i Cormorani

Scritto da:  | 25 Aprile 2014 | 8 Commenti | Categoria: Racconti

Un sogno, un omaggio a Magnus Carlsen, anche se non lo leggerà mai! [1]

Cormorani 1

Ho deciso, dopo essermi raffrontato con la redazione sull’opportunità di pubblicare queste righe, poiché non amo riportare degli scritti anonimi, non potendo eseguire sufficienti riscontri. Abbiamo deciso, Martin Eden ed io, di procedere a trascrivere quanto pervenutomi recentemente. Preciso che ho trovato questa lettera nella mia cassetta postale, non era affrancata e non recava timbri, ritengo quindi sia stata recapitata direttamente da chi l’ha vergata a mano con una penna stilografica blu e su carta grezza. Il fatto che io abiti in una città di mare e si parli in queste righe di vita di mare, ancorché lontanissima, mi fa pensare che l’anonimo possa essere un marinaio. Ma questa sarà un’indagine che intraprenderò a breve, magari con l’aiuto di un mio amico biologo, esperto in analisi criminologiche, che mi ha già assicurato che potrà verificare la carta, l’inchiostro e forse anche eventuali tracce d’interesse. Il valore storico e, soprattutto, antropologico di queste righe sarà evidente a tutti.

Cormorani 2

Egregio Zenone,

credendo di farLe cosa gradita, Le invio queste brevi righe che ho fortunosamente ritrovato in un’antica biblioteca norvegese, della quale sono obbligato da un giuramento a non rivelare il nome. Mi è stato detto, ma lo credo inverosimile, che quella pergamena sarebbe stata recuperata da un Ufficiale della Marina britannica, “stappatore di bottiglie dell’oceano”, dopo centinaia di anni, all’interno di una bottiglia di liquore sigillata con la cera. Naturalmente ho avuto modo di vedere l’originale ma ho provveduto a trascrivere il contenuto rendendolo comprensibile. E’ una scoperta notevolissima, perché riporta un passaggio del diario di bordo redatto dal veneziano Pietro Querini, non presente nella documentazione ufficiale conservata nella Biblioteca Apostolica Vaticana[2], forse per il riferimento agli scacchi, non sempre ben visto da alcuni membri della Chiesa nel passato.

Cormorani 3

Come forse saprà, il 25 aprile 1431 la “Querina”, una “caracca”[3] del “Capitano da mar” e armatore, N.H. e membro del Maggior Consiglio della Serenissima, Pietro Querini, salpò dai possedimenti della ricca famiglia veneziana nella Candia diretto verso le Fiandre con un carico importante: 800 barili di Malvasia, spezie, cotone, allume di rocca, cera, tessuti e mercanzie varie. Arrivo era previsto per il dicembre 1431. L’equipaggio era composto da 68 uomini agli ordini dei fedeli N.H. Nicolò de Michele e Cristofaro Fioravante.

Ebbene la “Querina” non arrivò mai a destinazione perché, una volta giunta presso Capo Finisterre, venne sorpresa da una tempesta che la costrinse verso l’Irlanda. Il veliero perse il timone e una parte dell’alberatura, andando alla deriva per settimane, trascinato dalla corrente del Golfo. A metà di dicembre 1431, il comandante decise di abbandonare quello che ormai era un relitto, a bordo di due scialuppe, una più piccola, sulla quale salirono diciotto membri dell’equipaggio, e l’altra, più grande, con quarantasette. Solo della prima si hanno notizie, poiché sedici uomini riuscirono a toccare le coste norvegesi il 14 gennaio 1431, nei pressi dell’isola deserta dei Santi, come scrive lo stesso Querini, ma oggi sappiamo essere Sandøy (Isola della sabbia), nell’arcipelago delle Lofoten. Qui vennero avvistati dai pescatori della piccola isola di “Culo Mundi” o Rustene, oggi Røst (Voce), poco più di cento anime che essiccavano merluzzo. Da sempre e ancora oggi, questo arcipelago è battuto dal “moelstrom”, tremendo vortice che ha stuzzicato anche l’estro di Verne che vi fece cadere il “Nautilus” di Capitan Nemo.

Querini e i suoi vennero soccorsi e sfamati anche con una nuova pietanza che, da esperti commercianti, i veneziani rientrando in patria portarono con loro. Proprio per questo divenne famoso Querini, noto nella tradizione culinaria italiana perché riuscì a rientrare, miracolosamente a Venezia, con questo nuovo prodotto: lo “stoccafisso”[4].

Ecco però quanto ho trovato e che rappresenta una novità assoluta rispetto alla documentazione fino ad oggi conosciuta:

Ebbene, nel corso della nostra lunga attesa in quelle isole così aspre, alcuni de’ miei valorosi marinai giocavano spesso a scacchi, con una piccola tavola incredibilmente salvatasi . Non lo impedii, troppo avevano sofferto nei lunghi giorni di naufragio e lotte contro il mare e troppi compagni erano caduti. Bisognava dimenticare. Così come avveniva a Venezia, ordinai che il giuoco non avvenisse con azzardo, perché m’accorsi che a volte puntavano qualche pezzo di quello strano pesce seccato. Ciò anche per non offendere quel popolo per cui quel meraviglioso alimento era così importante tanto da ricoprirne le case e i tetti. Le sfide erano lunghe e intense, nelle infinite sere trascorse su quelle palafitte che chiamavano “rorbru”. Nuovamente divertiti e sereni erano i miei valorosi, sotto lo sguardo sicuro dei fidati Cristoforo e Nicolò.

Cormorani 4

Mi colpirono di quelle popolazioni alte e chiare di carnagione, quei loro modi duri dietro cui nascondevano un’ospitalità inattesa e sconosciuta nel nostro infocato Mediterraneo. Servizievoli e benevoli e desiderosi di compiacere. Una piccola isola di poche anime e migliaia di uccelli neri: i cormorani. Erano animali sacri per loro, lo compresi subito ammirando alcuni disegni nelle loro insegne del villaggio.

Un giorno, non so dirvi quando, appena terminata una chiassosa sfida tra due miei marinai veneziani, ancora divertito, decisi di uscire da rorbru che ci ospitava per ammirare, ancora una volta, l’eccezionale paesaggio. Come sempre la nebbia galleggiava su quel mare così apparentemente inospitale, ma ricco. Mi sembrò di vedere qualcosa in lontananza, qualcosa che non avevo mai visto prima e che senz’altro non c’era davanti a quelle coste, durante il tempo sereno: un’isola. Chiamai Cristoforo e Nicolò, senza enfasi, per non impressionare nostri uomini, che infatti continuarono a giuocare. Indicai loro con il dito quanto stavo vedendo. Anche loro videro. Nicolò mi allungo il binocolo. Potei vedere cose straordinarie e lo permisi anche ai miei luogotenenti. Intorno a quell’isola che fluttuava sulla nebbia si muovevano molti cormorani, volavano intorno all’isola, incessantemente. Sentivo distintamente le grida strazianti di quei neri animali. Un brivido ci pervase. Poi, d’un tratto, tutto fu silenzio. Quegli uccelli sembrarono fermarsi ,sulla nebbia, appoggiati su inesistenti scogli e ci fissavano. Ci passammo, io Nicolò e Cristoforo, il binocolo, per vedere meglio. Furono attimi interminabili. Ci guardammo e tacemmo. Vedemmo quegli uccelli volare via in silenzio, portando con loro quell’isola e la nebbia, che improvvisamente scomparve dal mare. Nulla, non era rimasto nulla. Nessuno di noi proferì parola. Solo io, riavuto da quella visione, ordinai di non dire nulla ai nostri uomini e che nessuno avrebbe mai dovuto parlane o scriverne, anche se avessimo avuto la sorte di rientrare a Venezia. Così fu. Rientrammo nel rorbru e, come se nulla fosse accaduto, continuammo a ridere con gli uomini che giocavano ancora a scacchi.

Alla fine partimmo, dopo quasi quattro mesi di permanenza in quei luoghi paradisiaci, dove tutto è amore e gratuità. Decisi, come unico nostro omaggio a quel popolo, di lasciare al capo villaggio la nostra scacchiera. Osservandoci giocare avevano ormai compreso le regole, umili e intelligenti uomini di mare. Accettarono di buon grado e lasciammo l’isola.

Il ricordo di quella visione mi bruciava l’anima, così come ai miei luogotenenti.

Mi venne raccontato, solo nel viaggio di rientro, da alcuni veneziani che risiedevano sul Tamigi, che secondo un’antica leggenda nordica le anime dei marinai mai rientrati alle loro famiglie e i cui corpi erano stati inghiottiti per l’eternità dal immenso mare del Nord, trascorrevano la loro eternità su un’isola, a sud delle Isole Lofoten e che solo di rado alcuni viventi possono vedere: Utrøst.

Ora tutto era chiaro, quella visione sconvolgente rappresentava il Paradiso dei miei compagni di viaggio che avevo perso nelle terribili tempeste del Golfo di Biscaglia. Porterò questo ricordo alle loro famiglie, a quelle spose inconsolabili e quei fanciulli lasciati infanti ma che ora potranno comprendere il coraggio dei loro cari. Io li ho visti, enormi, neri ed alteri e anche questo è un regalo di quel popolo meraviglioso ed ospitale che ci ha salvati.

Nei miei viaggi successivi seppi che tutte quelle popolazioni impararono quel gioco meraviglioso che chiamarono “venetianske”, a nostro ricordo.

Ecco, questo è quello che ho scoperto e ho voluto rivelarle proprio ora che il miglior giocatore del Mondo è un Norvegese.

Ne faccia buon uso, mi raccomando a lei e ai suoi amici scacchisti!

separator4

Ora, amici di SoloScacchi, potete credere o meno a queste rivelazioni, non voglio commentare perché, come capirete, non posso verificare le fonti. Suggerisco, quindi, come fece Querini con i suoi fidati luogotenenti, di non rivelare nulla di quanto ho condiviso con voi, per non turbare il mondo degli scacchi e il più forte giocatore del Mondo!

Note

[1] Questo racconto è di pura fantasia, pur basandosi su fatti storici. L’autore non ha mai letto l’opera citata di Pietro Querini e conservata nella Biblioteca Apostolica Vaticana ed il collegamento agli scacchi è puramente inventato al fine di rendere la narrazione appetibile agli appassionati del nostro gioco.

[2] Segnatura: Urb.lat.855,datazione sec. XVI-XVII (data inizio 1576 -data fine 1625)

[3] Veliero a tre o quattro alberi progettato nelle sue caratteristiche essenziali dai genovesi (che la chiamavano “Nao”, cioè nave) per li scambi commerciali, che nel XV secolo solcava il Mar Mediterraneo.

[4] Dal norvegese stokkfisk o dall’olandese antico stocvisch cioè “pesce a bastone”, oppure dall’inglese stockfish, “pesce da stoccaggio”.

Cormorani 6

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8 Commenti a i Cormorani

  1. avatar
    Mongo 25 Aprile 2014 at 12:15

    25 aprile 1945
    Un nuovo mondo sorgerà, per tutti l’uguaglianza e la libertà!! (S Endrigo)
    ——————————-
    Scusa Zenone questa mia intrusione nel tuo interessantissimo pezzo, ma avevo l’obbligo morale di farlo per aiutare il mondo a non dimenticare… ❗

    • avatar
      Marramaquis 25 Aprile 2014 at 16:39

      Mongo, forse la tua non è intrusione, in quanto penso che il grande Sergio Endrigo si riferisse proprio al marinaio Querini, il quale aveva confuso i gabbiani (“un volo di gabbiani telecomandati…”;) con i cormorani, quando cantava “…nella notte una stella d’acciaio confuse il marinaio” e poi ancora “…la nave” (ovviamente quella del Querini, tra l’altro discendente dell’imperatore romano Galba) “partirà, ma dove arriverà… questo non si sa” ((?!)).

  2. avatar
    Marramaquis 25 Aprile 2014 at 19:06

    Giochi di parole a parte, qui c’è un Zenone sempre più sorprendente e accattivante!

  3. avatar
    delpraub 25 Aprile 2014 at 19:32

    Bella contaminazione scacchistica di storia (quella di Pietro Querini, che non conscevo) e tradizione (i cormorani di utrost, di cui avevo sentito da un amico norvegese). Bravo Zenone.
    Giuro però che leggendo di “Culo mundi” ho pensato fosse un’invenzione vernacolare 😆

  4. avatar
    Zenone 25 Aprile 2014 at 22:19

    C’è un comune nel vicentino gemellato con l’isola di Rost: Sandrigo. E qui l’assonanza, con nome e cognome, del grande cantautore è davvero notevole! Invece “culo mundi”, come avrai verificato, è uno dei modi in cui Querini chiamò quelle terre fantastiche, in tutti i sensi!

  5. avatar
    Fabio Lotti 25 Aprile 2014 at 22:49

    Zenone non solo poeta.

  6. avatar
    Uno della Versilia storica 26 Aprile 2014 at 12:10

    Caro Zenone, credo di conoscere chi ti ha fatto lo scherzetto di imbucare quella lettera nella tua cassetta postale. Sicuramente è un “trabaccolare” che gioca a scacchi in pineta e che vede cormorani da tutti le parti anche se son gabbiani!! Se lo trovo gliele dico io quattro!! Nonostante la fonte non attendibile un buon racconto di mare e di scacchi ma soprattutto di stoccafisso!!

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