Noi del Byron

Scritto da:  | 22 Settembre 2013 | 8 Commenti | Categoria: Racconti
Ravenna 01
Iniziai a frequentare il “Bar Byron” di Ravenna all’età di quindici anni; ciò avvenne per forza di cose, visto che la locale squadra di basket – all’epoca “pallacanestro” – l’aveva eletto a luogo di raduno per gli allenamenti e per la vigilia delle partite in trasferta. Eravamo in “serie A”, che allora equivaleva alla “A 2” attuale (la “A 1” si chiamava “Prima Serie”;); le aree erano parallelogrammi sormontati dalla lunetta, non esistevano i tiri “da tre” e gli arbitri erano inflessibili sulle infrazioni in fase di palleggio. Un altro sport, insomma.
Ero già 196 centimetri come oggi, ma pesavo venti chili in meno. Ero amico ed ex compagno di classe di Arturo, figlio del nostro finanziatore Serafino Ferruzzi, che ogni anno ci cambiava le divise in quanto ci cambiava il nome: Soia Ravenna, Cementi Ravenna, eccetera.
Il Bar Byron, allora come oggi, era un piccolo bar situato sotto il loggiato del Palazzo INA, con quattro tavolini all’interno e quattro sotto il loggiato; questi ultimi restavano lì anche d’inverno. Era l’unico bar di Ravenna a non avere un gioco da mah-jong (in ravennate: magiò), gioco cinese chissà come radicatosi in città e che ogni ragazzino ravennate sa giocare ad ottimi livelli. In compenso, il Bar Byron teneva a disposizione dei clienti una gigantesca scacchiera in legno e cartone corredata da pezzi di scacchi in stile “Littorio”. Su questa scacchiera si affrontavano, di tanto in tanto, il Professore ed il vicequestore Scarambone, e gli avventori si soffermavano per alcuni minuti a contemplare l’evolversi della sfida. Gli incontri si risolvevano, generalmente, in favore del Professore, un ometto basso e minuto, sui sessanta, in basco e cappotto in ogni stagione. In città non esisteva un Circolo e probabilmente i due erano gli unici a praticare gli scacchi a livello decente.
Ravenna 05
Nessuno ha nai saputo il nome del Professore, che era comunque considerato un’autorità in materia.
Torniamo al Bar Byron. Qualche anno fa ho ricevuto dal SudAfrica un libretto intitolato “Noi del Byron”; me l’ha spedito Vittorio, emigrato agli antipodi all’incirca all’epoca del mio matrimonio con Rita (1965). Divertente, un po’ nostalgico, il cui contenuto si incentra tuttavia nei primi Anni Settanta, mentre la fauna byroniana più interessante era quella degli Anni Cinquanta e Sessanta. Il nostro gruppo di sedici-ventiduenni è probabilmente irripetibile, e fu grazie ad esso che si giunse alla fondazione dell’impero.
L’idea fu di Gianni Abbondanza (poi mio testimone di nozze) il quale, ex abrupto, nominò imperatore (Bubo Primo) Carlo Bubani, titolare col fratello ed il padre di un negozio di moda maschile che si affacciava su Piazza del Popolo, a qualche decina di metri dal Byron. Quando l’imperatore giungeva al Byron tutti noi ci dovevamo alzare in piedi, portare al petto il braccio destro e rendere omaggio.
L’impero ideato da Gianni era – manco a dirlo – quanto di più decadente si potesse immaginare, una specie di prosecuzione dell’Impero Romano d’Oriente, ma aveva bisogno di una Storia e di una fine tragica. Venni arruolato come poeta ufficiale dell’impero, al fine di descriverne gli ultimi giorni, e fui ribattezzato Paolo Virgilio Longino (la statura…;). In una settimana di notti bianche composi un poema in endecasillabi sciolti (un prologo, undici canti ed un tragico epilogo) nel quale comparivano tutti i frequentatori del Byron, corredati ovviamente dai nomi “imperiali”: Gianni Abbondanza divenne Giano Sabino Dovizioso (i suoi genitori erano originari del Lazio, a ciò si deve il “Sabino”;), Gianfranco Burdisso, playmaker della squadra di basket ed originario del Piemonte, fu Giano Burdisseo Pedemontano, e via folleggiando. Avevano un ruolo anche l’allora sindaco Benelli ed alcuni personaggi cittadini.
Ravenna 07
La storia è breve: un nemico proveniente da oriente con milioni di guerrieri invade la Penisola da nord (tipo Unni, tanto per intenderci) e Ravenna è l’unica ad opporsi all’invasione, venendo ovviamente sconfitta in uno scontro campale, mentre l’imperatore Bubo Primo, accompagnato dalla Basilissa Madre, si imbarca sul San Vitale (ammiraglia della flotta ravennate) per perpetuare la dinastia chissà come e chissa dove. Fine.
Il dattiloscritto della “Ravenniade”, da me consegnato in unica copia a Gianni Abbondanza, mi è giunto per via postale un anno fa, spedito da un ravennate sconosciuto che ha avuto il mio indirizzo da qualche comune conoscente. Transeat.
Torniamo, ora, al Professore. Come ho già detto, costui era l’indiscussa autorità scacchistica cittadina e qualche volta (conoscevo “le mosse”;) tentai di sconfiggerlo, subendo brucianti disfatte. Poi mi trasferii a Bologna ed iniziai a frequentare il Circolo Scacchistico Bolognese, dove imparai qualcosa; Ravenna restava comunque nella mia zona di lavoro e, con periodicità mensile, tornavo nella mia città e mi recavo al Byron per salutare gli amici rimasti. Un giorno di primavera, verso le cinque del pomeriggio, giunsi al bar mentre su uno dei tavolini esterni era in corso l’ennesima sfida tra il Professore ed il suo abituale avversario, il quale venne battuto, si alzò, salutò e se ne andò.
Il Professore mi invitò a giocare ed io accettai. Credo che la partita sia durata non più di una ventina di mosse, col Professore costretto ad una disperata difesa di fronte alle minacce di matto che stavo portando. La rivincita ebbe il medesimo andamento, con qualche spettatore incuriosito dal fatto che il Professore fosse stato finalmente messo a malpartito. Il mio avversario abbandonò, si complimentò con me e, sistematosi il basco, scomparve rapidamente dietro l’angolo.
Giocava al livello di un terza (facciamo seconda) sociale e la lezione che trassi dall’episodio fu che “tutto è relativo”.
Ravenna 03
avatar Scritto da: Paolo Bagnoli (Qui gli altri suoi articoli)


8 Commenti a Noi del Byron

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    alfredo 22 Settembre 2013 at 09:54

    Serafino Ferruzzi ? quello che poi ebbe come genero Raul Gardini ?
    Byron ,lontana mia passione liceale
    da rileggere al piu’ presto

  2. avatar
    Ivano E. Pollini 22 Settembre 2013 at 10:11

    Ciao Paolo!

    Il tuo divertente articolo mi ha fatto riandare con la mente ai miei anni ’50. 😛

    Il ricordo di Ravenna è inciso nella mia memoria.

    A parte mamma e nonni tutti ravennati (trasferitisi poi a Milano e a Massa Carrara,dove ho vissuto per alcuni anni) A Ravenna avevo, e ho ancora, vari cugini.

    Negli anni ’50, frequentavo d’estate Porto Corsini, Marina di Ravenna e soprattutto “Punta Marina”, un posto che ho aiutato a “colonizzare” coi miei amici romagnoli (io ero “il milaniiis”;) perché a quel tempo NON c’era quasi niente a Punta Marina, tranne il mare, la spiaggia, dove i locali “si piantavano la loro tenda”, e una magnifica pineta tutt’attorno. ❗

    Ma c’era la “Vela Azzurra”, dove alla sera si andava a ballare e a fare “la corte” alle ragazze! 😉

    Ogni tanto andavo anche in città con la Sita (il bus locale)e visitavo Ravenna.

    Ricordo anche che con un mio cugino andavamo nei dintorni di Piazza del Popolo a comperare libri di Salgari. 💡

    A quell’epoca giocavo poco e male a scacchi che praticavo solo nella stagione invernale a Milano, in un bar fumoso e affollato in via Panfilo Castaldi, primo nucleo della futura “Società Sacchistica Milanese”, diretta poi dal Maestro Ferrantes.

    Smetto qui.

    Mi sono dilungato già troppo e forse sono anche andato fuori tema. ❓

    Ma il tuo bel pezzo, e la foto di Ravenna, ha messo in moto questi miei ricordi, che mi piaceva poterti comunicare.

    Ciao

    IEP

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    paolo bagnoli 22 Settembre 2013 at 11:15

    Caro Ivano, Punta Marina era sicuramente luogo di caccia libera a turiste tedesche e nordiche, e il “Vela Azzurra” (dove ho ballato parecchie volte) è nei miei ricordi per un divertente episodio.
    Quella sera l’orchestra (tre ravennati che “arrotondavano”;) si esibiva in motivi rockeggianti, con la pista illuminata (ricordi?) da sparse lampadine appese a fili elettrici che andavano da un pino all’altro. Si spensero le note dell’ultimo rock e gli orchestrali andarono al bar (?) per una pausa. Il gestore salì su un tavolino e svitò una lampadina, ripetendo poi la laboriosa operazione a lampadine alternate e lasciando la pista immersa nella penombra.
    L’orchestra rientrò e Vittorio mi sussurrò: “A scumett ch’l’è un tango” e, nella sopraggiunta penombra, udimmo le prime note di “Caminito”…..
    Dal “Vela Azzurra” si accedeva direttamente alla spiaggia, tra le cui accoglienti dune si consumavano frenetici amorazzi estivi….. Un paio di chilometri più a nord, verso Marina, c’erano due campeggi, l’ “Internazionale” ed il “Piomboni” e fu in quest’ultimo, nell’estate del ’64, che conobbi Rita che, come me, faceva l’interprete.
    E adesso basta coi ricordi.

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    paolo bagnoli 22 Settembre 2013 at 11:42

    Per Alfredo: sì, proprio Serafino (“Fino” per i ravennati), il quale dette in sposa a Raul la figlia Ida (“Idina”, sempre per i ravennati). Frequentai tutte le elementari al “Mordani” avendo come compagno di classe Arturo, fratello minore dell’Idina e futuro cognato di Raul. Con Arturo – che oggi vive, credo, negli USA – facevamo i compiti assieme, visto che casa nostra era a cento metri da quella dei Ferruzzi (noi in via Rattazzi, loro in via Tredici Giugno).
    Raul era un assiduo frequentatore del Byron, dove compariva ogni sera prima di cena. Non faceva parte della comitiva dei “giovani” della quale facevo parte io (credo fosse del ’35 o del ’36) ma, allora, era “soltanto” il genero di Serafino, il quale stava ammucchiando una delle maggiori fortune italiane dell’epoca

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    alfredo 22 Settembre 2013 at 11:54

    si ma che brutta fine ha fatto
    a me aveva sempre dato l’idea di un simpatico filibustiere
    di un giocatore di poker
    avesse giocato a scacchi forse non avrebbe fatto tutti quegli azzardi
    certo aveva provocato uno dei peggiori disastri economici della storia d’iTalia
    erano nati ” agricoltori” e tali dovevano restare
    l’avventura nella chimica fu una follia
    cero che dalla grande finanza ( cuccia) fu sempre considrato un parvenu
    mi sembra che serafino mori’ invece in un incidente aereo
    mi ricordo Raul che sponsorizzava luna rossa , seduto sulla nave che fumava di continuo .
    un pezzo di storia d ‘italia che ha , come sempre , una verità processuale
    la verità storica sulla famosa mazzetta da 150 miliardi non la sapremo mai .
    gardini per arrivare ai suoi scopi diventò il bancomat dei partiti del tempo , con il suo braccio destro sama .
    e i partiti erano insaziabili

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    Fabio Lotti 22 Settembre 2013 at 12:20

    Ricordi di Paolo che suscitano ricordi di altri. Un bel cortocircuito… 🙂

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    paolo bagnoli 22 Settembre 2013 at 12:26

    Raul era certamente un ambizioso. Quando si lanciò nell’avventura della chimica, illudendosi di poter manovrare la politica invece di finirne manovrato, lasciò le orme del suocero, paziente ma aggressivo accumulatore di beni e denaro.
    La prima creatura marina di Raul fu “Il Moro di Venezia” che, dalla spiaggia di Marina, i bagnanti potevano ammirare mentre incrociava al largo per provare lo scafo, le velature, il sartiame e l’equipaggio.
    Avendo conosciuto Raul, anche se non intimamente abbastanza bene per capirne il carattere, ho sempre fatto una gran fatica a credere al suo suicidio.

  8. avatar
    alfredo 22 Settembre 2013 at 12:36

    anch’io
    e non sono il solo
    io non lo ho conosciuto ma ho avuto a che fare per lavoro con gente che lo conobbe ( giornalisti)
    tutti scettici
    e troppo in fretta tutto fu liquidato come suicidio
    io penso al limite che fu ” indotto al suicidio”
    un altro mistero
    certo un personaggio che a differenza dei capitalisti ( che come saprai detesto dal piu’ profondo dell’anima) sapeva suscitare una certa umana simpatia

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