ad altro.
Le vacanze trascorsero abbastanza lentamente; ai primi di gennaio Alberto tornò a Torino. Con un misto di sollievo e di malcelata delusione, il giovane studente vide che nell’appartamento della ragazza tutte le finestre erano chiuse.

“Sarà andata a casa anche lei per le feste anche perché, essendo ucraina” pensò “probabilmente sarà ortodossa e quindi tra un po’ festeggeranno anche loro il Natale e… ma figurati  se una così festeggia….”

Comunque stessero le cose, fino a metà gennaio l’appartamento non diede segni di vita, finché la mattina di un sabato Alberto, guardando distrattamente fuori della finestra facendo colazione, vide il soggiorno di Natasha colmo di valigie e di borsoni; poi nel giro di qualche minuto apparve anche la ragazza, cosa che strappò ad Alberto un ampio sorriso.

Ricominciarono così gli appostamenti pomeridiani, anche se il calendario degli esami incalzava ed Alberto non avrebbe avuto poi troppo tempo da dedicare alla cosa.

Ciò che però vide alcuni giorni dopo lo sconvolse a tal punto che tutto il resto passò in secondo piano.

Per la prima volta, dopo mesi, all’appuntamento si presentarono in due. Vestito con un’elegante giacca di montone, un uomo sulla quarantina aveva con se un bambino, non piccolissimo, forse sugli otto-dieci anni…
Rimasero un po’ nel soggiorno: quello che Alberto non era sicuro poter essere il padre del bambino parlava animatamente, gesticolando, mentre Natasha sembrava limitarsi ad annuire..
Dopo poco la ragazza prese con sé il bambino, non prima che il padre lo avesse aiutato a togliersi il giacchino imbottito che indossava; nella stanzetta attigua si accese la luce verdastra.

Alberto ebbe un moto di stizza: vedeva l’uomo entrare ed uscire dalla stanzetta finché, dopo una decina di minuti scarsi, vide Natasha riaccompagnare il bambino dal padre, tenendolo per la mano destra.
Il bambino piangeva, sembrava singhiozzare…
L’uomo gli passò la mano sulla testa, si rivolse sorridendo a Natasha, quindi mise mano al portafoglio e porse del denaro alla ragazza.
Questa lo prese con naturalezza, quindi aiutò il bambino a rimettersi la giacca e li accompagnò verso l’uscita.

La faccia di Alberto si contorse in un’espressione di ira, di incontenibile livore.
Indossò velocemente la giacca, senza chiuderla, si mise gli scarponi e si precipitò giù per le scale…

Cosi fan tutti 5

Corse a perdifiato fino alla parte opposta dell’isolato.
Suonò al citofono; la porta si aprì e in men che non si dica fu davanti alla porta di Natasha. Aveva il fiatone; non si era ancora ripreso che la porta si aprì.
La bionda ragazza dell’est lo guardava con aria quasi divertita, senza immaginare neppur lontanamente quello che le sue orecchie avrebbero sentito di lì a qualche secondo.

Alberto entrò nell’appartamento, Natasha richiuse la porta.

“Ti ho visto, ho visto tutto… Io abito lì di fronte” fece indicando la finestra del suo appartamento “sono mesi che ti vedo… la prima volta che son venuto qui… non era vero niente… io ti guardavo da casa mia…”

La ragazza lo guardò con aria stranita; la rabbiosa eccitazione con cui Alberto si stava rivolgendo a lei la spaventò.

“A me dispiace che una ragazza bella come te, così giovane, sia costretta a fare quello che fai… va bene, lo fai in casa, meglio che per strada… sono persone adulte… già mi avevi detto di quel sedicenne… va bene…
Ma quel bambino.. quel bambino… era piccolissimo… quanti anni aveva.. e chi era quel porco… suo padre?”

Natasha lo guardava senza capire.

“Un bambino ca… ma lo capisci.. ma non capisci che così può rimanere traumatizzato per tutta la vita?!?”
“Guarda che ha giocato molto bene…. Poi alla fine ha fatti una serie di errori e ha pagato…. direi più che altro l’inesperienza…”
“Ma tu mi fai schifo, davvero schifo… l’inesperienza… certo che una tr… come te…”

Natasha si allontanò, tremante…; andò nella stanzetta attigua e si fermò a fissare un punto nell’angolo di destra…
Guardò Alberto…

“Vieni, vieni a vedere in che posizione ha abbandonato”.

Alberto serrò il pugno destro, percorse lo spazio che lo separava da Natasha con pochi passi veloci; si accinse a colpirla ma, fortunatamente per entrambi, prima di farlo volse la testa verso destra, nel punto che la ragazza continuava a fissare.
Con sua enorme sorpresa vide un tavolino rotondo, coperto con un panno verde; in cima una scacchiera di grandi dimensioni, con sopra pochi pezzi, in prevalenza neri…
Natasha si avvicinò al tavolino, accese la luce verdastra di una piantana nell’angolo..

Alberto fece un passo indietro..

“Ma allora… ma allora.. ma tu… e quella luce, la luce verde….”
“La luce è ottima per mettere in evidenza i pezzi.. ne ho provate di diversi colori.. ma quella verde è la migliore…”
“Ma allora tu giochi a scacchi… tu giochi a scacchi… e tutte quelle persone…”
“Sono del circolo di Via Goito, non tutti però…; io non ho tempo di andare giù al circolo, così vengono loro qui da me… facciamo una o due partite… le analizziamo.. studiamo alcune posizioni…”
“Ma allora tu…”  balbettò Alberto…
“Sono una GM femminile…. Gioco a scacchi da quando avevo 5 anni…”

Il giovane studente si guardò intorno; vide una sedia alle sue spalle, vicino al muro, e vi ci si accosciò pesantemente.

“Scusa Natasha, scusa.. io non avevo capito.. io sono… io pensavo che tu…”

La ragazza spalancò gli occhi; un piccolo squarcio di luce si insinuò nelle pieghe dell’equivoco.

“Io avevo pensato…” riprese Alberto..
“… che io fossi una prostituta!!”  riecheggiò Natasha ridendo.
“Tu pensavi che quelli fossero i miei clienti…”
“Già… si può essere più deficienti…; solo che la situazione, la stanzetta con la luce verde… gli incontri che duravano sempre mezzora….”

La ragazza sorrise con maggior slancio.

“E quindi tu, la prima volta, eri venuto per… sì insomma..”

Alberto arrossì.

“Non lo so.. non ero mai andato.. anzi, non sono mai andato in vita mia”

I due rimasero alcuni secondi in silenzio.

“So che sarà difficile, per te, perdonarmi…”
“Tu sei un bravo ragazzo, Alberto… io.. per me non è successo niente, davvero…”

Natasha si avvicinò ad Alberto e lo abbracciò teneramente.

Alberto avvertì un tremendo nodo in gola…

“Che ne diresti di una cioccolata calda?” propose lei.

Alberto si guardò intorno, spaesato.

“No, non qui… andiamo giù all’angolo.. fanno una cioccolata buonissima”

Alberto si toccò istintivamente la tasca posteriore.

“Passo solo un attimo in casa… ehhm… nel foga ho dimenticato di prendere il portafoglio”
“Non preoccuparti, offro io… e poi… con tutti i clienti che ho…”  fece maliziosa.
“Non girare il coltello nella piaga, ti prego”
“Scusa, ma sei così carino quando fai quella faccia lì…”

Cosi fan tutti 1

avatar Scritto da: Abu Yasin (Qui gli altri suoi articoli)


4 Commenti a Così fan tutti

  1. avatar
    Mongo 5 Maggio 2013 at 12:50

    Troppo bello. Complimenti… 😛

    • avatar
      Franco Trabattoni 5 Maggio 2013 at 14:22

      Corcordo. Non è che sotto il nick si nasconde uno scrittore vero?

  2. avatar
    Abu Yasin 5 Maggio 2013 at 17:38

    No,

    grazie…

    Semmai uno scrittore mancato…. :mrgreen:

  3. avatar
    Zenone 5 Maggio 2013 at 21:26

    Complimenti, sia per l’idea che per il modo di proporla.
    E’ un racconto paradigmatico del modo di pensare (e di vivere) di oggi, soprattutto nelle metropoli: giudicare senza conoscere, condannare senza sapere, spiare invece di incontrare, odiare invece di capire.
    Infine, mi è piaciuto il fatto che non sia mai stata utilizzata una parola volgare in un racconto in cui si poteva usare, in alcuni punti, qualche espressione “forte”, tanto di moda oggi, anche nella letteratura.

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