Progetto Gutenberg

Scritto da:  | 19 Giugno 2013 | 35 Commenti | Categoria: C'era una volta, Italiani, Tornei

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Quando sto vivendo momenti particolari mi capita spesso di fare tra me e me questo sciocco giochino: immagino di scattarmi una fotografia e poi di inoltrarla, idealmente, al me stesso di trent’anni fa; così, tanto per vedere quali sarebbero i suoi commenti. La fotografia di cui vorrei parlare oggi ritrae un uomo con i capelli grigi, con indosso una ridicola giacca bianca a righine blu, fermo con un gelato in mano davanti a un vecchio palazzo di via Mazzini, una delle vie principali del centro storico di Catanzaro. Facilmente prevedibile è il commento del suo alter ego con i capelli neri (o forse ancora castani): “che diavolo ci faccio a Catanzaro, con quella strana giacca addosso, un giorno di maggio del 2013?”. La buon’anima di mio suocero, siciliano doc (si sa che tra calabresi e siciliani non corre buon sangue), se fosse ancora vivo non sarebbe stato da meno: “che minchia ci sei andato a fare in Calabria?” (mio suocero non riusciva ad immaginare nessun buon motivo per cui si dovesse fare un viaggio del genere: per lui la Calabria si riduceva al filamento d’asfalto, deviazioni, corsie uniche e buche che collega in malo modo il continente alla Sicilia).

Ora dico che cosa facevo lì. Ma prima qualche commento alla fotografia.

– La giacca ridicola l’ho comprata in un momento di follia. Mia moglie non vuole nemmeno sentirne parlare. Per cui in casa la tengo nascosta (se no me la butta via); la infilo nella valigia sempre di nascosto, e poi la sfoggio (tempo permettendo) quando sono fuori casa. In fondo l’ho anche pagata cara, per cui in qualche modo la devo usare. E se qualcuno ride, pazienza.

– Il gelato rappresenta il mio pranzo, e si deve al mio miserevole tentativo si sopravvivere senza debordare alle colorite specialità gastronomiche calabresi.

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– Il palazzo che sto guardando è l’ex Hotel Centrale, da tempo chiuso. Sopra la porta è incastonata una lapide in cui si rammenta che proprietario dell’hotel era un tale che di cognome faceva Paparazzo; poi, senza chiarire meglio la dinamica del fatto, spiega che grazie a uno scrittore inglese una volta ospite dell’albergo il termine “paparazzo” si è trasferito dalla via Mazzini di Catanzaro alla Via Veneto di Roma e alla sua dolce vita. Quello che invece viene in mente a me è che proprio in quest’albergo ho dormito con mio padre per ben tre volte, dal 1971 al 1973, in occasione del torneo di scacchi di Catanzaro.

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– Se mi giro, esattamente di fronte all’albergo si trova Palazzo Fàzzari, uno degli edifici più belli della città: sede del Circolo Unione, del Circolo di scacchi “Leonardo da Cutro”, nonché prestigiosa cornice dei suddetti tornei.

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Ma torniamo al punto di cui sopra. Che cosa ci faccio lì? Se ne parlo anche su SoloScacchi è perché vorrei rendere omaggio agli indefessi ed eroici amici che organizzano ormai da anni, tra mille difficoltà e incomprensioni, questa bella iniziativa. Si chiama Progetto Gutenberg (per me era la seconda volta; la prima, pochi anni fa, si era chiusa con un magnifico catering proprio a Palazzo Fàzzari; con i risvolti emotivi che vi lascio immaginare). Tutto è partito dal Liceo Galluppi di Catanzaro; ma poi la manifestazione si è estesa a un’ampia rete di scuole calabresi, da Cosenza a Reggio Calabria. L’idea è semplice ma geniale. All’inizio dell’anno scolastico si sceglie un tema. Poi si seleziona un certo numero di libri, inerenti a varie discipline, in cui quel tema è in qualche modo richiamato. Gli studenti leggono questi libri, ne discutono con i loro professori, preparano relazioni, domande, interventi di vario tipo. Poi a fine maggio si confrontano di persona con gli autori. Il successo è garantito, per il semplice fatto che in questo modo, a differenza di quello che accade di solito quando le scuole invitano i cosiddetti “esperti” esterni, gli studenti si sentono (ed effettivamente sono) gli autori e i protagonisti della vicenda, non i destinatari o (come si dice oggi) i “fruitori” passivi.

Gutenberg 3L’idea di partecipare al torneo di Catanzaro era venuta a mio padre, in base a un ragionamento nella sostanza analogo a quello che avrebbe poi fatto l’ex ministro Gelmini quando scelse la sede in cui sostenere l’esame di stato in giurisprudenza. Allora i cosiddetti festival, ormai gli unici tornei autorizzati a distribuire le categorie nazionali (quando invece in passato almeno la “seconda nazionale”, che non a caso si chiamava “regionale”, si otteneva su base locale) erano davvero pochi: agli storici La Spezia (marzo), San Benedetto del Tronto (luglio o agosto), Imperia (settembre) se ne affiancava sporadicamente qualche altro. Catanzaro (la prima edizione è del 1970) era uno di questi. L’anno prima ero stato ad Imperia, per il mio primo torneo nazionale. Con 5 punti su 9 (ho perso le ultime due partite) avevo fallito l’obiettivo di conseguire la seconda nazionale (la terza nazionale, beffardo premio di consolazione, si otteneva con soli 3 punti). Il “terza classe” di Imperia era una specie di bolgia infernale, a cui partecipavano abitualmente tutti i più agguerriti aspiranti alla seconda nazionale (è ovvio da quello che ho detto che solo a partire da questa categoria si acquistava un minimo di credibilità). Per cui, Catanzaro: dai resoconti della prima edizione era facile sospettare che l’impresa sarebbe stata assai più agevole.

Siamo partiti, mio padre ed io, in cuccette di seconda classe sul treno di notte dalla Centrale, e siamo arrivati a Lamezia praticamente all’alba. Poi abbiamo preso il treno che congiunge lo Jonio al Tirreno, in quell’istmo di terra che è anche in assoluto il punto dove la distanza è più breve. Ricordo il sole, il verde, l’aria tiepida e odorosa (ben diversa da quella che si respira nella spesso frigida primavera lombarda). Il treno si faceva largo nella campagna, ma era così comodamente immerso nella natura che sporgendo il braccio dai finestrini si poteva tentare di cogliere i limoni. Poi, Catanzaro. L’impressione, per un quattordicenne cresciuto nel cuore dell’opulenta Brianza, fu piuttosto forte. Dal pullman che saliva verso il centro storico apparivano squarci con file di case disordinate, sovente approssimative, disposte alla bell’e meglio lungo i ripidi crinali; e tutt’intorno un paesaggio bianco, petroso, sventrato, come un cantiere aperto e mai chiuso. Una spocchiosa scrittrice milanese di libri per bambini, che ho incontrato qui nel corso del Gutenberg, supponendo a torto di trovare in me un interlocutore comprensivo, a un certo punto ha iniziato a farmi la lista delle sue lamentele, e fra le altre cose ha detto che Catanzaro è una città orrenda. Non è vero. Certo, occorre avere un’idea della bellezza un po’ diversa da quella che si coltiva nella città della moda e del Camparino. Ed è anche vero quello che dice Leopardi in una delle sue note dello Zibaldone: “Un oggetto qualunque, p. e. un luogo, un sito, una campagna, per bella che sia, se non desta alcuna rimembranza, non è poetica punto a vederla. La medesima, ed anche un sito, un oggetto qualunque, affatto impoetico in se, sarà poeticissimo a rimembrarlo”. Chiaro dunque che oggi Catanzaro, per me, è poeticissima.

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Quell’anno (parlo solo della mia prima partecipazione, nell’aprile del 1971) ho avuto modo di conoscere persone in vario modo notevoli; alcuni dei quali sarebbero poi diventati dei cari amici. Ispiratore e promotore della manifestazione, coadiuvato dal figlio Domenico (che poi ereditò lo scettro), era il dott. Salvatore Blasco, che qualche anno dopo verrà alla ribalta della cronaca in quanto presidente del tribunale (quello di Catanzaro, appunto) dove si celebrò il processo per la strage di Piazza Fontana. Tra i giocatori, molti dei quali romani (il torneo di Catanzaro era una specie di un feudo degli scacchisti capitolini: qui, e per quello che segue, chiedo aiuto e conferma agli amici Marramaquis, Malloni, ecc.): potei apprezzare, ad esempio, la simpatia di Zichichi e la signorilità di Giustolisi (che giunsero primo e secondo nel torneo principale, misto tra maestri, candidati e prime nazionali); vidi per la prima volta il forte candidato maestro romano Paolo Colombo (mio partner di centinaia di lampo, qualche anno dopo, all’ombra dell’Antelao); c’era poi il mitico maestro Calapso (che fu il primo maestro italiano con cui, l’anno dopo, riuscii ad ottenere il punto); e c’era anche Vujovic, solo quarto (terzo fu Calapso, che lo batté nello scontro diretto). Poi conobbi quella bellissima persona che fu il “maestro” Musolino (maestro di scuola e per corrispondenza, prima nazionale a tavolino; si può vedere in proposito questo link). Infine, sempre nel torneo principale, giocava Gennaro Siviero, grande appassionato e fondatore di Scacco! (che rimane tuttora in vita inglobato nella bella rivista di Roberto). Come non ricordare, poi, il grande (anche di statura) Agostino Agostini, che giocava nel seconda classe? Altri romani affollavano il “terza classe”. Anzitutto il grande francesista, nonché pubblicista politico assai provocante (per essere chiari: era di estrema destra; ma allora non lo sapevo), Enzo Giudici. Con me, devo dire, era dolcissimo. Ma mi riservo di dedicargli un ricordo a parte, quando e se mi riuscirà di rintracciare le numerose lettere che mi ha scritto. Poi il dott. Eugenio Del Toma, destinato a diventare nei nostri anni il dietologo più intervistato e “ospitato” nel circo mediatico. E come non ricordare la coppia elegante ed un po’ eccentrica di pittori, Franz Borghese e Daniela Romano, purtroppo ormai entrambi scomparsi? (Aggiungo, per ammiccare agli amici romani di SoloScacchi, che un paio di anni dopo avrei anche avuto modo di apprezzare, intento alle opere sue, l’inarrivabile Chiogna; chi l’ha conosciuto sa di che cosa parlo).

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Ma qui voglio ricordare soprattutto un ragazzo di Reggio Calabria, Ezio Sgrò (scomparso di recente anche lui), che divenne rapidamente, e restò poi per parecchio tempo, il primo dei miei amici (per quanto io avessi poco meno di 15 anni, mentre lui era già studente di Biologia a Messina). Ho ancora da qualche parte i pacchi di lettere che mi spediva, coloratissime, piene di poesiole, citazioni, fumetti e vignette disegnati (benissimo) da lui, nonché ovviamente partite di scacchi commentate. Ricordo che quando mi arrivavano queste lettere era davvero una festa. E comunque, tra lettere e conversazioni, Ezio mi ha iniziato a un mondo che ignoravo del tutto, tra musica e cultura underground (Bob Dylan, Joan Baez), cantautorato italiano (Guccini, De André, De Gregori), impegno sociale e politico a sinistra. Tramite Ezio ho cominciato a capire che “sinistra” non era necessariamente sinonimo di “totalitario” e “bolscevico”, come invece pensava mio padre (ma provate voi a passare due anni di prigionia, durante la guerra, in un campo di concentramento sovietico: dove, oltre agli stenti che si possono facilmente immaginare, cercano anche di spiegarti i fondamenti del materialismo dialettico; e poi ditemi con quali idee politiche tornate a casa …sempre che torniate, visto che parecchi tuoi amici sono morti lì); ma poteva anche significare la scelta naturale di un bravo ragazzo calabrese insofferente della realtà degradata che lo circonda.

Ezio ed altri giovani, di cui non ricordo i nomi, avevano preso accordi con una modestissima trattoria per una specie di pensione completa, a prezzi davvero irrisori. Mio padre accettò di buon grado che noi ci unissimo al gruppo. Un po’ perché risparmiare non gli dispiaceva (Brianza is Brianza, dopotutto), un po’ perché aveva una grande adattabilità e odiava che qualcuno pensasse che volesse distinguersi. E infatti non lo faceva mai (con questi tratti sparsi qua e là, sia detto per inciso, vengo parzialmente incontro a chi mi ha chiesto di parlare un po’ di mio padre). Ricordo quei pranzi e quelle cene, quasi come in famiglia – e con mio padre che si mescolava volentieri a quelle conversazioni di ragazzi, anche se spesso esprimeva il suo dissenso – con vero piacere. In generale credo di aver ricavato da quelle esperienze catanzaresi qualcosa di decisivo per la mia formazione. Non è difficile far passare a scuola come cosa ovvia i buoni sentimenti progressisti (e questo lo si faceva già allora) o il politicamente corretto (come si usa di più oggi). Ma altra cosa è andare direttamente a sbatterci il naso (un’altra volta racconterò, a questo proposito, un fatto piuttosto interessante, che fa parte di tutt’altro capitolo).

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Non saprei dire se e quanto sia diversa la Catanzaro di oggi da quella dei primi anni ’70. Quello che so per certo è che lì ho incontrato, oggi come allora, persone fantastiche. Mentre mi riaccompagnava in albergo una di queste persone mi ha detto che ha mandato i suoi figli a studiare a Bologna. Perché non all’Università della Calabria? – ho replicato. Mi ha risposto che all’Università della Calabria ci vanno solo i giovani le cui famiglie non hanno mezzi sufficienti per mantenerli altrove. “Noi – aggiunge – sia pure con sacrificio, lo possiamo fare, e lo facciamo. E spero che non tornino più indietro. Perché qui non c’è niente”. Io spero proprio che abbia torto.

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Prima di partire per Catanzaro mio padre mi disse: “Se vinci il torneo, con i soldi del premio ci paghiamo il biglietto del Settebello”. Per chi non ha i capelli grigi ricordo che il Settebello era l’elettrotreno per allora avveniristico che collegava, non troppo velocemente, Milano a Roma. Dunque così abbiamo fatto. Di Roma ricordo solo due cose. Primo, la grande casa di Enzo Giudici, che siamo passati a salutare (ma chissà se era quella volta lì?): un piano di appartamento e un piano per l’enorme biblioteca. Fra le altre cose c’era una stanza intera solo per i libri di scacchi, molti dei quali di antiquariato (tra parentesi; so che ora la sua biblioteca, per volere testamentario, è stata donata all’Università del Salento, ossia sta a Lecce: qualcuno sa se sono finiti lì anche i libri di scacchi?). Secondo, abbiamo dormito da un’affittacamere, una giovane vedova con una figlia più o meno dei miei stessi anni. Sarà per le giacchette e le cravattine che portavo allora, o per i capelli pettinati con la riga, senza mezzi termini la signora chiese a mio padre, e con una certa insistenza, di riportarmi lì qualche anno dopo: “Creda a me, questi due ragazzi sono fatti l’uno per l’altra”.

avatar Scritto da: FM Franco Trabattoni (Qui gli altri suoi articoli)


35 Commenti a Progetto Gutenberg

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    Mongo 19 Giugno 2013 at 01:32

    Bellissimo, si legge sperando che non finisca mai. Complimenti. 😎
    … Eh, ma con la figlia dell’affittacamere come è finita? Non ce la conti mica giusta… Birbantello! 😉

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      Jas Fasola 19 Giugno 2013 at 09:51

      D’accordissimo su tutto. Bellissimo racconto, mi spiace di non avere niente del genere da raccontare. Personalmente di tutte le persone citate ho conosciuto solo Vujovic. Cerco adesso di rifarmi con Adamski :mrgreen:

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    alfredo 19 Giugno 2013 at 12:59

    un racconto molto suggestivo che ci riporta ad una epoca quasi eroica degli scacchi .
    tutti caro Jas abbiamo conosciuto l’indimenticabile Vujovic
    Di Paolo Colombo ricordo una bellissima combinazione giocata a Marina Romea mi sembra nel 75 che fu riportata da numerose riviste che ora non riesco piu’ a ricordare
    Giudici mi sembra scrisse la prefazione de ” la novella degli scacchi di Zweig”
    mi piacerebbe pero’ sapere chi è l’avversario di Franco nella fotografia
    PS : comunque caro Jas questo Andanski mi sembra proprio un bel personaggio
    mi piacerebbe proprio conoscerlo presto !

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      Jas Fasola 19 Giugno 2013 at 13:37

      vieni in dicembre quando ci saranno i campionati europei rapid e conoscerai anche qualcun altro 😆

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        alfredo 19 Giugno 2013 at 14:47

        bella idea jas 😀

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    Marramaquìs 19 Giugno 2013 at 13:16

    Una conferma anzitutto: Franco è la penna più giusta per un blog come SoloScacchi e SoloScacchi è il blog giusto per lui.
    No, Franco, niente Catanzaro per me, che all’epoca non giocavo ancora. Il luogo più meridionale tra i miei pochi tornei è stato Latina (1980, mi pare), dove giocai contro due promettenti ragazzi: Fabrizio Bellia e un Tullio Marinelli poco più che bambino.
    Ho invece conosciuto, dei nomi citati, Vujovic, Del Toma e Agostini.
    Comunque anch’io sono legato al Sud per aver avuto, come te, un suocero siciliano-doc. Ancora complimenti per questo tuo piacevole articolo.

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    Franco Trabattoni 19 Giugno 2013 at 16:28

    Grazie a tutti per i vostri commenti. Ecco la didascalia della foto, con le mie aggiunte. Il primo a sinistra sono io (eh eh). Sto giocando con tale Giuseppe Solenghi di Piacenza. Alla mia sinistra c’è Gianfranco March (Marina di Pisa), che ha di fronte Ezio Sgrò. A sinistra di March si vede l’inconfodibile cardigan di Franz Borghese. Altro non si può dire con certezza, ma sospetto che l’ultima coppia sia Del Toma – Giudici. Mando contestualmente a Martin una mia foto di oggi, presa a Catanzaro, con la giacca incriminata (tanto perché ciascuno possa farsi un’idea; se poi mi aiutate a smentire mia moglie, e a sdoganare l’oggetto, meglio ancora).

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      Joe Dawson 24 Giugno 2013 at 01:31

      Sdoganare l’oggetto?!?

      Eggià… vorresti davvero che ti facessimo facciamo passare indenne una giacca come questa??

      La giacca di Franco

      …oggi la giacca da Catanzaro e magari domani clandestinamente un bel cappotto di vero Gogol dalla Sila?!? 😉

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    Enrico Cecchelli 19 Giugno 2013 at 16:56

    Mi unisco ai complimenti…. non fosse altro
    perchè gli estimatori di De Andrè ( mio maestro di vita sotto tanti aspetti)
    hanno sempre una marcia in più

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    alfredo 19 Giugno 2013 at 18:38

    e allora caro Enrico
    ricordiamolo insieme come si deve questo grandissimo.

    Ricordo benissimo questo concerto , del 93 mi sembra.
    bellisima scenografia anche
    con il concerto fatto con la PFM, a mio modo di vedere, il migliore
    ” creuza de mà” per David Byrne” ( non un piffero qualsiasi) è da considerarsi uno dei 10 dischi piu’ importanti della musica , chiamamola ” popolare” della seconda metà del 900
    PS : ho qualche dubbio invece che si possano definire ” underground ” Dylan e l’allora sua compagna Baez.
    Ma è un discorso lungo.

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      Enrico Cecchelli 21 Giugno 2013 at 00:43

      Carissimo Alfredo con me sfondi una porta aperta con il mitico de andre’ convengo con te sulla collaborazione con la pfm e su creuza de ma con le meravigliose musicalità di quel disco ( per quanto riguarda le parole non Sara’ per caso che alcuni suoi testi sono rientrati in alcune antologie per la scuola ) ma non mi dispiace nemmeno il Fabrizio piu essenziale dei primi tempi come ad es la ballata di Giordie (si scrive così?)

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        alfredo 21 Giugno 2013 at 08:23

        caro Enrico
        so che tra noi c’è un amico stimatissimo che forse non la pensa proprio come noi .
        ma io continuerò sempre a ritenere Faber uno dei nostri poeti piu’ grandi
        e non sono il solo ( la Pivano ad esempio era di questo parere)
        in quanto alle sonorità di Creuza de mà mi sovvengono sempre le parole del nostro ” collega” ( scacchista ) Morricone
        non esiste musica colta e musica incolta .
        esiste bella e brutta musica
        E “Creuza de mà ” è un disco di musica bellissima ( e anche molto colta) che vivrà sempre .

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          Enrico Cecchelli 21 Giugno 2013 at 12:01

          Sopratutto esistono emozioni a mio avviso, e qualunque cosa /persona/situazione possa evocarne di positive è sempre un piccolo miracolo che si compie.

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          Mongo 21 Giugno 2013 at 12:28

          “Mentre attraversavo il London bridge vidi una donna pianger d’amor, piangeva per il suo Geordie…
          Impiccheranno Geordie con una corda d’oro, è un privilegio raro: rubò sei cervi nel parco del re…”
          La versione cantata da Joan Baez (16 cervi) è meravigliosa.
          Conobbi questa canzone frequentando gli scout, la si cantava di continuo insieme anche alla stupenda versione italiana di Blowin’ in the wind (Quante strade).

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            Enrico Cecchelli 21 Giugno 2013 at 13:28

            Mitica!… ed inimitabile perché la voce di Faber era un altro strumento musicale e la magìa della sua voce sapeva frugarti dentro.

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              alfredo 21 Giugno 2013 at 19:35

              e ti invito a leggere anche il libro scritto con l’anche lui compianto Alessandro Gennari
              “un destino ridicolo”
              Einaudi 1996
              scoprirai che Faber masticava anche di scacchi

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          Renato Andreoli 21 Giugno 2013 at 21:21

          Eh sì, c’è un amico che non la pensa proprio come voi. Ma ti prego, Alfredo, non ricominciamo la discussione pro e contro De André e compagnia. Io potrei esporre mille argomenti contrari e voi potreste rispondermi con mille argomenti favorevoli; voi mi citereste Fernanda Pivano ed Ennio Morricone ed io risponderei con Roman Vlad e Quirino Principe, col risultato di non venire a capo di nulla.
          “Se si osservano solo gli eventi che rinforzano una convinzione, si escludono tutti quelli che la falsificano.” Gerd Gigerenzer: Decisioni intuitive – Raffaello Cortina Editore 2009 (Un libro bellissimo)
          Con voi so di non avere speranza, ma ponetevi questa domanda: i bambini di oggi, i ragazzi, quali messaggi ricevono? Secondo me, ricevono solo o quasi solo messaggi che confermano la vostra tesi e rarissimi messaggi favorevoli ad altre tesi. Nei telegiornali, quando si pronuncia la parola musica, si intende musica leggera, altrimenti si aggiunge l’aggettivo classica. E in genere nei media la musica cosiddetta classica, vale a dire una spropositata quantità di capolavori prodotti negli ultimi mille anni, passa per un sottogenere marginale. (Quest’ultimo concetto l’ho rubato al professor Quirino Principe)
          Voi chiedete pari dignità fra Vecchioni e Schubert.
          Magari!, rispondo io.
          Alcuni anni fa a Milano venne promossa un’iniziativa per avvicinare i ragazzi alla musica classica. Per il manifesto della seconda edizione fu scelto un titolo meraviglioso preso da un tema scritto da un bambino: CI AVEVANO DETTO CHE CI PORTAVANO AD UN CONCERTO E INVECE ERA UNA MUSICA BELLISSIMA.
          Che frase rivelatrice. Addirittura commovente per me che di mestiere faccio il maestro elementare.
          Se l’amico di Franco Trabattoni, verso il quale nutro una stima profonda e con il quale mi onoro di aver giocato a scacchi più di una volta, invece che a Guccini ed a De Gregori, lo avesse introdotto ai quartetti per archi di Shostakovich, forse il nostro amico si sarebbe formato dei gusti musicali differenti.
          O no?!

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            Mongo 21 Giugno 2013 at 21:32

            Mi intrometto per dire solo questo: senza la musica classica mai ci sarebbe stato il blues, il jazz, il rock’n’roll, il pop e, ahimé, il rap.
            La MUSICA è musica (arte), da qualsiasi capoverso la vuoi pigliare…
            Poi ci sono i Verdi, i Wagner, gli Shostakovich, i De André, i Dylan, i Lenon, i B.B. King e compagnia bella.
            Make music no war!! 😉

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            Roberto Messa 21 Giugno 2013 at 22:48

            Visto che non l’ho mai fatto prima, aggiungo la mia modestissima opinione. Sono un consumatore di musica classica, rock, jazz e cantautori; per qualche strano motivo ci sono periodi o intere annate in cui ascolto un genere più di un altro, adesso per esempio sono in una fase rock + jazz, ma ogni volta che leggo gli interventi di Renato mi sento quasi in colpa e mi dico che sarebbe ora di inaugurare una nuova stagione di “classica” (un genere, lo ammetto, in cui la mia cultura non è nemmeno paragonabile a quella che alcuni di voi dimostrano di avere). Vengo al punto: de Andrè e Guccini non sono “grandi” per la musica, ma per le “parole” – i loro testi sono poetici, profondi e coinvolgenti. Una sinfonia di Beethoven può darmi grandi emozioni musicali, ma non le “parole” di cui in certi momenti sento il bisogno. Seconda cosa: non oso dire che 30 o 40 anni siano paragonabili a 3 o 4 secoli, ma bisogna ammettere che i cantautori e i gruppi rock degli anni Settanta stanno resistendo alla prova del tempo, mentre i cantanti e i gruppi che li hanno preceduti e che li hanno seguiti sono stati tutti velocemente dimenticati. Come la mettiamo se de Andrè, i Pink Floyd dovessero restare al centro dell’attenzione per oltre mezzo secolo? Alcuni grandi del jazz hanno già ampiamente superato questo traguardo, praticamente sono già dei “classici”. E mio figlio che ha 18 anni apprezza e ascolta la musica di 30 o 40 anni fa, non quelli venuti prima né quelli venuti dopo (con qualche eccezione di musica dell’oggi che io non riesco a comprendere, del resto ognuno è figlio della sua epoca).

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            Franco Trabattoni 22 Giugno 2013 at 00:26

            Caro Andreoli, anzitutto grazie per le tue parole gentili. Quanto al merito, ecco qualche commento. Primo, una cosa non esclude l’altra. C’è a chi piace De André e contemporaneamente Schostakovich; che c’è di strano? Io stesso da ragazzo ascoltavo anche molta musica classica, anche e soprattutto del ‘900 (ma non Schostakovich, che non mi piaceva: come non mi piacevano in genere i russi, compreso Stravinskij). Secondo. Nella stessa musica leggera c’è musica colta e musica che non lo è per niente. Quelli che se ne intendono (dico subito che io non sono tra questi) vi spiegheranno come e qualmente Biagio Antonacci e Lou Reed facciano due mestieri diversi. E credo che abbiano ottimi argomenti per dirlo. Detto questo, trovo abbastanza incomprensibile che molti intenditori di musica leggera colta si ritengano in diritto di fare gli spocchiosi con i peones che ascoltano i Pooh (a me piacevano…;) e al contempo non provino alcun interesse per la musica classica. Aggiungo che i gusti musicali non restano fermi all’adolescenza. De André, per esempio (e mi scusino i suoi tanti estimatori), l’ho adorato da ragazzo, ma ormai da anni non mi piace più. Terza ed ultima cosa: sono d’accordo con Roberto sul fatto che le parole siano importanti. Qui credo davvero che entri molto in gioco la sensibilità personale. Quelli che con la musica hanno un rapporto come il mio (forse la parola giusta per definirci sarebbe “negati”;) in fondo sospettano, anche se non oserebbero mai affermarlo con decisione, che alla musica manchi qualcosa di essenziale per essere un’arte davvero completa, che parla al cuore e al cervello dell’uomo. Il problema è appunto che la musica “non parla”. Per cui ce ne serviamo soprattutto come sottofondo quando facciamo altro (io quando sono al volante). Il mio sottofondo, al momento, è Telemann. Ma sia chiaro che questa scelta non significa niente; magari fra un paio di settimane lo sostituisco con i Pooh.

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            Roberto Messa 22 Giugno 2013 at 09:05

            Come ebbi la fortuna di entrare in contatto con la musica classica: terza o quarta liceo, un giorno a scuola ci dicono che per ogni classe mettono a disposizione due abbonamenti per il Festival pianistico internazionale di Brescia, uno degli eventi culturali più importanti dell’anno per il Teatro Grande e forse per la città. Inutile dire che io non ne avevo mai neppure sentito parlare, ma non avevo mai messo piede dentro a un teatro (istituzione che allora sembrava riservata a un altro ceto sociale) ed era un buon pretesto per uscire una decina di sere. Con mia grande sorpresa nessuno dei mie compagni/e di classe si fece avanti, così ottenni l’abbonamento, l’altro rimase inutilizzato. Ricordo la suggestione del grande e storico teatro, con gli stucchi e gli ori, visto dall’alto del loggione… ma soprattutto ricordo come iniziai ad amare il pianoforte. Da allora ho sempre avuto questo desiderio di imparare a suonarlo, ma in coscienza mi ritengo negato per la musica. Dicono che non è mai troppo tardi, ma non ci credo molto, poi non ho mai avuto tempo, modo e una casa sufficientemente spaziosa… Anche l’anno dopo e fino alla quinta liceo tornarono a offrire due abbonamenti per classe e di nuovo mi toccò andarci da solo, motivo in più per detestare la scuola e la quasi totalità dei miei compagni di classe, rafforzando al contempo le mie amicizie al circolo degli scacchi, con un paio di coetanei ma anche con un paio di cinquantenni straordinari cui devo molto della mia formazione (anche culturale). Bene, comincerò la giornata con un po’ di Rachmaninov

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              Roberto Messa 30 Giugno 2013 at 13:11

              A proposito di scacchisti e musica classica, durante l’ultimo festival di Forni di Sopra il MI Carlo D’Amore ha offerto un nuovo saggio delle sue doti di pianista, introducendo con alcuni brani di Chopin la serata di scacchi e letteratura con lo scrittore Paolo Maurensig.
              Ricordo un’edizione dell’Open di Biel degli anni Ottanta in cui suonò più di una volta nella hall del Centro Congressi, applaudito dagli scacchisti di mezzo mondo.

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            alfredo 22 Giugno 2013 at 10:03

            mi potresti chiamare in pvt ?

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              alfredo 22 Giugno 2013 at 15:07

              a Renato : puoi scrivermi in pvt ?

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    Massimiliano Orsi 19 Giugno 2013 at 19:21

    Un bellissimo ricordo. Ho gia’ integrato quanto esposto con i dati precedentemente a me noti in una pagina dedicata alla serie di tornei di Catanzaro, almeno per quanto riguarda i tornei principali:

    http://www.torneionline.com/loto.php?path=albi/06_Grandi_Tornei_e_Festival/&link=06_Catanzaro.htm

    Molti dati sono ovviamenti incompleti o del tutto mancanti. Chi abbia voglia di completarli, sfogliando riviste d’epoca o le pagine della propria memoria, puo’ inviare le informazioni all’indirizzo artite@federscacchi.it">partite@federscacchi.it . Ringrazio anticipatamente.

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    alfredo 19 Giugno 2013 at 19:52

    Gentile Massimiliano
    la memoria a volte non mi soccorre piu come un tempo
    non riesco piu’ a trovare una bella combinazione del maestro Colombo del 75 ma ho trovato questa bella combinazione di Catanzaro 73 ( vinse il premio per la miglior combinazione mentre la miglior partita fu giudicata la Toth – Magrini )
    la posizione della parita Colombo -Ljubisavlievic è la seguente, con mossa al Nero:

    La combinazione è piacevole ma non difficilissima; lascio agli amici di SoloScacchi il trovare la soluzione.
    Ciao e grazie per il grande lavoro che stai facendo per il patrimonio scacchistico italiano.

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      Mongo 20 Giugno 2013 at 23:15

      Ho trovato questa: 1. …, Txf3+; 2. Rh2, Tf2; 3. Dxf2, Dxf2; 4. Txd5, Dxh4+; 0 – 1

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        alfredo 21 Giugno 2013 at 19:19

        in partita si ebbe
        1.. T x f3 (ovviamente )
        2)gxf3 Dxf3
        3)Dg3 Df1+
        4)Rg4 Axe6
        5)Txe6 Df5 matto

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      Franco Trabattoni 21 Giugno 2013 at 00:07

      Anch’io quell’anno (1973) avevo proposto una mia partita per il premio di bellezza, guarda caso sempre contro Magrini; ma solo perché avevo vinto sacrificando una torre da qualche parte (credo in h7): per il resto la partita era bruttina.

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    L'Alessio 19 Giugno 2013 at 20:04

    Un racconto molto bello,intenso e coinvolgente.Figlio dei lontani ricordi.

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    Marco 20 Giugno 2013 at 23:18

    Gentile signor Trabattoni, innanzi tutto complimenti per questo e gli altri suoi interventi, che leggo sempre con grande interesse. Per quanto riguarda il Fondo Giudici, posso dirle che effettivamente sono a Lecce anche i libri di scacchi appartenenti ad esso; se vuole può approfondire all’indirizzo http://siba-millennium.unile.it/search~S1*ita?/cLE002+Fondo+Giudici+S+255/cle002+fondo+giudici+s+255/-3,-1,,E/browse , che è il link per l’intero fondo che si trova presso la Biblioteca Interfacoltà dell’Università del Salento.

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    Franco Trabattoni 20 Giugno 2013 at 23:55

    Grazie mille! Quando ricapito a Lecce (che meraviglia) vado a dare un occhio.

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    Roberto Messa 21 Giugno 2013 at 14:05

    Leggo tutto e tutti: Trabattoni, Tatai, Monti, Lotti, Cecchelli, Pili, Jas, Mongo e compagnia scrivente. E tutti insieme saluto e ringrazio per le belle cose che condividono.
    Penso che, come me, molti lettori non rilascino commenti in coda ad ogni articolo per non ripetere dei banali “bene, bravo, bis!” ma ho la certezza che anche gli articoli che non ricevono molti commenti sono molto letti e apprezzati.

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      Marco 22 Giugno 2013 at 16:37

      E’ proprio così! Il livello degli articoli (e spesso anche dei commenti) è davvero alto, e ci sarebbe da complimentarsi ogni volta, il che alla lunga potrebbe suonare falso. E con questo faccio ammenda di tutti i miei passati, presenti e futuri complimenti omessi 🙂 .
      Continuate così, siete grandi.

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    Angelo Macalello 21 Giugno 2013 at 22:53

    gentile Franco Trabattoni sono nato a Reggio Calabria e pur vivendo a Verona dal 1966 ho conosciuto bene Ezio Sgrò che era grande amico di mio cugino Francesco Raffa,attualmente docente di Fisica al Politecnico di Torino (il Sud si impoverisce due volte perchè la gente va via e non torna più,Ezio anche in questo senso ha rappresentato una luminosa eccezione).Volevo aggiungere ai suoi bei ricordi dei tornei di Catanzaro (a quello del 1973 partecipai anche io,modesta terza nazionale,e ricordo lei,Toth,i “romani” in primis Zichichi e Passerotti.) una bella pagina scacchistica di quegli anni che vide coinvolto in prima persona Ezio Sgrò: erano i tempi del conflitto tra Reggio e Catanzaro per ottenere il capoluogo della regione ed Ezio d’intesa con Domenico Blasco organizzò una sfida amichevole tra una rappresentativa reggina e una catanzarese,andata e ritorno, che si svolse in un clima di grande amicizia e al di là del risultato che ci vide prevalere ricordo il grande piacere ,avendo partecipato alla trasferta di Catanzaro,di aver conosciuto i Blasco e gli esponenti reggini:Ezio, il ,maestro Musolino, Pino Valenti, calabrese di origine che era in vacanza e aderì entusiasticamente all’invito di Ezio,oltre ovviamente al mio caro cugino che la conosce ma non gioca più a scacchi a differenza di me.Quella esperienza fu bella perchè gli scacchi furono un episodio di amicizia e dialogo in un momento di grande tensione tra le due città calabresi

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