Scacchi, campioni e meditazioni

Scritto da:  | 3 Dicembre 2013 | 143 Commenti | Categoria: Attualità, Campionati Italiani, Nazionale

Via degli Scacchi numero 73 13 (Danyyl Dvirnyy, bravissimo vincitore dell’ edizione numero 73 del Campionato Italiano Assoluto)

Però, però (dicevamo l’ultima volta) …… complimenti al Campione Italiano 2013, meritatissimo è il suo titolo, complimenti a tutti i contendenti che hanno battagliato a viso aperto e che ci hanno mostrato momenti di vera maestria. Complimenti a chi, con attenzione e dedizione, ha contribuito alla buona riuscita del Torneo, dagli arbitri ai rappresentanti della FSI, presenti e disponibili in ogni momento della manifestazione.

Però, però …… bel Torneo combattutissimo, sì, sicuramente, ma non un’adeguata risonanza (come da un secolo ormai mi sembra che accada) fra i cittadini e i mass media. E pubblico (quello dal vivo) quasi inesistente, purtroppo, se escludiamo una dozzina circa di “soliti appassionati noti”. E poi …. la discutibile scelta di una sede (un albergo) piuttosto decentrata e isolata e di una sala gioco curiosamente “sampietrinata” e appiattita a mo’ di garage (?) ….

Ho atteso circa cinquant’anni per vedere qui a Roma una finale di Campionato Italiano. E sono contento per me e per gli appassionati, sì, ma, contemporaneamente, amareggiato. Perché? Metà di quei pochi “soliti appassionati noti”, presenti fisicamente presso la sede di gioco, erano le stesse amabili persone che frequentavano i circoli e i tornei quando io mi occupavo con assiduità di scacchi sul territorio romano, ovvero trent’anni fa.

Mi chiedo se sia proficuo, per quello sviluppo e quell’esplosione popolare del nostro gioco, esplosione che tutti (mi auguro) auspichiamo avvenga una buona volta anche qui in Italia, “accontentarsi” che i nostri bravi campioni “accontentino” i soliti addetti ai lavori (cioè noi e le nostre personali egoistiche piccole attese scacchistiche), per di più in un momento in cui, come ci ha ricordato in questi giorni un interessante e riuscito Convegno, “Il disagio giovanile e gli scacchi: una risposta al bullismo” (tenuto qui a Roma in Campidoglio e ben organizzato proprio da “Lazio Scacchi” ed altrettanto ben diretto dal suo attivissimo Presidente Paolo Lenzi), in tanti riconoscono agli scacchi un notevole potenziale nel contrastare quei negativi fenomeni comportamentali sempre più diffusi fra i giovani in questi ultimi anni/decenni (in Italia fra il 10 e il 25% dei ragazzi fra i 9 e i 17 anni compie o subisce atti di bullismo).

Potenziale, si è detto, in effetti quasi soltanto potenziale, per ora, benché alcuni interventi di notevole spessore (in particolare quelli di Roberto De Benedittis di “Libera” e di Giuseppe Sgrò, psicologo milanese autore del volume “A scuola con i Re, educare e rieducare attraverso il gioco degli scacchi”) lascino la porta aperta per ben sperare per il futuro, un futuro in cui si possa parlare di scacchi come di uno sport e di un’attività finalmente e largamente popolare.

Campioni e meditazioni 3(Paolo Lenzi e Giuseppe Sgrò)

Di conseguenza, quale significato e valenza può avere “accontentarsi” del bel gioco in questi Campionati Italiani, “accontentarsi” di una valida macchina operativa e “accontentarsi” di sapere che molti interessati seguono sul sito la diretta delle partite, quando poi la manifestazione non sfonda per l’ennesima volta nell’ambiente sportivo e popolare, romano e nazionale, e non se ne parla quasi per niente al di fuori del consueto giro di circoli e blog e utenti di internet? All’esterno dell’albergo ospitante neppure c’era la più scarna indicazione sulla manifestazione, nulla di nulla … tanto a che sarebbe servita …. chi voleva sapere già sapeva ….. Ma non è così che si trovano nuovi adepti, non è così che il movimento può crescere. Non è così!

Parimenti, e mi permetto un momento di allargare le mie riflessioni, che senso ha adoperarsi e “investire” (?) per schierare con la bandiera tricolore l’attuale numero 6 al mondo, l’eccellente Fabiano Caruana, se poi agli occhi di quasi tutti in Italia (soliti “addetti ai lavori” a parte) sarebbe la “stessissima” cosa se il primo italiano al mondo fosse il numero666 delle classifiche internazionali? A me piacerebbe che i conduttori televisivi, quando (“semel in anno”) accennano agli scacchi, la smettessero di accennarne guardandoci in maniera strana come si guardano alcune specie di animali rari o preistorici (e attenzione: gli animali rari prima o poi si estinguono ….)

Quali sono, mi chiedo, gli obiettivi e le azioni prioritarie di chi in Italia ama gli scacchi e vorrebbe (come vorrei utopisticamente io, e fortunatamente non soltanto io) che a scacchi si giocasse quasi in ogni casa, in ogni famiglia, in ogni scuola, in ogni piazza, in ogni strada?

Dovendo scegliere una priorità, mi domando se sia più importante vedere la nostra bandiera tricolore sul podio Olimpico e nella finale di un mondiale (e così godere di maggiori finanziamenti tesi probabilmente a migliorare ancor più quei podi e la soddisfazione degli addetti ai lavori) o vedere il gioco degli Scacchi fra gli strumenti protagonisti e vincitori nella prevenzione e lotta al “bullismo”.

Cosa è prioritario per noi?

E non mi si dica che si possono raggiungere insieme entrambi gli obiettivi o che si tratta di due cose diverse. Dalla scelta di un primario obiettivo non si può prescindere. Mai. Tanto più laddove, come negli scacchi, non scorrono fiumi di euro.

Vincendo un mondiale non si debellano o attutiscono automaticamente le malattie della società e i problemi dei giovani (calcio docet), mentre, al contrario, debellando le malattie della società giovanile, anche attraverso gli scacchi per quel tanto che è realizzabile, si possono (oltre all’inestimabile risultato in sé), porre le basi e i presupposti, grazie ad una diffusione ben più ampia del nostro gioco, per essere nel tempo ancor più competitivi nelle principali manifestazioni internazionali.

Questo si chiama investimento. E ciò senza dover ricorrere a bravi e simpatici ragazzi importati ogni tanto da Miami o da Madrid.

Al fine di raggiungere i risultati da me e da molti altri auspicati, sono convinto che si dovrebbero radicalmente rivisitare gli attuali indirizzi e metodi: non più o non soltanto spingere i bambini verso gli scacchi e dentro i circoli, non più o non soltanto sensibilizzare gli istituti scolastici, non più o non soltanto blandire quei fortunati ragazzi che hanno genitori già coinvolti e dotati, ma, al contrario, portare noi gli scacchi in mezzo ai bambini e ai ragazzi, indistintamente in mezzo a tutti, ad iniziare dalle sfortunate e dimenticate periferie delle grandi città. Senza aver faticosamente così seminato non si raccoglierà nulla, oppure si raccoglierà soltanto per un’effimera stagione.

In questo senso, degli ottimi esempi di “seminatori” da seguire ce li abbiamo avuti, altro che se ce li abbiamo avuti. Basta avere il coraggio e l’umiltà per imitarli, oggi più di ieri, sapendo mettere da parte finalità diverse e, forse qualche volta, interessi personali o di bottega.

Un ottimo esempio è stato in passato, per restare unicamente alle mie conoscenze nella regione, il grande e indimenticato Ascenzo Lombardi (meritorio, da parte della “Lazio Scacchi”, averlo ricordato attraverso un “Memorial” a lui intitolato). Un altro ottimo esempio è stato in questi anni, ad Ostia e sul litorale laziale, Alessandro Pompa. Così come lo sono stati, a Frascati e non solo, Lucio Rosario Ragonese e Carla Mircoli.

 Campioni e meditazioni 2

(Lucio R.Ragonese)

In Italia non servono 5 o 10 Grandi Maestri in più: non ce ne facciamo nulla (per la miseria, nulla!), assolutamente nulla, di 5 o 10 o 20 grandi maestri in più. I titoli in sé non cambiano di una virgola i giocatori e il successo del gioco, e il significato del gioco, e il rilievo del gioco, in Italia.

Il movimento scacchistico italiano non dovrebbe troppo  mostrare di accollarsi, come primo obiettivo, le ambizioni, tirando loro la volata, di un gruppetto di aspiranti a poco significativi, e forse talvolta neppure troppo meritati, titoli internazionali.

Il movimento dovrebbe invece, finalmente e prioritariamente, farsi carico di affiancare, con energia e convinzione, coloro che, personaggi interni od esterni al movimento stesso, hanno giustamente individuato nel nostro sport uno di quelli che avrebbe le caratteristiche e gli elementi atti a svolgere una positiva ed incisiva missione all’interno di una società che di strumenti come gli scacchi avrebbe, oggi come mai, assoluto bisogno per tentare di guarire alcuni dei suoi troppi mali. Alla fine, dopo aver così seminato, sarebbe l’intero movimento a raccoglierne i frutti, a tutti i livelli.

Basterebbero 20 Lombardi e 20 Pompa e 20 Ragonese in giro per la Penisola, affinché, con l’indispensabile e fattivo appoggio delle istituzioni sportive, si riesca a cambiare radicalmente il destino e la posizione degli Scacchi nel nostro Paese.

 Campioni e meditazioni 1(Alessandro Pompa fra i bambini di Ostia)

Se ciò non avviene ancora, e se non avverrà mai, sarà inutile cercare dei responsabili, che infatti qui non sto assolutamente cercando né indicando per vie sottintese o subliminali: la responsabilità ci coinvolge, infatti, un po’ tutti e affonda le sue radici maledette in quel modo tradizionalmente diffuso di agire (spesso di non agire) e in quei negativi modelli sociali che in Italia, in quasi tutti settori, hanno scoraggiato e represso (in particolare da venti anni a questa parte) iniziative, ricerche, sacrifici e lungimiranti investimenti, in favore di futili ma appariscenti piccoli successi, mediatici e immediati e sempre di breve respiro. Chi è partecipe di questo, a volte neppure se ne rende ben conto.

separator4Giorni fa, proprio di ritorno dal terz’ultimo turno del CIA, ho incontrato in autobus Gaetano, grande ammiratore di Bobby Fischer e anni addietro vincitore di un campionato sociale dell’istituto nel quale lavoravamo. Lui non sapeva nulla del Campionato, nulla aveva letto sui giornali, nulla ha saputo dalla TV. E di questo era piuttosto dispiaciuto. “Beh, un’altra occasione persa -mi ha detto- “per mostrare ai miei figli i migliori giocatori che abbiamo in Italia”.

Gaetano mi chiedeva tra l’altro: “Mi sai dire perché non si è giocato in uno degli innumerevoli e spaziosi saloni dei tanti palazzi pubblici di cui gode il Centro storico di questa magnifica ed eternamente complicata città? E con più pubblicità e più pubblico? E poi perché spender soldi inutilmente per un albergo?”. “Mah! Che dire?” -gli ho risposto– “riguardo l’albergo forse è andata meglio così per i giocatori ..….” “E beh?”- mi ribatteva lui– “che forse in altri sport, in tutto il mondo, si giocano le finali all’interno dello stesso albergo in cui hanno preso alloggio i giocatori?”.

Sì, stridente in effetti mi appare il contrasto. Da una parte noi amici degli scacchi abbiamo coscienza delle fantastiche possibilità che hanno gli scacchi come scuola di vita. Nel corso del Convegno che ho prima citato si è ricordato infatti come lo sport sia non solo divertimento e passione, ma anche insegnamento, insegnamento di lealtà e correttezza, del rispetto delle regole, del rispetto degli altri. Si è detto che i giovani non sono solo gli sportivi di domani, ma soprattutto gli uomini e le donne che formeranno domani la società civile. E si è sottolineato come la funzione di ogni disciplina sportiva sia particolarmente rilevante in un momento storico in cui, per varie ragioni (che qui non è il caso di esaminare) i miti dei giovani sono diventati la facile ricerca del successo e del denaro, a tutti i costi, e per questa via la prima azione del ragazzo consiste spesso nella sopraffazione dell’altro, visto come un nemico fastidioso da intimorire o cancellare, specie se straniero, se umile, se disabile. E questi miti negativi sono quasi sempre spalmati sui giovani dalle stesse famiglie, sovente incapaci di indirizzare i propri ragazzi verso modelli di comportamento positivi.

Il gioco degli scacchi avrebbe, ancor più di altri sport, le caratteristiche ideali per inserirsi nella società con i suoi valori: la capacità di far conoscere il senso del limite, di “incanalare la propria aggressivitàin forme socialmente accettabili”, di arginare la conflittualità interiore e “regolare l’impulsività”, “superare le frustrazioni dopo un insuccesso” (Eleonora Di Terlizzi), di esprimere la propria creatività, di “evolvere la propria personalità indirizzandola verso scelte corrette anziché scorrette” (R. De Benedittis), la dignità di essere e sentirsi ad armi pari di qua e di là di una scacchiera, di prendere coscienza dei confini dello spazio e del tempo, di non limitarsi a sviluppare il solo “modello risultato”, eccetera.

Luca Massaccesi, medaglia olimpica nel 1992 e oggi Segretario Generale dell’Osservatorio Nazionale Bullismo e Doping, ha evidenziato, nel suo intervento in occasione del Convegno stesso, quanto sia anche importante, per il buon esito delle nostre iniziative sul campo, portare di persona campioni ed ex campioni in mezzo ai giovani, farli parlare con i giovani, farsi guardare dai giovani, quasi “toccare” dai giovani, rispondere alle domande dei giovani, per emozionare i giovani attraverso una comunicazione diretta e non virtuale, per mostrare ai giovani come i campioni non siano dei superman inarrivabili, ma persone normalissime, semplici come loro, e quindi esempi positivi da poter senz’altro imitare e seguire.

Rieccoci quindi allo stridente contrasto: noi scacchisti in questi giorni non abbiamo avvicinato i nostri scacchi alla città, abbiamo invece portato i nostri dodici splendidi campioni a giocarsi il massimo titolo lontano dagli sguardi dei più, lontano, dietro le fradice colline di Monte Mario, prigionieri più o meno inconsapevoli di un’ovattata torre eburnea dove il silenzio era assordante e il futuro nebuloso ….

Campionato Italiano numero 73. Sì, dispiace dirlo. Gaetano non ha torto: è stata l’ennesima occasione perduta.

Riccardo Moneta (Marramaquìs), Roma 3 dicembre 2013

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143 Commenti a Scacchi, campioni e meditazioni

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    paolo bagnoli 3 Dicembre 2013 at 23:00

    Caro Riccardo, condivido quasi tutto ciò che tu dici, con un accorato appello a… a chi?
    Come non mi stancherò mai di ripetere, dal basso dei miei settantadue (quasi settantatre) anni, ormai viviamo in una società che, nell’ultio quarto di secolo, si è evoluta in senso (per me) negativo: una società che premia il furbo, il trafficone, una società che premia l’ APPARIRE più che l’ ESSERE, una società ispirata al principio del “o con me o contro di me”, un principio che è l’antitesi di una società “civile”.
    In una società del genere gli scacchi sono come i tradizionali vasi di coccio in mezzo ai vasi di ferro. Fino a quando non si verificherà un profondo rivolgimento e progresso non solo culturale me anche informativo (li senti i vari telegiornali?, che sono infarciti di notizie ridicole e deformate) sprofonderemo sempre più nel letame, prodotto ed alimentato dalla società stessa. Fino a quando la notizia di un calciatore che ha messo incinta una velina apparirà nei telegiornali non ci sarà speranza alcuna. Fino a quando la POLITICA, intesa nel senso più nobile del termine, non si sarà spersonalizzata (“o con me o contro di me”;), saremo circondati dal letame imperante. Fino a quando la REALTA’ verrà deformata, distorta, occultata, INVENTATA, resteremo nel letame, e non ci sarà Berlusconi, Renzi, Grillo, Letta, Napolitano o Chiccazzovipare che tenga (ogni riferimento a persone esistenti è volutamente casuale).
    Siamo nel pieno di una crisi culturale e sociale che NON AMMETTE gli scacchi intesi come corretta sfida ad armi pari secondo regole ben precise da osservare non tanto per rispetto del codice ma per rispetto di se stessi, le sfide ad armi pari non possono esistere, non esistono più. Forse tra un paio di generazioni le cose saranno cambiate, lo spero per i miei nipoti visto che in peggio non possono cambiare, ma fino a quando accetteremo inezie come le “tabelline” recitate, i congiuntivi sbagliati, le università affollate di candidati alla disoccupazione od alla raccomandazione, le oscene trasmissioni defilippiche, le trombonate “politiche”, gli inutili e ridicoli appelli alla “coesione”, il Belpaese che ad ogni acquazzone continua a squagliarsi e via vomitando, gli scacchi non godranno di piena cittadinanza e gli scacchisti saranno rinchiusi da parte di questa società in un serraglio da osservare, di tanto in tanto, con un misto di curiosità e di benevolo stupore.
    E’ qualunquismo? Chiamalo come ti pare. Resta il fatto che questa è LA REALTA’.

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    Mongo 4 Dicembre 2013 at 00:19

    Quando decisi di partecipare ai mondiali di Dresda, riservati agli scacchisti disabili, scrissi due righe alla Federazione solo per informarla del fatto, ma non ricevetti alcuna risposta. Nemmeno un lapidario: “Resta a casa che ci fai fare solo brutte figure!”.
    E siamo di nuovo al punto di partenza: un cane che si morde la coda!
    L’addetto stampa della federazione esiste? Cosa fa? Ha inviato comunicati sul CIA ai media nazionali? Facciamoci del male da soli!! 😈

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    Brunov 4 Dicembre 2013 at 06:40

    Scusa, Marramaquìs, se cito una tua citazione, ma essa mi ha fatto pensare molto.
    Si tratta di quella della scrittrice tedesca Hannah Arendt (“La banalità del male”;): “Il male può invadere e devastare tutto il mondo perché cresce in superficie come un fungo. Esso sfida il pensiero, perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità, andare alla radice, e nel momento in cui cerca il male, è frustrato perché non trova nulla. Questa è la sua banalità… solo il bene ha profondità e può essere integrale”. Quindi il male è sempre banale e la banalità è sempre un male. Purtroppo da molti anni, in Italia (e non solo) impera la banalità. E questa banalità piace molto a molti italiani, come piace chi, uomo pubblico, l’ha sempre rappresentata e continua a rappresentarla ancora adesso. Come pure piacciono gli hamburger di McDonald, o il Corriere dello Sport, o le canzoni di Sanremo, o le trasmissioni TV di Maria De Filippi, o le borse di Fendi, o gli Acqua-Gym che invadono le nostre belle spiagge, o personaggi rampanti come la Minetti o la Pascale.
    Per questi motivi da noi gli scacchi, con la loro PROFONDITA’, non interessano.

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      Franco Trabattoni 4 Dicembre 2013 at 10:31

      Complimenti, bellissimo articolo. Quello che mi più mi ha colpito – si può ancora dire, in questo modo così pragmatico, senza rendersi ridicoli? – è lo slancio morale, davvero commovente, che traspare da ogni riga. Sul contenuto ho solo due piccoli commenti. In una società come la nostra, in cui l’analfabetismo culturale è tra i più alti fra i paesi occidentali e il rispetto pubblico per istruzione e ricerca è sotto la suola delle scarpe, come stupirsi che un’attività intellettuale, e indubbiamente impegnativa, come gli scacchi goda di scarsa popolarità? Il secondo commento riguarda l’unico punto di (parziale) disaccordo. Non sono convinto che per la diffusone del gioco non sia utile anche qualche decina di grandi maestri in più (ovvero, per dirla nel termini di Punta Arenas, una élite più consistente). Consideriamo il caso della Francia. Quando giocavo io, negli anni ’70, era una nazione scacchisticamente depressa. Quando Aldo Haïk (credo che fosse il 1977) diventò maestro internazionale era in assoluto il secondo (dopo Muffang) di tutta la storia degli scacchi francesi; e l’evento fu così memorabile che Haïk scrisse anche un libro per celebrarlo (“Quatre tournois pour un titre”;). Trentacinque anni dopo in Francia ci sono decine e decine di GM, alcuni dei quali di assoluto livello, e grazie loro la Francia è attualmente la quarta potenza scacchistica mondiale. Contemporaneamente gli scacchi in Francia oggi sono molto diffusi, soprattutto fra i più giovani, e mi pare anche di aver letto da qualche parte (ma chi sa le cose meglio di me mi corregga) che questo paese è secondo, dopo l’India, per numero di giocatori “rated”. Ora, chiedersi quale dei due fenomeni è la causa e quale l’effetto sarebbe ozioso più o meno come chiedersi se è nato prima l’uovo o la gallina. Perché se anche è vero che all’inizio una cosa precede l’altra (questo ad esempio è quello che è successo in India, dove l’elemento trainante è stata la presenza di un campione; mentre in Francia ho motivo di credere che sia successo il contrario), poi si innesca subito un virtuoso meccanismo di feedback, per cui i due fenomeni si rinforzano, indistiguibilmente, a vicenda. Più in generale – e mi riferisco anche ad interventi di altri amici – io credo che per chi come noi abbia a cuore lo sviluppo e la diffusione degli scacchi in Italia un approccio inclusivista, diciamo alla Veltroni (“si deve fare questo, ma anche quello”;), sia più proficuo e più produttivo di un approccio esclusivista (“si deve fare questo, e non quello”;). Salvo poi, come giustamente scrive Marramaquis, verificare di volta in volta quali sono le priorità più urgenti.

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        Jas Fasola 4 Dicembre 2013 at 16:06

        Qualche informazione su che cosa e’ successo e sta succedendo in Francia da una intervista del 2009 alla vicepresidente della Federazione Joanna Pomian.

        “Alla Federazione francese lavorano dieci persone a tempo pieno e ognuna e’ piena di lavoro”, “gli scacchisti e i dirigenti della Federazione hanno spesso attese diverse… una persona che ci ha aiutato molto nelle nostre relazioni con gli scacchisti e’ stato il GM Lautier. Tuttavia a causa della sua carriera nel business ha dovuto rinunciare a una attivita’ regolare. Non e’ solo un eccellente scacchista, ma anche una persona estremamente interessante e portata verso i media, sa contagiare gli altri con l’amore verso gli scacchi. Adesso purtroppo non abbiamo piu’ tali scacchisti. Anche se hanno un livello di gioco simile a Joel sono molto meno consapevoli dell’importanza dei media o dell’importanza dei contatti con politici o businessmen. Sono concentrati su se stessi”.

        Poi dice che l’impegno maggiore della Federazione e’ l’organizzazione dei campionati juniores (1200 partecipanti) e che grazie a un accordo con il Ministero dell’Educazione gli scacchi sono entrati nelle scuole che lo desiderano. Comunque secondo lei gli scacchi nelle scuole non servono per trovare campioni, per questo ci sono i circoli.

        “Gli scacchi in Francia, purtroppo, nonostante abbiamo molti giocatori tesserati, non sono ancora visibili sui media nazionali… comunque lottiamo, cerchiamo sempre di attirare i media, seppure locali… badiamo anche a far conoscere gli scacchi alle persone che di solito non possono avere contatto con loro – diversamente abili, ospitalizzati e carcerati”.

        In Francia ci sono due tessere – per giocatori e amatori. La seconda costa molto poco 3 oppure 6 euro. Grazie a questo abbiamo circa 50.000 tesserati in totale”.

        Poi racconta come siano difficili i rapporti con gli altri sport e due progetti (forse gia’ realizzati?): i campionati tra scuole su internet e un canale su internet dove inserire films sugli scacchi in Francia.

        Un anno dopo questa intervista Joanna trova sul telefonino che aveva prestato centinaia di sms verso la Russia, dove si tenevano le Olimpiadi, con mosse in codice…

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    liviana 4 Dicembre 2013 at 10:35

    concordo con marramaquis. Ricordo che ai miei tempi gli scacchi erano considerati un gioco d’élite, i ragazzi “del popolo” preferivano sfidarsi sulla strada e non intorno ad un tavolo. Ritengo, invece, che sia un gioco molto formativo e soprattutto in questi tempi in cui l’esigenza competitiva dei giovani si possa convogliare più verso un atteggiamento ragionato e non solo “dietro ad un pallone”. Perchè, dunque, non tentare di entrare nelle scuole, magari solo per stimolare i ragazzi a sfidarsi e premiare i più bravi, più o meno come si fa per i tornei nazionali ed internazionali?

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    enrico cecchelli 4 Dicembre 2013 at 15:59

    Caro Marramaquis e amici tutti di solo scacchi.Non intervengo spesso in discussioni e men che meno in diatribe innescate sul sito perché sono per il “profilo basso” e perché credo esistano persone più qualificate e competenti di me , almeno in ambito di politica scacchistica ( intesa come implementazione, miglioramento o razionalizzazione delle risorse e pubblicizzazione del gioco). Condivido ovviamente ( come potrebbe essere diversamente! ) quanto detto da te e Bagnoli ma voglio fare un rilievo che poi non fa altro che sottolineare quanto riportato nell’articolo sulla grande importanza dell’impegno personale di taluni ( sempre troppo pochi ) a livello di volontariato, in contrapposizione a ciò che invece ci si aspetterebbe dagli organi istituzionali ( scacchistici e non ) . Voglio fare un solo esempio ( che non è certamente la ricetta-panacea ) e posso anche sbagliarmi, ma ricordo quando avevo qualche decina di anni in meno che spesso in occasione dei tornei di maggior prestigio e anche come iniziativa a sé stante, venivano organizzate SIMULTANEE e talora ESIBIZIONI ALLA CIECA. Ricordo che anche personalmente nel mio piccolo nel paese in cui vivo, mi prestai volentieri a simili esibizioni sempre seguite con grande interesse e curiosità dai non addetti ai lavori anche nell’ambito di sagre estive e manifestazioni di altro tipo, possibilmente all’aperto quando il tempo lo consentiva. Non sono in grado ovviamente di valutare la ricaduta effettiva di quanti tra gli astanti abbiano poi voluto imparare il gioco o iscriversi ad un circolo, ma credo che la curiosità e la spettacolarizzazione del nostro gioco siano un richiamo ed un punto di partenza imprescindibili per ogni politica di divulgazione del gioco. Anche Capablanca, Flohr, Alekhine, restarono affascinati e si avvicinarono per la prima volta al gioco dopo una simile esperienza. Purtroppo oggi non vedo e non leggo più iniziative di questo tipo ( o ben raramente … ) . Ricordo che io mi proponevo durante le varie manifestazioni e sagre estive e gli organizzatori erano ben contenti di poter avere un evento collaterale in più a costo zero e senza nessun onere visto che io mi incaricavo di portare anche orologi e scacchiere. Capisco benissimo che è riduttivo e semplicistico focalizzarsi unicamente su tali piccole cose ma spero di essere riuscito a fare arrivare lo spirito del mio intervento.

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    INSALA' 4 Dicembre 2013 at 20:16

    …inutile girarci intorno.Gli scacchi devono entrare nelle SCUOLE di ogni ordine e grado come componente ORGANICA e non come “trastullo”.E vista la sua vocazione multi-disciplinare ed inter-disciplinare anche nelle UNIVERSITA’ come Attività Didattica Elettiva. Altre strade sono poco percorribili per il semplice fatto che il Belpaese è culturalmente e socialmente MORTO. In questo frangente storico l’Italia non è un paese per scacchisti!

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      Сиби́рь 5 Dicembre 2013 at 14:44

      Insegnare gli scacchi nelle scuole ?
      Non serve assolutamente a nulla se organizzato a ‘mo di corso scolastico, il risultato finale sarà nel 99.99% dei casi le risposte in stile mio nipote (“Gli scacchi mi fanno schifo”;) perchè saranno visti come la solita materia sussidiaria da seguire come riempitivo per arrivare a fine giornata, come l’ora di religione dei vecchi tempi quando arrivava il prevosto,il parroco oppure il tizio o la tizia di turno precari che accettavano un così triste incarico ; certo, poi qualcuno che potenzialmente era interessato alla lezione c’era, ma credo fossero la netta minoranza….
      Se invece sono organizzati in maniera piacevole, divertente e ludica da gente che ha una vera passione per l’insegnamento e soprattutto capacità di suscitare attenzione , è ovviamente molto diverso.
      Un esempio fra tutti : Nicola Palladino , modestissimo giocatore agonista ma grandissimo divulgatore del gioco, come molti ben sapranno .
      Altri tempi ? Certo, ed eravamo ancora sotto l’influsso del match Fischer-Spassky .
      Ma anche altro tipo di personaggio, e ben altro carisma .

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    delpraub 4 Dicembre 2013 at 20:56

    Bravo Riccardo.
    Post molto accorato e in gran parte condivisibile. Sono anche molto d’accordo con il post di Paolo Bagnoli.
    Io sono fuori dal giro degli scacchi agonistici da più di 25 anni e non so dire quanto le cose siano cambiate dagli anni 80, ma di certo mi ricordo che di iniziative ce ne erano (ed erano praticamente tutte in remissione). Mi ricordo l’anno in cui ho insegnato alle scuole medie grazie alle insistenze di Ascenzo Lombardi ed alla collaborazione della madre di Folco Ferretti. Come ultima lezione portai tutti i ragazzini allo Steinitz. Non certo per merito mio, ma quell’anno entrarono al circolo Ferretti, Malloni, Stavru e Chiaretti. Una coincidenza di sicuro (ci sono annate buone e annate cattive), ma forse non troppo.
    Rimane la domanda di fondo che pone Paolo: a chi indirizzare questa disperata richiesta di cambiamento culturale politico?
    Quello che più mi sembra mancare a livello generale in Italia sia una strategia, su qualunque cosa. In questi nostri giorni, tutto è tattica, anzi, pre-tattica. Scambiando battaglie feroci sul nulla in battaglie epiche sui fondamenti della vita sociale. Quando piani semplici e misurabili (da contadino per intenderci) risulterebbero molto ma molto più efficaci e condivisi. E forse (ma manco dagli scacchi da troppo tempo per poterlo affermare) questa sorta di miopia impedisce a chi guida il mondo degli scacchi italiani di investire sulla promozione di una più larga base.
    E’ vero che gli scacchi sono un qualcosa difficile da proporre e far accettare ai più, ma vi assicuro che i ragazzi sono molto, molto ricettivi ed entusiasti verso un gioco impegnativo e che sfida le loro capacità. Certo, rapidamente l’aspetto competitivo rischia di prendere il sopravvento, ma introducendo alcuni aspetti estetici e divertenti (ad esempio studi e combinazioni dove non perde nessuno), è possibile mantenere vivo l’interesse.
    Diciamo anche che in Italia non è mai successo, in nessuno sport, che un campione di livello mondiale (Mennea, Panatta, Tomba, Chechi, …) sia stato in grado di creare un movimento che coinvolga la base a parte la voglia di imitarne i successi senza condividerne il duro lavoro. Come se tutto fosse sempre delegato al puro talento (e, quindi, al caso) e non al lavoro. In Spagna sfornano campioni di tennis (ma anche di calcio, se per questo) in continuazione, mentre noi cerchiamo i talenti naturali e poi li lasciamo andare da soli. Caruana è un caso assolutamente isolato e neanche radicato nelle attività scacchistiche italiane: l’effetto traino è pressoché nullo, secondo me.
    A mia memoria, l’unico sport che in Italia ha avuto un successo sia in termini di quantità che di qualità è la pallavolo. E non per caso, secondo me. Come prima cosa è uno sport di squadra, dove il primo comandamento è “prendersi le proprie responsabilità” nei confronti della squadra. Uno degli insegnamenti basilari è non dire mai”tua”, ma chiamare la palla, anche a costo di intervenire in due. Da questa base, si costruiscono poi la tecnica, gli schemi, lo solidità mentale, il rispetto delle decisioni arbitrali e così via. Senza, per altro, avere bisogno della sopraffazione fisica dell’avversario. Sulla scia di una “vendemmia” fortunata di giocatori è stato costruito un movimento che è da sempre stato capillare a livello scolastico, ma che adesso è anche in grado di convogliare i ragazze nelle squadre. Poi la statistica fa il suo lavoro e produce quei giocatori di alto livello che da quasi 25 anni ci fa stare ai primi posti mondiali. Forse è quello che è successo in Francia per gli scacchi, non so, ma di certo in Italia siamo molto, molto indietro.

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    paolo bagnoli 4 Dicembre 2013 at 21:11

    Lieto di sapere che Enrico Cecchelli sia d’accordo con le osservazioni di Marramaquis e mie. Sono, comunque, riflessioni sulla realtà della situazione, una realtà che rappresenta l’attuale disfacimento sociale.
    Alla mia età ricordo i tempi della “Cortina di Ferro” che, per lavoro o per turismo, superai alcune volte. Paesi sostanzialmente poveri ripetto al nostro standard di allora, ma che, usciti dallo schiacciante impero sovietico, hanno conservato alcune cose che proprio brutte non mi sembrano.
    Ho due figli (il 50 %) che, per lavoro, conoscono Polonia e Repubblica Ceca, e che mi descrivono Paesi nei quali, quando hai bisogno di un certificato o di qualche documento “pubblico”, non devi nemmeno fare la fila, ma soltanto attendere un paio di minuti, dove l’assistenza sanitaria è di buon livello, dove i dipendenti dello Stato si sentono innanzitutto dipendenti dei cittadini, dove le scuole funzionano abbastanza bene. Poi, in coda, arrivano i difetti, che sono tuttavia accettabili visto il buon funzionamento della macchina statale.
    L’Italia, da tale punto di vista, è agonizzante.
    Scusandomi per la lunghezza dell’intervento, passo ad esaminare più da presso l’argomento “scacchi”, al quale non sono comunque estranee le considerazioni di cui sopra.
    Il latino, una materia che, al di là del mero nozionismo, abituava a parlare correttamente la nostra lingua (e diverse lingue straniere) e, soprattutto, abituava a RAGIONARE, a sviluppare una mente LOGICA (chi ha la mia età probabilmente ha capito il valore fondamentale dell’ ANALISI LOGICA, premessa indispensabile per addentrarsi nei meandri della lingua di Cicerone).
    I Paesi slavi non avevano la necessità – a parte alcune nicchie culturali del tutto trascurabili – di studiare il latino, le loro strutture semantiche erano diverse, e la grande intuizione dei primi governi sovietici fu quella di INSEGNARE GLI SCACCHI a livello scolastico. Fu anche una grande intuizione di carattere politico, come elemento aggregante di giovani, di gruppi di lavoratori, eccetera, ma essa alla fin dei conti ebbe il merito di sviluppare una generazione di giovani PENSANTI, slogan propagandistici a parte.
    Oggi che il latino, nelle nostre scuole, viene sempre più guardato come una rottura di scatole (fatte le debite eccezioni minoritarie), forse gli scacchi potrebbero dare una mano, non solo in senso di sviluppo sociale.
    Forse ho fatto un po’ di casino, ma spero di aver atto capire come la penso.

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      marco 6 Dicembre 2013 at 19:41

      Non vorrei innescare una polemica politica in quanto la mia intenzione è tutt’altra ma leggendo al termine del precedente intervento “giovani PENSANTI” mi sono chiesto: siamo sicuri che il regime sovietico avesse interesse a coltivare una generazione di giovani pensanti? In fondo era un regime totalitario e un regime simile (di qualsiasi colore politico sia ovviamente) ha interesse solo a perpetuare se stesso, più interessato a “distrarre” le persone che a farle pensare.
      Sotto questa luce gli scacchi diventerebbero una sorta di “droga sociale” funzionale al mantenimento del potere (anche in 1984 di Orwell se ben ricordo gli scacchi erano tollerati dal regime).
      Ovviamente questo vale soprattutto per gli sport di massa mentre per gli scacchi può eventualmente essere stato vero solo in quel particolare momento storico e in quel contesto culturale dove gli scacchi erano comunque abbastanza popolari.
      Questa riflessione però mi ha portato a interrogarmi sugli aspetti potenzialmente negativi degli scacchi.
      Noi appassionati diamo spesso per scontato che gli scacchi siano un gioco (o sport) divertente ed educativo con possibilità anche di appagamento artistico e tutt’al più si discute su quale di questi aspetti sia da considerare prevalente sugli altri.
      E i difetti degli scacchi?
      Premesso che io gli scacchi li adoro, mi divertono tantissimo ed ho dedicato, quando il lavoro e la famiglia me lo consentivano, tantissimo tempo ed energie ad essi (indipendentemente dai risultati) mi piacerebbe comunque sentire l’opinione altrui su questo argomento non molto gettonato.
      Ciao a tutti.
      Marco

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        nikola 6 Dicembre 2013 at 19:55

        intervengo per dire innanzitutto che apprezzo il modo pacato e garbato che marco ha utilizzato per ‘dissentire’ e porre degli interrogativi. il mio piccolo contributo lo posso dare dicendo che gli scacchi difetti ne hanno; credo che un loro utilizzo improprio porti ad una sorta di alienazione dagli altri, un chiudersi, un ‘arroccarsi’ nel gioco e in se stessi. inoltre mi capita spesso di osservare alcuni bambini che imbronciati e pallidi partecipano ai tornei accompagnati dai loro genitori e mi vien da dir loro: ‘suvvia vai a farti una corsa per i prati o a giocare all’aria aperta’. sulla questione ludico/politica non ho un parere preciso quindi aspetto apporti più qualificati.

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          Marramaquìs 6 Dicembre 2013 at 20:25

          Marco e Nikola introducono un tema nuovo e da non sottovalutare. Penso che su questo Blog ne parleremo appena possibile. E’ ovvio che chiunque vorrà intervenire sull’argomento potrà fornire le sue esperienze e segnalare episodi, preferibilmente indirizzando una mail a SoloScacchi@gmail.com

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    Punta Arenas 5 Dicembre 2013 at 10:16

    E IL DIVERTIMENTO?
    Sono sempre più meravigliato dalla mancanza assoluta di considerazione, E PROPRIO DAGLI “ADDETTI AI LAVORI” della comunità scacchistica, di un elemento fondamentale, per valutare la “crisi” mediatica, di popolarità, di diffusione, ecc., degli scacchi di oggi.
    Qui Trabattoni, ad esempio, continua ad insistere sul suo solito “leitmotiv” delle vittorie e dell’agonismo, ritenendo che siano stati i gm (o addirittura gli im come Haik un tempo in Francia) a trascinare la popolarità del gioco altrove.
    Altri poi (Insalà) ripropongono la solita, vecchissima “ricetta” degli “scacchi nelle scuole” (come se non li avessero già sperimentati un’infinità di volte, dagli anni ’70 in poi), che sono unicamente serviti a mettere in evidenza quei pochissimi che GIA’ erano appassionati e avevano imparato in famiglia (mentre il 99,9% degli scolari molla dopo poco).
    Altri poi hanno esposto la solita snobistica ed elitaria teoria dell’”incultura” del popolo italiano, che non capirebbe gli scacchi perché “obnubilato” da calciatori e veline.
    Eppure incredibilmente quasi nessuno (a parte Battesti, che è proprio francese, guarda caso) sembra considerare un elemento FONDAMENTALE per capire perché gli scacchi oggi non tirano.
    Mettiamola in un altro modo: via i “paroloni” (elitarismo, gratificazioni) e facciamoci una semplicissima domanda, che un bambino di 8 anni rivolgerebbe a Trabattoni, quando gli parla di “vittorie”, “gm”, ecc.
    “Mi spieghi perché dovrei giocare proprio a scacchi, e non a biliardo, calcio, tennis, nuoto, dama, poker, scala, bridge, bocce, bowling, beach volley, pallavolo, ecc., ecc.? Perché anche praticando altri sport, o giocando altri giochi, posso vincere! Perché dovrei proprio giocare a scacchi?”
    E qui immagino che Trabattoni andrebbe in crisi, perché ovviamente non avrebbe senso dire ad un bambino di 6 anni che diventando gm ottiene chissà cosa, perché NON è vero. Visto che molti scacchisti ritengono stupidi i calciatori, ci sarebbe molto da discutere al riguardo, perché – e i genitori lo sanno benissimo! – se un ragazzino ha talento per il calcio, viene chiamato dai selezionatori, e se finisce nella “primavera” e poi magari tra i 400-500 giocatori dei club di serie A, (ma al limite anche tra i 1000 della B!) può mediamente guadagnare tanto da ritirarsi a 35 anni sistemato per il resto della vita. Mentre nemmeno i 198 gm tra 2600- 2700 di elo (e quindi tra i più forti al mondo) riescono più a campare di scacchi, come tutti sanno.
    Oltre al fatto che – come tutti sanno – diventare gm NON è affatto facile, non è un traguardo realistico per creare una “massa” di praticanti.
    Ma il punto è un altro.
    Trabattoni, e molti agonisti e addetti ai lavori, non pronunciano MAI, ma proprio MAI, una parolina che invece dovrebbe essere ben presente a tutti: la parola DIVERTIMENTO!
    Perché quando parlavo di “gratificazioni degli scacchi”, era qui che volevo andare a parare:
    Domanda: ci si DIVERTE giocando agonisticamente a scacchi?
    E qui la risposta l’hanno già data le MIGLIAIA che gli scacchi li hanno abbandonati dopo averli praticati: NO!
    Non ci si diverte a giocare e vedere che poi – anche se uno ottiene una “promozione” o incrementa il suo elo – non gliene frega ormai nulla a nessuno.
    L’ho già scritto più volte, ma Trabattoni ha “glissato” come al solito, come fanno i professori quando a lezione l’allievo rivolge loro una domanda imprevista e che li mette in crisi: 30-40 anni fa anche un 2N era considerato e rispettato, al circolo e tra gli altri scacchisti, oggi nemmeno un gm è rispettato, perché le sue partite vengono “triturate” anche dall’ultimo patzer, che le infila nel computer e le “smonta” senza pietà. E mentre 30-40 anni fa tutti compravano gli Informatori, oggi nessuno li vuole, perché a nessuno interessa più l’analisi ed il commento del gm: basta mettere la partita sul computer!
    DIVERTIMENTO…
    Io nel corso degli anni ho fatto una cosa che molti, tra cui evidentemente Trabattoni (non me ne voglia, ma cito lui proprio perché è un giocatore molto qualificato, ed è anche un docente) e tanti altri NON hanno fatto: ho chiesto a CENTINAIA di persone che avevano giocato a scacchi e poi smesso, o vedevano giocare a scacchi senza però esserne “affascinati”, perché non giocavano, o avevano smesso di giocare.
    Le risposte sono state tantissime, ma tutte ruotavano attorno ad un concetto semplicissimo: giocare a scacchi diverte MOLTO MENO (o dà meno soddisfazioni) di altri sport o giochi!
    TUTTO QUI.
    E questo spiega perché tanti scacchisti (anche di buon livello) sono passati al bridge, o al poker, ecc., perché tanti che negli anni ’70 affollavano i circoli, poi sono scomparsi (tra cui mio fratello, che dopo il 1980 (quando era 3N) ha smesso del tutto di giocare).
    Perché?
    Perché nel 1975-1980 almeno c’era l’OBIETTIVO della categoria, diventare 3N o 2N dava ancora una certa SODDISFAZIONE, ti rispettavano.
    Però siccome studiare, allenarsi, prepararsi, assimilare le aperture, giocare (spesso in ambienti fumosi (circoli), o tra gente ostile, in stato di tensione nervosa) alla fine costa tempo, e le SODDISFAZIONI non sono adeguate al tempo speso, ecco che moltissimi di loro poi avevano smesso, o smettono.
    Prendiamo un altro “sport”, o disciplina: la danza moderna, che fa anch’essa parte del CONI.
    Vi siete mai chiesti come mai – grazie a trasmissioni tv popolari come “ballando con le stelle” – da “passatempo da anzianotti da balera” ha avuto un boom ed oggi i tesserati CONI sono oltre 100.000?
    Semplice: perché BALLARE DIVERTE!
    Alcuni poi hanno fatto il paragone culturale tra gli scacchi e la MUSICA CLASSICA(che richiede tempo, cultura, applicazione, sensibilità, ecc.).
    Ma il fatto è che la musica classica NON E’ ANSIOGENA, distende, è PIACEVOLE da ascoltare, arricchisce culturalmente.
    Una partita a scacchi agonistica invece NON è piacevole per la maggior parte di chi ci ha provato: c’è tensione, c’è spesso agonismo esasperato, ci si stanca, poi l’avversario si incazza se perde ed è ostile, o si esalta se vince e commenta da cretino = volendo convincere l’altro di avere vinto perché lui è un” genio” che stava sempre meglio e l’altro un deficiente che stava sempre peggio, ecc.
    Insomma, gli scacchi agonistici (per lo meno come li propongono e giocano oggi) NON possono minimamente essere paragonati alle gratificazioni che danno l’arte, la musica classica, la letteratura, la scienza, ecc.
    E non ha alcun senso dire – “eh basterebbe che la tv trasmettesse di più gli scacchi!”, perché chi dice questo non ha la minima idea di come funziona la pubblicità oggi, e i media.
    Qualsiasi pubblicitario ragiona in termini di share, ascoltatori potenziali, marketing, gradimento del “prodotto”, ecc.
    Quindi qualsiasi pubblicitario smonta in 5 secondi gli scacchi, perché si/ti chiede subito: “uhm, ma quanti giocano? E a quanti potrebbero PIACERE, oggi?”
    E siccome la risposta è presto data, perché non è certo dicendo che Carlsen è Campione del mondo, o che Marina Brunello (come proponeva Messa) è la più forte scacchista italiana che spingi chi non gioca a giocare!
    Non ci sono riusciti manco dicendo che – tanto per fare un esempio di disciplina che si vedeva in tv – i Damilano erano i più forti marciatori, perché praticare la marcia non è così divertente.
    Non basta mostrare uno sport in tv per convincere la gente a praticarlo.
    Una dimostrazione: mio fratello (agonista tra il 1976-1980) saprebbe ricostruire a memoria alcune posizioni del match Fischer – Spassky (tipo l’…Axa4 della 5°), e si ricorda benissimo (come tantissimi) chi sono Karpov e Kasparov, ma una settimana fa mi ha chiesto: “ho visto di sfuggita al tg sulla Svizzera che adesso c’è “un norvegese” che è campione del mondo”.
    “Un norvegese!”
    Ha detto proprio così!
    Era la prima volta che lo sentiva nominare, manco si è memorizzato il nome!
    E se questa è oggi la diffusione del gioco anche tra coloro che in passato l’hanno praticato agonisticamente, direi che c’è poco da stare allegri.
    Quindi, o gli scacchi (che hanno perso l’attrattiva della categoria, o dell’elo, del “mito” agonistico del gm” che funzionava negli anni ’70-’80) riescono a CAMBIARE TOTALMENTE, e a proporsi nei loro contenuti non ansiogeni e DIVERTENTI, a proporsi finalmente come un gioco BELLO e PIACEVOLE da giocare, oppure la bottega si chiude inesorabilmente, e non è illudendosi che possa ritornare l’irripetibile e unico 1972 che cambieranno le cose. Come ha scritto anche Yuri Averbach (riferendosi al match del 1992 tra Fischer e Spassky ) : “la ricerca del tempo perduto è vana!”

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      Jas Fasola 5 Dicembre 2013 at 12:12

      Sono d’accordo sul fatto che per prima cosa giocando a scacchi bisogna divertirsi, ma non cosi’ catastrofico su questo e altro 🙂

      A giocare a scacchi mi diverto e quando gioco nei tornei e’ sempre una festa (quando le prendo me la fanno, la festa 😥 ).

      Scrivi “Non ci si diverte a giocare e vedere che poi – anche se uno ottiene una “promozione” o incrementa il suo elo – non gliene frega ormai nulla a nessuno”.

      Ma perche’ prima era diverso? E se lo era non era cosi’ perche’ ci sembrava che il mondo fosse il circolo degli scacchi? Sono passati 30 anni, sai? Canali televisivi di ogni tipo, internet, sono spuntati come funghi una miriade di giochi e sport…

      “Ma il fatto è che la musica classica NON E’ ANSIOGENA, distende, è PIACEVOLE da ascoltare, arricchisce culturalmente”.
      Ottimo. Quindi la musica classica non e’ una concorrente diretta degli scacchi perche’ non ha lo stesso target (ammesso e non concesso che chi ascolta la musica classica eviti lo stress e che chi gioca a scacchi lo faccia alla ricerca di emozioni forti…;).

      Comunque se non ti diverti a giocare a scacchi perche’ perdi il tuo tempo cercando di convincere gli altri che invece si divertono? 😉

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        Сиби́рь 5 Dicembre 2013 at 16:21

        Il mondo degli scacchisti è come una persona che sa di avere una malattia, ma non vuole andare a farsi visitare perchè il dottore gli dirà esattamente di che disturbo soffre  : temono di perdere amici di una vita e di litigare fra di loro se parlano dei problemi esistenti .
        Meglio evitare e ritrovarsi fra coloro che si conoscono da una vita .

        Il classico problema degli ambienti piccoli .
        Ma è proprio questa la paura  : guardare in faccia la realtà del movimento ,e che il giocattolino diventi ancora più piccolo di quello che è in realtà.
        Per cui non solo c’è il rifiuto categorico di discutere ,ma peggio ancora vengono totalmente ignorati (e spesso anche dileggiati) tutti coloro che provano a proporre alternative , bollati come incompetenti oppure come persone animate da ostilità nei loro confronti.

        In questo caso non è mai necessario usare le tablabases per conoscere l’esito del finale : è semplicemente la storia che ce lo insegna.

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      fds 5 Dicembre 2013 at 15:06

      Mi unisco alla critica sui bei tempi andati, che ho vissuto.

      Quando i tornei ufficiali erano divisi esclusivamente per categoria (NC, 3N, 2N e così via) erano tutti esclusivamente sugli 8 turni (fino alla fine degli anni ’80, per intenderci).
      Per poter essere promossi alla categoria superiore bisognava fare 6 punti su 8 in tutti, 6,5 in quello di 1N.

      Si giocavano in realtà 6 turni.
      Dopo di essi tutti quelli che avevano ancora in ballo la promozione e/o il premio iniziavano la compravendita dei punti.
      Nelle prime scacchiere di fatto non si giocava più.
      Tutti quelli tagliati fuori da quanto sopra sparivano dal torneo.
      Nelle ultime scacchiere non c’era più nessuno. Una desolazione.

      L’introduzione dell’Elo generalizzato avrà mille difetti e controindicazioni, ma fa giocare seriamente tutte le partite di torneo, anche in ultima scacchiera l’ultimo turno.

      In tutto questo scenario non si affacciava mai e poi mai l’appassionato della partita fine a se stessa, figura a me ignota.

      All’epoca vi era l’ARCI-UISP, organizzazione parallela alla federazione sportiva, che aveva nello statuto la mera diffusione del gioco inteso come fatto educativo. Altri tempi, altri ideali.

      Non riesco a capire come sia difficile ammettere che oggi è possibile fare sia scacchi agonistici che scacchi per passatempo nella stessa struttura torneale.
      Se mi iscrivo a un torneo, lo faccio per divertirmi partita dopo partita. Il mio amico lo fa perché cerca la norma per IM. E giochiamo lo stesso Open.
      Cambia l’approccio mentale e la finalità tra noi due, ma giochiamo lo stesso torneo.

      Se mi viene voglia di fare l’agonista, mi preparo per 6 mesi e poi vado alla guerra.
      Se mi voglio rilassare a giocare invito il mio amico Oscar (o vado a casa sua), che ha la stessa scarsezza mia, ci mettiamo davanti al camino con un bicchierino in mano e passiamo la serata a picchiare sull’orologio.
      E siamo contenti come bambini il giorno della Befana.

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        Сиби́рь 5 Dicembre 2013 at 15:48

        20-30-40 anni fa non solo c’erano molti più giocatori di base, ma anche i grandi festival avevano un numero di giocatori, premi e soprattutto sponsor (tra cui le banche, che ora sono sparite) del tutto scomparsi.
         
        E se uno sport già minore, che già dava in tempi di vacche grasse premi modesti nei festival ai migliori GM (paragonandoli agli sport più importanti, chiaramente), oggi li ha addirittura ridotti del 50% e più (escluso i primi 10-15 del mondo), quello sport è almeno gravemente malato.

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        Franco Trabattoni 5 Dicembre 2013 at 19:32

        Fds, concordo in tutto: per me sei un genio. Mi hai risparmiato, almeno per ora, dei commenti che non ho tempo di fare (intendo, al lungo post di Punta Arenas, che di nuovo mi chiama in causa ben al di là di quello che ho effettivamente scritto. Faccio notare, incidentalmente, che ho smesso di giocare a scacchi con vere e proprie ambizioni agonistiche nel…1981)

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    INSALA' 5 Dicembre 2013 at 16:21

    …Punta Arenas continua a battere il chiodo sul DIVERTIMENTO.Allora, chiariamolo questo concetto una buona volta:gli scacchi sono un gioco facile da imparare ma difficile da padroneggiare.Più si studia,più si padroneggia,più ci si diverte.Proprio per questo gli scacchi,quelli veri con tutti i crismi, saranno sempre rinchiusi in un enclave perchè intrinsecamente ostici.E,poi, basta parlare di scacchi come sport perchè non lo sono.Il punto non è creare giocatori o agonisti di alto livello(chi se ne frega!!) ma diffondere la CULTURA SCACCHISTICA in tutti gli strati sociali. Scacchi&Scuola (non è mai stato fatto in Italia!) s’intende inserire il gioco nei programmi di studio sfruttando le straordinarie capacità di TRASPOSIZIONE (non delle aperture,ovvio!). Matematica,Letteratura,Filosofia,Arte,Musica, educano alla PLASTICITA’;capire quando bisogna essere semplici e quando complessi,quando analitici e quando sintetici in una parola…SCACCHI!!! Quindi, Scacchi&Scuola è il binomio da ricercare con pervicacia e a questo scopo sarebbe utile come il pane una FEDERAZIONE competente ed attiva (esiste?) .Insomma,Signori, serve un PIANO!! Gantt, l’ideatore del modello di pianificazione temporale, affermava(100 anni or sono):”La Pianificazione è una scienza empirica, basata su teoremi inesatti, che sviluppano algoritmi approssimativi,costruiti su ipotesi sommarie.Le persone che la praticano tentano di concretizzare l’ASTRATTO con l’IMPOSSIBILE.Per fare pianificazione, non è necessario essere pazzi, ma il fatto di esserlo, aiuta)…il corollario è:cercasi “pazzi” disperatamente perchè il resto è solo questione di tecnica!!

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    paolo bagnoli 5 Dicembre 2013 at 19:03

    Lasciate perdere le polemiche sull’Elo, sui tornei, e sul lato agonistico degli scacchi! Ciò che volevo intendere col mio caotico intervento è che, una volta appresi gli elementi fondamentali, si dovrebbe godere del puro piacere ESTETICO del gioco, così come prima si studiava sulla prosa di Cesare per poi arrivare a quella, complessa e raffinata, di Cicerone.
    Certo, si dovrebbe dare per scontato che a scacchi si gioca PER VINCERE, ma è proprio qui il busillis: poichè nessuno gioca per perdere (nemmeno a bocce o a poker) far capire, semplicemente, banalmente, a qualcuno (ragazzo o adulto non importa) che la vittoria non può essere fine a se stessa e che sotto sotto c’è un PIACERE ESTETICO che viene soddisfatto, be’, forse la via è quella.
    E chi se ne fotte di GM! Se ci arriverai, buon per te, ma quanti sono i calciatori ADULTI che continuano a giocare a livello iperdilettantistico? TANTISSIMI, perchè è un po’ più facile correre e tirare calci che ricercare il piacere negli scacchi.
    Quanti milioni di cittadini sovietici hanno continuato a giocare pur avendo ben presto scoperto di non poter mai raggiungere Alekhine o Botvinnik? Ma il piacere che prova il signor Popov nello scoprire la combinazione vincente è, a mio avviso, identico a quello che prova Carlsen.

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      alfredo 6 Dicembre 2013 at 10:33

      Caro Paolo
      guarda che di Popov non c’è solo quello della canzone che vinse uno zecchino d’oro ( mi sembra 66 .. e poi si scriveva Popoff) ma anche un forte MI bulgaro vincitore di Reggio nel 73 – 74 😀
      veniva meglio il signor Rossi .
      ma poi mi viene in mente il MI Carlo Rossi , uno che quando era in giornata metteva Ko giocatori ben titolati .
      Uffa .Insomma secondo nel caso in specie si poteva tirar fuori il ben collaudato Pinco Pallino
      Un abbraccio 🙂

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    Marramaquìs 5 Dicembre 2013 at 20:27

    Grazie, Paolo! Tutto giusto, mi pare, e l’ultima tua frase è magnifica. Se mai di nuovo fonderò un altro circolo, farò scolpire all’entrata proprio queste parole.

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    Renato Andreoli 5 Dicembre 2013 at 21:33

    Apprendo da un post di Punta Arenas che la musica classica non è ansiogena, distende, è piacevole da ascoltare…
    Non ho ben capito di quale musica classica parli. Quella che ascolto io contempla tutte la emozioni e tutti gli stati d’animo degli esseri umani, dalla beatitudine celeste alla più terribile disperazione, dalla delicata melodia alla dissonanza che fa rizzare i capelli in testa.
    Due esempi tra gli infiniti che potrei fare di musica ansiogena e problematica.
    La composizione più classica del compositore più classico della musica classica: l’incipit della quinta sinfonia di Beethoven. L’inesorabile destino che batte alla porta, il dramma di ogni vita umana.

    E poi la Trenodia per le vittime di Hiroshima, capolavoro del polacco Krzysztof Penderecki, uno dei più importanti compositori viventi che ha appena compiuto 80 anni. Un pezzo fatto apposta per scuotere le coscienze Dura solo 10 minuti.

    Con questo voglio dire che nella musica, come negli scacchi, oltre al divertimento ci sono pure le emozioni. E molto spesso negli scacchi emozione fa rima con competizione.
    Vogliamo abolire le classifiche, i titoli, le categorie, il punteggio Elo? Facciamolo pure, così si compiranno le parole del profeta Isaia ” Ogni valle sarà innalzata, ogni monte e collina abbassato, ciò che è storto sarà raddrizzato e i luoghi impervi saranno spianati “. Conosco queste parole perché sono cantate dal tenore all’inizio del Messiah di Handel.
    Tutta la mia simpatia a Franco Trabattoni per la pazienza con cui sopporta le critiche reiterate ed immotivate che gli piovono addosso. A causa della sua elevata statura culturale, gli tocca interpretare il ruolo del parafulmine.

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      Franco Trabattoni 5 Dicembre 2013 at 22:36

      Grazie di cuore Renato. Sono di fretta anche stasera, purtroppo, perciò mi limito a scrivere due cose. Per quasi quarant’anni (prima che chiudesse) tutti i sabati pomeriggio sono andato al mio circolo per giocare lampo. Talvolta si replicava la domenica e spesso persino durante le feste comandate. Si sgattaiolava fuori casa alla chetichella, per festeggiare al circolo “il Natale (o la Pasqua) dello scacchista”. Ricordo il cattolicissimo proprietario del primo circolo che ho frequentato (il bar ristorante “Longoni” di Mariano Comense) che verso le sette di sera cominciava a tentar di buttar fuori i parsimoniosissimi giocatori per apprecchiare i tavoli per la cena: “Forza signori, a casa vostra (per la verità lui diceva “foera di ball”;), ormai vi siete giocati tutta la domenica di Nostro Signore”. Bene, quello era divertimento puro. Ma quando mi sedevo davanti a una scachhiare per una partita di torneo, beh, tutto mi aspettavo di sperimentare, ma certo non il divertimento. O almeno non il “divertimento” nel senso di cui sopra, paragonabile a una allegra serata di chiacchiere e bevute tra amici. Perché allora giocare partite serie? Anzitutto perchè giocare a scacchi è coinvolgente, interessante, stimolante, emozionante, ecc. (se volete possiamo anche catalogare tutte queste cose sotto la voce “divertimento”: non mi fossilizzo certo sulle paole); ma soprattutto per cercare di fornire una buona prestazione in una attività seria e impegnativa, da cui è naturale ricavare qualche soddisfazione. Ovviamente si gioca per vincere, ho detto altrove. Ma – altrettanto ovviamente – non ad ogni costo. La vittoria dà soddisfazione semplicemente perchè è il suggello del fatto che abbiamo svolto un buon lavoro (naturalmente quando lo è). Dunque per me la soddifazione principale che danno (o meglio, davano) gli scacchi, come anche tante altre cose, è quella che si prova davanti al proprio lavoro, quando si riesce a farlo bene. Né mi sembra da biasimare se parte di questa soddisfazione derivi anche dal fatto che il lavoro fatto bene sia pubblicamente riconosciuto (da vittorie, risultati, titoli, punti elo, ecc.). Del resto, un lavoro fatto bene dà soddisfazione a chi lo esegue ma torna alla fin fine a beneficio di tutti. Così è anche per le partite di scacchi, che quando sono ben giocate danno piacere a chi le guarda.

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        alfredo 6 Dicembre 2013 at 13:31

        una domenica pomeriggio di un aprile di qualche anno fa.
        finito il turno mi pongo il dilemma :Liegi -Bastogne -Liegi o match per il CIS Hotel Selide -Vimar Marostica ?
        ebbene alla fine : 8 giocatori e uno spettatore
        io
        il piacere di guardare.

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    paolo bagnoli 5 Dicembre 2013 at 22:18

    Non vorrei essere stato frainteso. Non desidero affatto abolire le categorie eccetera, tutt’altro. Vorrei semplicemente che gli scacchi venissero spiegati come autentico godimento intellettuale, estetico, come una piccola CREAZIONE della quale ognuno, nei limiti delle proprie capacità, possa sentirsi soddisfatto (o, in caso di sconfitta, insoddisfatto).
    Forse sto sognando, ma credo che questo tipo di approccio al gioco possa costituire l’embrione di un sistema educativo che inciti a migliorare se stessi.
    Ma, forse, sto veramente sognando.

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      Renato Andreoli 5 Dicembre 2013 at 22:36

      Naturalmente non ce l’ho con te, Paolo (mi permetto il tu); ce l’ho con chi, avendo bisogno di un avversario per esercitare il proprio spirito polemico, ha scelto Franco Trabattoni e non smette di tampinarlo.

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        Franco Trabattoni 5 Dicembre 2013 at 22:43

        Guarda, Renato, anch’io ho pensato qualcosa del genere. In effetti non mi pare di aver mai espresso alcuna opinione estrema, ma solo cose (certo opinabili, ci mancherebbe) moderate e di buon senso. Forse qualcuno dei nostri interlocutori anonimi mi conosce di persona, e ricava piuttosto da qui le sue impressioni. Ma ovviamente è solo un’ipotesi.

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    Marco Bettalli 6 Dicembre 2013 at 23:37

    Salve a tutti, sono Marco Bettalli, il terzo classicista citato da Franco Trabattoni, che saluto: è una vita che non ci vediamo. Sono soprattutto padre di Francesco, ragazzino di 9 anni che gioca a scacchi con ottimi risultati. Vabbè lasciamolo crescere. Intanto però il suo esempio mi porta a contestare l’affermazione che gli scacchi non divertono: lui si diverte come un pazzo e devo trascinarlo a forza via da FSI Arena per costringerlo a cenare…

    Perché scrivo? beh, perché ho provato un moto di sincero stupore nel leggere il tono delle lettere (non il contenuto: alcune dicono cose belle e profonde). Perché siete tutti disperati, diomio? Non vivo su Aldebaran e so della crisi morale, culturale ed economica del nostro paese (e non solo del nostro). Ma:

    1 – non esiste alcun legame dimostrabile tra sviluppo scacchistico di un paese e il suo livello culturale e morale; sorry, la cosa è facilmente dimostrabile;

    2 – siamo tutti in là con gli anni e sospetto che qualcuno abbia perso anche la memoria. Quando giocavo attivamente – anni 70 e primi 80 – i tornei non erano moltissimi (tutti di 9 giorni, costosissimi), i pezzi e gli orologi non sempre erano inappuntabili (specie se ti capitava di perdere qualche partita e scivolavi un po’ in giù nelle scacchiere…;), i giovani U16 erano rari più o meno come gli over70 nelle discoteche, come toplayer avevamo il mitico Sergio, con tutti i suoi difetti, e… basta.

    3 – Oggi. Francesco (vivo a Siena, e la Toscana è da sempre una zona sottosviluppata per gli scacchi; triste ma è così, a dispetto di Castaldi e del mitico Sergio citato sopra) partecipa regolarmente a Campionati U16 provinciali, regionali a squadre e individuali, con un numero di partecipanti niente affatto trascurabile; la penetrazione nelle scuole è enormemente aumentata (con tutti i difetti ai quali tale penetrazione spesso si accompagna, sono d’accordo); quest’anno a Courmayeur è stata una festa con quasi 700 ragazzi U16 (se in Francia sono 1200 la distanza non è immensa…;);

    4 – Non solo abbiamo 11 GM, quasi tutti giovani o giovanissimi, nati a Vitinia, Bergamo e in altri ameni luoghi italiani (per alcuni questo non vuol dire nulla, io non sono d’accordo e poi sarà pure un segno di crescita del movimento o è solo, con rispetto, culo, se in 5 anni nascono 6-7 ventenni a livello internazionale e nei precedenti 50 uno solo?); abbiamo anche un certo numero di U16 ai vertici delle classifiche internazionali, là dove imperano cinesi e russi: Codenotti, Rambaldi, Basso, Carnicelli e altri che dimentico. Un caso? E dozzine di insegnanti di fatto professionisti che allevano centinaia di ragazzi, anche questo non ha valore? Io conosco bene la realtà di Riccardo Del Dotto a Lucca, ma ce ne sono molte altre;

    5 – Uno dei responsabili de “Le due Torri” mi diceva di come il mercato, negli ultimi 10 anni, si fosse ampliato in modo esponenziale; uno le scacchiere e gli scacchi, e i libri e i software che li compra a fare: suppongo per giocare…

    Certo, si potrebbe fare moooolto di più. Ho notato per es. osservando gli avversari di mio figlio che gli scacchi rimangono un gioco per ragazzini di famiglie “bene”: figli della classe operaia che giocano a scacchi non ve ne sono, forse non c’è più neppure la classe operaia… Diciamo, a parte gli scherzi, che non siamo certo in Macedonia o in Serbia: gli scacchi sono semmai più vicini alla scherma o ad altri sport elitari.

    Insomma, non posso riempire pagine. Scusate lo sfogo, ma secondo me il pessimismo cosmico non porta da nessuna parte; o porta a far parte della schiera – sono legioni – dei laudatores temporis acti, che più che il passato, rimpiangono la propria giovinezza.

    Marco Bettalli

    ps: ok, al CIA di Roma c’erano pochi spettatori. Ma gli spettatori (lo dico con tristezza) sono pochi ovunque, persino nel calcio, o, per tornare agli scacchi, persino all’ultimo mega-torneo di Parigi (o non erano i francesi tutti pazzi per gli scacchi). Mai sentito che nell’era di Internet la gente se ne sta a casa? Non potreste gioire di avere un CIA ben organizzato con buoni premi, con la partecipazione di quasi tutti i migliori, elevato per livello agonistico e per livello delle partite? (ricordate l’articolo di Tatai di 35 anni fa in cui trattava i suoi colleghi di Finale di Campionato come dei poveri dilettanti allo sbaraglio non in possesso dei rudimenti della tecnica? e aveva pure ragione…;) Basta, sennò ricomincio…

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      Marramaquìs 7 Dicembre 2013 at 15:01

      Salve, Marco e benvenuto nel Blog. E consentimi il “tu”, ti prego.
      Ho particolarmente apprezzato il tono pacato e chiaro del tuo intervento, che in ciò si è ben distinto da interventi di altri (ma, si sa, non siamo tutti uguali). Mi piace aggiungere, alle tue ultime, qualche osservazione.
      Il tenore negativo del mio pezzo sul CIA non riflette né la mia “disperazione” o “pessimismo cosmico” (ovviamente ci sono cose ben più importanti per cui disperarsi), né l’essere “laudator temporis acti” (non lo sono spesso).
      Il mio è semplicemente rammarico e (esattamente come la tua) tristezza.
      Tristezza perché gli spettatori del CIA, più che pochi, erano quasi inesistenti, mentre ai lontani Tornei del “Banco Roma” c’era per solito una bella folla.
      E neppure avrebbero potuto essere in tanti al CIA, perché mancava materialmente lo spazio per accogliere pubblico: c’erano appena due divani (?!) e nessuna sedia, nella sala attigua a quella di gioco, peraltro di per sé già minimale.
      Passiamo al rammarico.
      Internet, mi dici. Sì, anch’io ho citato internet. Ma internet, pur con tutto il suo enorme e indiscusso potenziale e la capacità di soddisfare qualunque scacchista al mondo, richiama (in massima parte) chi è già appassionato, difficilmente fa nuovi adepti.
      In Internet manca il lato umano, dal quale non si può, a mio parere, prescindere, se si vuol far nascere passione.
      Questo intendevo dire accennando all’intervento di Massaccesi nel Convegno tenutosi in Comune: il contatto diretto del Campione con i ragazzi può significare molto per la crescita del movimento, di ogni movimento.
      Organizzare una manifestazione di scacchi (CIA o altro), qui a Roma, in piazza Navona o al Campidoglio potrebbe contribuire a far conoscere questo “strano” gioco a migliaia di persone in più, proprio perché lo porterebbe in mezzo alla gente.
      Organizzarla in un decentrato e non facilmente raggiungibile albergo (che poi naturalmente non concede i locali gratis, ma questo è un altro aspetto ….), e senza la minima pubblicità, offre un contributo prossimo allo zero.
      Piazza Navona e il Campidoglio sono naturalmente un’esagerazione, ma di locali adeguati a Roma ce ne sarebbero stati tanti, e forse, tanto per fare un esempio, perfino all’interno delle stesse strutture pubbliche del CONI in prossimità dello Stadio Olimpico.
      Di conseguenza, ritengo che sia del tutto giustificato il rammarico di chi, come me, ha visto nell’ultimo CIA di Roma un’occasione ampiamente perduta nell’ottica di uno sviluppo ulteriore del nostro gioco/sport.
      Spero di sbagliarmi, ma la mia sensazione è che una crescita generalizzata degli scacchi e dei praticanti non sia il primo obiettivo di tanti che operano nel settore.
      Pazienza: se non importa a loro, a me (tristezza e rammarico a parte) men che meno.

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    marco bettalli 7 Dicembre 2013 at 16:52

    Grazie, Marramaquis. Ovviamente, benissimo il tu. Le tue precisazioni sulla location del CIA sono preziose ed effettivamente, nello specifico, hai senz’altro ragione. Purtroppo, Internet non era una “scusa”: la scarsezza di spettatori, di contatto reale è ormai una costante in qualsiasi manifestazione, anche per sport molto più praticati. La mia era una riflessione a tutto tondo, quasi esclusivamente dettata dalle mie esperienze di padre confrontate con quelle di giocatore attivo molti anni fa. Ebbene, mi sembra che nel complesso non ci siano paragoni: la situazione di oggi è infinitamente migliore. Quando qualcuno mi viene a dire che una volta c’erano molti più praticanti (non ricordo chi l’ha detto, ma era in questo blog), ebbene qui abbandono il mio equilibrio e dico semplicemente che quel qualcuno è in mala fede. I “grandi” open forse attiravano qualche giocatore di più, ma c’erano 20-25, non 151 (dato ufficiale, se ricordo il numero a memoria: comunque l’ordine di grandezza è quello) manifestazioni ufficiali valide per l’ELO Fide. Di mestiere faccio lo storico: se invece dei documenti (numero iscritti alla FSI, numero delle manifestazioni, giro affari di Torre e Cavallo, numero degli U16 ecc.) ci si fida delle sensazioni esaltando il bel tempo della propria giovinezza, andiamo poco lontano…

    Grazie ancora e a presto
    marco

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      Marramaquìs 7 Dicembre 2013 at 18:11

      Sono d’accordo. Infatti non dico che crescita non c’è stata. Dico che potrebbe essere ben maggiore e soprattutto più generalizzata, come hai evidenziato anche tu scrivendo che certe classi sociali ne restano piuttosto ai margini. Grazie, ciao.
      (Riccardo)

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    Giuseppe 7 Dicembre 2013 at 19:02

    Quella frase sui campioni francesi “concentrati su se stessi” si adatta benissimo al 99% degli scacchisti italiani. Non mi riferisco ai top-player, ma alla base. Quelli che conosco io ragionano in maniera puramente egocentrica. Per cambiare le cose, innanzitutto occorre che gli scacchisti tornino a frequentare ognuno il proprio circolo e a farlo rivivere. Se i circoli sono deserti e tristi, a che serve portarci un bambino? Se ne scappa via subito. Per quel che riguarda il “portare gli scacchi nelle periferie”, devo dire che alcuni anni fa fui pregato di donare il mio tempo per fare doposcuola, in parrocchia, ai bambini bisognosi. Non ho smesso di farlo, quindi ormai ho una lunghissima esperienza, ma lì non ho trovato un solo bambino abbastanza intelligente da poterlo indirizzare agli scacchi. Sono per fortuna una minoranza della popolazione. Stimo che il 90% dei bambini della mia città siano abbastanza intelligenti per gli scacchi. Purtroppo hanno l’agenda più fitta di quella di un luminare della medicina. Fra piscina, palestra, catechismo, scout, teatro, progetti scolastici, musica e danza non hanno un pomeriggio libero. Questo perchè esiste una vera e propria industria per il tempo libero dell’infanzia che da’ lavoro a tantissima gente. E’ difficile per noi amatori fare concorrenza a chi, per mangiare, organizza tutte queste attività alternative. Non fatevi fuorviare dai telegiornali. Si parla sempre di crisi, ma in questo settore non si vede. Io vivo al sud, in una città economicamente depressa. Non so la gente come faccia, ma per i figli non badano a spese.

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      alfredo 7 Dicembre 2013 at 19:54

      Caro Giuseppe i luminari in medicina non esistono .
      I presunti luminari hanno invece moltissimo tempo non facendo altro che saltabeccare da un congresso all’altro dove , dopo aver fatto il loro intervento ( che consiste nel leggere quello che c’è scritto su alcune diapositive già preparate dalla casa farmaceutica di cui sono “testimonial” ) si dedicano alla loro attività preferita : farsi l’amante ( solitamente giovane scaltra e ambiziosa neo laureata) parlare male dei colleghi in privato mentre in pubblico son tutti sorrisi e pacche sulle spalle .
      ti assicuro , se volessero , sarebbero degli scacchisti con molto tempo libero.
      e gli scacchi farebbero molto bene a loro visto il loro modo di ragionare .
      brutto mondo quello della medicina .
      ma non sono d’accordo sul tuo ” abbastanza intelligente per indirizzarlo agli scacchi” . Che significato dai alla parola ” intelligenza” ?
      A parte il caso di alcuni con chiaro deficit cognitivo (che si fermerebbero subito nell’apprendimento) non vedo preclusioni per nessun bambino .
      buona serata

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        Giuseppe 7 Dicembre 2013 at 20:39

        Caro Alberto, non saprei che significato dare alla parola intelligenza, ma non ne ho bisogno. Conosco bambini con diagnosi di dilessia ed altri con nessuna diagnosi. La differenza c’è, nella specifica abilità del leggere, ma è molto meno di quello che si attenderebbe. Ci sono bambini normalissimi che però hanno difficoltà incredibili per imparare a memoria una poesia o le tavola pitagorica. Anche quando ne imparano un pezzetto, il giorno dopo sono punto e daccapo. La settimana sopo uguale. L’anno dopo uguale. Era a loro che mi riferivo.

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          alfredo 7 Dicembre 2013 at 20:56

          Caro Giuseppe
          perché non provare proprio con loro ?
          comunque anni fa io ebbi una esperienza simile .
          Cercai di portare gli scacchi in Ospedale psichiatrico .
          un saluto
          Alfredo

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            Giuseppe 7 Dicembre 2013 at 21:15

            Come ho detto, il problema non è se e come diffondere gli scacchi. Il gioco è talmente antico che tutti sanno che esiste. Nuovi giocatori di scacchi nascono praticamente dal nulla. Il problema sorge quando il neofita entra per la prima volta in un circolo e lo trova deserto. I soci sono ognuno a casa propria, a sfidarsi su scacchisti.it, oppure a preparasi per il prossimo torneo. Il nuovo arrivato ci rimane male e nel circolo non ci rimette più piede.

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          Marramaquís 7 Dicembre 2013 at 21:44

          Giuseppe, ciao. Penso che a questo punto per SoloScacchi sia giunto il momento di pubblicare un bel racconto (non mio, eh?) sui “bambini del futuro”, e di dedicarlo proprio a te.
          Martin, tu che ne pensi? Capisco che domani è domenica, ma almeno per lunedì all’alba ce lo potresti confezionare? Grazie!

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    paolo bagnoli 7 Dicembre 2013 at 20:51

    Per Marco Bettalli (antico avversario per corrispondenza, o sbaglio?).
    Non stavo mettendo in dubbio lo sviluppo del movimento, il livello di gioco sicuramente migliorato, eccetera, stavo semlicemente riflettendo sul MODO di presentare gli scacchi. Continuo pervicacemente a ritenere che il degrado della società sia un fattore non certo determinante ma certamente influente sullo sviluppo di certi “movimenti”, tra i quali annovero gli scacchi.
    Se oggi l’importante è “apparire” (e ciò credo sia innegabile) gli scacchi sono probabilmente il mezzo meno idoneo per farlo. Chissenefrega di qualche “originale” che passa qualche ora davanti ad un tavolo arredato con pupazzetti di legno dalle strane forme? Meglio tentare scorciatoie per giungere davanti alle telecamere, poi, se il talento (qualunque) non c’è, be’, avrò mostrato il mio bel faccino o qualche altra parte anatomica e spero che qualcuno lo noti (e qualcuno lo noterà).
    A mio avviso, ripeto, il nesso tra difficoltà degli scacchi ad entrare nei normali usi sociali e degrado culturale della società c’è, eccome!
    Tuttavia, “so di non sapere”, ed il dubbio rimane, almeno in me.

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      marco bettalli 7 Dicembre 2013 at 22:21

      Caro Paolo, è un piacere salutarti: sì, siamo stati in tempi lontani avversari per corrispondenza. Se c’è una cosa per la quale divento anch’io laudator temporis acti è proprio il gioco per corrispondenza. Non perdonerò mai all’informatica di avermelo ucciso. Perché di questo si è trattato, di un assassinio… e i soci dell’ASIGC di oggi mi perdoneranno.

      Venendo a noi: è vero che gli scacchi rimangono effettivamente assai elitari e sono percepiti come un’attività di persone snob, eleganti e intelligenti magari ma che amano “distinguersi” dalla massa. Lo percepisco per l’accoglienza riservata ai piccoli successi di mio figlio: tutti carini, ma dietro pensano “la solita famiglia che crede di essere chissachi, il figliolino genietto, il padre universitario e la madre pianista. Ma che vadano a…”. Credo che da questo non ci schioderemo mai: a meno di casi speciali, destinati a lasciare il tempo che trovano, tra i quali annovero il match Fischer-Spasski, non molto diverso, visto da non scacchisti, dal periodo in cui nei bar si discettava di boline e vele ai tempi di Luna Rossa (si chiamava così? boh). Ma perché, dico io, lamentarsene? Io sono, alla fine, un elitario. Oltre agli scacchi, amo le penne, il Rosso e il Nero di Stendhal e scrivere libri di storia che leggeranno in 100. Vedrei con grande inquietudine queste mie passioni diffondersi tra la popolazione! Per bilanciare, per lo scandalo di molti frequentatori di questo blog, sono anche un grande tifoso di Totti. Ognuno ha i suoi lati oscuri…

      Tornando a noi, mi accontenterei che gli scacchi diventassero importanti come esperienza culturale tra una minoranza della popolazione. Non so, dovendo dare delle cifre mi piacerebbe che gli iscritti alla FSI diventassero 50-60.000, di più sarebbe assurdo anche solo pensarlo. In Occidente è difficile, l’unico paese che si avvicina a questo ideale è la Germania, non tanto la Francia, dove la penetrazione mediatica degli scacchi è sostanzialmente vicina allo zero come in Italia, nonostante i successi recenti.

      Ultimo punto, sul quale non sono educatamente d’accordo con te: non-diffusione degli scacchi e degrado sociale. Da dove partire? Che i tassisti di Mosca conoscano i finali di torre, come dice Korcnoj, non rende Mosca e la Russia un posto evoluto per civiltà e cultura, ora con Putin e prima con Breznev. Idem per i paesi della ex-Jugoslavia o per paesi come Ucraina, Georgia e Azerbajan, in mano a dittatorelli, corruzione e chi più ne ha più ne metta. I paesi scandinavi non li discute nessuno come livello civile, purtroppo c’è un abisso tra noi e loro, ma Svezia Danimarca e Finlandia non brillano né per presenza di campioni (alle Olimpiadi partono sfavorite nettamente contro i nostri giovani GM) né soprattutto per diffusione del gioco, che rimane a livello piuttosto modesto ed elitario. Non so, il tuo mi sembra un bel teorema, ma privo di dimostrazione. Ma forse sbaglio io, che diamine.

      ciao
      marco

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        Marramaquìs 7 Dicembre 2013 at 22:37

        Ci basta che domani non sbagli Totti.

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        Jas Fasola 7 Dicembre 2013 at 23:28

        Sicuro sicuro che i giovani scacchisti siano figli di papa’? O forse e’ solo una situazione locale? Perche’ in Polonia e’ (come mi sembra logico dovrebbe essere anche in Italia) il contrario. Chi ha soldi non gioca a scacchi ma si diverte altrimenti, chi non ha soldi gioca a scacchi.
        Forse gli scacchi erano un gioco di elite quaranta anni fa, ora non piu’ e con la crisi aspettiamoci valanghe di iscrizioni 😆

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    marco bettalli 7 Dicembre 2013 at 22:43

    Giusto!

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    paolo bagnoli 7 Dicembre 2013 at 23:05

    Caro Marco, chi non muore… con quel che segue (riferito a me stesso, ovviamente).
    Il mio non è un teorema (com tu dici, indimostrabile), ma una “sensazione” che forse deriva da una viscerale rivolta contro un mondo (non scacchistico) nel quale non riesco a riconoscermi.
    Sono d’accordissimo con te sulle valutazioni generali dei livelli scacchistici (per non parlare di quelli corruttivi). Tuttavia, a proposito di corruzione, siamo oggi noi italiani tanto migliori e superiori a certi Paesi ex sovietici? Non credo. E’ questo, in fondo, che genera la mia rivolta – inutile – contro i dittatorelli di casa nostra, contro la corruzione di casa nostra, tutto in nome di una pseudodemocrazia che è tutto fuorchè “governo del popolo”.
    Idealismo? Qualunquismo? Pessimismo? Eppure, dal basso della mia ignoranza, mi faccio forte dei miei settanta e passa anni e credo, in nome dell’età, di aver compreso alcune cose. Come ebbe a scrivere Martin Fierro, “El diablo no sabe porqué es Diablo, el diablo sabe porqué es viejo”.
    Tuttavia, con rabbia, devo riconoscere che oggi è l’epoca dei tronisti, dei cantanti defilippici, dei culi a tutto schermo, del puttanierismo nobilitante, del devoto ateismo, dello sbavante buonismo che nasconde l’egoismo imperante, del denaro come fine e non come strumento, delle trenta comode rate e chi più ne ha più ne vomiti.
    Scusa, scusate tutti voi che leggete, ma mi stanno proprio frullando i faraglioni!

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      Jas Fasola 7 Dicembre 2013 at 23:54

      “Tuttavia, con rabbia, devo riconoscere che oggi è l’epoca dei tronisti, dei cantanti defilippici, dei culi a tutto schermo, del puttanierismo nobilitante, del devoto ateismo, dello sbavante buonismo che nasconde l’egoismo imperante, del denaro come fine e non come strumento, delle trenta comode rate e chi più ne ha più ne vomiti”.

      Temo non sia cosi’ solo da oggi. Ad esempio il primo cinepanettone (Sapore di mare) e’ del 1982. Adesso abbiamo (grazie come sempre a TV, internet etc etc.) molta, molta piu’ scelta 🙁 .

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    nikola 7 Dicembre 2013 at 23:45

    dopo averne letti, di commenti; qualsiasi cosa dica, io sottoscrivo il Sig. Paolo Bagnoli.

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    marco bettalli 8 Dicembre 2013 at 00:09

    Rispondo a Fasola, che non conosco ma di cui ho apprezzato molti interventi. Mi dispiace, ma rimango della mia idea. I giovani scacchisti italiani sono, in grande maggioranza, “figli di papà”. Lo sono le “piccole star” come Codenotti e Rambaldi (tra parentesi, lo sono o lo sono stati anche Godena, Brunello, Axel, tra quelli che conosco), lo sono gli avversari di mio figlio (parlo con i genitori…;), lo è mio figlio… Non ho statistiche in merito, ovviamente, ma la sensazione è fortissima. Del resto, tra lezioni, campionati e tornei, si tratta di un’attività che comunque ha un costo, non elevatissimo, ma neppure inesistente. E ripeto, all’interno di questa fascia, abbastanza numerosa nonostante la crisi, gli scacchi sono sicuramente in grande crescita e si sono inseriti, con qualche fatica e certo non in posizione dominante, nel girone infernale delle “attività” dei ragazzi. Lo sfondamento verso “il popolo” invece lo vedo lontano, quasi un miraggio.

    A Paolo: comprendo le ragioni del tuo sfogo, e le rispetto. Non le condivido del tutto: non nel senso di difendere una classe politica squalificata, come potrei, o una società in grave crisi (non parlo della crisi economica…;) ma semplicemente in nome dello sforzo di non fare di ogni erba un fascio (ricorderete tutti la splendida frase di Calvino sull’Inferno e sulla necessità di distinguere ciò che Inferno non è…;). E poi permettimi: che c’entra col discorso del rapporto diffusione scacchi vs decadenza culturale?

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      Jas Fasola 8 Dicembre 2013 at 10:58

      Grazie per la risposta, mi piacerebbe avere qui altri pareri, puo’ darsi che quanto sopra riguardi i giovani “agonisti”, mentre molti di piu’ si accontentino di tornei locali o del circolo.

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        fds 8 Dicembre 2013 at 12:28

        Ho fatto lezione di scacchi a bambini e ragazzi per circa 15 anni, con continuità presso il mio Circolo, qualche corso in una scuola elementare e lezioni presso altri Circoli. Di seguito qualche osservazione e commento.
        – Non ho notato particolari disomogeneità di ceto sociale;
        – più erano piccoli di età, maggiormente erano i genitori ad avvicinarli agli scacchi, fossero essi idraulici o pianisti;
        – si dividono in troppe attività contemporaneamente (scuola, sport, corsi assortiti);
        – ad ogni leva, circa l’80% si fidelizzava agli scacchi e frequentavano con regolarità i corsi e i tornei giovanili (ma non solo);
        – i fidelizzati agli scacchi arrivati alla pubertà iniziavano a sganciarsi dalla tutela dei genitori, facendo scelte di testa loro (è il momento) e con la necessità di trovare il tempo di frequentare nuovi amici e l’altro genere, e spesso gli scacchi scivolavano in fondo alla hit;
        – quando arrivavano alle superiori, essendo tutti o quasi dei secchioni 😀 diradavano ulteriormente la frequenza del Circolo per il carico scolastico, e la maturità dava il colpo di grazia;
        – qualcuno – pochissimi – lo rivedevi dopo l’Università.
        Va bene così.

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      alfredo 8 Dicembre 2013 at 16:01

      Gentile prof Bettalli
      come diceva Voltaire prima di mettersi a discutere è necessario mettersi d’accordo con i termini
      Cosa intende per ” figli di papà”
      Gente proveniente da famiglia borghese , di censo elevato , con piu’ che buone possibiltà economiche oppure ” culturalmente” elevata ( non sempre cultura e censo vanno di pari passo , anzi )
      perché fosse cosi’ gli scacchi dovrebbero essere diffusissimi in quanto il loro costo è abbastanza limitato rispetto ad altri sport
      Faccio l’esempio dello sport che io ho praticato ( per alcuni anni assieme agli scacchi) , uno sport molto ” popolare ” anzi ” contadino” . Il ciclismo
      ora se un ragazzino di 8 – 10 anni ( età in cui un giovane scacchista di regola oggi già gioca nei tornei) vuole avvicinarsi a questo sport deve prendere una bicicletta . Una bici per agonismo puo’ già costare 1500 euro a cui si aggiungono spese per riparazione , cambio gomme ecc.
      Facciano che l’abbigliamento sia dato dalla squadra . Restano comunque molte altre spese per rendere competitivo un ragazzino che si approccia in maniera sana a questo sport .
      altri due sport , forse un po’ piu’ di elite e di cui ho conoscenza diretta sono la scherma e il tennis ( sports praticati da miei famigliari o parenti)
      sicuramente piu’ costosi degli scacchi ( racchetta , palline , noleggio campi , istruttore etc..)
      ecco il ” costo” degli scacchi è rappresentato da un buon istruttore ( essenziale per una corretta impostazione) e dalle spese alberghiere.
      Ora i tornei si svolgono molto spesso in località a inizio o fine stagione turistica per cui si possono avere buone “offerte” per il soggiorno ( se non si hanno pretese troppo elevate .
      Paradossalmente in un momento di crisi economica come questo gli scacchi sarebbero un investimento molto molto meno oneroso ( e pericoloso ) rispetto ad uno sport come il ciclismo ( e gli altri citati)
      ai miei tempi c’erano i libri
      Ora attraverso Internet si puo’ disporre già di una quantità illimitata o quasi di materiale su cui studiare e formarsi .
      Per cui quale mai ragione puo’ esserci per cui il nostro gioco possa essere fatto solo da figli di papà?
      Alfredo Pasin
      PS : ho l’onore di essere amico di uno dei giocatori da lei citati .
      non è stato sicuramente un figlio di papà . Proviene semplicemente da una meravigliosa , ” sana ” famiglia che ha assecondato le sue aspirazioni , nel caso giustificatissime .
      Ma per nessun motivo al mondo ho mai visto in lui un” figlio di papà”
      Anzi ho visto in lui i frutti di un duro lavoro quale poteva aspettarsi nel momento che scelse gli scacchi come professione.
      A presto , per ora

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    Fabio Lotti 8 Dicembre 2013 at 09:30

    Un saluto a Marco Bettalli e un sospiro di sollievo nel vedere la discussione rientrare nell’alveo di una dialettica rispettosa. Al circolo di Siena ci sono diversi ragazzini entusiasti, fra cui Francesco, e questo mi dà un po’ di fiducia sul fatto che gli scacchi siano allo stesso tempo agonismo (ce la mettono tutta) e divertimento (si finisce con qualche risata).

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      Franco Trabattoni 8 Dicembre 2013 at 14:35

      Di corsa, come sempre, saluto anch’io Marco Bettalli e mi associo al sollievo di Fabio Lotti: una spiegazione c’è, ed è piuttosto elementare.

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    Giuseppe 8 Dicembre 2013 at 09:56

    La decadenza culturale può essere un ostacolo ad una diffusione degli scacchi come gioco di massa, ma potrebbe paradossalmente aiutare gli scacchi a diffondersi fra il 5-10% della popolazione. Esiste esempre, infatti, quella piccola percentuale che, o per convinzione o per curiosità o per noia, prova ad andare contro corrente. Magari si arrende subito, ma almeno ci prova. Quindi possono essere attratti da un gioco come gli scacchi proprio perchè, nell’immaginario collettivo, sono un gioco per pochi eletti. Piuttosto che ambire a diventare uno sport di massa, sarebbe già un bel risultato arrivare allo 0,1% della popolazione italiana.

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    paolo bagnoli 8 Dicembre 2013 at 13:00

    Interessante l’ultima osservazione di Giuseppe! Anche perchè penso che ci sia già lo 0,1 % della popolazione che possiede una scacchiera e “conosce le mosse”. Il problema è questo: come attirare questi sessantamila nei Circoli?
    Altrettanto interessante la nota di Fabio: agonismo e divertimento non sono necessariamente in contraddizione tra loro, anzi…
    Mi scuso ancora con tutti per la mia ultima “valanga”, ma, forse a causa degli anni che passano, verso certe cose, certe arroganze, certe certezze di impunità, ho un totale rigetto.

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    Marramaquìs 8 Dicembre 2013 at 19:10

    Alfredo: “Non sempre cultura e censo vanno di pari passo, anzi”.
    Oggi mi sento di condividere questa tua affermazione. Aggiungo una mia impressione. Un tempo, anni 60 e 70, cultura e benessere andavano più a braccetto. Fra le due è iniziato poi un lento disallineamento.
    Il motivo? Io credo che da un lato le classi meno agiate hanno fatto molti sacrifici per consentire ai figli di conseguire il classico “pezzo di carta” e colmare quel divario, nella speranza (ormai illusione) che il conseguimento del “pezzo di carta” facilitasse altresì l’ingresso dei figli nel mondo del lavoro.
    Dall’altro lato, parecchi “figli di papà” (ne ho conosciuti alcuni, particolarmente presenti nel settore immobiliare e nel commercio) hanno presto abbandonato la scuola: a che sarebbe servito loro impegnarsi nello studio e nella cultura allorché per vivere sarebbe bastato tranquillamente “amministrare” per tutta la vita i beni accumulati dai loro padri?
    Con ciò non vorrei essere male interpretato e generalizzare (e oltretutto io faccio riferimento esclusivamente al territorio in cui vivo e che conosco), ma non si può far a meno di notare che una tendenza in questo senso indubbiamente esista.

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      Jas Fasola 8 Dicembre 2013 at 19:37

      Parole sante 🙂

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    alfredo 8 Dicembre 2013 at 19:46

    Caro Marramaquis
    la tua disamina è perfetta .
    E’ cosi’ .
    Molti operai hanno investito in cultura dei loro figli , spesso con sacrifici impensabili .
    Molti figli di papà , magari proprietari di quella fabbrica in cui lavoravano gli operai , hanno pensato per molti anni che la loro vita fosse tutta in discesa , che non servisse studiare , faticare .
    Seguendo l’etica protestante del guadagno loro erano gli ” unti dal signore” a vita.
    Poi le cose sono poco alla volta cambiate .
    Quelle imprese dei loro padri con il tempo sono fallite o finite in mano a russi o cinesi , fagocitate dalla ” globalizazione” certo ma anche “vinte” da una sconfitta secondo me non meno lacerante di quella del comunismo.
    Quella del capitalismo , del liberismo selvaggio propugnato per tanto tempo da quelli che credevano che il ” mercato” sapesse autoregolamentarsi e che bisognava “lasciar fare” .
    e cosi’ vedo che io , nato da classe popolare , mi trovo ad avere comunque costruito un qualcosa che mi dà ora una certa solidità sociale
    molti figli di ” padroni” che ai tempi del liceo andavano in giro con moto rombanti , rayban d’ordinanza ecc … ora , fallita la fabbrica , finita l’eredità paterna si ritrovano desolatamente senz’arte né parte .
    non bisogna essere economisti o sociologi
    basta avere due occhi 😯 per guardare .

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    marco bettalli 9 Dicembre 2013 at 10:03

    Scusate, credo di avere sollevato un polverone usando un po’ a casaccio l’espressione “figli di papà” che effettivamente vuol dire tutto e non vuol dire nulla.

    Cercherò di farmi capire meglio: è vero, come dice Alfredo Pasin, che non è che poi gli scacchi costino moltissimo (anche se poi, assumendo un istruttore per quando il bimbo gioca con i bianchi e uno per i neri, i costi aumentano; sembra una barzelletta, ma giuro che l’ho appresa in prima persona agli ultimi Campionati U16 per un bimbo di 10 anni!!!).

    Fatto sta che i ragazzi che giocano a scacchi provengono, per lo più, da famiglie che non hanno gravi problemi a sbarcare il lunario e possono permettersi di investire cifre, non certo astronomiche ma comunque significative, per “mandare” i propri figli a basket, nuoto, inglese, tennis e, perché no, scacchi.

    Non individuo una classe sociale particolare, a meno che la vetusta definizione di “borghesia” non abbia ancora qualche senso.

    Non dico neppure che i giovani scacchisti provengano da famiglie con elevata cultura; non necessariamente, almeno. Piacerebbe anche a me avere qualche riscontro, perché non ho svolto alcuna ricerca approfondita. Segnalo a FDS, che ringrazio, che mi riferisco ai ragazzi che praticano già gli scacchi a livello agonistico con un minimo di dedizione. Al primo corso scolastico o al circolo, rivolto agli “absolute beginners” possono, effettivamente, capitare tutti.

    Non so, la faccenda è complicata e la discussione si sta allargando a macchia d’olio…

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    INSALA' 9 Dicembre 2013 at 15:14

    …la maggior parte degli scacchisti di mia conoscenza hanno un’estrazione sociale e culturale elevata.Tuttavia ci sono delle bellissime eccezioni che confermano la regola.Sono storie anche di riscatto sociale che riempiono il cuore e danno speranza per una maggior diffusione del gioco. Interessanti, poi, alcuni post perchè aprono uno scenario parallelo: il quando ed il come iniziare.E’ pur vero che “la conoscenza si acquisisce tramite il gioco”(Komensky)ma il problema è tutt’altro che risolto.

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    alfredo 9 Dicembre 2013 at 16:42

    beh …si potrebbe fare un campione tra i frequentatori del sito .
    vero è che non tutti sono giocatori attivi .
    penso che molti siano come me appassionati , ex giocatori , ora ” vpyeur ” o ” kibitzer .
    in effetti il campione avrebbe un livello di istruzione piuttosto elevato .
    ma non penso che possa essere un campione rappresentativo della realtà scacchistica .
    in effetti frequentando gli scacchi si puo’ dire sin da bambino posso dire che ho incontrato e conosciuto piu’ docenti universitari , giornalisti, professionisti vari che muratori o operai .
    sarebbe interessante sapere come uno si è interessato agli scacchi .
    in questo caso qualsiasi campione verrebbe in qualche modo ” alterato” dall’evento eccezionale del 1972 .
    ma nel mio caso non fu quello . appresi il gioco da solo attraverso una enciclopedia durante un lungo periodo di malattia.
    dopo il match del 72 trovai semplicemente piu’ gente con cui giocare .
    ma prima del 72 penso che gli elementi del gioco venissero appresi per via famigliare e in questo caso penso che la famiglia dovesse avere si’ una estrazione socio culturale piuttosto elevata.
    i muratori e gli operai probabilmente provenivano da famiglie in cui certo avevano altro da pensare .

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      Jas Fasola 9 Dicembre 2013 at 16:57

      perche’ frequentavi la Scacchistica Milanese, ma al Bovisa la situazione era molto diversa 😉
      poi ci sono noti maestri che fanno i magazzinieri, ma certo non lo dicono in giro

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      Roberto Messa 9 Dicembre 2013 at 21:42

      Alla fine credo che sia corretto dire che una grande maggioranza degli scacchisti proviene dalla cosiddetta classe media, un termine abbastanza ampio e in continua evoluzione (soprattutto in questi ultimi anni). Oggi come oggi purtroppo vediamo che milioni di famiglie (economicamente disagiate o anche di ex-classe media) hanno ben altre preoccupazioni che mandare i figli in piscina o a scacchi, musica ecc. se non all’oratorio o al circolo dopolavoro, purché a costo zero.
      Di certo non ho mai conosciuto nessun Paperoni, o figlio di Paperoni, dedicarsi agli scacchi. Comprensibilmente la nautica d’alto bordo (e mi avete capito 😉 e un hobby preferibile se hai i “soldi veri”.
      Riguardo agli istruttori, sono rimasto anch’io impressionato a Courmayeur vedendone delle centurie al seguito degli under16 (e perfino degli under 10) per i campionati italiani.
      Francamente un simile impegno (anche economico) secondo me ha senso solo se si ha qualche ambizione che il pargolo segua le orme di Caruana – e sapete che è un percorso verso il quale non nutro alcun pregiudizio, anzi, avercene di emuli di FabFab… Ma se si preferisce che il figliuolo giochi agonisticamente ma solo per divertirsi, almeno fino alla laurea, Godena mi sembra un modello e un traguardo più che soddisfacente… (si capisce che lo dico provocatoriamente, l’epoca degli autodidatti integrali è – fortunatamente – alle nostre spalle).

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        Jas Fasola 9 Dicembre 2013 at 22:18

        centurie di istruttori? e con che risultati?

        Se i risultati sono scarsi conosco qualcuno che potrebbe dare una mano… ha anche giocato (e avrebbe dovuto vincere)con Tal… :mrgreen:

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          Jas Fasola 9 Dicembre 2013 at 23:23

          A proposito il 17/12 iniziano negli Emirati Arabi Uniti i campionati mondiali da 8 a 18 anni. Saranno campionati da record, con almeno 100 giocatori (talvolta oltre 200) in tutte le categorie, per un totale di circa 1800.

          Gli italiani
          http://worldyouth2013.com/playerlist/country/105

          Ovviamente :mrgreen: i polacchi:
          http://worldyouth2013.com/playerlist/country/171

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            INSALA' 10 Dicembre 2013 at 11:26

            …per quanto mi riguarda, sapere di Campionati Mondiali con under 15 mi lascia perplesso.E non capisco chi enfatizza l’evento.Per non parlare di istruttori dedicati ai due colori(scacchi per zebre) che, per un under 16, trovo semplicemente aberrante.Questi “fatterelli” aprono un altro scenario ovverosia la relazione che intercorre tra scacchi e sviluppo psichico in età prepubere.Mi rivolgo ai pochi esperti di questo blog ponendo, pacatamente e serenamente(si dice così vero?), qualche domandina :i pargoli che affrontano questi tornei “Mondiali” e che rientrano in fascia di età 8-15 utilizzano un repertorio d’Apertura?E se si come è costruito?Sino a quale profondità? Perchè i principi di insegnamento utilizzati decenni orsono per costruire una giovane mente scacchistica(8-15 anni), oggi non sono più validi (o quasi)?Se si vuol essere onesti intellettualmente, a queste domande bisogna pur dare una risposta visto che gli scacchi,come ben sapete, presentano anche un lato oscuro che deve essere necessariamente controllato.

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              Roberto Messa 10 Dicembre 2013 at 14:42

              Non mi sembra che questo blog sia onorato dalla partecipazione di qualche maestro o allenatore competente e con esperienze di agonismo giovanile ai livelli più alti. Se ci fosse, mi piacerebbe che rispondesse anche ai dubbi che ho espresso nei miei ultimi post… Riguardo a quel che avveniva decenni orsono, mi sembra che esistesse solo il metodo dell’est europeo, non scevro da difetti sul lato formativo, dato che lo scopo evidente era la selezione e l’allenamento intensivo dei futuri campioni (come fanno adesso in Cina per gli scacchisti come per i pianisti in erba). In Occidente non c’era metodo alcuno, i più fortunati trovavano un buon tessuto scacchistico (o perlomeno sociale) nei circoli dove assorbivano per osmosi dalle figure più carismatiche… o semplicemente dalla biblioteca del circolo!

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          Roberto Messa 9 Dicembre 2013 at 23:51

          I risultati non sono male, ma non è questo il punto che volevo sottolineare. Ammetto di aver ben poca esperienza di training giovanile per poter aprir bocca seriamente… in fondo sono ancorato all’idea che i progressi dipendano prima di tutto dalla passione e molto marginalmente dalle aperture di Bianco e di Nero che ti vengono insegnate. Credo (ma, ripeto, è solo un’opinione) che il compito principale di un allenatore dovrebbe essere quello di instillare la passione e quel senso di dedizione che anche un ragazzino può sviluppare (negli scacchi come in qualsiasi altra disciplina “impegnativa”;). Tornando all’esempio di Godena, si vedeva in lui una passione smisurata fin da quando era bambino; maestri non ne ha avuti fino a 30 anni o giù di lì, ovvero fino al giorno in cui la Fsi cominciò a chiamare Razuvaev e altri per sporadigi stage preolimpici.

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    alfredo 9 Dicembre 2013 at 17:02

    perché c ‘ è da vergognarsi a fare i magazzinieri ❓

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      Jas Fasola 9 Dicembre 2013 at 17:39

      non in quel senso…

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    paolo bagnoli 9 Dicembre 2013 at 18:47

    Bravo Marco! Fai allargare ancora di più la discussione con le tue puntuali e precise osservazioni su un argomento che sta a cuore a tutti noi!
    Per quanto riguarda il censo, vorrei ricordare a tutti che Potter (non Harry…;), negli anni ’80 del XIX secolo, si augurava che il gioco degli scacchi uscisse finalmente dagli ambienti “borghesi” per diffondersi tra le masse popolari.
    Un’osservazione relativa ai “figli di papà”. Uno dei tanti che frequentano il bar dove lavora mia figlia, poco tempo fa le ha detto, RIDENDO: “E tu lavori per milletrecento euro al mese? Ma sei matta?”
    Forse Diana è matta, ma il tizio in questione fa parte di quella minoranza cafona e nullafacente o quasi che, purtroppo, è sulla cresta dell’onda e che, come marca automobilistica, oscilla tra BMW e Porsche, con momentanei sconfinamenti in Mercedes.

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      Marramaquìs 9 Dicembre 2013 at 19:49

      Proprio così, caro Paolo. E l’Italia è sprofondata anche a causa di certi personaggi nullafacenti, che, purtroppo, hanno “fatto scuola” e che, nello stesso tempo, sono uno dei risultati del declino del Paese.

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    alfredo 9 Dicembre 2013 at 19:17

    Caro Paolo
    dal mio punto di vista personale ( il bar sotto casa) mi sembra che questa specie si stia diradando .
    io spero nella estinzione .
    qui , “nel cuore della Brianza” questi esemplari erano molto diffusi fino a qualche anno fa . ora meno .
    li prendo oramai come ” indicatore economico”

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    paolo bagnoli 9 Dicembre 2013 at 21:02

    Caro Marramaquis, forse confondi l’effetto con la causa, o forse si tratta di un avvitamento infinito tra le due cose. Tali personaggi sono la CAUSA del declino del Paese, ma essi sono a loro volta un EFFETTO di “impostazione sociale”. Il colossale equivoco di “garantire la governabilità” come equivalente di “o con me o contro di me” è a sua volta una vergognosa personalizzazione della politica (ma si chiama ancora così?). La personalizzazione della politica è a sua volta il risultato di una considerazione del tutto estranea alla politica, vale a dire il puntare tutto su di un carisma personale, condito di balle più o meno ingoiabili ed assolutamente irrealizzabili. E si ricomincia da capo…..

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      Marramaquìs 9 Dicembre 2013 at 22:25

      Paolo, forse non mi ero espresso troppo bene, ma proprio quello intendevo: che quei personaggi erano (sono) causa ed effetto nello stesso tempo. La personalizzazione della politica è un’altra cosa, non piace nemmeno a me, ma vedo che si sta imponendo un po’ ovunque nel mondo e bisogna prenderne atto (anzitutto per evitare che le proprie idee soccombano perché esposte con mezzi e strumenti appartenenti al passato).

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    paolo bagnoli 9 Dicembre 2013 at 22:40

    Ok, ci siamo capiti, ma non riesco a prendere atto della “personalizzazione”. Siamo forse alla ricerca di un nuovo Pericle?

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    Marramaquìs 9 Dicembre 2013 at 23:03

    La dialettica e l’immagine oggi sopravanzano i contenuti. E’ un fatto. Questo però è molto lontano dal mio pensiero. Quando poi dialettica ed immagine si sposano alla più assoluta demagogia, c’è rischio per la democrazia. Ecco allora che talvolta si è costretti a combattere i demagoghi anche con le loro stesse armi. Solo in questi casi e a questo fine io comprendo e tollero in parte la personalizzazione.

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    marco bettalli 10 Dicembre 2013 at 12:28

    Riprendo la discussione sugli U16. Non si può fare di ogni erba un fascio. Tra i quindicenni e i quattordicenni, ormai, si trovano IM (se non GM…;) e ha poco senso trattarli come bambini.

    Diverso è il discorso sui bambini più piccoli. Personalmente, trovo l’U8 un’aberrazione voluta per motivi promozionali dalla FIDE. A sette anni è troppo presto per impostare un discorso serio, i tornei vengono vinti da ragazzini un po’ più maturi, che semplicemente siano in grado di stare fermi e fare ragionamenti elementari, senza alcuna certezza che in seguito confermeranno queste qualità.

    Per gli U10 e U12 il discorso è più complesso. Trovo insensato far imparare a memoria lunghe sequenze di aperture. Ma, se un ragazzo vuole raggiungere un buon livello agonistico, deve impratichirsi di alcune posizioni-base, giocando spesso in allenamento sempre le stesse aperture, in modo da trovarsi, come dire, “a suo agio”. Piano piano, approfondirà sempre di più.

    Per esperienza personale (di padre…;) già negli U10 è possibile vedere qualche partita di scacchi più che decente, diciamo al livello di I naz.; poi, che c’entra, ci sono milioni di partite inguardabili. Detto questo, come conclusione non vedo alcun male nel magico aggettivo “agonistico”: un “sano” agonismo, secondo me, fa solo bene. Ovviamente, sta ai genitori gestire le sconfitte dei pargoli (magari non dicendo: “come hai fatto a perdere con un demente simile?” oppure “poverino, l’avversario ti voleva fregare, vero?” in riferimento a un piccolo incidente di nessun rilievo capitato in partita: tutte cose sentite con le mie orecchie!).

    Il vero problema spesso sono i genitori, non i ragazzi!

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      Roberto Messa 10 Dicembre 2013 at 14:23

      Ciao Marco, la vedo esattamente come te. Forse per i più piccoli l’utilità di un “accompagnatore” di club potrebbe essere proprio quella di offrire al bambino un punto di riferimento adulto ma “altro” rispetto alle dinamiche famigliari… Comunque sento dire che alle scuole calcio è molto molto peggio. Mio figlio ha fatto judo “agonistico” dai 7 ai 15 anni e mi piaceva molto l’approccio dei maestri, mentre anche lì ogni tanto si sentivano certi genitori…
      Ah, sei tu che a Courmayeur mi hai detto che sarebbe da valutare l’idea, per gli under 8 e per le loro famiglie, di concentrare il campionato in 3 giorni, tanto dopo 20 minuti hanno già finito tutti?

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    INSALA' 10 Dicembre 2013 at 15:48

    …è vero l’età d’apprendimento del gioco si sta sempre più abbassando.Il punto è l’approccio pedagogico.In passato l’approccio era il seguente:con i bambini sino ai 14 anni si puntava allo sviluppo del senso intuitivo della posizione questo perchè, in linea generale, il bambino di 8-10 anni assorbe con grande difficoltà specifici concetti formali di strategia scacchistica(la stessa idea di scacco matto è troppo astratta).Dai 15 anni in poi l’approccio di partenza ovviamente mutava perchè più sistematico.Questo step-by-step determinava una crescita tecnica più consapevole ed acuiva fortemente il senso estetico del gioco.Insomma, ci si preparava ad un agonismo sano che privilegiava la scacchiera.Oggi, a me pare che le cose siano cambiate in peggio. Personalmente ritengo che, per uno sviluppo armonico, sino ai 15 anni vadano privilegiate altre attività(es.sport di squadra)e gli scacchi,al limite costituire un utile complemento.Poi si vedrà.Insomma,a mio parere l’approccio pedagogico della vecchia scuola scacchistica sia ancor oggi il metodo migliore perchè, quello che serve al movimento e alla sua diffusione, non sono giocatori imberbi con titoli magistrali ma una base solida di scacchisti(anche e soprattutto non agonisti) su cui costruire una eventuale piramide.

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    Tatu 10 Dicembre 2013 at 17:16

    Notizia trovata ora sul sito dell’ANSA: Mondiali scacchi: per Italia c’è bimbo 8 anni
    http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/cronaca/2013/12/10/Bambino-pugliese-8-anni-mondiali-scacchi-Italia-_9756019.html

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      Jas Fasola 10 Dicembre 2013 at 17:59

      La bambina under 8 e’ invece Samia Sheikh.
      Formidabili i corsi messi a disposizione quattro volte alla settimana dal suo circolo, qui le notizie

      http://www.nettunoscacchi.org/2013/07/06/sheikh-samia-zannat-campionessa-italiana-u8f/

      Samia affrontera’ Laura? (ricordate Laura, go! 😉 )Speriamo, sarebbe una lotta da alta classifica.

      Comunque bambini e ragazzi fanno sognare… sulla rivista della Federazione polacca c’e’ una nuova rubrica “Davide sconfigge Golia”. Mariola, 15 anni,(elo 1982) sconfigge Siergiejew (GM ucraino, elo 2469) con quasi 500 punti piu’ di lei per poi perdere dopo qualche turno con Aleksandra di 16 anni (elo 1450 !!).
      Ognuno la puo’ vedere come vuole, io guardo il bicchiere mezzo pieno e vedo un po’ di soddisfazioni per tutti!

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        Mongo 11 Dicembre 2013 at 01:45

        … E l’altra metà del bicchiere, chi se la è bevuta? 😉

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    marco bettalli 10 Dicembre 2013 at 17:23

    ciao Roberto, sì ero io a Courmayeur. Quello del tempo di riflessione è un altro nodo da sciogliere, in effetti. Per gli U8 sarei favorevole a, non so, partite di 30 minuti: se ne potrebbero giocare tre al giorno, per evitare che il soggiorno ai Campionati, lungo 9 giorni, si risolva in circa un paio d’ore di attività scacchistica in tutto! Anche per gli U10 e U12 un’ora tutta la partita, secondo me, potrebbe bastare e avanzare…

    Inutile nascondercelo, gli scacchi stanno andando verso il rapid. Pensa al problema del cheating, tanto vale adeguarsi con le giovani generazioni! Tanto, decenni di voyeurismo scacchistico (e un po’ di pratica) mi hanno convinto che, giocando 1 e 30 con l’incremento o mezz’ora tutta la partita, i migliori sempre quelli sono. Guarda a Fano: Dvirnyy, Vocaturo e Brunello (e Axel) dominavano in tutte le cadenze… Un po’ estremista? Forse, un po’ di provocazione ci vuole!

    ps e poi c’è interesse privato in atto pubblico… Mio figlio (9 anni) è una bestia a 5 – 10 minuti, almeno un buon I naz., mentre fatica di più a cadenza lunga!

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      nikola 10 Dicembre 2013 at 18:31

      appunto, i migliori!
      per quanto riguarda le fasce più basse io continuo a ritenere che tempi lunghi e brevi dividano gli scacchi in due discipline molto diverse; e per mio gusto personale riesco e preferisco solo la prima.

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    INSALA' 10 Dicembre 2013 at 20:21

    …allegramente, tra una provocazione e l’altra si RATIFICA il dato: scacchi ed ELITES ovvero il binomio è inscindibile!!!A questo punto chiedo: a cosa è servito il bell’articolo di Marramaquìs??

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      Jas Fasola 10 Dicembre 2013 at 20:41

      certo, le elites di immigrati 😆

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    marco bettalli 10 Dicembre 2013 at 20:29

    sai, un blog è come una nave guidata da un ahimé famoso capitano oggi sotto processo… sai da dove parti, ma non sai se ti arenerai sugli scogli e dove arriverai…

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    marco bettalli 10 Dicembre 2013 at 22:41

    scherzavo, alludendo al fatto che non si sa mai dove si va a parare!

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    Marramaquìs 10 Dicembre 2013 at 22:46

    Marco, mi dispiace, stavolta non ti ho capito. Posso scommettere tutto quello che ho che Martin Eden non è Schettino e non lo sarà mai.
    La nave di SoloScacchi è partita quattro anni fa e veleggia serenamente e liberamente, grazie soprattutto a voi che scrivete e contribuite al dibattito.
    Ma SoloScacchi non vuole dimostrare niente a nessuno, né fare inchini a nessuno, non vuole “arrivare” da nessuna parte ma neppure si fermerà su nessuno scoglio.
    Siamo contenti di quello che facciamo, soprattutto contenti di lasciare nei lettori degli spunti di riflessione e di discussione.
    Quando saremo stufi di tutto, chiuderemo la porta, vi ringrazieremo e ce ne andremo senza vergognarci di niente. Grazie.

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    paolo bagnoli 10 Dicembre 2013 at 23:58

    … e io ho palpato i faraglioni…

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    marco bettalli 11 Dicembre 2013 at 05:28

    Davvero, chiedo scusa. Non mi riferivo assolutamente alla redazione di Soloscacchi, che mi sembra intelligente, equilibrata, appassionata.

    Io adoro fare battute, e non ho resistito a buttarne lì una con la quale alludevo al fatto che, quando si inizia una discussione, su un blog (ma anche a voce!) si sa da dove si parte, ma non dove si arriva. Una specie di serendipity verbale.

    A dire il vero, c’era, nella mia battuta, una lieve ironia non già verso di voi (non avevo minimamente calcolato che potesse essere interpretata così!), ma verso Insalà, che si lamentava della deriva elitaria che stava prendendo la chiacchierata. Scusate di nuovo!

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      Marramaquìs 11 Dicembre 2013 at 06:41

      Allora anch’io ti chiedo scusa per aver male interpretato. In effetti mi era parso strano che tu intendessi riferirti alla redazione del Blog. Grazie.

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        Doroteo Arango 11 Dicembre 2013 at 07:23

        Risalite a bordo, c…o! E’ un ordine!

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          Joe Dawson 11 Dicembre 2013 at 07:24

          Vabbuò… se proprio dobbiamo… 😉

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      INSALA' 11 Dicembre 2013 at 10:52

      …E’ evidente che il Bettalli si riferisse al sottoscritto e con sportività incasso e ridacchio per il profilarsi di un possibile controgioco.Ultimamente la Redazione è troppo su di giri;dovrebbe rilassarsi un tantinello visto che siamo tutti vostri TIFOSI accaniti.Tuttavia, passi l’ironia,passi il serendipity verbale, passi la vena da battutista, passi di tutto e di più ma, il Bettalli(che mi sta simpatico perchè avverto delle affinità) non ha ancora espresso un’opinione chiara riguardo il messaggio insito nell’articolo di Marramaquis.O mi sbaglio? A propisito del rapid, quelli non sono scacchi ma videogame. Il calcetto,il beach-volley,il mini-basket il ping-pong sono altra cosa rispetto al calcio, volley, basket,tennis. P.S. a proposito dell’arenarsi sugli scogli, battuta per battuta…basterebbe evitare “l’inchino”! 😉

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    Fabio Lotti 11 Dicembre 2013 at 09:26

    Ero sicuro, conoscendo Marco Bettalli, che ci fosse stato un fraintendimento. Per gli scacchisti che amano il giallo eccomi qui http://theblogaroundthecorner.it/2013/12/letture-al-gabinetto-di-fabio-lotti-dicembre-2/ e scusate l’OT.

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    alfredo 11 Dicembre 2013 at 15:52

    Questa mattina ho ascoltato su Radio Capital un breve servizio sui mondiali Juniores con una intervista al giovanissimo italiano , ora mi sfugge nome e cognome , che giocherà nell’Under 8
    Questa categoria ha la stessa consistenza tecnica che hanno , o avevano, i pesi ” paglia” nella boxe .
    Hanno parlato di scacchi
    ma non so, al solito , se il servizio sia stato utile .
    luoghi comuni triti e nulla piu’ ! 🙁

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      Jas Fasola 11 Dicembre 2013 at 16:18

      sara’ stato il bambino del post di Tatu qui sopra. In realta’ ai campionati italiani e’ arrivato terzo, si vede i primi due hanno rinunciato.
      Sentire un bambino puo’ invogliare agli scacchi genitori e bambini + che sentire un campione 🙂 Bravissimo chi sta dietro a tutto questo 😉

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        nikola 11 Dicembre 2013 at 17:24

        spero che ad 8 anni i bambini e i genitori pensino anche ad altro. per dedicarsi agli scacchi c’è tempo e a mio modesto parere è meglio dedicarcisi in età più matura. se poi si è a tutti i costi alla ricerca del campione seguendo metodi cinesi o russi, questo non lo so. quasi la totalità dei bambini che imparano gli scacchi da piccoli si dedicano ad altro quando arrivano all’adolescenza. la maggior parte dei giocatori che conosco si è formata dopo le scuole dell’obbligo e se ha imparato a giocare da piccolo ha abbandonato per poi riprendere dopo l’università. per quanto riguarda i partecipanti a questi ‘mondiali juniores’ credo si possa con tutta tranquillità affermare che si tratti di elites.

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          Giuseppe 11 Dicembre 2013 at 21:54

          Nel caso specifico i genitori hanno avuto la fortuna (o l’abilità) di farsi sponsorizzare dalla provincia di Lecce. Non so se ci sarebbero andati comunque. Non credo che abbia chances oggi, mentre per il futuro è troppo presto per esprimersi. Credo che la stampa e lo sponsor abbiano esagerato con le aspettative. Jacopo ha un Elo di 1339 e nell’ultima occasione ha performato da 895. http://www.monopoliscacchi.it/docs/tornei/s_martino13/wwwopen/standing.html Si tratta di un ragazzo molto determinato per la sua età, ma non ci sono ancora dei motivi per parlare di prodigio.

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    alfredo 11 Dicembre 2013 at 19:31

    infatti gli hanno chiesto se sapeva che avrebbe giocato contro fortissimi bambini russi e cinesi … e se aveva una ” mossa segreta” 😉 😉
    comunque tanti auguri al nostro under 8

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    Roberto Messa 12 Dicembre 2013 at 15:10

    Dall’Ufficio stampa della FSI mi è arrivato poco fa quanto segue, credo a qualcuno possa interessare:

    INTERROGAZIONE PARLAMENTARE con la quale l’on. Piergiorgio Carrescia chiede al governo aggiornamenti sul recepimento della dichiarazione europea sugli scacchi a scuola e si spinge a chiedere risorse per le scuole che intendono aderire.

    ATTO CAMERA – INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA 4/02585

    Firmatari
    Primo firmatario: CARRESCIA PIERGIORGIO
    Gruppo: PARTITO DEMOCRATICO
    Data firma: 20/11/2013

    Ministero destinatario:
    MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA
    Attuale delegato a rispondere: MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA delegato in data 20/11/2013

    Stato iter:
    IN CORSO

    Atto Camera
    Interrogazione a risposta scritta 4-02585

    presentato da CARRESCIA Piergiorgio
    Mercoledì 20 novembre 2013, seduta n. 122

    CARRESCIA. — Al Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
    il Parlamento europeo, visti gli articoli 6 e 165 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea e l’articolo 123 del suo regolamento, considerando che il gioco degli scacchi è accessibile ai ragazzi di ogni gruppo sociale e può contribuire alla coesione sociale e a conseguire obiettivi strategici quali l’integrazione sociale, la lotta contro la discriminazione, la riduzione del tasso di criminalità e persino la lotta contro diverse dipendenze; che indipendentemente dall’età dei ragazzi, il gioco degli scacchi può migliorarne la concentrazione, la pazienza e la perseveranza e può svilupparne il senso di creatività, l’intuito e la memoria oltre alle capacità analitiche e decisionali; e che gli scacchi insegnano inoltre determinazione, motivazione e spirito sportivo; ha approvato la dichiarazione scritta n. 0050/2011 (GUCE 31 agosto 2013) sull’introduzione del programma «Scacchi a scuola» nei sistemi d’istruzione dell’Unione europea ed ha invitato gli Stati membri a incoraggiare l’introduzione del programma «Scacchi a scuola» nei sistemi d’istruzione;
    negli ultimi anni le attività di diffusione scacchistica nelle istituzioni scolastiche si sono moltiplicate in molte regioni italiane, dirigenti scolastici e docenti mostrano un grande interesse per la nostra disciplina, in relazione all’attività didattica propria delle varie scuole, ed in generale alla formazione degli studenti;
    molte recenti ricerche nel campo della didattica evidenziano il ruolo di attività che riescano a coinvolgere attivamente lo studente nei processi di apprendimento come quella scacchistica;
    una ricerca, denominata «Gli scacchi: un gioco per crescere», è stata realizzata presso otto classi terze di scuola primaria nel 2007 dal professore Roberto Trinchero, docente di pedagogia sperimentale presso la facoltà di scienze della formazione dell’università degli studi di Torino, ed ha rilevato come il gioco degli scacchi possa essere un valido ausilio per il potenziamento delle abilità cognitive degli alunni. Detta ricerca ha valutato l’efficacia degli istruttori della federazione scacchistica italiana e dei protocolli didattici da loro impiegati, permettendo di poter affermare che, quando impiegato come strumento pedagogico, il gioco degli scacchi può ben supportare il compito degli insegnanti;
    la pratica scacchistica, oltre alla naturale stimolazione delle competenze logiche, porta all’affinamento dell’intuizione e delle capacità gestionali di qualunque situazione, che produca la considerazione e l’accettazione dei propri limiti e degli eventuali insuccessi, consolidando tramite il gioco il rispetto delle regole e dell’avversario, l’esercizio della pazienza e della correttezza;
    gli scacchi possono rivelarsi un importante strumento didattico per la rimozione di alcuni ostacoli all’apprendimento sia sul piano comportamentale, motivando all’impegno verso un progetto strategico scelto autonomamente, sia su quello delle connessioni logiche, favorendo soprattutto i rapporti di causa-effetto e le aperture del pensiero divergente pur nell’applicazione del pensiero convergente. In particolare, si ritiene che questo tipo di interventi possano essere valido supporto per lo sviluppo di competenze matematiche come declinate nei programmi PISA, cioè connesse ad un uso più ampio e funzionale della matematica, dove si richiede una applicazione nel riconoscere e formulare problemi matematici in varie situazioni (PISA 2003);
    i risultati ottenuti ai test PISA suggeriscono che gli studenti italiani non sanno applicare le abilità costruite a scuola in contesti meno strutturati di quelli in cui sono soliti svolgere le loro attività scolastiche; essi mostrano difficoltà nei processi di riflessione, riproduzione e connessione delle conoscenze matematiche (Fonte UMI);
    questo tipo di difficoltà emergono soprattutto a causa di un pensiero non-scientifico. Gli studenti non sono abituati a pensare usando un rigoroso e coerente approccio scientifico, o meglio, non lo ritengono un riferimento essenziale in molte attività perché lo ritengono circoscritto ad ambiti ben delimitati. Tutte queste considerazioni sono frequentemente presenti nei progetti didattici che sono prodotti dagli istruttori e/o dai docenti impegnati nelle attività scacchistiche a scuola;
    si rileva però che, a fronte di questo lodevole impegno, non esiste un modo organico di approcciarsi a questo nuovo strumento della didattica e molti dei benefici possibili sono dispersi nei rivoli della poca esperienza nel coniugare dette istanze formative nei tempi e modi adeguati;
    attività di avviamento al gioco degli scacchi sono ormai diffuse su tutto il territorio nazionale; sovente questi progetti si sono sviluppati su base locale e a volte in modo sporadico, tramite associazioni scacchistiche le quali, supportando la richiesta degli istituti scolastici a loro vicini, possono fornire istruttori Federazione scacchistica italiana C.O.N.I., in grado di intervenire sulle classi in qualità di «esperti esterni», sia in orario curricolare che extra curricolare;
    la diffusione del gioco degli scacchi nelle scuole sembra quindi dovuta ad una brillante intuizione di un certo numero di docenti che però si scontra con le rigidità del sistema e con l’obiettiva difficoltà nell’introdurre le lezioni da parte degli istruttori Federazione scacchistica italiana C.O.N.I., quando richiesti come esperti, che non appartengono al mondo della scuola;
    è perciò molto importante per migliorare il sistema scolastico nazionale accogliere l’invito del Parlamento europeo ed introdurre il programma «Scacchi a scuola» nel sistema d’istruzione;
    sono necessarie azioni da parte del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca per motivare utilmente i docenti della scuola pubblica, affinché essi possano sentirsi adeguati nelle rispettive competenze tecniche, necessarie all’insegnamento del gioco degli scacchi, sapendo ben impiegare questo strumento pedagogico con le finalità sopra esposte;
    esistono già significative esperienze in Italia quale quella nella regione Piemonte dove tramite, il relativo Comitato regionale della federazione scacchistica italiana si è potuto avviare già dal 2005, in forma coordinata con l’ufficio scolastico regionale e il settore istruzione della regione Piemonte, il progetto «Scacchi a scuola in Piemonte», che per il livello qualitativo e quantitativo raggiunto è considerato un esempio di eccellenza nella diffusione scacchistica scolastica e si colloca tra i principali progetti in ambito internazionale;
    la Federazione scacchistica italiana ha elaborato numerose proposte per la diffusione dell’attività scacchistica e, nel settore scolastico, è quanto mai significativa quella denominata «Scacchi a scuola in Italia» che intende fornire un percorso di didattica scacchistica – scolastica alle classi della scuola primaria, in orario scolastico, della durata minima di 50 ore complessive (10 ore per anno) così articolato in varie fasi: a) psicomotricità su scacchiera gigante; b) formazione docenti scolastici; c) insegnamento agli alunni tramite l’utilizzo di internet/intranet; d) impiego degli istruttori federazione scacchistica italiana CONI;
    diversi Paesi hanno già varato programmi governativi che prevedono l’inserimento organico degli scacchi a scuola, tra cui la Cina, la Turchia e l’Egitto, tramite il loro relativo Ministero dell’istruzione. Rendere il gioco degli scacchi una materia scolastica, come appunto sta succedendo altrove, sarebbe ora poco pertinente alla nostra realtà nazionale, in quanto si può definire questo un momento di profonda innovazione strutturale della stessa scuola pubblica, con tutti i risvolti che ciò comporta;
    incoraggiare però l’introduzione del programma «Scacchi a scuola» verificando e attualizzando il protocollo d’intesa fra FSI e Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca del 2008 e destinando risorse specifiche per gli istituti che partecipano al progetto può costituire un modo efficace per migliorare in tempi brevi il servizio scolastico offerto –:
    quali iniziative intenda assumere il Governo, in attuazione della dichiarazione scritta n. 0050/2011 del Parlamento europeo, per promuovere ed incentivare l’introduzione del programma «Scacchi a scuola» nel sistema d’istruzione nazionale, se intende attualizzare il Protocollo firmato dal Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca con la FSI nel 2008 e quante risorse intende destinare a favore degli istituti che aderiscono a tale programma. (4-02585)

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      Jas Fasola 12 Dicembre 2013 at 15:27

      Bene, sarebbe interessante sapere se in FSI hanno fatto o pianificano di fare qualcosa per promuovere (dopo previo esame della situazione) gli scacchi in Parlamento. Questo potrebbe favorire qualsiasi discorso di promozione degli scacchi.

      Qui sul sito della Camera polacca il sito della squadra degli scacchisti
      http://www.sejm.gov.pl/sejm7.nsf/agent.xsp?symbol=SKLADZESP&Zesp=132

      Bisognerebbe che la FSI verificasse se c’e’ un piccolo gruppetto di scacchisti/e deputati/senatori e poi potrebbero organizzare incontri interessanti (dai bambini agli imprenditori, a scacchisti famosi, etc.).

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        Jas Fasola 12 Dicembre 2013 at 15:31

        schiacciando “strona główna” c’e’ l’e-mail di contatto mentre sotto “posiedzenia” ci sono alcune attivita’ fatte.

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      INSALA' 12 Dicembre 2013 at 20:38

      …rendere gli scacchi un’ attività CURRICULARE è la via maestra da seguire.Questo approccio consentirebbe la realizzazione del cosiddetto “basso livello di vantaggio”(De Groot) ovvero ricadute sociali vantaggiosissime per la Comunità tutta.A questo punto sarebbe opportuno creare un MOVIMENTO d’OPINIONE per far pressione.Ben fatto Signor Messa,Grandi voi di SoloScacchi, in questo caso vero e proprio Servizio Pubblico!

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    Roberto Messa 14 Dicembre 2013 at 21:25

    L’attrice Gwyneth Paltrow regala 62 mila sterline all’insegnante di scacchi di suo figlio. Purtroppo l’articolo non svela il nome del fortunato maestro o istruttore. Fonte: Corriere della Sera:

    http://www.corriere.it/esteri/13_dicembre_13/spese-nigella-30-mila-euro-fiori-8defd5a8-63d9-11e3-aa0f-2ef156041c19.shtml

    NO COMMENT.

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    Marramaquis 14 Dicembre 2013 at 21:58

    Letto tutto. Mi unirei volentieri al NO COMMENT, ma non riesco ad esimermi (scusate) dall’augurare al ragazzino di perdere le sue prossime 62.000 partite di fila….. e dallo sperare che il fortunato istruttore ci paghi regolarmente le tasse.

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      Roberto Messa 15 Dicembre 2013 at 11:31

      Si dice che i sudditi della corona (e tutti gli anglosassoni in generale) paghino le tasse con più zelo di noi… comunque la notizie forse sarebbe da rileggere alla luce del fatto che esce proprio mentre a fianco del London Chess Classic (dove per inciso Caruana e Brunello si stanno portando benissimo) si svolgono tornei con centinaia di ragazzini avviati agli scacchi dalla fondazione Chess Schools and Communities che offre corsi a costo zero alle scuole pubbliche inglesi (con particolare riguardo a quelle dei quartieri “difficili” come fa del resto anche la Kasparov Foundation negli Stati Uniti).
      Potrebbe essere che la Paltrow, coinvolta nella cosa grazie alla figlio, abbia semplicemente fatto una donazione alla fondazione londinese.
      Comunque prendere lezioni di scacchi è diventato uno status symbol in Gran Bretagna come negli USA, stando a quel che si legge di Madonna, Sting e vari top manager americani. Anche in Italia, non posso fare nomi, alcuni nostri titolati hanno avuto la fortuna di dare lezioni a personaggi importanti (banchieri ecc.)

      Il GM Ken Rogoff ha evidenziato questo fenomeno “anticiclico” asserendo che negli USA mentre molte categorie professionali di prestigio (avvocati, agenti di borsa, psicanalisti) hanno sentito i morsi della crisi, i maestri e grandi maestri di scacchi stanno guadagnando cifre importanti: “In many US cities, for example, good chess teachers earn upwards of $100-$150 per hour. Yesterday’s unemployed chess bum can bring in a six-figure income if he or she is willing to take on enough work.”
      L’articolo intero è qui:
      http://en.chessbase.com/post/rogoff-on-innovation-unemployment-inequality-and-dislocation

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        Roberto Messa 15 Dicembre 2013 at 14:19

        Veramente Caruana, nel torneo rapid, dopo aver stravinto il suo girone con 5 vittorie e una patta, nei quarti di finale è stato eliminato da Gelfand agli spareggi lampo (evidentemente soffre i tie-break, come altri eventi del 2012 e 2013 hanno dimostrato).
        Dimenticavo di aggiungere che ai tornei giovanili di Londra c’è anche una delegazione di giovanissimi milanesi accompagnati da Matteo Zoldan (istruttore e organizzatore con la sua Chess Projects).

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    alfredo 15 Dicembre 2013 at 16:15

    Il Maestro Bruce Pandolfini , reso famoso dall’interpretazione che ha dato di lui l?oscar Ben Kingsley nel film ” WAiting for Bobby Fischer” è diventato uno dei piu’ imprtanti ( e pagati) braim – coach ( o ” motivazionista” ) negli Usa .
    Interessante anche quella che ha fatto il GM Maurice Ashkey ovvvero portare gli scacchi nelle scuole piu’ difficili del Bronx

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    INSALA' 15 Dicembre 2013 at 19:55

    …In questa fase di crisi sociale , culturale ed economica serve il pensiero strategico.Questo aspetto giustifica l’utilizzo, soprattutto extra-scacchistico, dei Maestri. Tuttavia anche i Coach di volley sono richiestissimi in ambito extra-agonistico(questo già da decenni).Il binomio è spiegato dal fatto che scacchi e volley necessitano di un’attività intellettuale per esser praticati al meglio(il volley è definito secondo la teoria dei giochi di squadra come lo sport dell’intelligenza veloce).

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      delpraub 15 Dicembre 2013 at 23:00

      Sono d’accordo sulla necessità di pensiero strategico e sulla sua drammatica mancanza in questa fase sociale (con diverse sfumature in Paesi diversi, comunque).
      Se vogliamo mantenere un parallelo con gli scacchi (e tenere fuori dal discorso i tornaconto privati che purtroppo ci sono), il problema è che oggi in politica si gioca solo bullet-chess: tutto deve essere pensato e comunicato rapidamente (non fatto, attenzione!, solo comunicato). Ci credo che la strategia non esiste: non c’è proprio il tempo di elaborarla e studiare come applicarla. Se solo ti fermi a pensare, arriva qualcun altro con una panzana (semplice e accattivante) che ti frega.
      E’ un problema amplissimo, che le comunicazioni rapide e continue non possono che far peggiorare.

      Il parallelismo invece tra scacchi e pallavolo lo vedo invece meno calzante. Ho giocato entrambi gli sport e l’unico tratto che veramente li accomuna è la mancanza dell’aspetto fisico della competizione. Per entrambi serve lo studio di schemi di gioco e tecnica di base, ma questo vale anche, che so, per la pallacanestro.
      La ricerca degli allenatori di pallavolo per altri ambiti si spiega, secondo me, con l’aspetto di gestione del gruppo, delle motivazioni dei singoli e dell’equilibrio delle personalità, cosa che negli scacchi manca.

      Mi piace la definizione di “sport dell’intelligenza veloce” (che non conoscevo), ma non credo che spieghi bene la particolarità della pallavolo, che definirei piuttosto “sport dell’intelligenza DI GRUPPO veloce”. Credo che un giocatore di tennis debba possedere capacità di elaborare rapidamente strategie e reagire ad imprevisti come e più di un pallavolista, ma lo può e lo deve fare da solo. Nella pallavolo, serve che questa capacità sia diffusa e condivisa tra i sei in campo (ed anche con chi è in panchina, che deve essere pronto ad integrarsi in un attimo in questo macro-organisamo che è la squadra).

      Essere in grado di lavorare in questo modo e gestire un gruppo di persone in modo che il risultato finale sia superiore alla somma delle capacità dei singoli è decisamente una caratteristica necessaria e ambita in molti settori.

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        INSALA' 16 Dicembre 2013 at 16:09

        …caro delprub,incredibili i casi della vita,ma abbiamo lo stesso background!! Magari in futuro(impegni professionali permettendo) potrò approfondire il parallelismo scacchi&volley (che è consistente) e spiegare meglio il concetto di “sport dell’intelligenza veloce” che,contrariamente a quanto tu vai affermando, calza perfettamente con il volley(soprattutto dalla serie B2 in poi).Mi riferisco ai tests fatti da psicologi cognitivi durante la gestione Velasco molto simili agli studi di de Groot sui Maestri di scacchi. Una cosa, però, è possibile affermarla:scacchi e volley sono sport della mente(anche se non considero gli scacchi un vero e proprio sport se non a determinate condizioni,Carlsen docet) con notevoli overlap(Magnus pratica anche il volley non a caso!).Riguardo la necessità “famelica” di pensiero strategico vorrei ricordare che il famosissimo libro di Sun Tzu(l’Arte della guerra) è vendutissimo in questo periodo(al pari dei manuali di von Clausewitz e di Sun Pin) e letto avidamente da manager,politici(es.D’Alema ha intessuto lodi sperticate per questo antico manuale anche se non mi pare ci siano state ricadute positive sulla sua attività politica,anzi!), dirigenti di ogni ordine e grado ecc. Graditissima sorpresa, caro delprub, averti letto. Cordiali saluti…P.S. la dizione “sport dell’intelligenza veloce” è il titolo di un noto manuale per allenatori di volley usato a metà degli anni’90;in esso sono rintracciabili tematiche utilissime anche per la crescita scacchistica (implementano i cosidetti “chunk”;).Molto utile la sua lettura(come altre extra-scacchistiche) perchè in fondo,come insegnava la Scuola Russa, vale il detto…chi sa solo di scacchi non sa nulla di scacchi! 😉

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    alfredo 16 Dicembre 2013 at 19:02

    Caro INSALA’ perché non getti la maschera ? 😉
    interessante quello che dici sul volley ( e credo che su D’Alema la pensiamo allo stesso modo.In lui ho sempre visto alterigia , non intelligenza )
    Jorge Velasco prima che un grande coach è stato un grande ” educatore” ( e gli perdono anche di essere un seguace della famigerata NPL , la cd programmazione neurolinguistica)
    nel calcio educatori lo sono stati Bearzot e Sacchi , oggi lo è Guidolin che vorrrei prossimo CT della nostra nazionale.
    Nel ciclismo lo sono stati CT come Martini e Ballerini .
    Certo lo è stato e lo è Zeman
    con educatore intendo chi pensa che il miglioramento di una performance atletica o professionale passi inevitabilmente attraverso una crescita della ” persona” atleta.
    Certo educatore non lo è Conte , nel modo piu’ assoluto.
    non so se negli scacchi si possa utilizzare questa distinzione ( e qui mi rifaccio sempre al Bruce Pandolfini di Waiting for Bobby Fischer)
    certo ho in mente alcuni buoni esempi di istruttori di scacchi – educatori .
    imbottire un bambino di varianti puo’ non portare a nulla.
    insegnarli si’ delle varianti ma anche un modello di comportamento puo’ fornire al giovane “beginner” un patrimonio che gli servirà tutta la vita .
    chiamasi , più o meno, “imprinting” 🙂

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    paolo bagnoli 16 Dicembre 2013 at 22:03

    Condivido tutto, speranze, illusioni, considerazioni, progetti, impegno personale e collettivo, TUTTO! L’unico neo di tutta la faccenda è che l’Italia è fondamentalmente un Paese MORTO o in stato agonico irreversibile. Ci sarà chi lo terrà in vita con patetico accanimento terapeutico, ci saranno deboli battiti cardiaci, l’ECG non sarà proprio piatto ma quasi, ma saremo sempre più come settantenni che gareggiano con ventenni in una corsa il cui risultato è già scritto.
    Chi vincerà? Mah, non lo so, ma certamente non noi. E noi scacchisti, sinceramente ed affettuosamente affezionati al nostro gioco, resteremo sempre una specie di élite della mutua che continuerà ad avvitarsi su se stessa.
    Restando sul piano statistico e riferendoci unicamente alle percentuali che, in questo caso, sono quelle che contano, quanti GM aveva l’Italia quando il mondo intero ne annoverava una ottantina? UNO. Oggi, che i GM sono un paio di migliaia, ne dovremmo avere venti o venticinque, cosa che non è, anche considerando (e non è poco) gli “importati”.
    Se, invece, ci limiteremo a considerare il nostro gioco come un fenomeno “culturale” forse, ripeto FORSE, quando riusciremo a scrollarci di dosso il fardello di aria fritta imperante, sorgerà spontaneamente un movimento scacchistico nuovo, giovane, divertente, allegro, spensierato.
    Ma io non lo vedrò.

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    marco b. 17 Dicembre 2013 at 14:53

    Paolo,

    con tutta la stima e l’affetto, il tuo uso delle statistiche è un po’ troppo funzionale alla tesi che vuoi dimostrare. Nulla di grave: anche se le adoro, so quanto le statistiche possano facilmente a essere “orientate” (il pollo di Trilussa…).

    Dunque: nel 1975 i GM erano 100 spaccati (non 80), i nostri (il grande Sergio) erano 1, quindi l’1%. Il che rende formalmente la situazione simile oggi (non molto peggiore, come dici tu): su un migliaio di GM attivi (formalmente sono di più, credo circa 1500, ma molti sono praticamente inattivi) i nostri sono 11, quindi siamo lì. Faccio notare en passant che l’inflazione in termini di numero di GM è molto più contenuta se ci limita ai paesi occidentali, poiché il grosso è determinato dal “liberi tutti” dei paesi dell’ex Unione Sovietica, che nel 1975 potevano solo in minima parte accedere ai tornei validi per le norme GM.

    Ma, a parte questa notazione peraltro fondamentale, la differenza, in realtà, mi sembra comunque enorme: Axel, Vocaturo, Brunello, Dvirnyy fanno continuamente norme di GM (Sergio, anche se non ci crederai, non ha più fatto norme dopo il 1974…), vincono tornei all’estero, si fanno, come si suol dire, onore. Per non parlare di Caruana, che definire “importato”, scusa tanto, mi sembra un po’ volgare, per un ragazzo che è italiano a tutti gli effetti e la cui famiglia ha comunque deciso di rappresentare i colori dell’Italia. Insomma, la situazione è profondamente diversa, anche e soprattutto a livello giovanile: 30-40 anni fa, a parte l’eccezione Godena, giovani e giovanissimi come De Filomeno, Codenotti, Rambaldi, Carnicelli ce li sognavamo di notte.

    Quello che non capisco è l’accanimento: perché parlare male di una situazione che, cavolo, non sarà certo ottimale, ma è comunque in grande crescita, grazie anche e soprattutto al lavoro di tanti istruttori, maestri, appassionati? Mamma mia, se c’è una cosa che mi fa arrabbiare è il pessimismo cosmico!

    scusa lo sfogo, rispetto comunque le tue idee

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    INSALA' 17 Dicembre 2013 at 20:42

    …concordo in TUTTO con il post del sig.Bagnoli. Invece, le “statistiche” snocciolate per arginare il “pessimismo cosmico” evidenziano carenze lapalissiane in fatto di sensibilità,specificità ed accuratezza.Quindi, solo serendipity verbale pro domo sua, nulla più. Il segno della PATOLOGIA sono gli “importati”!

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    alfredo 17 Dicembre 2013 at 20:52

    caro INSALA’
    non comprendo il tuo ” serendipity verbale pro domo sua”
    conosco benissimo il concetto di serendipity .
    ma proprio non riesco a capire questo tuo post .
    non credi che parlare un po’ piu’ chiaramente , NEL NOSTRO BELLISSIMO ITALIANO , senza contaminazioni linguistiche e citazioni gioverebbe al dibattito ?
    PS : certo mi rendo conto che il termine ” serendipity ” non è traducibile.
    e nulla neppure contro le contaminazioni linguistiche che hanno fatto grande il mio concittadino e amico Gigi Meneghello , uno dei dieci scrittori che resteranno del nostro novecento.
    ma per reggere un dibattito bisogna essere chiari . paolo e marco b . lo sono stati.
    Tu no , e non penso sia solo una mia personalissima sensazione .

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    paolo bagnoli 17 Dicembre 2013 at 23:56

    Caro Marco, nulla da dire sui nostri giovani GM, anzi…! Devo comunque dire che conosco i polli di Trilussa, ma devo anche dire che: a) l’abbassamento della norma di GM è stato deleterio ; b) mi riferivo ad una frase di Petrosjan che si scandalizzava (credo nel 1969, ma posso sbagliare) dell’ eccessivo numero di GM in circolazione (sic!); c) se proprio vogliamo affidarci alle statistiche facciamo una cronistoria dell’incremento di GM da quando la norma è stata abbassata e, forse, avremo qualche sorpresa. Ad esempio, negli anni Sessanta o Settanta (sono vecchio e me li ricordo) nel Belpaese circolavano giocatori come Tatai, Toth, Cosulich e dimentico gli altri, e c’erano giovani come Cappello, Taruffi (parlo di quelli che conoscevo da vicino) e diversi altri che non avevano la possibilità di giocare una dozzina di tornei all’anno e che, a mio avviso, avrebbero potuto emergere in ambito internazionale.
    Comprendo il tuo punto di vista, ma devo correggerti: io non sono pessimista, sono realista, e considero ciò che vedo e sento dalla mattina alla sera. A costo di risultare noioso, penso che fino a quando saremo immersi fino al collo in questa degenerazione sociale (e qualcuno non faccia l’onda, per favore…;) gli scacchi resteranno il NOSTRO gioco. Va bene anche così, per carità, ma l’inflazione dei “titoli” è stata deleteria (cito Short); fosse stato per me, avrei messo la norma a 2700.
    Lungi da me l’idea di criticare gli “importati”, men che meno Caruana o Garcia Palermo, non scherziamo…

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    alfredo 18 Dicembre 2013 at 11:46

    Paolo dimentichi il nostro professor Trab 😉
    comunque ritengo che i quattro che tu citi fossero piu’ o meno allo stesso livello ( e di questa idea era anche Toth) ed è stato il caso , piu’ che altro , a far sì che uno diventasse GM , due si fermassero al titolo di MI e Cosulich si fermasse del tutto. Mi piacerebbe che qualche valentissimo storico del nostro sito riprendesse l’enigmatica figura di Cosulich , l’inquieto .
    Per chi sta seguendo il torneo di Padova segnalo la mossa finale della Partita Axel Rambaldoni – Kril Georgiev . Non difficile ma molto istruttiva .

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    alfredo 18 Dicembre 2013 at 11:52

    a mio modo di vedere una eccellente integrazione a quel che dicono delpaub e INSALA’

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    marco bettalli 18 Dicembre 2013 at 20:32

    ok, sono circondato. seguito a non essere d’accordo, ma prendo atto, per carità, che non sono un trascinatore di folle.

    Ci riprovo. Anch’io, Paolo, ho vissuto quegli anni. Non ho nulla contro Tatai e Toth, comunque di scuola ungherese, ma se in 250.000 tornei disputati non sono diventati GM un motivo ci sarà pure. Eccellenti giocatori senz’altro ma paragonarli, che so, a Brunello mi pare un azzardo. Quanto a Cosulich, è scomparso dalla circolazione troppo presto, in ogni caso non ha mai superato i 2420-30: gran bel giocatore, ma insomma…

    La storia dell’inflazione la conosco anch’io, ma non esageriamo, altrimenti finisce che io, che veleggiavo sui 2050-2100 massimo, giocavo come Vocaturo… Dietro questa faccenda c’è un atteggiamento da laudator temporis acti, mi pare. Anch’io ho nostalgia dei vecchi tempi, che c’entra, ero giovane e questo mi pare piuttosto importante!

    Ma, attraverso gli occhi di mio figlio, vedo la situazione presente e mi pare molto migliorata, da un punto di vista tecnico, organizzativo, ecc. Il discorso è anche più macroscopico per i giovani. Cappello e Taruffi li ho conosciuti, mi parevano molto bravi (in confronto a me, poi…;), ma oggi i giovani (e soprattutto giovanissimi) sono più forti e preparati. E sono di più! I due grandi bolognesi erano appunto due… In generale, mi sembra evidente la maggiore preparazione dei giovani di oggi: prima, c’era molta più improvvisazione e spontaneismo, come fece notare lo stesso Tatai in un articolo su un campionato it. da lui, come sempre, vinto a mani basse.

    Per finire, Paolo. La crisi del paese è terribile, lo so. Ma perché dire che è morto? Un paese non muore mai, spero. E, l’ho già detto in un altro intervento, trovo naturale confondere i due piani, ma purtroppo sbagliato: la diffusione degli scacchi non ha nulla a che fare con il livello morale e culturale di un paese. Se vuoi, ricomincio con un milione di esempi…

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      Roberto Messa 19 Dicembre 2013 at 08:40

      Chi più di me avrebbe buoni motivi per ingrossare le fila dei laudator temporis acti? Invece la penso come Marco. Siamo tutti d’accordo sul fatto che i paragoni sono impossibili in contesti così diversi, ad ogni modo la carriera internazionale di Brunello è solo agli inizi; intanto ha vinto un torneo a Wijk aan Zee e partecipato alla World Cup, prima fase del campionato del mondo a cui accedono solo un centinaio di giocatori. E Brunello non ci è entrato per l’Elo ma perché ha conquistato il diritto sul campo ai campionati europei individuali del 2012… nemmeno Caruana era mai riuscito a qualificarsi per mezzo degli europei. Penso che Brunello, Dvirnyy e Axel Rombaldoni abbiano ancora notevoli margini di miglioramento, come pure Vocaturo che per il momento ha più o meno abbandonato la carriera professionistica (fa l’università).
      Trent’anni fa la competizione sulla scena internazionale era tutt’altro che globale: nessuna tigre asiatica e pochissimi rappresentanti dell’est europeo contendevano onori e oneri ai pochi professionisti sulla piazza europea occidentale.
      A proposito di professionisti, in Italia nei primi anni Ottanta eravamo in tre a vivere solo di scacchi: Tatai, Toth ed io – naturalmente io ero più debole di loro sul piano scacchistico, perciò sono andato progressivamente ad impegnarmi in attività parallele (giornalismo ed editoria, ma non solo) fino a dover rinunciare ai tornei dal 1988. Ora, includendo gli istruttori, gli organizzatori ecc. saremo almeno in trecento…

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        Franco Trabattoni 19 Dicembre 2013 at 12:28

        Aggiungo a questa discussione solo un particolare. Gli scacchi, e i tempi, sono molto cambiati. Nel “secolo scorso” Calapso e Albano hanno pattato, rispettivamente, contro Petrosjan e Karpov, quando essi erano campioni del mondo. Oggi non riesco a immaginare neppure un’occasione in cui giocatori di livello differente si possano incontrare; e tantomeno riesco a pensare he risultati del genere siano possibili. Ma questo certo non significa che i maestri italiani di allora fossero più forti di quelli di oggi. Significa piuttosto, come ho detto, che il mondo degli scacchi (e il modo di giocare a scacchi, aspetti agonistici compresi) è profondamente cambiato.

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    alfredo 19 Dicembre 2013 at 00:49

    caro Marco
    sono d’accordo con te . L’Italia non morirà ma al momento è in prognosi riservata .
    ho conosciuto Brunello mi sembra nel 2005 a Lodi e mi fu simpatico. poi dopo lo ho solo seguito nei tornei , ne ho studiato le partite .
    lo apprezzo molto anche per il suo eccellente libro sulla spagnola.
    ma penso che la sua superiorità nei confronti dei due giocatori di scuola ungherese sia ancora tutta da dimostrare .
    tatai è forse il MI con la piu’ ricca collezione di scalpi di GM ( e di primissima fascia , ottenuti anche quando questi giocatori erano nella Top ten mondiale .Al momento non mi risula che il GM Brunello abbia ancora battuto un top ten )
    per quanto riguarda Toth il discorso è complesso.
    per motivi politici ( la sua famiglia ” borghese” appoggio’ la rivolta di Nagy nel 56)in patria fu sottoposto ad ogni genere di vessazioni. Una delle peggiori fu impedirgli l’accesso agli sudi universitari dopo che aveva brillantemente superato i test di ammissione in molte materie .
    poteva partecipare solo a pochi tornei e non poteva uscire dai confini
    lui stesso ha parlato ( se vai sulla pagina dell’Asigc e vedi il commento alle partite che gli anno permesso di diventare nel 78 – 79 campione europeo per corrispondenza ne fa cenno) di anni di dolore , umiliazione , solitudine e sofferenza.
    se non fosse stato per questo sarebbe stato sicuramente uno di migliori giocatori unghereresi della generazione post portisch .
    Certo Tatai ha giocato moltissimi tornei in cui poteva conquistare il titolo definitivo di GM . non cosi’ Toth che era un giocatore che doveva fare molti tornei open per sopravvivere. gli unici tornei in cui poteva fare la norma erano in definitiva Reggio e Roma . E poi la sua sua vera carriera comincio in Italia nel 73 quando aveva 30 anni .
    ma nessuno puo’ mettere in dubbio la sua grande preparazione in apertura e una profonda comprensione degli scacchi .
    lo vidi a Biel una volta contro l’attuale CT della nazionale Arthur Kogan
    Arthur poi mi disse che non conoscendolo pensava che il suo livello di gioco fosse quello di un 2395 e che lui , cheaveva 100 punti Elo in piu’ non avrebbe avuto problemi .
    Bela vinse dando una autentica lezione al rampante Arthur .
    come autentiche lezioni ha dato con il N a Timman ( allora numero 3 al mondo) e a Kavalek ( nel 76 quando Kavalek era tra i primi 15 al mondo).
    non sono un nostalgico , anzi mi viene da sorridere quando penso che il database di Toth consistesse in una pigna di scatole di scarpe in cui conservava le varianti e sottovarianti delle aperture che utilizzava .
    semplicemente mi sembra giusto dare il merito che spetta a questi giocatori e aspettare che la carriera dei nostri giovani GM sia piu’ consistente .
    si è a volte un po’ miopi a dare giudizi .
    tempo fa ho sentito a un congresso medico un collega tifoso juventino paragonare Marchisio e Vucinic a Tardelli e Van Basten .
    O era completamente pazzo o non aveva mai visto giocare Tardelli e Van Basten !!!
    a presto 🙂

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      nikola 19 Dicembre 2013 at 01:57

      beh, dopo questo commento e nonostante la mia poca esperienza posso tranquillamente definirmi un nostalgico. :)
      aggiungerei anche che confrontare i giocatori dei tempi passati con quelli dei nostri tempi è quasi improponibile vista l’agio e l’abbondanza di mezzi che hanno questi ultimi; e sarebbe quasi un mancar di rispetto ai “primi”, e a quello che hanno saputo fare con poco.

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    marco bettalli 20 Dicembre 2013 at 14:02

    Caro Alfredo, grazie per le precisazioni. Vorrei precisare anch’io: a me risulta che Tatai abbia battuto, tra i Top-ten, solamente Larsen nel 1972. Forse anche Ljubojevic nel 78, ma il ragazzo era noto per la sua incostanza e non ricordo bene come fosse piazzato quell’anno. Comunque si sta parlando di una carriera quarantennale…

    Brunello non ne ha battuti, ma oggi è molto più difficile incontrarli, giocano quasi sempre tra di loro! Vocaturo, p.es. ha battuto Gashimov e Caruana, non proprio tra gli ultimi, anche se Fabiano non era ancora nella Top-ten.

    Sono più d’accordo su Toth: l’ho conosciuto abbastanza bene e aveva una preparazione straordinaria, persino un po’ maniacale. Ricordo che si lamentava molto del fatto di aver potuto incontrare solo qualche dozzina di GM; sicuramente avrebbe potuto, in altre circostanze di vita, fare molto meglio. Tatai mi pare che le occasioni le abbia avute tutte e di più.

    A parte la mia fede romanista che mi induce a parlar male degli juventini, beh Marchisio-Vucinic vs Tardelli-van Basten, qui non si tratta di essere laudatores temporis acti, ma di conoscere un minimo il calcio…

    piccola nota per Nikola: oggi ci saranno gli agi e l’abbondanza di mezzi, ma non è che avendo a disposizione (a casa…;) Houdini e ChessBase si gioca necessariamente meglio! E poi, negli anni passati Tatai e Toth, per dire, giocavano contro altri che “avevano poco”: non è che gli altri studiassero al pc e loro no… In realtà giocare oggi è infinitamente più difficile (c’è una bella intervista di Kramnik in proposito, che sostiene che 30 anni fa avrebbe fatto infinitamente meno fatica a mantenersi al top): le novità teoriche durano il tempo della partita, una volta con una novità uno poteva andare avanti 6 mesi. Senza contare la necessità di terribili preparazioni per la partita del giorno dopo, per sorprendere l’avversario, col risultato, come ha detto Garcia Palermo, che tutti giocano tutto senza essere veramente preparati su nulla…

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    alfredo 20 Dicembre 2013 at 19:33

    Caro Marco , a prosito dei temporis acti ,proprio oggi mettendo a posto vecchie carte ho trovato una tua partita con Mario Leoncini del 1974!!!
    comunque è vero che Tatai ha avuto molte possibilità avendo giocato molti ” tornei chiusi”ha giocato molti tornei chiusi e ha giocato e sconfitto molti superGM .La vittoria su Larsen è dovuta a grossolani errori in zeitnot ma Tatai aveva giocato meglio .Ricordo una sua vittoria contro Beljavsky ( un Dragone) , contro Vaganian nel 77 ( a Roma , Torneo in cui giocò anche il nostro Franco) contro Nunn a Reggio in momenti in cui i tre super GM se non erano tra i primi 10 vi erano molto vicini .
    considero Toth una delle persone piu’ interessanti che abbia incontrato (e mi ha fatto piacere rientrare in contatto con lui , che è tornato a Budapest attraverso la moglie Ilona ).
    Per quanto riguarda il calcio è meglio , che da milanista , quest’anno io taccia. certo che vedere giocare Van Basten è stato un grande privilegio per quanto anche il vostro Totti sia sicuramente un grande. A me ha sempre ricordato Bobby Charlton che ricordo negli anni 60 con la maglia della nazionale inglese e del Manchester United ( ho avuto anche la fortuna di vedere giocare lui e Best a San Siro) .A mio modo di vedere Totti è tra i primi 10 giocatori italiani del dopoguerra .e poi è anche uno dei pochi giocatori simpatici .

  67. avatar
    Renato Andreoli 20 Dicembre 2013 at 20:00

    Un aneddoto su Bela Toth.
    Bratto 1979, campionati italiani di categoria; io giocavo nell’ultimo dei tornei minori, ma passavo più tempo a vedere i big che davanti alla mia scacchiera.
    Al primo turno Toth gioca col Bianco contro un giovane Fabio Bruno. Dopo un lungo assedio posizionale in un’ovest-indiana, Toth guadagna un pedone e vince il finale.
    Il giorno seguente gioca col Nero contro il maestro Primavera che gli spara il gambetto di Re. Toth accetta il pedone e poi vince agevolmente.
    Più tardi, incrociando Fabio Bruno, gli fa – Ieri, con te, sessanta mosse per guadagnare un pedone; oggi due mosse!

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    alfredo 20 Dicembre 2013 at 20:41

    Molto divertente!
    Buona serata caro Renato.
    se hai un po’ di buona musica da consigliarmi 😉

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      Renato Andreoli 20 Dicembre 2013 at 21:11

      Ti consiglio un’opera contemporanea (30′ di durata), autore Franco Donatoni, uno dei più grandi compositori del secondo novecento. Ti può interessare per vari motivi. Prima di tutto per via del titolo “Alfred, Alfred”, poi perché è ambientata in un ospedale. Donatoni era diabetico, e proprio un suo ricovero gli ispirò questa composizione molto divertente in cui il protagonista è l’autore stesso.
      Non esiste un video dell’opera, ma il seguente audio è molto bello e comprensibile.

      Se invece preferisci qualcosa di scacchistico, ci sarebbe il balletto “Checkmate” di Arthur Bliss (45′;).
      Sotto il video c’è il link alla pagina di Wikipedia che lo spiega.

      Ciao, Alfredo.

      • avatar
        alfredo 20 Dicembre 2013 at 22:12

        grazie Renato
        devo dire che il mio nome è piuttosto artistico , visto il suo uso nella musica e nel cinema
        ciao a presto
        mi gusterò i brani 😀

  69. avatar
    Roberto Messa 6 Gennaio 2014 at 18:54

    Un istruttore di scacchi, che ha tenuto dei corsi in una scuola della sua città, mi ha girato la mail che una maestra della scuola gli ha inviato prima di Natale. Ometto i nomi del luogo e delle persone, del resto non è la prima volta che mi vengono riportate storie così incoraggianti dal mondo della scuola. Ecco cosa scrive la maestra all’istruttore di scacchi:

    “Volevo solo informarti che i tuoi alunni di scacchi continuano a giocare tutti i giorni all’intervallo.
    Non dico che lo facciano tutti, ma un buon gruppo, tra cui naturalmente quelli che si sono distinti durante il corso.
    Ho terminato i colloqui con i genitori questa sera e da diversi ho raccolto commenti entusiasti per questa attività.
    Qualcuno mi ha chiesto se sarà riproposta anche il prossimo anno, perché ha visto l’entusiasmo del proprio figlio.
    Hai rivoluzionato anche alcuni ménage familiari: ora tutta la famiglia è obbligata a giocare a scacchi.
    Non viene accettata come scusa neppure la non conoscenza delle regole, perché c’è la pronta disponibilità ad insegnarle!
    Penso che questo corso abbia creato anche qualche problema a Babbo Natale che dovrà rifornirsi di scacchiere.
    Ti giro la richiesta di un genitore che voleva sapere se presso qualche associazione scacchistica fossero organizzate attività
    per ragazzini perché interessata per il proprio figlio che sembra molto preso.
    NB – questo bambino obbliga tutta la famiglia a giocare e a registrare le mosse delle partite, che poi in un secondo tempo rivede da solo.
    Sinceramente provo un po’ di invidia. Mi piacerebbe riuscire ad incidere così con la matematica e le altre materie…”

    • avatar
      Jas Fasola 6 Gennaio 2014 at 19:29

      Ottimo Wojtaszek che vince due open in Svizzera :mrgreen: . Pochi sanno che vinse sia nel 1993 sia nel 1994 il campionato nazionale polacco degli scolari degli asili (fino a 7 anni mentre da quest’anno sarà fino a 6 anni. Il tempo di gioco: 30 minuti per partita).
      http://pl.wikipedia.org/wiki/Mistrzostwa_Polski_przedszkolak%C3%B3w_w_szachach

      • avatar
        alfredo 6 Gennaio 2014 at 23:34

        visto! 😉
        bravo ❗
        è un allievo di satanasso adamsky ?

        • avatar
          Marramaquis 7 Gennaio 2014 at 00:06

          …. oppure di Adam Malysz??

      • avatar
        Jas Fasola 7 Gennaio 2014 at 10:26

        Nè di uno nè dell’altro 🙂

        Da una sua intervista: “mio nonno mi insegnò a giocare a scacchi e da subito ho avuto una grande fortuna: sono finito dall’allenatore giusto,
        il signor Marian Wodzisławski, che a tutt’oggi insegna a Kwidzyn, che mi aiutò molto ma anche non mi costringeva a fare qualcosa. Se volevo, mi allenavo. Il lavoro portò risultati. Ho avuto successi nei campionati polacchi under 10, 12, 14, 16 e 18 ma poi c’e’ stata una stagnazione. Quando avevo 15 anni ero l’ 83esimo scacchista al mondo, ma dopo 4 anni scesi intorno al 130esimo posto. Forse non mi allenavo correttamente.

        Avendo 20 anni ho avuto la possibilità di lavorare nel team del campione del mondo. E’ stato un dono della sorte. Ho visto come si allenano i migliori. Come si comportano nei tornei, quanto tempo dedicano agli scacchi. Adesso ne approfitto”

    • avatar
      Mongo 7 Gennaio 2014 at 10:59

      Mia moglie sta portando avanti da qualche anno, in una scuola materna, un progetto educativo basato sul gioco degli scacchi. I bambini imparano più facilmente ‘concetti’ basilari come: spazio, colonne, traverse e diagonali, il rispetto dell’altro e delle regole, i numeri e le lettere. I pezzi sono i bimbi stessi che si muovono in autonomia come le figure ed i pedoni che rappresentano. Purtroppo il circolo scolastico non paga niente, per cui scacchiere e pezzi sono fatti, di anno in anno, da mia moglie che li disegna e li ritaglia da fogli di carta.

      • avatar
        Jas Fasola 7 Gennaio 2014 at 11:34

        Santa Donna 😯
        Immagino siano lezioni tranquille come questa

        Mi piace 1

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