La “Partita a scacchi” di Giuseppe Giacosa

Scritto da:  | 1 Settembre 2013 | 14 Commenti | Categoria: Cultura e dintorni, Scacchi e arte, Scacchi e letteratura

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“Di questa fiaba in versi ho tolto l’argomento

Da una romanza scritta circa il mille e trecento

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Racconto queste cose, perché, se nol sapete,

Noi poeti, sovente, non siam noi che scriviamo,

E’ il vento che fa un fremito correr di ramo in ramo,

E’ una canzon perduta che pel capo ci frulla.

E’ il fumo di un sigaro, è un’ombra, è tutto, è nulla,

E’ un lembo della veste di persona sottile,

E’ la pioggia monotona che scroscia nel cortile,

E’ una poltrona morbida come sera d’estate,

E’ il sole che festevole picchia alle vetriate,

E’ delle cose esterne la varia litania,

che fe’ rider Ariosto e pianger Geremia…”

E’ l’incipit del prologo della fortunata “leggenda drammatica” di Giuseppe Giacosa, scritto in versi martelliani e in un atto nel 1871 e rappresentato per la prima volta in Napoli, all’Accademia Filarmonica, il 30 aprile del 1873, con la direzione scenica di Achille Torelli, il grande commediografo napoletano che fu anche sovrintendente al Teatro San Carlo. “Una partita a scacchi” fu il primo vero successo del celebre drammaturgo e avvocato piemontese.

Adesso dovrei spiegare, da inesperto qual sono, il significato di verso martelliano. Sembra prenda il nome di Pier Jacopo Martello, che lo introdusse per primo nella poesia italiana. Il suo verso ha il primo accento mobile tra la prima e la quarta sillaba, mentre il secondo accento è fisso sulla sesta sillaba. Il verso martelliano fu assai utilizzato nella nostra letteratura, per esempio da Goldoni, successivamente da Carducci, più tardi anche da Gozzano e Montale.

L’originale della leggenda drammatizzata da Giacosa è in una “chanson de geste” francese. L’intera trama ruota intorno ad una partita a scacchi tra due giovani che si innamorano l’uno dell’altro nel corso di essa, e il cui risultato è decisivo per le sorti di entrambi. L’opera è di un romanticismo un poco sdolcinato, molto lontano dai gusti degli ultimi cent’anni, tuttavia apprezzabile e gradevole per la sua perfezione formale e per l’ambiente medioevale che il Giacosa sa ricostruire con attenzione e perizia.

Ma parliamo un poco di Giacosa, di cui oggi, primo settembre, ricorre l’anniversario della morte e che è stato uno dei personaggi più celebri della letteratura e della cultura italiana a cavallo fra l’800 e il 900.

Giacosa 17

Giuseppe Giacosa nacque a Colleretto Parella (dal 1953 Colleretto Giacosa), nel Canavese di Ivrea, il 21.10.1847, da famiglia altoborghese ……. nel 1866 s’iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Torino. In quello stesso anno scrisse il suo primo testo drammatico, “Molte parole e pochi fatti”, recentemente ritrovato e pubblicato. Nell’agosto del 1868 si laureò in legge e intraprese la pratica di avvocato presso lo studio paterno.

Nella città sabauda il Giacosa aveva frattanto stretto amicizia con giovani poeti e artisti, tra i quali G. Faldella, G. Camerana, I.U. Tarchetti, E. Praga, tutti legati alla cosiddetta scapigliatura piemontese. I suoi primi lavori teatrali ripetevano moduli e tematiche caratteristici della lirica degli scapigliati, riproponendo ambienti tipici del romanticismo di quel periodo.

I suoi testi avevano come tematica quasi unica il rapporto fra i sessi, connotato da complicate schermaglie amorose, di sicuro effetto pur nella loro superficialità, con dialoghi brillanti e scorrevoli, contrassegnati anche da toni malinconici ed elegiaci.

In questa forma sono composti “Chi lascia la via vecchia per la nuova sa quel che lascia, non sa quel che trova”, del 1870, “Non dir quattro se non l’hai nel sacco” e “A can che lecca cenere non gli fidar farina”, entrambi del 1872. Del 1870 è il bozzetto drammatico “Al pianoforte”; del 1871 la leggenda drammatica, in un atto, “Una partita a scacchi”, il suo primo grande successo.

Questo atto unico è tratto da un episodio “grivois” del cantare cavalleresco Huon de Bordeaux (sec. XIII). La vicenda poggia sulla scommessa tra il giovane e coraggioso paggio Fernando e il vecchio conte, padre di iolanda, per la vittoria che il giovane si ripromette su questa nel gioco degli scacchi e la cui posta è la mano di lei, se il vincitore è lui (e questo sarà l’esito) o la morte del giovane, se a vincere è lei”. (tratto da: G.Taffon, “dizionario biografico degli italiani”, volume 54 Treccani)

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Giacosa scelse però di cambiare il finale della ballata provenzale da cui trasse ispirazione: infatti il protagonista dell’originale, Huon de Bordeaux, vinse, sì, la partita, ma preferì il vile denaro alla mano della donzella. La partita ha luogo nel castello dei conti di Challant, ad Issogne, in Valle d’Aosta.

Il dramma di Giacosa, dopo la sua prima rappresentazione in Napoli, fu per vari anni presentato anche nel castello di Verrès, nei pressi di Issogne.

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Giuseppe Giacosa e la sua drammatica ma divertente partita a scacchi hanno avuto una certa riscoperta in tempi recenti.

Lo scrittore (e chitarrista) Duilio Chiarle ha pubblicato nel 2011, per le edizioni Smashwords, un lavoro dal titolo “Saggio storico su “Una partita a scacchi” di G.Giacosa”, in cui esamina in particolare, alla luce del racconto, alcuni comportamenti e usanze della società medioevale italica.

Federico Bernardini scrisse lo scorso anno un interessante articolo (pubblicato in “Arte, letteratura e scacchi” e in “Costume e società”), in cui provò a ricostruire (altra epica impresa!) le mosse della partita.

Il dramma di Giacosa ispirò un quadro di Gerolamo Induno, pittore milanese dell’800, contemporaneo ed amico del nostro: “La Partita a Scacchi”. L’opera, del 1881, è attualmente conservata presso la Galleria d’Arte Moderna di Milano. Ricordo che l’Induno fu fervente patriota e che nel giugno del 1849 venne gravemente ferito da venti colpi di baionetta combattendo per la difesa di Roma. Ecco il suo dipinto.

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Vediamo raffigurati i due contendenti davanti alla scacchiera, nella posizione finale: a destra la bella Iolanda, figlia del conte Renato di Challant, a sinistra il giovane Fernando, paggio di Oliviero, conte di Fombrone.

Fernando è un giovane, orfano e valoroso, ma la sua immodestia e vanagloria non piacciono lì per lì eccessivamente al conte Renato, il quale non perde l’occasione per metterlo a dura prova, contando sull’abilità nel gioco degli scacchi da parte della figlia.

Il conte Renato (rivolto a Fernando): “…Se tu vinci, io ti dò per consorte la mia figlia Iolanda”.
Fernando: “E se perdo?”

Renato: “La morte”.

Iolanda inizia la partita senza essere a conoscenza del patto. Non troverete facilmente, nella storia del nostro gioco, una partita più lungamente commentata in diretta di questa, e da parte dei due contendenti e da parte dello spettatore più interessato, il Conte Renato.

Il vantaggio della valente Iolanda si fa presto strada, i suoi pezzi si dispiegano all’attacco, il suo successo pare inevitabile.

(Iolanda): “Ed io senza periglio dècimo le tue schiere.

Già perdesti una Torre, e do scacco all’Alfiere,

Se non provvedi tosto a metterlo da banda.

Attento ai mali passi”

Ma il conte Renato nel frattempo muta radicalmente la sua opinione su Fernando. Pentito dello scellerato patto, mentre la partita avanza, tenta di cancellarlo e così si rivolge al paggio:

No, sei giovane, fanciullo, e ardimentoso,

E d’una tua disgrazia non mi darei riposo.

Smetti quella fierezza, renditi al buon consiglio.

Io te ne prego, come si pregherebbe un figlio.

Sei in tempo, ritraggiti, tu sai quanto t’aspetta …

Iolanda, te ne prego, digli che mi dia retta”.

E Fernando: “Conte … Fate opra inutile, nessuno mi cancella

Dal cuore una promessa”

E Iolanda, quasi presàga del risultato:

“Perché mi dovrei esporre io pure ad un rifiuto?

Un istante può rendergli il terreno perduto”

Il conte Renato insiste di nuovo con Fernando:

Ascoltami, sospendi, io vaneggiava quando

T’offersi quella sfida. Scegli fra i miei castelli.

Il più forte, il più ricco, è tuo; ma si cancelli

Questo patto impossibile, rendimi la mia fede,

Ti farò ricco e nobile … è un padre che tel chiede.

Giacosa 04Ma sarà Iolanda, ormai innamorata e conscia della critica situazione, a modificare la sua tattica e il corso degli eventi:

E’ il destin che ci unisce nella sapienza sua;

Guarda, due mosse ancora e la vittoria è tua”.

Siamo giunti all’epilogo, meglio di così non poteva andare.

Fernando s’inginocchia ai piedi del conte Renato. Questi gli pone le mani sul capo e, commosso, esclama:

“Sei prode all’opera e assennato al consiglio,

Ed io ringrazio il cielo che m’ha donato un figlio”

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Nel testo di Giacosa troviamo qualche indicazione sulle mosse eseguite durante la partita ed alcuni hanno provato a ricostruirla, primo fra tutti l’Induno, che nel suo quadro ci mostra la posizione finale. Scrive però Federico Bernardini, nel suo articolo sopra citato, che tale posizione è tuttavia in contraddizione col testo, poiché il bianco, condotto da Iolanda, aveva perso un cavallo, mentre sulla scacchiera raffigurata vediamo ancora due cavalli bianchi.

Egli ci riferisce come già nel 1907 il Maestro Annibale Dolci abbia tentato una rielaborazione della partita, arrivando a una posizione di matto dissimile da quella dell’Induno, ma coerente con le scarse indicazioni di Giacosa.

A sua volta il Bernardini prova a ricostruire l’intera partita, ricordando comunque che nel medioevo le regole del gioco erano diverse da quelle moderne, seguite nella ricostruzione.

Questo il suo testo:

Ci limiteremo a “Pousser du bois” come si diceva a Parigi ai bei tempi del “Café de la Régence”, perché la partita fu certamente brutta: Fernando era troppo preso dai begli occhi di Iolanda e lei faceva di tutto per perdere (benché valente giocatrice) e poter così sposare il paggio di cui s’era invaghita.

BIANCO Iolanda – NERO Fernando.

e4, e5; 2. Cc3, f5; 3. d4, fxe4; 4. Dh5+,

(Iolanda, ancora ignara del patto, si appresta a mettere in scompiglio le schiere dell’imbambolato Fernando),

g6; 5. Dxe5+, De7;
6. Dxh8,

(Iolanda: “Ed io senza periglio decimo le tue schiere”)

Df7; 7. De5+, Ce7; 8. Dxe4, d6; 9. Cb5, Ca6; 10. Ae2, Ad7; 11. Ag4,

(Iolanda: “Già perdesti una Rocca, e dò scacco all’Alfiere…Oh la sventata! Vedi che ho messo un piede in fallo. Ti dò scacco all’Alfiere e disarmo il Cavallo),

Axb5; (Fernando prende il Cavallo)

12. b3, Ag7; 13. Ae2, Axe2; 14. Dxe2, 0-0-0; (l’arrocco lungo!) 15. Aa3, Te8; 16. Ch3,

(Iolanda, che nel frattempo ha scoperto il patto, gioca per perdere)

Axd4; 17. Td1, Cd5;

(Fernando: “Bada, or sei tu che perdi…dò scacco alla Regina”)

18. Cg5, Txe2+; 19. Rxe2, Dxf2+; 20. Rd3, Cf4+; 21. Rc4, Ab6; 22. Thf1,

(Iolanda: “Guarda, due mosse ancora e la vittoria è tua”)

Dxc2+; 23. Rb5,

(Mentre Fernando esita, Iolanda di soppiatto lo piglia dolcemente per mano, e fa lei una mossa per lui)

Dc6.

(Iolanda, alzandosi, e con lei tutti: “SCACCO MATTO!”)

Giacosa 15

Le mura dei castelli son corrose ed infrante,

E suvvi ci si abbarbica l’edera serpeggiante.

Son mozzate le Torri, i merli son caduti,

Le sale spaziose i bei freschi han perduti;

I camìni giganti dall’ali protettrici

Son colmi di macerie, stridon sulle cornici

i più grotteschi uccelli; ma sereni, sicuri,

Più forti che le Torri e più saldi che i muri

Quelli uomini di ferro d’ogni mollezza schivi

Si parano alla mente baldi, parlanti e vivi.

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(Il Castello di Issogne. Visitai il castello moltissimi anni fa, quando ancora non lo conoscevo come teatro della partita. Ricordo, tra l’altro, che dalla guida ci vennero mostrate due stanze: una doveva essere quella di paggio Fernando, un’altra quella di Jolanda, leggendosi su di una parete la lettera “Y”, sua presunta iniziale)

O storie di battaglie, d’amor, di cortesie,

nuvolette vaganti per quelle fantasie,

O sereni riposi dopo l’aspre fatiche,

O cortili ingombranti dai cardi e dalle ortiche,

O gotici leggii, o vetri istoriati,

O figlie flessuose di padri incappucciati,

O sciarpe ricamate fra l’ansie dell’ attesa,

O preludi dell’arpa, o nenie della chiesa,

O mura dei conventi malinconici e quieti,

Celle di sognatori, di santi e di poeti,

Voi dell’arte e dei sogni siete i lucenti fuochi,

Voi vivi solamente nel rimpianto dei pochi ……

 Giacosa 22(“I signori di Challant” nel XV secolo, olio su tela di Federico Pastoris, 1865)

Questo che vedete è invece il dipinto che aveva ispirato il dramma di Giacosa, il quale, in una lettera, così dichiarava: «Un mio amico, il Conte Pastoris pittore, me ne aveva raccontato l’argomento, senza dirmene la provenienza, ed io, acceso dal soggetto che mi piaceva, buttai giù in furia prologo e scene»

E Giacosa volle appunto dedicare la sua opera al pittore: «Al Conte Federigo Pastoris pittore. Nessuno meglio di te, e pochi altri al pari di te, intendono ed amano la poesia grave delle cose passate. Il tuo quadro “I signori di Challant” fa riscontro alla mia Partita a scacchi così che io mi compiacevo di chiamare Renato il tuo canuto castellano e Jolanda la sua bella e pietosa figliuola»

Opere medioevali come questa, tuttavia, intrise di un nostalgico e romantico abbandono ai valori del passato, non potevano incontrare facilmente il favore della critica. Tra le voci dissonanti spicca quella di Giosuè Carducci, che lo accusa di «confettare in poesia un medio evo accademico alla Marchangy».

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Nel 1885 Giacosa è incaricato dell’insegnamento di Storia e letteratura applicata alle arti presso l’Accademia di Belle Arti di Torino.

Giacosa 21Nel 1886 pubblica “Novelle e paesi valdostani”, e via via debuttano sue nuove opere teatrali quali “La zampa del gatto”, “La sirena”, “Diritti dell’anima” e la stupefacente e notissima “Tristi Amori”.

I critici italiani continuano tuttavia ad essere poco teneri con Giacosa, con misura inversamente proporzionale al grande successo di pubblico. Giovanni Verga si muove a scrivergli (1889) una lettera di solidarietà, nella quale si scaglia senza mezzi termini contro i malevoli critici “….quello che mi stomaca di più è vedere come il canagliume abbia potuto guastare anche quello stupendo capolavoro che è Tristi Amori”.

Giacosa si trasferisce a Milano nel 1888, con la moglie Maria Bertola, sposata nel 1877, e le tre figlie, ma torna spesso al paese natale in Piemonte e ai suoi amati castelli in Val d’Aosta. Qui è ambientata un’altra sua celebre commedia, “La dame de Challant”, presentata in prima al Teatro Carignano di Torino il 14 ottobre del 1891, con la grande Eleonora Duse nei panni della protagonista (e in America da un’altra grandissima attrice, Sarah Bernhardt).

Nel dicembre1897 è pubblicato il volume “Castelli valdostani e canavesani”. Giacosa era solito definirsi con orgoglio “un montanaro”, e l’amore per le sue terre e i castelli piemontesi e valdostani è una costante dei suoi lavori.

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Il 31 gennaio 1900 è rappresentata per la prima volta al Teatro Manzoni di Milano la commedia “Come le foglie”, probabilmente il suo capolavoro, in cui riuscì mirabilmente e con sobrietà a descrivere lo sfacelo economico e la disgregazione morale di una ricca e oziosa famiglia piemontese e il suo successivo, consapevole e duro risalire la china attraverso la riscoperta dei più sani valori del lavoro e del sacrifico di cui sapeva essere portatrice la migliore borghesia piemontese dell’ottocento.

Giacosa 23Come le foglie” è stato un po’ il cavallo di battaglia di tutti i grandi attori del Novecento. Personalmente ricordo ancora una bellissima edizione televisiva del 1958, per la direzione di Anton Giulio Majano, interpretata da Sarah Ferrati, Alberto Lupo, Virna Lisi e Warner Bentivegna.

Pietro Nardi ricordava che “Come le foglie” venne giudicato dalla critica nordeuropea, abbastanza genericamente a suo dire, come una derivazione di Ibsen e del Bjornson di “Un fallimento”.

Giacosa 20Intanto la celebrità di Giuseppe Giacosa non conosce più confini e all’estero, ad esempio in Scandinavia, al successo del pubblico si accompagna una critica ben più lusinghiera della nostra. I migliori attori di tutto il mondo fanno a gara nell’accaparrarsi i suoi personaggi e sul finire del secolo i teatri di Berlino, Copenaghen e Stoccolma presentano spesso i suoi drammi. E’ soprattutto in Svezia che Giacosa è amatissimo. “Una partita a scacchi” è tradotta in svedese da Goran Bjorkman (nel 1891, col titolo “Ett parti schack”). “Tant’è”, si azzarda a scrivere oggi Franco Parrelli, “che negli anni Venti, in Scandinavia, Giacosa sembra più moderno di Ibsen”. E al Teatro Reale di Stoccolma le sue commedie ebbero la bellezza di 105 rappresentazioni fra il 1890 e il 1903.

Il successo che travolge Giacosa nei primi anni Novanta sorprende lo stesso autore, che, nel giugno 1896, in una lettera alla madre scritta da Budapest, afferma di avere ricevuto “mille prove di una notorietà europea che proprio non credeva così larga”.

Giacosa in Nord Europa davvero rivaleggia quasi con Ibsen, al punto che il critico Bo Bergman osava scrivere che “Tristi amori” appariva “forte, vero e concentrato, eccellentemente costruito e di fatto con più profonde radici nella vita vissuta di molta di quella drammaturgia che evidentemente ispirava l’autore….”

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E «Dagbladet» (5 novembre 1892) si spinge ancora a osservare che “Giacosa non è andato alla solita scuola degli italiani moderni ovvero a quella francese, ma sembra al contrario aver imparato la tecnica drammatica da Ibsen. Per questo motivo il suo dramma è diventato una pacata potente tragedia. La bravura di Giacosa sta infatti nel dipingere con piccoli tratti, dove gli antichi usavano grandi linee” (da F.Perrelli in “TurinDamsReview”).

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Giacosa 10P.Nardi, infine, scriveva che “… ciò che è soprattutto considerato eccellente nella letteratura nordica è la sua grandissima ricchezza d’idee, il suo trattamento dei più profondi problemi psicologici rispetto a quella italiana”.

Insomma, si può ragionevolmente affermare che in almeno un paio di opere (“Tristi Amori”e “Come le foglie”) Giacosa abbia davvero toccato il capolavoro, vette che nulla hanno da invidiare alla grande drammaturgia europea di Ibsen e Cechov, e che soltanto la stolidità e la trascuratezza di alcuni storici nostrani gli abbia impedito di acquisire fermamente, nella penisola, quella visibilità e quello spessore che avrebbe senza dubbio meritato e che lo avrebbero issato sui più alti gradini della letteratura italiana di ogni tempo.

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(Giacosa con Arrigo Boito in una fotografia del 1898)

Giacosa fu a Milano direttore della “Scuola di recitazione filodrammatica”, ma è stato altresì, a dimostrazione del suo eclettismo, ottimo giornalista: diresse “La lettura”, rivista culturale mensile de “Il Corriere della Sera”, fondata nel 1901 da Luigi Albertini, che intanto aveva sposato (1900) sua figlia Piera. Del 1898 è un viaggio negli Stati Uniti, al ritorno dal quale pubblicò un interessante volumetto dal titolo “Dai castelli canavesani al sogno americano”.

Egli raggiunse fama mondiale anche come librettista: collaborò, ad esempio, con Puccini e Illica per la stesura dei libretti delle opere “La Bohème” (1896), “Tosca” (1899) e “Madama Butterfly” (1904).

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Eppure, nonostante questa poliedricità e nonostante i successi e la fama, Giacosa veniva spesso etichettato come l’autore di “Una partita a scacchi”. E lui ne sentiva un poco il fastidio. Se ne ha dimostrazione in una lettera inviata al Direttore del “New York Drammatic Mirror”, nella quale così si esprimeva:

Amo la Partita a scacchi, come si amano i ricordi giovanili, ma per molti anni l’ebbi in dispetto. Ad ogni nuova commedia o dramma che venissi scrivendo, mi si opponeva sempre da tutti la Partita a scacchi. Ciò mi pareva umiliante. Ora che ho i capelli grigi, ora che la Partita a scacchi non saprei scriverla più, mi piace esserne chiamato autore, e provo un certo sentimento di particolare tenerezza, verso quel mio primissimo lavoro che seppe accompagnarmi tanto innanzi nella vita. La tenerezza d’altronde ha un’altra ragione. Un giorno, parecchi anni or sono, ricevetti da Berlino una lettera ed un opuscoletto. Apro la lettera, cerco la firma e ci leggo Teodoro Mommsen. Il grande storico, mi diceva che per regalo di nozze ad una sua figliuola egli aveva tradotto in versi tedeschi la Partita a scacchi, e mi domandava di approvare la privata edizione col testo italiano da una parte colla tradizione tedesca dall’altra. D’allora in poi, il mio breve lavoro corse con fortuna molti teatri d’Europa; ma il suo maggior trionfo fu l’aver avuto un Mommsen a traduttore”. Grandissimo!

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Giuseppe Giacosa, persona di non comune bonomia e saggezza, seppe condurre una vita serena e semplice, pur se accompagnata da successo, notorietà e numerose attività ed amicizie (Verga, Boito, Fogazzaro, Croce, Puccini, De Amicis, Pirandello, la Duse, poi Pastoris ed altri pittori della cosiddetta “Scuola di Rivara” con i quali lui condivideva la passione per il Medioevo e l’antichità).

La villa di Colleretto divenne quello che Francesco Pastonchi definì (1903) “La Grande Arca”, dove sovente usavano riunirsi con Giacosa alcune personalità di alto livello della vita culturale italiana ed europea del tempo. Giacomo Puccini chiamava l’amico, simpaticamente, “Buddha”, un po’ per il suo fisico non esattamente magro, un po’ per il suo buon carattere, la sua capacità di mediazione, il suo equilibrio.

Altresì importante fu l’amicizia fra Giacosa e Giovanni Verga, che si riverberò nelle loro limpide affinità artistiche. Il grande scrittore siciliano, che a lui volle dedicare la versione teatrale della “Cavalleria rusticana”, influenzò chiaramente l’opera di Giacosa e la sua acuta rappresentazione della vita borghese del tempo.

A Colleretto Parella, nella sua casa natìa (qui sotto raffigurata) l’artista si spense il primo di settembre del 1906, ad appena 59 anni.

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“ ….. e tutti in pianto e tutti al pianto/ soave delle tue campane,/ mossero: andava accanto/ ai contadini il loro vecchio cane./ E tu giungesti alle tue genti/ già presso al dolce mezzogiorno./ Sotto rosai pendenti/ entrasti: I verdi faggi erano intorno./ La falce aperto avea di primo/ mattin tra l’alte erbe guazzate/ la via. La menta e il timo/ rendean per tutto buon odor d’estate./ E tu restasti: Non si muore/ così. Così, mio buon fratello,/ si resta. Al tuo gran cuore,/ ‘Fermati!’ forse tu dicesti: ‘E’ bello!” …. sono i versi che scrisse per lui, alla sua morte, l’amico Giovanni Pascoli.

Nel 2004 è stato istituito il “premio letterario Giuseppe Giacosa”, finalmente un tangibile segnale della riscoperta dell’ultimo grande librettista italiano e del drammaturgo più celebre ed influente che abbiamo avuto in Italia prima di Pirandello.

Tra i testi più validi scritti su di lui va senz’altro citato l’enciclopedico “Vita e tempo di Giuseppe Giacosa”, di Pietro Nardi, noto critico letterario, più sopra citato.

Il suo conterraneo Giuseppe Maria Musso, che nei primi anni ottanta curò un’edizione de “Una partita a scacchi”, così disse di lui: “Giuseppe Giacosa è ancora fra di noi, con i suoi personaggi e le loro convinzioni morali, con le sue novelle, le sue suggestive rievocazioni medioevali, i suoi principi etici e spirituali, le sottili vibrazioni affettive, la psicologia amara e vera, fortemente aderente alla realtà della vita”.

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E per finire una domanda, alla quale non ho ancora trovato risposta. Giacosa sapeva davvero giocare a scacchi?

“…… A poco, a poco, intorno la notte era discesa.

Scossi via la pigrizia. Dalla lampada accesa

Piovve un raccolto lume sulle pagine mute

Che aspettavano il frutto di tante ore perdute,

Ed io dalla romanza scritta il mille e trecento

Di questa fiaba in versi ho tolto l’argomento”.

avatar Scritto da: Marramaquís (Qui gli altri suoi articoli)


14 Commenti a La “Partita a scacchi” di Giuseppe Giacosa

  1. avatar
    alfredo 1 Settembre 2013 at 14:15

    caro Marramaquis
    aspettavo ilpezzo
    molto interessante .
    ma molto modestamente ti diro’ che ti batto 12 a 20
    come è possibile ?
    Magari con l’aiuto di Martin Eden , che di matematica ne sa , ti si potrà svelare l’arcano 😉

  2. avatar
    Mongo 1 Settembre 2013 at 15:47

    Bellissimo. Complimenti. 😎

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    Marramaquis 1 Settembre 2013 at 19:13

    Alf, grazie. Però io sono talmente debole in matematica che neppure immagino come possa tentare di capire il tuo rebus, con tutti gli “aiutini” del caso.

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    Renato Andreoli 1 Settembre 2013 at 20:18

    Complimenti anche da parte mia.
    A proposito della domanda a cui non hai ancora trovato risposta, ti segnalo che nel primo capoverso del suo ampio saggio che si può leggere solo parzialmente all’indirizzo seguente, Duilio Chiarle definisce fra l’altro Giacosa “appassionato giocatore di scacchi”.
    http://www.smashwords.com/extreader/read/236757/1/saggio-storico-su-una-partita-a-scacchi-di-giuseppe-giacosa

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    alfredo 1 Settembre 2013 at 20:59

    caro Marramaquis
    non è propriamente matematica in senso strettto
    aspetto Martin che potrà svelare l’arcano
    Anche Arrigo Boito , autore de L’alfiere Nero era un grande appasionato di scacchi

    • avatar
      Marramaquis 1 Settembre 2013 at 21:34

      Allora anche Arrigo Boito si merita la prima pagina di copertina!

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    alfredo 1 Settembre 2013 at 23:13

    essi’!
    si narrà che una sera rinuncio’ ad un importante incontro con il suo edictore per poter conoscere Lasker , di passaggio a Milano .
    L’alfiere Nero è il racconto in appendice del romanzo XY di sandro Veronesi , uno dei piu’ grandi scritttori italiani che abbiamo avuto l’onore di ospitare su soloscacchi

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    Enrico Cecchelli 1 Settembre 2013 at 23:53

    Un altro pezzo sontuoso che spazza via
    un altro pò della mia ignoranza…
    Grazie e complimentoni!
    P.S. Anch’io sono rimasto affascinato, qualche anno fa ,
    dagli splendidi castelli di quella zona e da quello di
    Issogne in particolare: una vera e propria bomboniera.
    Grandissimo Marramaquis! Ad maiora!

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    Ivano E. Pollini 2 Settembre 2013 at 12:21

    Bellissimo ❗ ❗ Grazie Marramaquìs per questo tuo notevole contributo. Ho salvato alcune belle foto e i quadri del tuo bellissimo articolo ❗ ❗ ❗ Lo devo ripetere ❓ Sei un artista. 🙄 😀 Complimenti Ciao Ivano

  9. avatar
    Alfredo 2 Settembre 2013 at 20:10

    Dalla mia modesta collezione di libri antichi, la cui perla è un Philidor del 1803, il mio omaggio a questo splendido pezzo dell’amico Marramaquìs 😉

    La collezione di libri di Alfredo

    Perché batto l’amico Marramaquìs?

    …salvate la foto e ingranditela.
    La mia edizione di “Una partita a scacchi” è del 1912, quella di Marramaquìs solo del 1920

  10. avatar
    Marramaquis 2 Settembre 2013 at 21:23

    Alf, sappi che contro di te non giocherei neppure con vantaggio di tratto e pedone! Comunque ringrazio te, Ivano, Enrico, Renato, Mongo e tutti i lettori che hanno letto e gradito questo ricordo di Giacosa e della sua storica partita.

  11. avatar
    alfredo 2 Settembre 2013 at 21:34

    ciao Marramaquis
    magari potresti scrivere qualcosa proprio su Boito
    adesso vedo se riesco a fotografare bene il mio Philidor che mi costo’ mezzo stipendio 20 anni fa
    è ottimamente tenuto
    la cosa che mi affascina è , che anche se non c’è scritto nessun nome , magari potrebbe essere passato per le mani di un grande giocatore
    Ps : comunque i due pezzi degli scacchi , per chi non li conosce , sono prosaicamente una saliera e una pepiera 😀

  12. avatar
    federico bernardini 7 Settembre 2013 at 07:19

    Gran bell’articolo. Grazie della citazione. Un caro saluto.

    Federico Bernardini

  13. avatar
    Marramaquís 7 Settembre 2013 at 16:10

    Grazie a lei, Federico. Grazie per essere brevemente intervenuto qui e speriamo di averla, in futuro, quale protagonista o partecipe delle nostre varie dissertazioni (scacchistiche e non). Un saluto caro anche a lei.

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