Al Caffè Fassi

Scritto da:  | 21 Giugno 2014 | 14 Commenti | Categoria: C'era una volta, Cultura e dintorni, Luoghi degli Scacchi

Al Caffè Fassi 02

Roma, Corso d’Italia numero 45. Si trovava qui il Caffè Fassi, della signora Annunziata Fassi, che è stato a lungo, nel ventesimo secolo, punto di riferimento e ritrovo per artisti e pittori, e altresì per gli amanti del liberty e degli scacchi, del gelato e del caffè. Questo fin dalla sua inaugurazione, che avvenne nel 1933 al piano terreno della Villa Calderai (di proprietà dei principi Torlonia), a fianco di dove oggi è la “Rinascente” di Piazza Fiume.

Annunziata era la figlia di una intraprendente ragazza palermitana (Giuseppina) e di un cuneese di Saluzzo (Giacomo). Loro erano venuti a vivere a Roma intorno al 1876 e nel 1880 ebbero l’intuizione di aprire in via IV Novembre un punto vendita di birra e ghiaccio. La salita di via IV Novembre, snodo di passaggio obbligato per le carrozze in transito fra Viminale, Esquilino e Quirinale, zone di notevole espansione all’epoca, era l’ideale per il successo di un’attività commerciale come quella. Secondo lo storico R. Bartoloni (autore de: “I 130 anni di casa Fassi”, Roma 2010) quell’esercizio dei coniugi Fassi doveva trovarsi precisamente al civico 155, d’angolo con la via delle Tre Cannelle.

Il ghiaccio dei Fassi, venduto in colonne o tritato a fare le famose “grattachecche” romane, riempì una bella pagina di storia cittadina quotidiana. Il fratello di Annunziata, Giovanni, era divenuto, alla morte di papà Giacomo (1902), un personaggio assai noto: era il gelatiere della casa reale e dell’aristocrazia. Il sorbetto-gelato (in seguito soltanto “gelato”), nato da un felice e non del tutto casuale connubio Piemonte/Sicilia, aveva conquistato Roma!

Il Bartoloni narra qui un simpatico episodio. Giovanni Fassi nel 1903 aveva appena 23 anni ed era già così ben introdotto nella casa reale che tutta la sua famiglia sarebbe stata comodamente “sistemata” negli anni a venire. Il caso, però, volle che a corte venne emanata lo stesso anno un’ordinanza che proibiva a tutto il personale addetto alle cucine di portare barba e baffi. Giovanni decise subito che i suoi baffetti non se li sarebbe mai tagliati!

Si licenziò e, con la liquidazione avuta, insieme alla madre Giuseppina aprì in via S.Agnese in Agone (angolo piazza Navona, dove è più o meno oggi il bar “Tre scalini”) il Caffè-gelateria “Nino all’Agonale”, che subito trovò notevole accoglienza e successo e che nel 1907 fu rilevato dal fratello Salvatore.

Giovanni si trasferì di nuovo nel 1910, stavolta in via Piave, numeri 9/11/13, mentre si perse nell’oblio il decadere dell’attività di Salvatore. E via Piave divenne presto un punto d’approdo dei buongustai del rione, tra i quali D’Annunzio e Trilussa. Lì nacque “Ninetto”, il gelato con lo stecco, e la fantasia della moglie di Nino, Giuseppina junior, si sbizzarriva con fantasiosi prodotti.

Al Caffè Fassi 10

Ci sono da aggiungere qui due parole sul ghiaccio utilizzato per i sorbetti/gelati. Naturalmente, allora non c’erano macchinari che lo producevano. Ma c’era la neve, e di certo in maggior quantità di oggi. La neve veniva immagazzinata d’inverno nelle montagne intorno a Roma, in apposite cavità foderate di paglia (dappertutto avveniva all’incirca così) e di lì trasportata in città, lungo le vie consolari, a bordo di apposite carrozze trainate da muli, le cosiddette “barozze”. Si calcola che a Roma giungessero in un anno oltre 250 tonnellate di ghiaccio. Il ghiaccio ritenuto di migliore qualità proveniva dal territorio di Monteflavio, ai piedi del Monte Pellecchia (Monti Lucretili), da un’altitudine di circa 1300 metri. Ecco perché al di sopra di Monteflavio c’è ancora la chiesetta della “Madonna della Neve”: infatti l’intero paese in inverno si mobilitava a pregare per l’arrivo della neve e per la sua raccolta. Da Monteflavio e dai paesini limitrofi le barozze cariche di ghiaccio scendevano verso la Salaria e di lì in città, incrociando un altro genere di trasporto, quello del sale, che da Ostia invece saliva per essere trasportato in Sabina e in Abruzzo (il nome di Salaria deriva, appunto, dal sale).

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Quando ero bambino abitavo, fino al 1957, a poco più di un chilometro dal Caffè Fassi di Piazza Fiume, quello dell’Annunziata. Eravamo, per la precisione, in una pertinenza di Villa Grazioli Lante della Rovere (dove mio nonno svolgeva il suo lavoro di cuoco), quasi all’incrocio fra la Via Salaria e Viale Regina Margherita, proprio (guarda un po’!) lungo il percorso delle “barozze”.

Qualche volta, la domenica pomeriggio nella bella stagione, con i miei si andava lì, “in centro” dicevano loro, ad assaggiare “un gelato speciale al Caffè Fassi”. Ho un vago ricordo di quell’atmosfera magica che vi regnava, quasi uno spaccato proveniente dagli anni Trenta e sopravvissuto per miracolo agli eventi e ai mutamenti delle abitudini giunti a seguito della Seconda Guerra, un ricordo simile a quello che si potrebbe avere di consumate stampe in bianco e nero.

Nello stesso tempo mi sentivo affascinato da quanta gente passeggiasse lì “in centro” in quelle ore domenicali e dalle splendenti nuove Fiat ed Alfa Romeo che stavano soppiantando le vecchie Balilla nere. Ma era normale che ci fosse un brulichio di persone anche alla domenica: in quegli anni in Italia la Televisione era ancora un apparecchio assai costoso (si contavano appena due o trecentomila abbonati), mentre Nicolò Carosio, Enrico Ameri e Roberto Bortoluzzi soltanto a partire dal 1959 avrebbero iniziato a tenere tanti italiani incollati alla Radio con “Tutto il calcio minuto per minuto”.

Al Caffè Fassi 01

Il Caffè Fassi era una piccola meraviglia, con la sua grande e lucida caffettiera d’ottone, il bancone scolpito proveniente dall’antico Caffè Biffi di Milano, gli specchi molati su cui erano disegnate leggiadre figure femminili avvolte in ampie e morbidi vesti, i tavolini di marmo con i piedi di ferro verniciato. La sala della gelateria era chiamata “Bomboniera Washington”, dove negli anni 40 si spendevano “sette lire per sedersi compresa la consumazione”. Sulla strada, davanti ai platani, si stavano togliendo i binari del tram, o meglio di quella che chiamavano “la circolare nera”, in previsione della costruzione di moderni svincoli e sottopassi tra la via Nomentana e il grande parco di Villa Borghese, parallelamente alle Mura Pinciane.

Noi il gelato lo consumavamo di solito in piedi, continuando poi a camminare verso Porta Pia. Ma mentre mio padre era in fila alla cassa io e mia madre avevamo qualche minuto per sbirciare quegli strani tipi che chini sulle scacchiere spostavano ogni tanto quei pezzetti di legno. “Ma’, possiamo avere una scacchiera così anche noi?” “Ora non si può, sai, tuo padre deve risparmiare, dobbiamo comprare casa, ma puoi chiedere allo zio Filippo se te ne regala una per Natale…”

Andammo infatti a vivere, pochi mesi dopo, in estrema periferia, a Monte Sacro, dove oggi è sorta una città e dove allora c’erano appena poche strade attorno ad una chiesa e a tanti giardini (Monte Sacro in quegli anni era nota anche come “Città Giardino”). Là portammo pure la scacchiera di Natale dello zio Filippo, ma per troppi anni sarebbe rimasta dimenticata in una cantina.

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Più tardi venni a sapere che il Caffè Fassi era stato un locale veramente importante, che aveva visto la frequentazione di parecchi famosi personaggi, da Beniamino Gigli a Ruggero Ruggeri, da Amedeo Nazzari a Clara Calamai, da Tito Schipa a Trilussa. Sembra sia entrato qua persino Eugenio Pacelli (papa Pio XII).

Al Caffè Fassi 09

E (qui faccio una digressione) imparai che l’accostamento Caffè-Scacchi aveva avuto in Europa, a partire dalla metà del 700 (il “secolo del gioco”) predecessori illustri: al Cafè de la Régence, a Parigi, aveva imparato a giocare Philidor, e nel 1798 vi giocò Napoleone, e vi giocarono anche Rousseau, Voltaire e Robespierre. A Vienna si giocava al Caffè Neuner, a Budapest al Caffè Wurm, a Milano al Caffè del Leone, a Genova al Caffè Bella Napoli.

Nella stessa Roma c’era addirittura il “Caffè de’ Scacchi”, al Corso, situato in via di S.Claudio, sotto Palazzo Verospi, e frequentato da un grande nome del nostro passato scacchistico, quel Serafìno Dubois che talora capitava anche al Régence.

Nei suoi quaderni di “Quarant’anni di vita scacchistica”, ultimati nel 1894, il Dubois scriveva: “Eravamo nel 1837 e precisamente alla prima e più terribile invasione del colera, quando io, uscito di collegio, mi diedi a frequentare il Caffè di San Carlo al Corso, oggi Caffè di Roma e così splendido e grazioso come quello era piccolo e modesto ….. una sera, in un angolo del Caffè, quasi paurosi di comparire in pubblico, vidi uscire da una scatola certi pezzi di legno, disporli sopra un tavolo, ed assidersi davanti a quello due uomini attempati, burberi e taciturni ….. giuocavano con una certa prosopopea e con una lentezza straordinaria, tanto che afferrata una volta la scacchiera, che era unica, non c’era verso di levargliela dalle mani per tutta la serata. A poco a poco si venne formando …..” E poi ancora: “ …. Dopo vari mesi di pratica potei arrivare a difendermi discretamente, finché scoperto il Caffè de’ Scacchi al Corso, allora in tutta la sua gloria, più non frequentai il S.Carlo, e solo due o tre anni dopo ci tornai per mostrare con giovanile baldanza la mia superiorità a quelli che erano stati i miei primi maestri …. Quivi (al Cafè de’ Scacchi) si giuocava dalle 11 della mattina fin quasi alla mezzanotte e l’ambiente stesso si può dire fosse impregnato di nient’altro che dell’odore degli scacchi, non permettendosi che raramente la dama e non mai il romoroso dòmino, che cominciava già ad invadere quasi tutti i caffè di secondo o terz’ordine ….. Alla sera soprattutto si vedevano in moto quattro, cinque e talvolta sei scacchiere. Vi si contavano non meno di 25 o 30 giuocatori di varia forza, compreso il buon caffettiere Antonini, dilettante passionato del gioco ma non forte”.

A Venezia, invece, c’era dal 1808 l’ “Antico Caffè di Alessandria” edal 1815 il “Caffè della Gloria”. E forse proprio alla Repubblica di Venezia si deve in parte il mantenimento di quella secolare, per quanto sopita, tradizione benevolmente favorevole agli scacchi che avrebbe poi consentito l’esplosione del gioco in Europa. A Venezia, infatti, gli scacchi hanno goduto sempre di una protezione particolare, ed è nei rinomati “casini” o “ridotti” e caffè veneziani che ha avuto principio l’abitudine (non soltanto riservata all’aristocrazia) di riunirsi per giochi e divertimenti.

Si pensi che con legge del 26 marzo del 1506, come si legge nei “Diarii” di Marin Sanudo, a Venezia il Consiglio dei Dieci aveva proibito molti giochi, tra i quali tutti quelli d’azzardo (carte, dadi, persino la tombola), ma specificando: “excepto schachi, arco, balestra et balla” (E.Volpi “Storie intime di Venezia”, 1893). E già secoli prima, l’11 novembre del 1292, era avvenuta una prima “proibizione di tutti i giuochi d’azzardo, di giorno e di notte, e in qualsiasi luogo dell’episcopato; unico giuoco consentito, quello degli scacchi, che godeva di grandissima popolarità” (G.Marangoni “Giorno per giorno, tanti anni fa”, Ed.Filippi, 1971)

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Rientrando ai giorni nostri, seppi poi che negli anni 60 al Fassi di Corso d’Italia erano attive anche una pista da ballo ed un’orchestra, e che non raramente vi si accostarono altre celebrità del cinema, come Lina Wertmuller, Marcello Mastroianni, Vittorio Gassman. Sergio Leone vi girò gli interni di “C’era una volta l’America” e poi Verdone quelli de “I due carabinieri”. Erano quelli gli anni ruggenti del cinema e del Bar Caffè, che negli anni ‘70 divenne un po’ il riferimento della terza età del quartiere, tra il tango e il charleston che in estate si ballavano sotto il salone-tenda del suo giardino. Nelle serate invernali non erano rare le esibizioni di qualche soprano accompagnato al pianoforte o le recite di poesie o l’organizzarsi di mostre di pittura e di fotografia.

Ma lentamente il Fassi fu oscurato da effimere e passeggere mode, che lo indebolirono lasciandolo in balia di assalti e prigioniero d’interessi, finché chiuse definitivamente i battenti nel 1989, quando gli eredi della signora Annunziata (Angelo Vesco-Fassi e le due figlie), vennero sfrattati dal principe Torlonia senza che nessuna autorità si alzasse per fermare il compiersi dell’assurdo delitto.

Le strade della vita curiosamente mi riportarono a frequentare in seguito quel quartiere , in quanto fra il 1996 ed il 1999 andai a lavorare (per la BNL) proprio al secondo piano di quel palazzo di Piazza Fiume che vedete al centro nella foto di testa (a non più di 50 metri dall’ex Caffè). Quindi non ero già più lì quando, nel 2004, si compì l’ennesimo scempio con l’abbattimento dei due lecci e del magnifico secolare cedro che dominava sul giardino della villa Calderai (o “Fassi”) e sulla sua graziosa fontana d’epoca sorretta da alcuni “amorini” in pietra arenaria.

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E torniamo allora a Giovannino Fassi, il “gelatiere sovrano”, che visse fino al 1977, quando aveva 97 anni. Nel frattempo l’attività di Giovanni, separata da quella della sorella Annunziata, si era spostata, come abbiamo visto, prima a Piazza Navona e poi in via Piave ed infine in Via Principe Eugenio 65, dove fu inaugurato l’11 maggio del 1928 (nel 15° anniversario della scomparsa della madre Giuseppina), e c’è ancor oggi, “Il Palazzo del Freddo, Fabbrica artigianale del gelato”, anch’esso in stile liberty.

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Al Caffè Fassi 08Al Caffè Fassi 05Al Caffè Fassi 11

Come riporta il già citato Bartoloni, l’indomani, nella cronaca di Roma de “Il Messaggero”, si leggeva: “Inaugurato ieri in via Principe Eugenio il grande Palazzo del Freddo artificiale dovuto all’iniziativa e al lavoro di uno dei più operosi figli di Roma, Giovanni Fassi”. E ancora: “… maestoso stabilimento …. tutto costruito in marmi di Pietrasanta, con un impianto frigorifero, preciso, mirabile, con un laboratorio alla vista del pubblico, nitido, tutto splendente di luci, elegante negli arredi, stupendo per l’eleganza severa delle linee e del mobilio”.

Giovanni Fassi e il suo “Palazzo del Freddo” attraversarono momenti molto difficili tra il 1942 e il 1947 (com’è testimoniato anche dall’immagine successiva), ma li superarono con mirabile energia.

Al Caffè Fassi 06

Quando Giovanni si ritirò dal lavoro era il 1961, e lasciando disse ai suoi successori di ricordare sempre che “è facile iniziare un’attività, il difficile è farla continuare nel tempo”.

Il suo inimitabile e perenne successo è dovuto principalmente al fatto che Giovanni e la sua famiglia hanno sempre saputo star lontani dall’idea di un gelato industriale, rifiutando persino offerte da parte di gruppi come l’Algida. Il gelato artigianale Fassi “tiene botta” da sempre e ancora è in grado di “surclassare” qualsiasi gelato industriale. Lì in via Principe Eugenio, vicino a Piazza Vittorio, in quel rione Esquilino che oggi va rassomigliando sempre più ad un angolo di Guangzhou, “Ninetto”, il gelato con lo stecco, i coni e il gelato al bicchiere ebbero l’immediato eccezionale favore della popolazione. Se ai nostri giorni Fassi vende circa 600.000 gelati ogni anno, già allora si dice fossero 200.000 (ben 550 al giorno!). E anche lì arrivò il grande cinema: Michelangelo Antonioni vi girò nel 1982 alcune scene di “Identificazione di una donna”.

Al Caffè Fassi 04(Particolare della facciata de “Il Palazzo del Freddo” in via Principe Eugenio)

Non c’è più, insomma, l’elegante Caffè Fassi di Piazza Fiume, con i suoi giocatori di scacchi e i miei personali ma vaghi e scoloriti ricordi di bambino, ma il marchio Fassi, con la sua famiglia, è ben vivo e vegeto al Palazzo del Freddo del civico 65 di via Principe Eugenio, ed una “Gelateria Fassi” la si può trovare oggi, grazie all’impegno di Andrea, nipote di Giovanni, persino a Seul e a Los Angeles. Niente male per una famiglia che da cinque generazioni, la bellezza di 134 anni, vive con, e per, il buon gelato.

Intanto domenica prossima mi recherò di nuovo “in centro”, stavolta con mia moglie, al Palazzo del Freddo, “da Fassi”, per tornare a gustare il cosiddetto “sanpietrino”, un semifreddo a forma di cubo come l’antica pietra squadrata della pavimentazione cittadina, un semifreddo “speciale”, con una glassa esterna al cioccolato ricoprente un cuore di zabaione, caffè, cocco, pistacchio o nocciolato.

Al Caffè Fassi 07(Ed eccoci all’interno del Palazzo del Freddo: il gelato è sempre una gran prelibatezza!)

Ma per intraprendere in Roma nuove iniziative sul modello Caffè-Scacchi non è mai troppo tardi. Qualcosa in città torna a muoversi (con il moderno Bar Liszt all’EUR ed il Bar del Fico nella fascinosa Piazza del Fico, a due passi da Piazza Navona), qualcosa sta lentamente cambiando. Forse avremo ancora, fra qualche tempo, altri Caffè da frequentare, altre pagine da scrivere, altre storie da raccontare, altri gelati da assaporare….. camminando e sognando una nuova scacchiera.

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Nota della Redazione: Il presente articolo, insieme ad altri 56 tratti dai primi 5 anni di vita di SoloScacchi, è già stato pubblicato nel recente volume, edito da “Messaggerie Scacchistiche”, “57 Storie di scacchi” –pagg. 240- ancora disponibile in copie limitate e numerate presso il nostro Editore (scrivere a: info@messaggeroscacchi.it). Non perdetevelo!

avatar Scritto da: Marramaquís (Qui gli altri suoi articoli)


14 Commenti a Al Caffè Fassi

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    paolo bagnoli 21 Giugno 2014 at 19:26

    Dettagliato e delizioso!

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    Jas Fasola 21 Giugno 2014 at 19:52

    Articolo molto, molto appetitoso… mi vien voglia di mangiare un bel babà :mrgreen:

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    Mongo 21 Giugno 2014 at 23:14

    Acquistare gelati per corrispondenza… Che invenzione ❗ ❗

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    Andrea 21 Giugno 2014 at 23:42

    Mi spiace apprendere che il mitico Caffè Fassi di Piazza Fiume non esiste più, anche se ormai da tanti anni. Ricordo che per alcuni stagioni sul finire degli anni ’70 il Circolo Cyrano, che non distava molto, trasferiva di fatto al Fassi la sua attività nei mesi estivi. Sapevo, dai racconti degli “anziani” che il Fassi aveva una lunga tradizione di ospitare scacchisti; non so quanto ancora questa tradizione sia durata perché nel ’79 iniziai l’università ed il tempo da dedicare agli scacchi diminuì drasticamente finché qualche anno dopo mi trasferii e i pomeriggi estivi al Fassi passarono nell’archivio dei ricordi.

    ———–

    Come ben ricordo i gelati presi al Palazzo del Freddo vicino piazza Vittorio e ricordo l’essermi chiesto se i due “Fassi” erano correlati o se si trattasse di una curiosa omonimia. Ora so la risposta!

    Sarò a Roma fra qualche giorno, per una delle mie frequenti visite. E’ da parecchi anni che evito la zona di piazza Vittorio, ormai trasformata in una decadente e poco attrattiva chinatown, ma ora che so che il Palazzo del freddo è ancora in attività … chissà …

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    Martin 22 Giugno 2014 at 14:04

    Uno degli articoli più belli mai pubblicati su SoloScacchi…

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    The dark side of the moon 24 Giugno 2014 at 11:22

    D’accordo con Martin, articolo di notevole fattura.
    Complimenti all’ottimo Marramaquís.
    Ripartire dalla speranza, dall’ottimismo e dalla volontà delle ultime frasi per un augurio di un futuro…che ci riporti al passato: “Ma per intraprendere in Roma nuove iniziative sul modello Caffè-Scacchi non è mai troppo tardi. Qualcosa in città torna a muoversi, qualcosa sta lentamente cambiando. Forse avremo ancora, fra qualche tempo, altri Caffè da frequentare, altre pagine da scrivere, altre storie da raccontare, altri gelati da assaporare”.
    Riprendersi il passato per vivere meglio il futuro è una priorità che riguarda non solo gli scacchi…

  7. avatar
    Mongo 24 Giugno 2014 at 13:48

    “Riprendersi il passato per vivere meglio il futuro”: bellissima questa tua frase che ricorda molto quella del mio prof. di italiano e storia alle superiori: “Bisogna studiare il passato per capire il presente e migliorare il futuro”. 😉 :mrgreen: 😎

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    Zenone 25 Giugno 2014 at 10:07

    Purtroppo sono troppo distante per gustare il “sanpietrino”… zabaione, caffè, cocco, pistacchio… Mi deve essere aumentata la glicema.
    Bravo “Marra”.

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      mauro d'ambrosi 9 Luglio 2014 at 17:27

      La mitica tortina Fassi in Corso D’Italia.

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    Margherita 29 Settembre 2014 at 04:21

    La fondatrice di Fassi a Corso D’Italia, Annunziata Fassi era la mia bis-nonna. Io e la mia famiglia viviamo in Australia dal 1962. Questo articolo e’ molto prezioso per noi che siamo cosi’ lontani. I nostri giovani sono affamati di sapere la storia della famiglia anche se si dovra’ tradurre tutto in inglese. Grazie.

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      Marramaquis 29 Settembre 2014 at 07:31

      Margherita, siamo noi di SoloScacchi a ringraziarla. Interventi come il suo giungono, inattesi, a ricompensare ampiamente il nostro modesto impegno.
      Per quanto mi riguarda, io non ho conosciuto direttamente nessuno della famiglia, ma sappia che, mentre ne descrivevo (purtroppo solo brevemente) la storia, mi sono sentito, in parte, compagno del loro percorso romano attraverso gli anni.
      E’ anzitutto di persone come la sua bisnonna che l’Italia avrebbe oggi bisogno per riprendere a sperare nel futuro.
      Un caro saluto a lei e a tutti i discendenti australiani di Annunziata Fassi.

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        brunov 29 Settembre 2014 at 11:30

        Quando si semina, prima o poi si raccoglie!

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    cristina vesco 4 Marzo 2015 at 21:08

    ANCHE IO SONO PRONIPOTE DI ANNUNZIATA FASSI DEL CAFFE’ DI CORSO D’ITALIA! MARGHERITA DALL’AUSTRALIA E’ MIA CUGINA. MA NON VI SIETE ACCORTI, SCACCHISTI E NON, CHE UNA FASSI E’ SEMPRE PRESENTE NEL QUARTIERE SALARIO CON IL CAFFE’GELATERIA DAGLI ARREDI DI QUELLA DI CORSO D’ITALIA? NEL 1990 HO APERTO IL “CAFFE’ FASSI” A VIA NOMENTANA 123/5/7 E NEL 1990 IL “CAFFE’ FASSINO”A VIA BERGAMO 24 (P.ZA FIUME)…LA STORIA CONTINUA

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    fabio fassi 23 Settembre 2015 at 14:35

    Io sono un Fassi e posso garantire che non ci sono legami aziendali tra il giardino Fassi di Annunziata Fassi e il Palazzo del freddo di G.Fassi. Annunziata e Giovanni erano fratelli ma le loro aziende erano distinte e separate.

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