L’amicizia e l’arte di costruire una scacchiera

Scritto da:  | 16 Febbraio 2014 | 20 Commenti | Categoria: Racconti

Amicizia 1Sono un uomo da scrivania, lo so benissimo, e nulla avrebbe cambiato questa mia propensione, nata più per il fluire involontario dell’esistenza e delle vicende familiari che per un’incapacità effettiva al lavoro manuale, se non il mio amore per gli scacchi.

Magari farò un lavoro bellissimo… – pensai.

Per la prima volta nella mia vita, m’infilai, timoroso, in un grande magazzino del “fai da te”, con in mano il progetto su carta che avevo diligentemente disegnato nei giorni precedenti: doveva essere quadrata, 50×50 cm. Ognuna delle sessantaquattro caselle doveva misurare sei centimetri di lato, in modo da lasciare un centimetro di bordo per scrivere lettere e numeri. Per i colori differenti delle caselle non avevo ancora le idee chiare, avrei valutato al momento se colorarle su un’unica base o, addirittura, unire dei blocchetti di legno differente, alternativamente. Andando subito nel reparto legno, però, dovetti prendere immediatamente quest’ultima decisione. Vidi dei bei listelli di legno di due metri e venti centimetri di lunghezza e otto di larghezza, con uno spessore di due centimetri: “Ottimo”. Il legno era grezzo: “Abete” – lessi. Acquistai anche una base di compensato e quattro listarelle di cinquanta centimetri di lunghezza ognuna, a sezione quadrata di due centimetri. Capii subito che se volevo cimentarmi in questa prova sconosciuta con tutto quel materiale sarei partito subito in salita, ma ero abituato alle difficoltà. Cercai dei listelli del tutto analoghi agli altri ma di legno di più scuro. Non ne trovai, ma vidi là vicino della vernice per legno, color mogano: “Il colore giusto”.

Qualcosa avevo letto su internet, così tanto per non andare “alla cieca”. “Sì, proprio alla cieca…” – pensai ridendo nel paragonare questa mia incapacità al lavoro manuale alla stessa mia incapacità nell’omonima attività scacchistica, forse più complessa ed impegnativa.

Amicizia 3

Avevo letto che sul legno grezzo si doveva passare una sorta di base preliminare, la cementite. Sarebbe servita anche per le case bianche. Ne comprai un barattolo e acquistai anche un protettore per vernice su legno, a base di cera. Infine, mi feci aiutare da un commesso a scegliere la colla giusta, dei chiodini per legno, con la testa dorata, dello stucco e carta vetrata finissima. Pennelli e martello li avevo a casa nella scatola dei ferri, che fu già di mio padre, che non avevo mai usato se non quando vi era stata la necessità di appendere qualche quadro. Tornai al reparto legno per farmi tagliare quei lunghi listelli che divennero sessantaquattro blocchetti.

Tornando a casa, in auto, pensai ai tre lunghi giorni di ferie che mi attendevano. Infatti, la scacchiera che avevo in mente doveva essere pronta da lì a tre giorni: “Il compleanno di Mario era vicino”. Avevo da tempo ordinato gli scacchi in legno via internet in un negozio specializzato e anche le sorti di quel viaggio mi mettevano un po’ di preoccupazione: sarebbero arrivati in tempo?

La giornata primaverile era tersa e assolata, sul terrazzo si sentiva un leggera brezza che mi rassicurò circa la possibilità che il lavoro di verniciatura potesse svolgersi regolarmente con una corretta essiccatura. Per non sbagliare sistemai il portatile fuori dal balcone, proprio davanti al piano di lavoro: un tavolino dove solitamente mangio nelle torride estati versiliesi.

West Coast

Con il computer ascoltavo canzoni west coast, leggendo nelle rete le istruzioni per colorare quel legno. Mi trovai a spennellare la cementite su tutti i blocchetti che sistemavo sul tavolo, a mano a mano che il lavoro procedeva, e la musica mi cullava:

…If the sky above you
grows dark and full of clouds
and that old north wind
begin to blow
keep your head together
and call my name out loud
soon I’ll be knocking upon your door..
.“1

 

 

Dipingevo lentamente e con precisione quelle venature, lunghe come le linee della mano, interrotte solo dagli scuri nodi, a volte più grandi e a volte piccoli, che spiccavano sul chiaro legno d’abete, ma che le stesse linee del legno riuscivano ad aggirare e superare per riprendere il loro percorso. Pensai se non fosse quella la metafora della vita e della mia amicizia con Mario:

…People can be so cold
they’ll hurt you and desert you.
well they’ll take your soul if you let them
Oh yeah, but don’t you let them…

Il muovere cadenzato del pennello mi ricordava quel film visto da ragazzo, quando frequentavo una palestra di karate: “…metti la cera…togli la cera…” – diceva il Maestro di arti marziali del giovane protagonista2. Il ragazzo non capiva perché quel vecchio non lo allenasse per la lotta, eppure quel piccolo gesto racchiudeva in sé l’essenza della vita e di ogni combattimento: pazienza e fermezza, umiltà e fiducia nei propri mezzi, fatica e soddisfazione, onestà e rispetto:

Non era forse questo che mi aveva insegnato Mario insieme al gioco degli scacchi? – pensai.

Decisi di prepararmi un tè, in attesa che asciugassero i blocchetti e le asticelle che avevo appena terminato di dipingere. Poi mi sedetti fuori dal terrazzo per sorseggiarlo al sole, pensando all’espressione che avrebbe fatto Mario scartando il suo regalo e osservando le vicine Alpi Apuane.

Qualche volta avevo fatto delle brevi escursioni con lui su quelle montagne che non sono Appennini né le vere Alpi, ma che a queste ultime rimandano per l’asprezza e la bellezza. Quelle ripide erte erano un ottimo allenamento per il corpo e per lo spirito. I muscoli erano obbligati ad una tensione che richiedeva una forza di volontà notevole. Poi una partita a scacchi nel rifugio. Anche questo era stato l’insegnamento del mio amico Mario.

Sì, sarebbe stata una splendida scacchiera.

…On the first part of the journey
I was looking at all the life
there were plants and birds and rocks and things
there was sand and hills and rings
the first thing I met was a fly with a buzz
and the sky with no clouds
the heat was hot and the ground was dry
but the air was full of sound

I’ve been through the desert on a horse with no name
it felt good to be out of the rain
in the desert you can remember your name
cause there ain’t no one for to give you no pain
La, la …
3

 

 

Ritornai al lavoro. Toccando con la mano quei quadretti di legno mi assicurai che fossero asciutti. Iniziai a levigarli con la carta vetrata e fissai la polvere alzarsi, portando via, a poco a poco, infinitesimi pezzi di quella verniciatura: una parte di vita che se ne andava. Mi venne in mente ancora Mario.

Desperado, you ain’t gettin no younger
your pain and your hunger, they’re drivin you home
and freedom, oh freedom
well that’s just some people talkin
your prison is walking through this world all alone
4

 

 

Pulii con un panno di cotone asciutto quei blocchetti e iniziai a colorarne 32 con il mogano. Godevo dell’odore di abete e di vernice nelle narici e mi sentivo bene. Il mio lavoro stava per finire e anche il mio corpo ne sembrava consapevole: “Mario sto per arrivare”.

 

Old man look at my life,
I’m a lot like you were.
Old man look at my life,
I’m a lot like you were.
5

 

 

La sera finii di assemblare le sessantaquattro caselle con la colla, poi fissandole lungo il perimetro con la cornice fatta dalle listarelle più piccole, quelle da un centimetro, colorate di mogano, e bloccate da piccoli chiodi con la testa dorata. Incollai il tutto sul piano di compensato che faceva da base. Sembrava un lavoro solido. Sistemai la scacchiera con la casella bianca in basso a destra. Sulla base di quel meraviglioso quadrato scrissi in stampatello, con un pennarello indelebile dorato, le lettere e, sul bordo sinistro, i numeri. Passai la coppale sopra per rendere tutto più lucido e lasciai asciugare fuori dal terrazzo al calore della luna.

Quella sera mangiai frutta bevendo latte. Andai a letto convinto, chissà perché, che l’indomani sarebbero arrivati i pezzi. Così fu. A metà mattinata, mentre verificavo l’asciugatura della mia scacchiera, il corriere suonò. La scatola in legno che li custodiva era bellissima, così come i pezzi al suo interno. Feci subito la prova posizionandoli su quella scacchiera: tutto mi sembrava perfetto.

And you, of tender years,

Can’t know the fears that your elders grew by,

And so please help them with your youth,

They seek the truth before they can die.”6

 

Il giorno seguente incartai la scacchiera, con sopra la scatola dei pezzi, in una splendida carta rossa. Salii in auto, appoggiando il prezioso regalo sul sedile del passeggero. Misi in moto e andai in centro, verso quella residenza assistita che da circa un anno era diventata la casa di Mario.

L’operatrice alla porta mi riconobbe e aprì. La salutai con un cenno ed un sorriso.

Salendo al piano superiore, incontrai, lungo le scale due infermiere:

-Vai…vai…Mario ti aspetta! – mi disse una delle due, che sembrava felice di vedermi.

Mario era seduto sulla sua sedia a rotelle, vicino al tavolo della sua cameretta illuminato dalla luce che entrava dalla finestra.

Mario, auguri…

Ale, ti aspettavo – mi disse stanco, ma accogliendomi con il suo miglior sorriso – …cos’è quel pacco che hai in mano?

Non avrai pensato che mi sarei presentato a mani vuote? Dai aprilo.

Gli allungai quell’enorme pacco rosso. Notai che faceva fatica a tenerlo in mano, infatti mi pregò di aiutarlo. Lo appoggiammo sul tavolo e lui strappò via la carta curioso.

Gli occhi spalancati si muovevano in fretta e colsi un fremito del mento che cercò di celare mordendosi il labbro inferiore. Non disse nulla ed io neppure. Iniziò a mettere i pezzi sulla scacchiera, poi mi indicò il suo armadio. Sapevo cosa voleva. Aprii l’anta e appoggiato sul pianale vidi il suo orologio preferito: un Gardé in legno, vecchio, con ancora stampigliata nei quadranti la sigla “DDR” della Germania Est.

Gli consegnai l’orologio e lui lo posizionò ad un’ora.

Giocammo la partita in silenzio, ma guardandoci spesso, fino ad arrivare ad un finale vinto per me. Abbandonò e mi disse:

– Grazie, è meravigliosa questa scacchiera. Il finale? Beh, il finale lo conosciamo bene entrambi, non c’è bisogno di giocarlo.

E’ passato un anno da quando il mio maestro ha deciso di abbandonare.

Mi mancano il suo sguardo, il suo sorriso, i suoi pochi ma preziosi consigli e le nostre partite.

La scacchiera che gli avevo regalato è rimasta nella residenza sanitaria. Un giorno sono passato di là, volevo riprenderla, ma due ospiti stavano giocando e ho deciso che quella sarebbe stata la sua vera casa.

Di lui mi è rimasto l’orologio, che fa splendida mostra di sé su uno scaffale della libreria. Funziona perfettamente e lo carico regolarmente, perché è sempre in moto. Ogni tanto mi avvicino a quella perfetta opera artigianale, il cui ticchettio mi accompagna per tutta la giornata, e schiaccio il tasto:

Tocca a te” – penso – la mia partita è ancora lunga.

Well, it was back in Blind River in 1962
When I last saw you alive
But we missed that shift on the long decline
Long may you run”7

A proposito, dopo quella esperienza non ho più costruito nulla con le mie mani, ma non è detto che un giorno non possa riprovarci.

Amicizia 2

1You’ve got a friend”, James Taylor.

2The Karate Kid”, regia di John G. Avildsen (1984)

3A horse whit no name”, America.

4Desperado”, Eagles

5Old Man”, Neil Young

6Teach Tour Children”, Crosby, Stills, Nash

7“Long May You Run”, Neil Young

avatar Scritto da: Zenone (Qui gli altri suoi articoli)


20 Commenti a L’amicizia e l’arte di costruire una scacchiera

  1. avatar
    Jas Fasola 16 Febbraio 2014 at 00:10

    Niente male, Zenone, niente male 😉

  2. avatar
    alfredo 16 Febbraio 2014 at 08:21

    complimenti , Zenone , per il racconto e per la soundtrack
    un bel modo davvero di iniziare la domenica
    Grazie 😀

  3. avatar
    Fabio Lotti 16 Febbraio 2014 at 09:25

    Grande Zenone! Scacchi e canzoni, un binomio da ricordare. Come l’amicizia.

  4. avatar
    Luca Monti 16 Febbraio 2014 at 10:06

    Bravo Zenone; anzi bravissimo .Il testo del racconto, i testi delle musiche, tutto miscelato con sapienza e delicatezza. La stessa cura nella costruzione del regalo per Mario, è stata messa in questo scritto .Che poi, in fondo, è un altro regalo anch’esso per i Lettori di SoloScacchi. Sono contento.

  5. avatar
    paolo bagnoli 16 Febbraio 2014 at 11:20

    Grazie. Magnifico!

  6. avatar
    Roberto Messa 16 Febbraio 2014 at 12:25

    Con il tocco lieve e sensibile di un buon artigiano.
    Grazie per avermi mosso a riascoltare James Taylor, Neil Young e la “musica” di un vecchio Garde.

    • avatar
      Zenone 16 Febbraio 2014 at 15:40

      Direttore,
      questo raccontino l’ho scritto anche a seguito del “ritrovamento” del mio vecchio amico “Garde” (con stampigliato nei quadranti “DDR”), che temevo di aver perso (la mia solerte signora l’aveva sapientemente “messo via” durante una crisi d’ordine e non si ricordava dove).
      Spesso lo metto in moto e lo lascio andare per giornate intere: ha un suono meraviglioso!
      Grazie

      • avatar
        Renato Andreoli 16 Febbraio 2014 at 18:36

        A me la musica del vecchio Garde richiama alla mente il “Poema sinfonico per 100 metronomi” di Gyorgy Ligeti (1962).
        All’inizio si sente un ticchettio indistinto; poi si scopre che i metronomi sono stati caricati a velocità diverse, creando in tal modo una notevole complessità ritmica. Ecco che cominciano a fermarsi ad uno ad uno, finché si arresta anche l’unico rimasto in funzione.
        Un capolavoro che i benpensanti giudicarono e giudicano una volgare provocazione, forse perché non assomiglia in nessun modo alle canzoni di musica leggera.

  7. avatar
    Tamerlano 16 Febbraio 2014 at 12:54

    Emezionante come l’amicizia vera! Un grazie all’autore.

  8. avatar
    INSALA' 16 Febbraio 2014 at 15:50

    … la costruzione della scacchiera quasi fosse un rito. Bello, molto bello. Riflettevo sulla potenza simbolica della scacchiera: un oggetto semplice eppure capace di far “tremare il corpo”, di generare un’identità. La scacchiera ci può unire ma allo stesso tempo ci può dividere. Nella Grecia arcaica “symbola” erano le due metà di un osso: quello che i due partner di un contratto, o due stranieri, procedevano a spezzare, dopo di che ciascuno si portava via una metà. Perchè lo facevano? Perchè il giorno in cui avessero dovuto rincontrarsi, loro o i loro discendenti, avrebbero rimesso insieme le due metà originariamente separate e in questo modo avrebbero potuto riconoscersi. Al lavoro, caro Zenone…

  9. avatar
    Zenone 16 Febbraio 2014 at 16:37

    Sulla simbologia degli scacchi, consiglio due interessanti lavori del M° Leoncini: “Natura simbolica del gioco degli scacchi” (2010) e “Arcaiche figure a Vico Pancellorum” (Ed Autorinediti – 2011).
    Per una lettura “leggera”: “Il simbolo perduto” di Dan Brown.
    Credo che entrambi gli autori facciano parte della biblioteca del giallista e scacchista Lotti 😛

  10. avatar
    CarloEmme 16 Febbraio 2014 at 19:21

    Conosco quel Garde. Di legno chiaro con due quadranti di orologio enormi e due pulsanti di color argento. Compagno di mille battaglie amichevoli. Mi sarebbe piaciuto anche vedere la sapiente scacchiera costruita per un malinconico addio. Ho conosciuto anche Mario, il suo sguardo e la micidiale pacatezza. Ogni vuoto che si crea nella vita di ognuno di noi va riempito con ricordi forti e duraturi: costruire una scacchiera con le proprie mani e come costruire un altro universo parallelo dove ogni mossa e ogni gesto rimane sospeso e scaccia l’oblio.

  11. avatar
    Zenone 16 Febbraio 2014 at 20:12

    Caro CarloEmme,
    mi sembra di averti riconosciuto.
    Ognuno di noi conosce Mario!
    Grazie.

  12. avatar
    alfredo 17 Febbraio 2014 at 09:09

    questo documentario mi ricorda un po’ l’atmosfera di questo racconto .
    sarà per gli orologi ?
    http://en.chessbase.com/post/the-love-for-wood-1979-chess-documentary

  13. avatar
    Mongo 17 Febbraio 2014 at 12:48

    Non dico che è da premio Nobel, anche perché so che lo rifiuteresti come già fece il grande Sartre… Ma il tuo pezzo è assolutamente magnifico ed è altresi magnificamente condito da ‘riferimenti’ di cultura musicale e poetica di primo ordine. 😎

  14. avatar
    The dark side of the moon 17 Febbraio 2014 at 17:05

    Un racconto da antologia come è solito scrivere Zenone che ringrazio di cuore!

  15. avatar
    Jac 17 Febbraio 2014 at 23:22

    Ciao Zenone,
    Struggente racconto, “l’amicizia è un tacito contratto fra due persone virtuose e sensibili” (Volteire)- Inoltre, ora saprei costruire una scacchiera in legno !!!

    • avatar
      Zenone 18 Febbraio 2014 at 20:03

      Grazie Jac, anche della citazione

  16. avatar
    MM 19 Febbraio 2014 at 14:35

    Pezzo molto bello. Verrebbe la curiosita’ di vedere in foto questa scacchiera artigianale. E in piu’ la voglia di replicare la costruzione.

    Unico appunto al pezzo:
    non “metti la cera” ma “dai la cera togli la cera” 🙂

    ciao
    Marco

    • avatar
      Zenone 19 Febbraio 2014 at 17:08

      Grazie della precisazione 🙂

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *


CLICCA QUI PER MOSTRARE LE FACCINE DA INSERIRE NEL COMMENTO Locco.Ro

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

La Palestra dei Finali

Chess Lessons from a Champion Coach

Torre & Cavallo - Scacco!

Strategia di avamposti

I racconti del Grifo

57 Storie di Scacchi
2700chess.com for more details and full list

Ultimi commenti

Problema di oggi