Storie da tempi d’oro

Scritto da:  | 13 Agosto 2013 | 14 Commenti | Categoria: C'era una volta, Personaggi, Stranieri

“Professore, ho sentito parlare di età dell’oro…”
(Joe Dawson, all’uscita di una birreria di Monaco)

Golden Age 2

Non è esattamente questo, mio caro Joe… il mito dell’età dell’oro, il tempo felice in cui l’umanità prosperava senza bisogno di lavorare e godeva della comunanza con gli dèi, è presente in molte civiltà: lo ritroviamo nello Zoroastrismo, nella religione dei Greci e dei Romani, che lo collocavano sotto il regno di Crono/Saturno, e anche nel giardino dell’Eden della Bibbia, prima che la tentazione del serpente lo trasformasse nel nostro Paradise Lost.

Ma di età dell’oro si parla anche in senso lato, per intendere il periodo più splendido dell’arte, della letteratura, della musica, di qualunque forma di realizzazione dell’ingegno umano. Aurei sono Fidia e Virgilio, Raffaello e Michelangelo, Mozart e Beethoven, Tolstoj e Dostojevskij, Sinatra e i Beatles, e ancora tanti, tanti, tanti… In genere, la nostalgia di un tempo perduto svolge un ruolo importante nella definizione di un periodo aureo: i goldies sono sempre oldies… Quando si prova però a definire l’età dell’oro degli scacchi, allora le risposte si diversificano, sulla base del gusto personale. «l’Ottocento, quando al Simpson’s Divan e al Café de la Régence ci si affrontava immolando quintali di Pedoni e si costruiva scientificamente la teoria dei finali» «Nooo, le grandi rivalità del primo dopoguerra… Lasker, Capablanca e Alekhine» «Botvinnik! L’approccio scientifico al gioco, una federazione internazionale forte e presente, zonali, interzonali e torneo dei Candidati» «Spasskij-Fischer… Il mondo non si è mai più interessato tanto al nostro gioco» «Ragazzi, l’età dell’oro è adesso. Su internet si giocano milioni di partite tutti i giorni, tornei dappertutto, il computer come oracolo… Giudizi definitivi su ogni fase della partita…».

Chi non aveva dubbi sull’argomento era Milan Vidmar: quando nel 1960, appena due anni prima di morire, pubblicò le sue memorie, le intitolò Goldene Schachzeiten, più o meno L’età dell’oro degli scacchi. Si tratta di uno dei libri di scacchi meglio scritti della storia che però, forse a causa dell’ampiezza della sezione biografica, non ha conosciuto molta fortuna presso il pubblico, almeno non tale da giustificarne la traduzione in lingue diverse dal tedesco. In ogni caso, io non ne ho trovate.

Milan Vidmar

La tesi di fondo delle memorie del Professor Vidmar, autorità mondiale nel campo dei trasformatori elettrici e prestigioso docente della facoltà di Ingegneria dell’Università di Lubiana, era che l’età dell’oro degli scacchi l’aveva vissuta in prima persona da giovane, quando aveva incrociato i pezzi con giocatori leggendari, ottenendo risultati lusinghieri: Cigorin, Schlechter, Tarrasch, Nimzowitsch, Spielmann, Rubinstein, Capablanca, Reshevsky, Euwe, Alekhine, Bogoljubov… Grandissimi fuoriclasse e profondi innovatori di almeno quattro differenti generazioni. Ma il nostro autore giustificava le sue teorie anche su un piano più strettamente legato alla prassi scacchistica. Nel 1960, scrive Vidmar, la pratica del gioco si è come ammalata e degenerata: i sintomi sono l’attenzione estrema all’aspetto sportivo del gioco, l’eccessivo peso dei secondi nelle analisi delle partite sospese, la riduzione dei tempi di riflessione nei tornei a favore di un andamento più rapido del gioco, le misure antipatta che impediscono a due maestri di accordarsi per il pareggio in un qualsivoglia momento, insomma, buste a parte, argomenti che hanno suscitato dibattiti anche in seguito e di cui tuttora si parla. E chissà cosa avrebbe detto il nostro professore del fenomeno del cheating informatico.

Ai suoi tempi, i tempi d’oro, le cose andavano diversamente… Si giocava per il piacere di farlo, si dava più attenzione all’aspetto artistico del gioco, ci si faceva un punto d’onore di non farsi aiutare nelle analisi delle sospese. E da un tempo irripetibile come quello nascevano deliziosi ed emblematici aneddoti, che l’autore profonde a piene mani nell’opera.

Milan Vidmar 3Qui siamo al torneo di New York del 1927. Il Torneo dei Pretendenti organizzato da Capablanca per individuare il giocatore che lo avrebbe sfidato per il titolo mondiale, e che era caduto come una doccia gelata su Alekhine. Il giocatore franco-russo era infatti riuscito, grazie all’appoggio degli appassionati argentini di Buenos Aires, a garantire il sostegno economico di una sfida al Campione secondo le celeberrime Regole di Londra del 1922: il giocatore che avesse voluto scalzare Capablanca dal trono avrebbe dovuto mettere insieme la rispettabilissima somma di diecimila dollari. Alekhine ci era faticosamente riuscito, e adesso quell’impresa titanica non bastava più, c’era anche da vincere il torneo, o almeno da arrivare secondi dietro Capablanca… Aveva chiesto spiegazioni al cubano, questi gli aveva risposto con una lettera estremamente generica, dalla quale si evinceva soltanto che, se voleva davvero sfidare il Campione del Mondo, doveva giocare al torneo. Per il resto, la scelta dei partecipanti lasciava perplesso Alekhine: mancava il vecchio Lasker, che aveva sorpreso tutti vincendo a New York nel 1924 davanti proprio a Capablanca (beh, in effetti…;). Mancava Bogoljubov, che si era imposto sul cubano a Mosca 1925 (certo, senza Bogoljubov…;). Mancava Réti, che aveva interrotto la leggendaria imbattibilità del Campione a New York 1924 (forse sì, un invito a Réti andava fatto…;). Mancava Rubinstein, che era l’unico Maestro al mondo ad avere un bilancio positivo nei confronti di Capablanca (ah, la classe infinita di Rubinstein…;). Mancava Tarrasch (Tarrasch? Dice sul serio, Alexander Alexandrovic?), che ha uno score pari con la ‘macchina da scacchi’ (Dottor Alekhine! Ora basta, c’è un limite a tutto! Era il 1914! Non può accusare Capablanca di non aver invitato un sessantacinquenne ben lontano dalla sua forza di un tempo. E finiamola qui).

I giocatori invitati erano comunque molto forti: oltre ad Alekhine, l’unico del lotto ad avere la concreta speranza di poter rispondere ai requisiti fissati a Londra, c’era uno dei più geniali e imprevedibili innovatori della strategia scacchistica, Aaron Nimzowitsch, allora in forte ascesa, che, come Alekhine, aveva lanciato una sfida al Campione senza però alcuna speranza di vederla finanziata da chicchessia. C’era il vincitore del Semmering, l’artista del sacrificio Spielmann, l’ancora forte e astutissimo campione americano Marshall, ed era stato invitato anche Vidmar. Il nostro Professore, Preside della Facoltà di Ingegneria di Lubiana e fondatore di una fabbrica di trasformatori, era stato riportato alla scacchiera dopo diversi anni di assenza da circostanze del tutto fortuite. La banca che finanziava la sua impresa aveva sviluppato un appetito spropositato: era diventato impossibile pagare gli interessi richiesti sul capitale ricevuto in prestito (le storture del sistema bancario non sono evidentemente un’esclusiva dei tempi nostri), e allora Vidmar aveva chiuso la fabbrica e accettato, all’ultimo momento, l’invito al Torneo di Semmering 1926, dove arrivò sorprendentemente terzo dietro Spielmann e Alekhine. Questo risultato gli era fruttato l’invito al Torneo dei Pretendenti a New York, e nella Grande Mela il campione jugoslavo ottenne alla fine un dignitosissimo quarto posto.

Milan Vidmar 2

Alla vigilia del decimo turno ai giocatori fu consegnato l’invito ad un ricevimento nella favolosa abitazione di Edward Lasker. Mentre il celebre Emanuel non era riuscito a coronare il suo sogno americano, e la sua bellissima rivista, il Lasker’s Chess Magazine, aveva dovuto chiudere i battenti, il meno famoso Edward ce l’aveva fatta: una pompa meccanica di sua invenzione per aiutare la respirazione dei neonati prematuri aveva salvato molte vite, e fatto piovere migliaia di dollari nelle tasche dello scacchista ingegnere, che si guadagnò così il soprannome di chest player, con ignobile gioco di parole fra chest, «petto», e chess, «scacchi». Ogni volta che con Emanuel avevano provato a snocciolarsi le rispettive genealogie ebraiche, i due non erano mai riusciti a trovare un parente in comune, anche se pare che in tarda età Emanuel abbia avuto modo di vedere un albero genealogico della famiglia, in cui da un ramo laterale pendeva anche il lontano cugino Edward. E ora i campioni del Torneo dei Pretendenti sono ospiti del Lasker dimidiatus, e possiamo facilmente immaginare il viavai dei camerieri coi vassoi, mentre gli ospiti in abito da sera fumano sigari costosi e chiacchierano del più e del meno. Molti sono uomini d’affari, e il mitteleuropeo Professor Vidmar nutre la spiacevole sensazione per cui la presenza degli scacchisti è destinata a soddisfare la curiosità degli altri danarosi ospiti, che vogliono vedere da vicino le star delle sessantaquattro caselle. Adesso è comunque impegnato in conversazione con il segretario del torneo, il Dottor Norbert Lederer, un immigrato austriaco che la sua America l’ha trovata aprendo una fabbrica di colla, e ora addita al simpatico maestro jugoslavo le personalità più illustri. «Herr Vidmar, guardi lì! Conosce Moriz Rosenthal? Nooo? È probabilmente il più grande pianista del mondo, allievo diretto di Franz Liszt in persona! Dovrebbe ascoltare la sua parafrasi del Zigeunerbaron. Fa-vo-lo-sa!».

Lo Zingaro Barone

Il Barone degli zingari, deliziosa operetta di Strauss… La musica che aveva accompagnato la vecchia Europa a scannarsi in una guerra mondiale continuava ad affascinare, e guidava nazioni che non avevano imparato dai loro errori a un’altra guerra. Il tema dell’opera è un doppio tesoro: uno è nascosto e non si trova, l’altro è ben visibile, ma nessuno ne conosce il valore. Va da sé che si tratta – romantica Vienna! – del cuore di una donna… una moglie perduta e ritrovata. La parafrasi di Rosenthal arricchisce Strauss di una cascata di note… I contemporanei dicevano che dopo di lui nessuno più avrebbe saputo suonarle, che quelle note sarebbero finite nella tomba con lui.

Vidmar è abbastanza digiuno di musica: il più famoso virtuoso del mondo non è noto all’ingegnere, e allora il nostro se ne esce con un’osservazione ingenua:«Beh, forse potrebbe suonarla per noi… C’è un pianoforte nel salone». Attimo d’imbarazzo, e risata liberatoria di Lederer: «ma cosa dice, Herr Vidmar! Un’esibizione di Rosenthal a New York costa cinquemila dollari. Cin-que-mi-la!». In America funziona così: il valore di un virtuoso si misura in dollari. Chi è più grande, Kreisler o Heifetz? Quello che riesce a strappare l’onorario più alto. A Rosenthal basterebbero due concerti per poter sfidare Capablanca…

All’improvviso, però, Lederer torna serio: «aspetti un attimo, Herr Professor… In effetti, Rosenthal è un grande appassionato di scacchi, e alla fine dei conti, Lei è un suo collega… Anche Lei è un virtuoso… Solo un attimo… Einen Moment». E il segretario si fa strada fra gli ospiti fino al pianoforte… Dice due parole al corpulento e baffuto musicista, che si china e porge l’orecchio. La domanda che fa tradisce agitazione, il tono di voce è alto, con un forte accento dell’Europa dell’Est: «CHI, chi vuole sentirla?».

Al nome di Vidmar, Rosenthal si siede immediatamente al pianoforte. Quello che segue ha dell’incredibile: nella mezz’ora successiva gli ospiti del Lasker minore ascoltano un concerto da cinquemila dollari… Uno dopo l’altro, ecco lo Schatz-Walzer, il Valzer del Tesoro, la Polka degli Ussari, la Quadriglia dello Zingaro Barone… nell’esecuzione più ricca che sia mai stata realizzata. Alla fine, il grande pianista è fradicio di sudore, gli invitati sono in deliquio, la serata finirà, meritatamente, negli annali della cronaca mondana di New York.

Vidmar si avvicina al pianoforte, ringrazia per l’altissimo onore, si giustifica: «in tutta la mia vita, Herr Rosenthal, non potrò mai ricambiare l’eccezionale onore che mi ha concesso, e il piacere indescrivibile che ne ho tratto». Dal punto di vista del galateo, risposta ineccepibile. Ora il grande pianista farà un cenno di degnazione col capo e dirà che no, che lo scacchista non deve sentirsi debitore… Oppure no?

L’allievo prediletto di Liszt guarda con serietà il professore di elettrotecnica, poi dichiara con un tono che non ammette repliche:«Lei domani gioca con Nimzowitsch. Io sarò fra il pubblico. Domani Lei si esibirà per me».

D’accordo, in tedesco la battuta suona meglio. Anche in inglese, e in francese, perché spielen, play, jouer si dicono sia del gioco che del suonare uno strumento, e rendono plausibile l’accostamento fra un grandissimo musicista e un virtuoso della scacchiera. La richiesta del pianista è di quelle che fanno paura, a questo punto del torneo: Nimzowitsch a New York ha avuto un inizio folgorante, e dopo nove turni è in testa con Capablanca, con ben due punti di vantaggio su Alekhine. Il campione franco-russo si sente assalire dai dubbi… non aveva mai voluto credere alla portata innovativa del Mein System, ma forse aveva torto… Al quinto turno ci aveva perso senza appello… forse questo Schopenhauer degli scacchi merita più di lui di sfidare Capablanca, e magari dopo il Torneo dei Pretendenti qualcuno raccoglierà diecimila dollari per lui… Possibile?

Anche Vidmar ha perso con Nimzowitsch nel primo girone, e per di più col Bianco. Ma il nostro professore non ama sentirsi in debito. Il Maestro Rosenthal gli porge la sua mano gigantesca… :«Einverstanden? D’accordo?» «Einverstanden». La stretta di mano è vigorosa, i denti si serrano con forza a causa della tensione. L’eventualità di un fallimento non è minimamente presa in considerazione. «Povero Nimzowitsch», pensa Vidmar nel rientrare all’albergo, e la sua notte scorre serena, un sonno placido e ristoratore, alla vigilia di una grande battaglia… Il giorno dopo, entrato in sala gioco, si siede alla scacchiera col piglio del pianista che affronti un concerto impegnativo. Benché il salutista Nimzowitsch abbia ottenuto dall’organizzazione del torneo l’assicurazione che i suoi avversari non fumeranno quando lo affronteranno, il campione sloveno appoggia un sigaro accanto alla scacchiera, così, tanto per farsi coraggio. Si racconta che fu in questa occasione che il giocatore letto-danese si lamentò dal perplesso arbitro Maróczy del fatto che il suo avversario «minacciava di fumare».

Golden Age 3

È il 3 marzo 1927.

Nimzowitsch-Vidmar, Torneo dei Pretendenti, New York 1927

1. e3 d5 2. Cf3 Cf6 3. b3 Ag4 4. Ab2 Cbd7 5. h3

Nimzowitsch giocò le sue prime mosse a un ritmo estremamente lento, un pianissimo, come se ogni singola giocata gli giungesse suggerita direttamente da Caissa in persona. Vidmar ipotizza che il suo avversario volesse tener nascoste le sue intenzioni il più a lungo possibile. In realtà, la strategia del Bianco non era un segreto per nessuno, perché Nimzowitsch aveva giocato esattamente allo stesso modo contro Marshall al settimo turno e contro Spielmann al quarto: obiettivo è il controllo assoluto della casa e5.

5…Ah5 6.Ae2

Contro Marshall Nimzowitsch aveva giocato più coerentemente 6.d3. La mossa d’Alfiere ha lo scopo di prendere tempo, invitando il Nero a spingere in c5. A quel punto il Bianco potrebbe giocare Ab5 e Axd7, eliminando così un importante difensore della casa e5.

6…e6 7. Ce5 Axe2 8.Dxe2 Ad6 9.Cxd7

«Triste necessità – commenta Alekhine nel libro del torneo – perché non va 9. f4 Axe5 10. fxe5 Ce4».

9…Dxd7 10. c4 c6 11. 0-0

Posizione dopo 11.0-0

Posizione dopo 11.0-0

 

È a questo punto che Vidmar si gira a guardare verso la zona riservata agli spettatori. In prima fila, rannicchiato in una sedia troppo piccola per la sua imponente corporatura, siede il Maestro Rosenthal, che sta seguendo la sfida con la massima attenzione. Gli occhi dei due virtuosi si incontrano, e il campione jugoslavo ricomincia la sua analisi della posizione:«arrocco… non sembra una mossa molto prudente… i pezzi sull’ala di Donna sono lontani e difficilmente potranno difendere la posizione di un Re preso d’assalto. E poi, quel Pedone in h3… Come lo definiva Nimzowitsch nel suo libro? Ah, sì, il segnale d’attacco… Si può approfittarne? Affondare senza paura i colpi sull’ala di Re? Sì, è possibile… Ma bisogna giocare senza compromessi»…

11…0-0-0! 12.Cc3?

Sembra una mossa naturale, ma è un grave errore posizionale, perché facilita lo sforzo del Nero di chiudere la grande diagonale nera, privando così della necessaria coordinazione l’Alfiere e il Cavallo bianchi. Nel libro del torneo Alekhine propone 12.d3.

12…Ac7!

La preparazione della batteria di Donna e Alfiere contro la casa h2 costringe subito Nimzowitsch a importanti concessioni di carattere posizionale. Bisogna fare i conti con la minaccia di spinta in d4.

13.d4 h5 14.c5?

La mossa che perde. Il contrattacco bianco sull’ala di Donna è troppo lento. L’Alfiere è murato dai suoi stessi Pedoni e il Cavallo non ha case buone. Alekhine propone qui il sacrificio di Pedone 14.e4 dxc4 15.Tfd1! cxb3 16.axb3.

14…g5 15.b4 h4

Per impedire che il Bianco possa rispondere alla spinta del Pedone in g4 con h4. Come ebbe a scrivere Alekhine, la bellezza di questa mossa consiste nella sua coerenza, ma andava bene anche 15…g4 16.h4 g3 17.fxg3 Cg4.

16.b5 Tdg8!!

Posizione dopo 16...Tdg8!!

Posizione dopo 16…Tdg8!!

 

Una tipica mossa polifunzionale, di raffinata bellezza. Il Nero minaccia ora di spingere in g4, e la Torre spostandosi ha liberato la casa d8 per la sicurezza del Re, vanificando definitivamente il contrattacco di Nimzowitsch.

17.bxc6 bxc6 18.f3

Ovviamente 18.Da6+ Rd8 non porta da nessuna parte (19.Dxa7? Ah2+). La mossa del testo impedisce la spinta in g4, ma solo provvisoriamente.

18…Ch5 19.e4 f5!

Riproponendo con forza la minaccia di spingere in g4. 19…Cg3 sarebbe stata un buco nell’acqua dopo 20.Da6+ Rd8 21.Tfe1.

20.exd5 exd5 21.Tae1 g4!

Non c’è da preoccuparsi del cambio delle Donne minacciato dal Bianco: l’attacco sull’ala di Re ha sfondato e porterà alla vittoria.

22.hxg4 fxg4 23.fxg4

Se il Bianco avesse offerto il cambio delle Donne con 23.De6, Vidmar avrebbe continuato la sua azione giocando 23…h3!.

23…Txg4 24.Cxd5

Posizione dopo 24.Cxd5

Posizione dopo 24.Cxd5

 

Puro stile Nimzowitsch! Quando lo stratega del Mein System si vede battuto sul terreno posizionale cerca la salvezza nelle complicazioni tattiche. Il sacrificio di Cavallo è poco più che un ingegnoso trappolone: il Nero può tranquillamente accettarlo con 24…cxd5 25.c6 Dg7 (continuando a difendere la Torre in g4) 26.De6+ Rb8 27.Dxd5 h3!. Vidmar però sente di dovere di più alla sua partita… Un finale così non sarebbe certo all’altezza del Zigeunerbaron della sera prima… Ah, il Valzer del Tesoro! E se anche in questa posizione si nascondesse un tesoro? Una preziosa combinazione? Rifiutare il sacrificio sarebbe davvero un preziosismo da virtuoso… La mano che si allunga sul Pedone in h4 sembra proprio quella di un talentoso musicista.

24…h3! 25.Ce7+ Rb7 26.Tf3

Si minacciava 26…h2+ 27.Rf2 Tf8+. Ora però il Bianco dovrà dare la Donna per una Torre.

26…Txg2+ 27.Dxg2 hxg2 28.d5

L’ultima cartuccia.

28…Dg4! 29.Tb3+ Ra8 30.Axh8 Dh4 31.d6

Forzata. Non si può salvare la Torre in e1 a causa del matto.

31…Dxe1+ 32.Rxg2 Ad8 33.Ad4

Posizione dopo 33.Ad4

Posizione dopo 33.Ad4

 

Nimzowitsch ha messo il suo Alfiere in d4 con l’aria più candida del mondo. Il Nero può guadagnarlo in due mosse e porre fine alla partita… 33…De4+ 34.Rh2 Dxd4… Ma Vidmar conosce bene il suo avversario: non è da lui lasciare i pezzi in presa così, no, c’è qualcosa sotto… La trappola è scoperta all’istante: 35.Tb8+!! Rxb8 36.Cxc6+ Rb7 37.Cxd4 e il Bianco ha almeno due Pedoni per il pezzo. Al professore scappa un sorriso:«Grazie, Aaron. Tu non sai che cosa rappresenti questa partita per me, ma stai facendo la tua parte per arricchirne il tesoro, per aggiungere la tua piccola perla al diadema. È tempo però di calare il sipario, la commedia è finita».

33…Axe7! 34.dxe7 Dxe7 35.Af2 De4+ 0-1

Appena il tempo per Nimzowitsch di abbandonare, e il vincitore si guarda intorno alla ricerca di Rosenthal. Il grande pianista era ancora seduto sulla sua sedia. Ubriaco di vittoria, Vidmar gli si avvicina e chiede:«Allora? Soddisfatto, Maestro?». La replica è di quelle che fanno bene al cuore, affermazione di stima da virtuoso a virtuoso:« Oh sì! Certo! Magnifico! Ora siamo pari, Maestro».

Al tavolo della direzione del torneo, invece, si consuma il dramma dello sconfitto: la battuta (o diceva sul serio?) sulla «minaccia di fumare», il volto terreo. Dal punto di vista della classifica niente era cambiato: Nimzowitsch conservava ancora un punto e mezzo di vantaggio su Alekhine, che aveva invece pattato con Capablanca. E però era come se la sconfitta ne avesse minato le certezze, come se sentisse che chi aveva perso così non potesse davvero diventare candidato al titolo di Campione del Mondo… Alekhine lo supererà di slancio… «ho perso con Vidmar… Con Vidmar! Uno che non è nemmeno un vero giocatore! Un dilettante!». Vidmar avverte il turbamento del suo antagonista e, gran bontà de’ cavalieri antiqui, lo invita a cena, un ristorante a Broadway, non lontano…

Al tavolo del ristorante, quella sera, siedono l’una di fronte all’altra le maschere dell’eterno teatro di Caissa. Lo sconfitto Nimzowitsch è taciturno, si esprime a monosillabi, mangiucchia dal piatto che ha davanti senza nessun reale interesse. Vidmar, il vincitore, non ha voglia di infierire sul rivale. Ne rispetta in religioso silenzio il dolore immaginando di comprenderne la natura, ma in realtà è lontanissimo dal sospettare il reale corso dei suoi pensieri, che alla fine si manifesta improvviso, rumoroso ed ingombrante.

Lo stratega di Riga depone la forchetta e senza preavviso dà libero sfogo alla sua rabbia, a voce alta, con un tono alterato dal dolore, spropositato:«Ma tu cosa cerchi nei grandi tornei? Vuoi amareggiare la vita di noi professionisti? Stattene coi tuoi trasformatori!». Queste le parole, secondo Vidmar. Ma, chissà perché, si ha la sensazione che in quella sera di marzo l’eloquio del Maestro dovesse essere più colorito: «cosa (bip!) cerchi?» «stattene coi tuoi (bip!) trasformatori!». Come che sia, per il professore l’episodio apre un’inattesa finestra sul mondo del professionismo scacchistico: mentre lui vive delle sue lezioni e del suo lavoro d’ingegnere, gli altri partecipanti al torneo stanno davvero lottando per il loro pane quotidiano… La riflessione lo turba, ma in qualche modo riesce a replicare al rivale: «guarda, caro Aaron. Io non avrei proprio niente in contrario se tu decidessi di metterti a costruire trasformatori, nemmeno se volessi farlo a tempo pieno. Perciò, la prossima volta che ci incontriamo, ti batterò di nuovo in tutta serenità».

Non c’è altro da dire: il silenzio si ricompone e avvolge i due giocatori. Il rientro in albergo, al Manhattan Square Hotel, avviene senza lo scambio di una sola parola. Solo all’ingresso nella hall, al momento di dare indicazioni al ragazzo del lift, i rivali di oggi daranno vita a un ultimo, comico scambio di battute: «Undicesimo piano» – chiede Vidmar – «e tu, Aaron, a che piano sei?» «Quattordicesimo. Pensa se fosse stato il tredicesimo… Il tredici porta una jella… Mi sarei senz’altro fatto cambiare di stanza. Tutto, ma non il tredicesimo». Le porte dell’ascensore si aprono all’undicesimo piano, un rapido augurio di una buona notte e Vidmar si dirige verso la sua stanza. Ora però non riesce a trattenere un inizio di riso: la superstizione di Nimzowitsch è comune anche in America… Molti alberghi americani non hanno un tredicesimo piano, ma al dodicesimo segue direttamente il quattordicesimo… Il Manhattan Square Hotel non costituiva eccezione a tale riguardo, e Nimzowitsch era esattamente dove non avrebbe voluto essere a nessun costo…

Eh, sì, caro Joe… Storie da tempi d’oro. L’età dell’oro degli scacchi…

Golden Age 1

avatar Scritto da: Filologo (Qui gli altri suoi articoli)


14 Commenti a Storie da tempi d’oro

  1. avatar
    Gabbiere di parrocchetto 13 Agosto 2013 at 09:17

    …e qualcuno si chiede ancora perché questo sito è ineguagliabile?!? 😎

    • avatar
      Ricardo Soares 15 Agosto 2013 at 23:40

      Concordo con mister Gabbiere. Sito è ineguagliabile, incomparàvel.

  2. avatar
    Mongo 13 Agosto 2013 at 11:38

    Questo è davvero un capolavoro!!
    Complimenti all’autore. 😎

  3. avatar
    alfredo 13 Agosto 2013 at 12:28

    condivido il parere di Mongo e colgo l’occasione di fargli pervenire i piu’ cari saluti da parte di Fuser ( che non è l’ex mediamo di Toro e Milan :mrgreen: )

  4. avatar
    Enrico Cecchelli 13 Agosto 2013 at 12:53

    Bellissimo!! Congratulazioni.
    Una bella celebrazione di un campione spesso sottovalutato
    (anche dai suoi colleghi) e della difficile amicizia (magnificamente
    posta in risalto nello splendido articolo) con il “Nimzo”.
    Ancora complimenti, con la speranza e l’impazienza di altri futuri racconti
    come questo.

  5. avatar
    alfredo 13 Agosto 2013 at 13:45

    ciao Enrico
    spero presto di venire dalle tue parti e mi piacerebbe molto incontrarti ( una mia nipote si è trasferita a Loano per motivi di studio )
    Nel frattempo rigodiamoci il nostro Faber
    veramente uno dei piu’ grandi importanti poeti italiani del nostro 900
    e non me ne voglia l’amico Renato

    contattami eventualmente in pvt .
    gli amici di soloscacchi hanno tutti i miei recapiti
    e faccio mio anche il commento di “gabbiere di parrocchetto” ( io sono contro la caccia senza se e senza ma …;)
    Ciao !!!

    • avatar
      Enrico Cecchelli 13 Agosto 2013 at 14:08

      Alfredo sarò felicissimo di incontrarti! Fammi sapere ( magari durante il torneo di Imperia?) A presto allora, Ciao

  6. avatar
    Luca Monti 13 Agosto 2013 at 15:45

    L’autore si riconferma. Come per i lavori che precedettero l’odierno,la precisa ricostruzione storica è accompagnata da uno stile narrativo brioso e godibile;
    mai arido.Che la sua lettura è un soffio.

  7. avatar
    Renato Andreoli 13 Agosto 2013 at 18:58

    L’ho letto con vero piacere, grazie!
    Rivedendo la partita – ho l’edizione russa del libro di Alechin – il modo di condurre l’attacco del Nero mi ha ricordato per molti aspetti la Bogoliubov – Monticelli di cui abbiamo già parlato una volta.

    • avatar
      alfredo 16 Agosto 2013 at 14:03

      verissimo anche se la conclusione è molto diversa
      di quella partita si parlerà sempre credo
      fa parte nella mia personalissima classifica di una delle tre sul poddio tra le piu’ belle giocate da giocate italiani .

  8. avatar
    paolo bagnoli 13 Agosto 2013 at 21:59

    Una delizia! Vorrei averlo scritto io…

  9. avatar
    Tamerlano 15 Agosto 2013 at 20:33

    Bell’articolo davvero: un grande piacere averlo letto.
    Sempre grandi ‘penne’ su questo sito ma questa è proprio una Carioca a 12 colori ! (c’è ancora qualcuno che se la ricorda?)

    • avatar
      alfredo 16 Agosto 2013 at 14:04

      e chi se le puo’ dimenticare ? 😆

  10. avatar
    Jas Fasola 15 Agosto 2013 at 22:10

    Articolo very good 😉

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