Myanmar, trascendenza e immanenza

Scritto da:  | 28 Marzo 2014 | 17 Commenti | Categoria: Cultura e dintorni, Zibaldone

“Nella vita non c’è nulla di costante, tranne il cambiamento”
(Buddha)

Myanmar 08(Shwedagon Paya a Yangon)

I nostri lettori sanno quanto ci piaccia cambiare, trasformarci, mascherarci. Possiamo essere dottor Jekyll e Mr. Hyde, SoloScacchi e NonSoloScacchi. E così oggi cambiamo maestri, lasciando i nostri abituali maestri di scacchi in favore dei lontani e, per molti di noi, misteriosi maestri buddhisti di Birmania: “gens una sumus”. Ne parla, in esclusiva per NonSoloScacchi, la nostra amica e viaggiatrice Liviana.” (La Redazione)

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Durante il periodo della colonizzazione inglese, la città di Yangon veniva definita “il giardino della Birmania”. Ampi spazi verdi, ben curati e abbelliti da particolari stili architettonici che ne facevano un piccolo gioiello del paese.

La città è ricca di acqua per l’intersezione di fiumi e laghi, nonché di piante di ogni tipo. Ora che il Myanmar si è aperto al mondo in un dinamismo economico che guarda ad occidente, il nuovo governo si sta impegnando molto nel restituire a Yangon la sua naturale bellezza.

Dalle finestre del mio albergo osservo la splendida passeggiata che costeggia le rive del Kandawghyi (il Royal Lake). Sono le prime ore del pomeriggio, il cielo è chiaro e l’acqua riflette l’oro della guglia della Shwedagon Paya. E’ il luogo preferito dalle coppie di innamorati che al tramonto percorrono il fiume con delle piccole imbarcazioni. Rimango incantata dalla bellezza dei giardini che costeggiano il fiume e il senso di romanticismo che si respira mi pervade tutta.

Cammino a piedi nudi all’interno della Shwedagon Paya. Togliersi scarpe e calzini ogni volta che si entri in un sito religioso è obbligatorio. E’ un segno di rispetto e venerazione anche se noi occidentali non sempre riusciamo a superarne il disagio.

Myanmar 05

La Shewdagon Paya è il luogo religioso più importante del Paese. Vi vengono conservati otto capelli del Buddha. Le sue origini non sono certe. Si dice che la sua prima costruzione risalga a 2500 anni fa, ma lo stupa attuale è stato ricostruito nel 1779.

Lo spazio interno è molto ampio e proseguo a piedi nudi all’interno degli innumerevoli luoghi sacri dove le statue del Buddha si accompagnano a elefanti e figure mitologiche di leoni, serpenti, orchi.

Percorro tutta la deambulazione intorno al Grande Stupa e procedo in senso orario la ritualità degli Otto Giorni, tanti quanti sono i giorni della settimana (il mercoledì è diviso in due, il mercoledì mattina e il mercoledì pomeriggio, ognuno con un proprio animale e pianeta di riferimento), che per i Birmani assumono un’importanza anche astrologica, con l’associazione del giorno ad una figura animale e ad un pianeta. Da sempre l’astrologia ha svolto, in Birmania un ruolo importantissimo, sia per la vita sociale che politica. Antichi re e governanti non mancavano di consultare l’oroscopo prima di andare in battaglia o nelle trattative di pacificazione tra stati.

Mi fermo davanti al mio giorno di nascita e, quindi, davanti al mio pianeta e all’animale di riferimento. Non resisto alla tentazione di partecipare anch’io alla ritualità, a gettare acqua santificata sull’animale, la tigre, per auspicare purezza e cacciar via il male, così come non rinuncio a sostare in meditazione all’interno della Pagoda della Luna e del Sole. Il fascino di questo ambiente è irresistibile. L’odore di incenso, i fiori portati in omaggio, il contatto dei miei piedi nudi con la terra, considerata figlia del sole e della luna, tutto mi riporta ad una dimensione sacrale d’altri tempi e mi fa dimenticare per un attimo la mia realtà, la realtà di un mondo troppo complesso, avido e ingordo, che inghiotte e consuma tutto troppo velocemente.

Alla trascendenza di questo luogo sacro, si contrappone l’energia di una città che corre verso lo sviluppo economico e sociale. Ovunque, per le vie di Yangon è un brulicare di cantieri edili. Immensi spazi dedicati alla realizzazione di grandi centri commerciali, nuovi edifici, nuove infrastrutture. In due anni hanno costruito strade, sopraelevate, un aeroporto internazionale e ampliato quello nazionale esistente mentre un altro è in fase di arrivo.

La guida ci tiene a dire che i birmani sono poveri ma molto dignitosi. E’ vero. In questo Paese non esistono mendicanti, non esistono persone che muoiono per fame. Esiste povertà ma non miseria. Stride, tuttavia, ai miei occhi di straniera, questo incessante attivismo di fronte all’umiltà, tranquillità e serenità buddhista.

Il Myanmar è ricco di molte materie prime, tra cui petrolio e gas naturale. Non ci sono dubbi circa l’interesse che il paese può suscitare verso le compagnie internazionali del settore energetico. Ho un brivido di freddo pensando alla mitezza di questo popolo di fronte alla spregiudicatezza e alla capacità famelica del grande mondo finanziario internazionale.

La guida mi rassicura dicendo che il loro sviluppo sarà compatibile con i loro principi e che la Sig.ra Aun San Suu Kyi saprà come fare. Lo guardo negli occhi e ne leggo tutta la gioia e la certezza e questo, in una certa misura, mi basta.

All’interno della Chaukhyagyi Paya, a Yangon, dove viene conservata una statua di 70 m. di lunghezza del Buddha Disteso, mi soffermo a leggere un enunciato contenente gli insegnamenti del Maestro. Myanmar 02

Forbearing patience is the highest moral practice”. La pazienza. La riconosco nel sorriso dolce e spontaneo, nello sguardo pulito e ingenuo dei bambini, nella delicatezza con cui le donne si avvicinano per vendere i loro oggetti.

If one can restraint, one shall enjoy the benefit. If one can wait, one shall catch a thief” – recita un antico proverbio birmano. Pazienza e coltivare meriti. Solo così si può arrivare alla felicità e alla fortuna.

Non è nella preghiera, né nei riti religiosi, né nella ostentazione di immagini o oggetti o amuleti, che i birmani manifestano la loro fede religiosa, bensì nel loro comportamento, nelle azioni quotidiane, nel modo di stare insieme, nell’accettare lo straniero e le altre visioni del mondo con disponibilità e apertura.

E’ il buddhismo hinayana, noto come “piccolo veicolo” o theravada, che viene professato in gran parte del paese e che è la variante più aderente ai dettami tradizionali del buddhismo originale. In tale versione, il buddhismo è concepito non come forma di culto, bensì come filosofia trascendente, etica di vita.

Tranne alcuni siti che ricoprono un’importanza particolare per il culto buddhista, all’interno di molte pagode e templi, dove vengono esposte le gigantesche statue del Maestro, si possono vedere bambini giocare tranquilli, gatti dormienti, donne che mangiano e vendono cibi. Vita di ogni giorno, dunque, non momenti di “adorazione di una divinità”.

A Bagan, antico centro religioso che verso la fine dell’anno 1000 poteva contare circa 13.000 edifici religiosi (oggi rimasti solo in 5.000), mi raccolgo in meditazione in cima al Tempio di Ananda, risalente al 1091 e costruito a forma di croce greca.

E’ il tramonto. Dall’ultima terrazza del tempio, lo spettacolo che si estende ai miei occhi è indescrivibile. Myanmar 04

Un numero infinito di templi e stupa si stagliano all’orizzonte tra il blu e il rosa del cielo. Sembrano addormentarsi nel silenzio rarefatto dell’atmosfera. Il sole calante li illumina e fa risplendere l’oro di alcuni pinnacoli che reclamano attenzione e rispetto.

Mi perdo nel grande respiro sacro del luogo e mi risveglio dall’incanto quando un bambino dai capelli dipinti di rosso mi siede accanto mostrandomi i suoi disegni. Sono figure molto colorate che parlano di vita contadina.

Si vede che ti piace colorare – gli dico in inglese – ti piace il rosso, come i tuoi capelli”. Lui sorride, toccandosi la sua acconciatura, molto orgoglioso del risultato. Gli regalo la mia matita che ha in cima il volto del sole con i suoi raggi rossi e gialli. Il bambino l’afferra, rimane perplesso un attimo e se ne va. Realizzo troppo tardi che forse avrei potuto comprare i suoi disegni. E’ uno scrupolo tipico della mia cultura, un nascosto senso di colpa che riaffiora spesso.

A Mandalay, città simbolo della fede buddista con la presenza di ben 150 monasteri, mi incuriosisco a osservare la vita quotidiana dei monaci dalle tonache color zafferano. In questa città se ne contavano circa 70.000 prima della strage avvenuta nel corso della protesta di alcuni anni fa contro il regime militare dove hanno trovato la morte in 20.000. C’è molto silenzio nei loro viali.

I monasteri hanno porte e finestre aperte. Non si odono conversazioni, non si odono rumori. Eppure i monaci sono in continuo movimento. Myanmar 03

Sono appena tornati dalla raccolta del loro cibo. Oggi è una giornata particolare. Una famiglia facoltosa ha distribuito alimenti per tutti e i monaci si distribuiscono in fila, silenziosi e con gli occhi bassi, e si dirigono verso il refettorio.

Ci sono bambini tra loro, con il capo rasato e la tunica rosso zafferano. Mi dicono che spesso le famiglie povere, pur di non vedere i loro bimbi abbandonati in strada, li affidano ai monasteri perché possano crescere e studiare. E i bambini apprendono in fretta.

In Myanmar ci sono anche monache, e con esse monache bambine, ugualmente con il capo rasato e le loro tuniche rosa e sciarpa zafferano, ma sono relegate in conventi non visitabili e non rivestono la stessa autorevole importanza dei monaci.One who does not know how to read and write is a blind. One who does not know how to spin and weaveis a cripple”, per significare che lo studio è raccomandabile per l’uomo mentre apprendere a filare è compito della donna. Gli insegnamenti del Buddha non contemplano un diverso trattamento tra uomo e donna. Tuttavia, anche in un paese fortemente osservante dei precetti buddhisti come il Myanmar, le tradizioni sono più forti del sentimento religioso.

All’interno e fuori dei monasteri, brulicano cani e gatti dalle orecchie lunghe. Dormono, mangiano, si fanno coccolare e accudire. Convivono con i monaci in perfetta armonia. Silenzio, amore, meditazione e rispetto per il creato. Cosa si potrebbe auspicare di più. Myanmar 12

 Myanmar 14(Ponte U Bein in Amarapura)

E’ di nuovo il tramonto e sono sul Ponte U-Bein, un ponte in teak lungo 1200 metri, il più lungo della Birmania. Credo di capire perché la guida ci conduca in questi siti sempre a quest’ora del giorno.

Trascendenza e immanenza. Respiro profondamente e mi fermo a rimirare la distesa di acqua, calmissima e trasparente, sulla quale si riflette la vita dei pescatori, dei bambini che giocano, dei contadini poco distanti, di quell’albero solitario e autorevole che si staglia davanti ai miei occhi; della mia vita che sembra essersi fermata e non avere tempo.

Esserci, in questo momento, in questo luogo, e apprezzarne la bellezza. Quale immenso regalo! Myanmar 07

 Myanmar 06(Mingun)

A Mingun, (un luogo popolato da artisti), ci dirigiamo verso la Mingun Paya, una pagoda iniziata nel 1790 e rimasta incompiuta, con la sua enorme campana, la Mingun Bell, alta 4 metri e dal peso di 90 tonnellate, mai eretta ed oggi mantenuta in un sito per essere mostrata ai turisti. Lungo il percorso, mi diverto a farmi trasportare dal zebù-taxi (è un nome inventato da me per meglio identificarlo), un carretto passeggeri trainato dagli zebù.

Gli animali trottano, con passo regolare e tranquillo. Mi guardo intorno. Nessuno si cura di me mentre io mi sento al centro della via. Sorrido al pensiero della varietà dei mezzi di trasporto di questo Paese. Dagli aerei, agli autobus, al treno, alle auto giapponesi nuove di zecca, ai cavalli, ai buoi,agli zebù e perfino all’uomo. Sì, l’uomo, come mezzo di trasporto.

 Myanmar 16(Trasportatori a Kyaikhtiyo)

A Kyaikhtiyo, che significa“la pagoda sopra la testa”, un sito dove si trova uno stupa in cima ad un masso dorato che si regge prodigiosamente sul bordo di un pendio, guardo gli uomini caricare sulle loro spalle pile intere di valigie e perfino persone.

Tutti, uomini, donne e bambini si affrettano intorno ai turisti che scendono dai vari pick-up, offrendosi di trasportare i loro bagagli.

Uno di loro mi fa cenno e mi mostra la sua cesta. Capisco che vuole offrirmi un passaggio. Mi vede stanca, ha ragione. Poi guardo un’anziana signora, trasportata dentro un’altra cesta, che evita il mio sguardo. Lo fa per pudore ma a me riaffiorano di nuovo i sensi di colpa e abbasso gli occhi. Myanmar 11

Anche “la Roccia d’Oro” è un sito sacro. Si ritiene che il masso contenga un pelo del Buddha e per questo rimane miracolosamente in bilico. Pur nella sua sacralità, non noto riti o manifestazioni di culto. Rifletto, invece, sul significato magico che si vuole dare al fenomeno. Il buddhismo birmano si è innestato anche su credenze animiste molto forti, tuttora evidenti in alcune manifestazioni rituali, come la venerazione dei 37 nat, demoni e spiriti che rendono difficile la vita a chi non li rispetti. Il loro culto proviene dall’India e si basa sul principio che tutto è animato e possiede uno spirito.

Nella regione intorno alla Roccia d’Oro si raccontano storie leggendarie di spiriti, eremiti, esseri magici e celesti. All’entrata del sito della Roccia d’Oro, si trova la figura di Shwe Nan Kyin che, inseguita da una tigre per non aver reso omaggio ai suoi spiriti tutelari, morì di sfinimento e diventò un Nat, uno spirito, appunto, messo ora all’entrata della Roccia d’Oro, forse a sottolinearne proprio l’aspetto “magico”.

Eccomi sul Lago Inle. Di nuovo al calar del sole e, di nuovo, grande incantamento.

 Myanmar 01(Lago Inle)

 Myanmar 09(Lago Inle)

Come descrivere l’armonia di questo posto che pure appare surreale, con il riverbero del colore rosa sull’acqua, l’ombra delle palafitte, gli orti galleggianti, i pescatori in bilico su una gamba mentre con l’altra remano e, tutt’intorno, il profilo smerlettante dei monti.

 Myanmar 13(Tribù Inthar sul Lago Inle)

La piroga scivola nel silenzio e nei colori tenui della natura. Di nuovo, fermo il tempo e con esso sembra fermarsi il mio respiro. Essere, in questo momento, e basta. E’ notte. Mi lascio cullare dal silenzio sotto lo sguardo tenero della luna, mentre il lago risplende d’argento.

Quietly night moves along

A midst shimmering lights

Of silent thoughts like stars

Twingling

Or street lights flickering,

And I

Lying in bed

Trying to figure

The difference between

The two”

(Nocturne di Troy Tun)

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La comunità Inthar che vive sul Lago è molto attiva. A parte gli orti galleggianti, fatti di limo e erba, che offrono legumi e svariati prodotti vegetali che sono alla base dell’alimentazione della comunità, sul lago ferve una considerevole attività artigianale, dalla lavorazione dei sigari (dal sapore dolce e aromatico) alla tessitura. Myanmar 15

Mi fermo molto tempo nei mercatini galleggianti dove sono esposti bellissimi tessuti di cotone, seta e loto, filati instancabilmente da abili mani femminili. Naturalmente, non posso fare a meno di acquistare il longyi, un lungo telo di cotone o seta, indossato come gonna sia dagli uomini che dalla donne.

Rimango estasiata davanti ai bellissimi tessuti ricavati dalle fibre del loto. Il fiore di loto cresce spontaneamente sul lago Inle, formando bianchi giardini di grande bellezza che circondano le palafitte. La fibra deve essere filata entro 24 ore dal raccolto e il filo si ottiene unendo i filamenti di 3-5 steli. La lavorazione è solo manuale e per ottenere un metro di tessuto occorrono almeno 32.000 steli di fior di loto. Splendidi e raffinati tessuti, ma quanto fatica, dunque, e quanta pazienza nella loro lavorazione!

Altro giorno. Sono le 5 di mattina. Riprendo la piroga per il mio ritorno a Yangon.

La natura è ancora dormiente, ma i pescatori sono già al lavoro. In lontananza e sotto la luce della luna che è ancora ben luminosa, sembrano figure astratte, evanescenti, fantasmi sorti dall’acqua per ringraziare il giorno incipiente.

 Myanmar 10(Comunità Inthar sul Lago Inle)

Dall’altra parte del lago, in opposizione alla luna, il sole non è ancora pronto a salire. Ma è solo questione di attimi e, improvvisamente, la luna scompare e il sole irradia la cima del monte. Il lago si illumina di giallo, gli orti galleggianti riprendono colore e la pesca continua. E’ un nuovo giorno. Un nuovo istante di vita. Un nuovo momento di amore.

So you’ve loved

The love

That you were not

Supposed to love.

Maybe that was

The only time

You ever loved.

(“The only time” di Troy Tun)

avatar Scritto da: Liviana (Qui gli altri suoi articoli)


17 Commenti a Myanmar, trascendenza e immanenza

  1. avatar
    Martin Eden 28 Marzo 2014 at 00:37

    Un regalo meraviglioso… grazie Liviana!

    • avatar
      liviana 28 Marzo 2014 at 11:39

      grazie a voi per la gentile ospitalità

  2. avatar
    Ivano E. Pollini 28 Marzo 2014 at 07:22

    Concordo con Martin Eden ❗

    Un bellissimo regalo ai lettori di SoloScacchi 😀

    Complimenti

    TY

    • avatar
      liviana 28 Marzo 2014 at 11:39

      grazie

  3. avatar
    Mongo 28 Marzo 2014 at 12:27

    Bello… Bello… Bellissimo! ❗
    Invidia… Tremenda invidia… 😕
    Da alcune tue foto emerge forte ‘il rumore del silenzio’ che ‘illumina’!!! 😉
    A quando il prossimo viaggio?

  4. avatar
    liviana 28 Marzo 2014 at 14:29

    Grazie. Bella la tua osservazione sul “rumore del silenzio che illumina”. Molto appropriata soprattutto per la parte che riguarda il Lago Inle e il Ponte UBein.
    Il prossimo…….chissà!

  5. avatar
    patrizia 28 Marzo 2014 at 14:41

    è sempre un piacere leggerti. E che belle foto!

  6. avatar
    The dark side of the moon 28 Marzo 2014 at 14:54

    Splendido!
    Liviana, ci hai regalato un pezzo unico.
    Grazie 😉

    • avatar
      liviana 28 Marzo 2014 at 17:52

      Grazie a voi tutti.

  7. avatar
    Ennio Beltrame 28 Marzo 2014 at 20:25

    Bravissima Liviana! Dopo Istanbul e la Norvegia ora queste immagini stupende dalla Birmania… aspettiamo con piacere il prossimo reportage! 😀

  8. avatar
    Marramaquis 28 Marzo 2014 at 21:56

    E’ evidente come dovremmo essere noi lettori e noi amici di SoloScacchi a ringraziare la nostra Liviana per quest’altro suo significativo ed emozionante reportage.
    Approfitto qui per rimarcare la straordinaria figura di un’altra donna, birmana (e qui citata da Liviana): la sessantanovenne Aung San Suu Kyi, che in Birmania trascorse oltre 15 anni della sua vita agli arresti domiciliari e che soltanto due anni fa poté ricevere nelle sue mani quel premio Nobel per la Pace a lei assegnato nel 1991.

  9. avatar
    liviana 29 Marzo 2014 at 15:52

    Grazie, Marramaquis. A lei soprattutto, il nostro omaggio.

  10. avatar
    Antonina 30 Marzo 2014 at 11:08

    Cara Liviana, è davvero un piacere leggere le tue storie! Il racconto del tuo viaggio è pieno di poesia, di rispetto e di amore per quei luoghi. Da “imperfetta cattolica non praticante” mi sono sentita particolarmente coinvolta nella frase “Non è nella preghiera, né nei riti religiosi, né nella ostentazione di immagini o oggetti o amuleti, che i birmani manifestano la loro fede religiosa, bensì nel loro comportamento, nelle azioni quotidiane, nel modo di stare insieme, nell’accettare lo straniero e le altre visioni del mondo con disponibilità e apertura.”. Anche io cerco – certo non sempre riuscendovi – a improntare la mia vita su questi semplici ma non facili concetti. Ti abbraccio e a presto!

    • avatar
      liviana 30 Marzo 2014 at 20:57

      E’ vero, Antonina. La tua osservazione vale anche per me.Grazie.

  11. avatar
    Donatella Agresti 30 Marzo 2014 at 15:56

    Grazie Liviana il tuo racconto va dritto all’essenza di questo popolo e di questa terra che per 10 bellissimi giorni ci ha ospitato, accettandoci. Donatella

  12. avatar
    Angela della Monaca 30 Marzo 2014 at 21:19

    Grazie Liviana! Il tuo racconto ha colto l’essenza e la centralita’ di questo popolo e di questa terra che durante il viaggio abbiamo assaporato e condiviso. Angela

  13. avatar
    merylho43 26 Maggio 2014 at 17:53

    Raccontare con leggerezza e intensità emozionale è una dote rara. Immagini dei luoghi rendono ancora più penetrante l’atmosfera vissuta dalla scrittice-report. Grazie per aver reso partecipe anche me tua lettrice…..senza scacchi:).

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