Coffee houses

Scritto da:  | 28 Giugno 2014 | 10 Commenti | Categoria: C'era una volta, Curiosità
Coffee house 2
La storia delle coffee house londinesi è strettamente connessa alla storia degli scacchi. In questi locali vennero ospitati parecchi circoli scacchistici della capitale britannica, con vita più o meno lunga e con alterne vicende.
La prima coffee house venne fondata nel 1652 da una cittadina greca dall’improbabile nome di Pasqua Rosee. Dopo aver servito come governante nella casa di un mercante inglese residente a Smirne, nell’allora potente Impero Ottomano, la signora rientrò in Inghilterra dotata di un certo gruzzolo e di notevole spirito di iniziativa e decise di offrire ai londinesi l’opportunità di sperimentare il gusto di una bevanda che ella aveva apprezzato in Turchia: il caffè.
Acquistò un locale in St. Michael’s Alley, vicino alla centralissima Cornhill, lo arredò con lunghi tavoli che favorissero le conversazioni tra gli avventori, ed importò una notevole quantità di caffè. Il successo dell’impresa fu immediato ed enorme: oltre al voler sperimentare il gusto dell’esotica bevanda, londinesi di ogni età e condizione sociale (ma si trattava in prevalenza di nobili o di borghesi benestanti) si trovavano ogni sera, fino a notte fonda, nel locale per discutere di pettegolezzi cittadini, per chiacchierare di argomenti di ogni genere, ed anche di politica.
Coffee house 1
Era fresco il ricordo della rivoluzione di Cromwell, dell’esecuzione del re Carlo Primo, e Londra era ancora agitata dai contrasti tra diverse fazioni politiche. I massacri di Drogheda e Wexford, dove vennero uccisi migliaia di cattolici, la sanguinosa sottomissione di Irlanda e Scozia e l’istituzione della Repubblica erano argomenti di discussione, ma Cromwell, quando la prima coffee house aprì i battenti, era ben saldo al potere, un potere che reggeva di fatto come dittatore.
Poi arrivò la morte del dittatore, la restaurazione monarchica con l’insediamento di Carlo Secondo, e la macabra “esecuzione postuma” del cadavere di Cromwell, ma i londinesi continuarono a bere il caffè, bevanda che alcuni medici dell’epoca definivano come benefica contro una serie di malattie che non è il caso di enumerare.
Sull’onda del successo del locale della St. Michael’s Alley, altri imprenditori londinesi aprirono alcune coffee house che non mancarono di attirare folle di avventori. Vista l’origine della bevanda, i locali vennero per buona parte arredati con stile orientaleggiante. Nel 1663 si contavano, a Londra, ben 82 coffee house, ritrovo di scienziati, poeti, scrittori, uomini politici e membri dell’ intellighenzia inglese. Carlo Secondo, memore della fine del predecessore sul trono d’Inghilterra, tentò di limitare la frequentazione di questi locali nei quali si discuteva “troppo” di politica; il monarca si fece forte anche di una petizione del 1674, firmata da migliaia di donne londinesi, esasperate dal fatto che i mariti trascorressero ore ed ore del giorno e della notte nei locali dove si consumava questa “abominevole bevanda”.
Il provvedimento escogitato dal re (una specie di “tassa di accesso” ai locali) venne precipitosamente ritirato dal governo, viste le veementi proteste della parte maschile della popolazione, e le coffee house continuarono a prosperare, tanto che agli inizi del Diciottesimo Secolo si contavano a Londra, entro l’antica cerchia delle Mura Romane (grosso modo, la City of London), oltre cinquecento locali che offrivano agli avventori, oltre al caffè, anche un pasto caldo, liquori di vario genere e le attenzioni delle cameriere, uniche persone di sesso femminile pronte a varcare la soglia. Già, perchè una donna “rispettabile” (o pubblicamente ritenuta tale) mai e poi mai avrebbe concepito l’idea di frequentare una coffee house.
Oltre al caffè, alle compiacenti cameriere, al cibo ed ai liquori, in diverse coffee house gli avventori potevano disporre anche di scacchiere, ed il numero degli appassionati del gioco crebbe; questi locali, infatti, furono una sorta di incubatrice della notevole massa di dilettanti londinesi i quali erano pronti ad affrontare (quasi sempre con handicap di varia importanza) colui che veniva considerato il miglior giocatore del locale (sempre e comunque con una posta di varia entità in gioco, posta che poteva andare da una tazza di soup a qualche scellino).
Coffee house 3
Avvenne, nei primi decenni del Settecento, una quasi fisiologica selezione tra le varie coffee house londinesi; la maggioranza di esse si limitò a sopravvivere con alterne fortune, ma alcune vollero distinguersi dalla massa proprio grazie agli scacchi. La Slaughter’s Coffee House sita in St. Martin’s Lane , che aveva aperto i battenti nel 1692, ospitò il match tra Philidor ed il siriano Stamma (1747), per poi abolire nel 1770 la sala da scacchi e scomparire definitivamente nel 1844 a causa della demolizione dell’edificio. Nel 1770 molti appassionati londinesi si riunirono alla Salopian Coffee House and Tavern in Charing Cross, ed il locale venne frequentato per una trentina d’anni fino a quando il proprietario decise di chiudere la coffee house (1804) e di trasformare il tutto in un ristorante, che chiuse a sua volta verso la metà del secolo.
Dal 1774 prese vita un vero e proprio “Circolo” presso la Parsloe’s Coffee House in St. James’ Street. Il circolo si dette regole ferree ed onerose, altamente selettive, che indicano chiaramente quale fosse il livello sociale dei frequentatori: la quota annua di iscrizione era di 3 ghinee (una somma notevole per l’epoca) ed il numero di soci era rigorosamente limitato a cento. Philidor, che frequentava regolarmente Londra ogni anno per la season musicale, era una specie di socio onorario del circolo e lo rimase fino alla morte. Parsloe’s chiuderà i battenti nel 1825. Pochi metri più in là, nella stessa strada, venne creato un nuovo ritrovo scacchistico presso la White’s Chocolate House (il caffè non era più il protagonista…;)
Nel 1807 apre un “London Chess Club” presso la Tom’s Coffee House in Cornhill (siamo sempre nella City), e i londinesi apprendono un nuovo termine, “divan”, inteso in senso orientaleggiante come luogo di piacere e di svago. Il Gliddon’s , frequentato per alcuni anni da Staunton, venne descritto da un contemporaneo come “una tenda orientale, con tendaggi drappeggiati ovunque, e dappertutto paesaggi con minareti, moschee e palazzi sorgenti dalle acque”. Il locale non ebbe grande fortuna come ritrovo scacchistico, ed il proprietario lo trasformò in una sala da bowling. Tornando alla Tom’s ed al London Chess Club, esso venne organizzato da Lewis e sopravvisse grazie al contributo di facoltosi mercanti ed operatori di borsa; l’accesso ai locali era rigorosamente vietato a persone “non della City”.
Il circolo chiuse nel 1827 a causa della rovina economica dello stesso Lewis.
Coffee house 4
Nel XIX secolo i ritrovi scacchistici si moltiplicano, anche grazie al continuo affluire di nuovi appassionati provenienti dalla media borghesia: Kilpack’s in Covent Garden, le Philidorian Chess Rooms in Rathbone Place, Huttman’s Chess Divan in Bedford Street, Gatti’s in Adelaide Street, ma per gli scacchisti londinesi il vero ed unico “Divan” era quello situato nello Strand. Aperto nel 1828 da un portoghese, Samuel Ries ed inizialmente noto come Ries’ Divan, nel ’33 venne “ribattezzato” Simpson’s Divan , visto che il proprietario preferiva dare al locale un’impronta “più britannica”; Simpson era il capocameriere di Ries. Apriva a mezzogiorno e chiudeva alle undici di sera, e dalla sua sala da scacchi passarono, nei decenni successivi, tutti i grandi giocatori del globo: Anderssen, Morphy, Staunton, Walker, De Vère, Mason, Mackenzie, Blackburne, Gunsberg, Steinitz, Zukertort, Buckle, Bird, Pillsbury,e quelli che non nomino sono la maggior parte. Al locale vennero dedicati libri di memorie (spiritosissimi quelli di Bird e del reverendo MacDonnell) che descrivono, usando sovente pseudonimi, vizi e virtù dei frequentatori abituali.
La “sala da scacchi” era abbastanza ampia, con grandi specchi alle pareti, e vi si poteva accedere in tre modi: consumando un pasto all’annesso ristorante, ed in tal caso l’ingresso era per quel giorno gratuito, oppure pagando uno scellino come fee giornaliera (erano compresi anche il caffè ed un sigaro), o infine associandosi al club, pagando una tassa di iscrizione annua di 2 sterline e due scellini (due ghinee).
Nel 1903 il locale venne espropriato in parte dal consiglio municipale di Westminster al fine di allargare la sede stradale; quando riaprì l’anno seguente, il Divan non fu più ritrovo degli scacchisti
Il Divan aveva un concorrente situato in Cornhill, il ristorante Purssell’s, che non godeva tuttavia della fama del Simpson’s; aperto da mezzogiorno alle nove di sera, con ingresso libero grazie ai contributi versati da mercanti londinesi, chiuse l’attività nel 1894 a causa della demolizione dell’edificio.
Coffee house 5
Per chiudere ricorro al Dictionary of London  curato nel 1879 da Charles Dickens junior; quest’ultimo cita, tra i luoghi scacchistici di Londra, il St. George’s Chess Club, fondato nel 1843 in King Street, ed il cui segretario sarà quel Minchin che farà da “mediatore” per il match mondiale tra Steinitz e Zukertort. I soci residenti a Londra pagavano una tassa di iscrizione annua di due ghinee, mentre ai forestieri era concesso uno sconto del 50 %. In questo caso, però, ci stiamo allontanando dal mondo delle coffee house così come nel caso del City of London Chess Club, fondato nel 1852 presso l’hotel Mouflet in Newgate Street, dove si poteva giocare a scacchi nei pomeriggi di lunedì, mercoledì e venerdì al costo di mezza ghinea annua.
L’epoca vittoriana vide fiorire centinaia di coffee house, come abbiamo già visto, ma sarebbe ingiusto chiudere questa panoramica senza citare alcune coffee house europee che ospitarono scacchisti anche di altissimo livello: i cafè berlinesi come il Kaiserhof ed il König, il Dominik di San Pietroburgo, il viennese Central, il Reuter di Riga, il Roode Leeuw di Amsterdam, e soprattutto il Café de la Régence di Parigi.
La Regence
Quest’ultimo locale, aperto da un americano nel 1670, ereditò la clientela scacchistica da un altro locale cittadino, il Café Procope, e nel Settecento venne frequentato da scacchisti del calibro di Légall, Philidor e dall’irritabilissimo Deschapelles, il quale rifiutava qualunque avversario che non volesse mettere in palio un po’ di quattrini. Di tanto in tanto vi facevano ingresso dilettanti famosi per motivi extra-scacchistici, tra di loro Voltaire, Rousseau, Robespierre e Benjamin Franklin. Poi vennero Labourdonnais, Saint-Amant e Kieseritzky, e Morphy vi tenne una famosa simultanea alla cieca nel corso del suo primo tour europeo. Poi, il declino, dovuto ad una ristrutturazione della piazza su cui si affacciava il locale, ristrutturazione che portò ad una dispersione degli scacchisti parigini ed alla secolare decadenza della un tempo gloriosa “scuola francese”.
Et de hoc satis…
Coffee house 6
avatar Scritto da: Paolo Bagnoli (Qui gli altri suoi articoli)


10 Commenti a Coffee houses

  1. avatar
    Ramon 29 Giugno 2014 at 09:40

    Sempre superlativo il nostro mitico Paolo!! 😎

  2. avatar
    Fabio Lotti 29 Giugno 2014 at 14:43

    Avanti così, Paolone!

  3. avatar
    Ricardo Soares 29 Giugno 2014 at 19:12

    Excelente!!!

  4. avatar
    Enrico Cecchelli 30 Giugno 2014 at 00:34

    Bellissimo articolo ! Bravissimo !!

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    alfredo 30 Giugno 2014 at 14:00

    un po’ di nostalgia per i nostri vecchi bar – caffè – circoli
    oltre a quello citato da Marramaquis in un suo relativamente recente articolo ce ne sono altri in Italia, degni di questo nome?

    • avatar
      Filologo 30 Giugno 2014 at 15:38

      Una grande tradizione scacchistico-letteraria aveva a Firenze il caffè delle Giubbe Rosse, regno di Clarice Benini, che fu anche immortalata nella poesia di un altro frequentatore illustre, il futuro Nobel Eugenio Montale.

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    The dark side of the moon 30 Giugno 2014 at 14:41

    Come sempre eccezionale pezzo.
    Non so quanti ne hai scritto e quindi se basterebbe un libro per racchiudere tutte queste perle di cultura scacchistica, mi sembra di ricordare però che ti stavi adoperando per mettere il tutto su carta stampata.
    Sarebbe fantastico.

  7. avatar
    Tamerlano 30 Giugno 2014 at 19:32

    Eccezionale anche questo proprio perchè è di Paoli Bagnoli !

  8. avatar
    Zenone 30 Giugno 2014 at 21:02

    Ottimo, come sempre. DE’ una grande colpa sfornare sempre pezzi di alto livello, ma Bagnoli è sempre all’altezza!

  9. avatar
    GRAZIANO MASI 21 Novembre 2014 at 11:25

    Si ha la sensazione che il nostro Bardo ci trasporti con una macchina del tempo. Fantastico.

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