Una vexata quaestio

Scritto da:  | 6 Agosto 2014 | 11 Commenti | Categoria: C'era una volta, Curiosità
“L’uomo moderno crede di perdere qualcosa – il tempo – quando non fa le cose in fretta; eppure non sa che cosa fare del tempo che guadagna, tranne che ammazzarlo”
Erich Fromm
Chess clock 1
Il controllo del tempo di riflessione è una vexata quaestio fin dalla prima metà dell’Ottocento. Già ai tempi del famoso match (in realtà, una serie di match) tra Alexander MacDonnell e Louis Charles Mahé de La Bourdonnais – siamo nel 1834 – alcuni osservatori, pur annotando le mosse di ogni singola partita, non poterono registrare i tempi di riflessione sia di ogni singola mossa che totali. In una occasione venne notato che La Bourdonnais (o Labourdonnais, come vi pare) sparò una ponzata di 55 minuti su di una singola mossa, pur osservando che “MacDonnell era sicuramente il giocatore più lento”.
Chess clock 3
Due anni più tardi, sul Palaméde, Saint-Amant scriveva: “Una partita non dovrebbe essere interminabile, e le condizioni dovrebbero essere eguali per entrambi, mentre non lo sarebbero se uno dei giocatori applicasse un’intenzionale lentezza al fine di far perdere all’avversario la pazienza e la concentrazione”.
Dopo alcuni anni, nel 1843, si disputò l’altrettanto famoso match tra Saint-Amant e Staunton, una specie di verdetto finale sulla supremazia scacchistica tra Francia e Gran Bretagna, ed anche in questo caso alcuni osservatori imparziali dovettero registrare una eccessiva durata delle partite, con il top nella 21° che durò ben 14 ore e mezza per 66 mosse, roba da schiantare chiunque.
Deschapelles, giocatore rapido ed “istintivo”, aveva in passato fatto rilevare che era necessario trovare un sistema per porre dei limiti al tempo di riflessione, e Buckle – dilettante londinese che nulla aveva da invidiare ai vari Staunton ed Anderssen – affermava che “le lungaggini di un buon giocatore sono irritanti, ma quelle di una schiappa sono intollerabili”.
Chess clock 2
La mancanza di un limite di tempo di riflessione consentiva di applicare “la strategia dell’assedio”, inchiodando l’avversario davanti alla scacchiera per lunghe ore, riducendone quindi la lucidità mentale e la pura resistenza psicofisica. Il grande torneo di Londra del 1851 rinfocolò le polemiche sull’argomento, grazie anche alla massacrante semifinale tra Williams e Staunton, e Lasa, dalla Germania, rincarò la dose affermando che un sistema di controllo del tempo di riflessione non era più procrastinabile e che si poteva affidare ad un arbitro imparziale un controllo mediante cronometro; questa proposta, tuttavia, cadde nel vuoto.
Sul momento un rimedio parve risiedere nelle clessidre; effettuata la propria mossa, il giocatore poneva in orizzontale la propria clessidra in modo tale che la sabbia non potesse più scorrere e la clessidra dell’avversario veniva posta in verticale, e così via, ma ci furono severe obiezioni a tale metodo: lo scorrimento della sabbia poteva essere alterato dalle condizioni ambientali o dalla stessa consistenza del materiale impiegato e comunque il sistema risultava altamente impreciso.
Chess clock 5
Quando, nel 1861, Kolisch terrorizzò i giocatori londinesi, nei suoi match vennero nuovamente impiegate le clessidre ma Medley, un forte dilettante londinese, ebbe a lamentarsi sia dell’avversario che del sistema di controllo del tempo, e si continuò a discutere su di un sistema “sicuro ed imparziale”.
Fu nell’occasione del memorabile match tra Anderssen e Kolisch (Londra 1861) che Saint-Amant, che assisteva all’incontro, tornò sulla sua polemica di 25 anni prima, approvando entusiasticamente l’adozione delle clessidre (Lasa si associò alla lode) ed auspicando un sistema ancor più perfezionato e preciso. “Un’innovazione, un reale progresso, senza il quale non è più possibile disputare un incontro serio” furono le parole del francese. Si giocò al ritmo di 24 mosse in 2 ore, e lo stesso limite venne adottato al successivo torneo di Bristol.
Chess clock 7
Nel 1867, a Parigi, nel corso del torneo internazionale, si tentò il sistema delle “multe”: limite di tempo di 10 mosse per 1 ora di tempo e multa di 5 franchi a colui che avesse superato tale limite, ma i contravventori pagarono le multe e continuarono a superare i limiti prefissati. Quello stesso anno, a Dundee, si continuò con l’adozione delle clessidre, col ritmo di 30 mosse in 2 ore, mentre nel 1870 a Baden-Baden (il “torneo delle cannonate”;) e nel 1871 a Lipsia si passò a 20 mosse ogni ora.
E’ da rilevare che alcuni cosiddetti “puristi” del gioco consideravano l’adozione di limiti di tempo di riflessione come contraria allo spirito del gioco e dichiaravano che chi avesse reclamato la vittoria in base a tale regola si sarebbe macchiato di “comportamento antisportivo”. Si trattava, probabilmente, degli stessi che, in occasione del torneo di Londra del 1862, avevano proposto che, ad 1. e4, venisse imposta a termini di regolamento la risposta 1. … e5, considerando “codarde” repliche come 1. … e6 o 1. … c5.
Chess clock 11
Gli orologi esistevano da secoli, e nell’Ottocento esistevano cronometri di grande precisione che consentivano ai cartografi della Marina Britannica di “fare il punto” con estrema accuratezza, ma un orologio da scacchi, che misurasse contemporaneamente il tempo impiegato da entrambi i contendenti, presentava problemi tecnici che, se oggi ci appaiono banali, all’epoca non lo erano affatto.
Della faccenda si interessò Blackburne, entrato a ragione nei top ten mondiali, ma negli anni Sessanta e Settanta si continuò col sistema delle clessidre o di imprecisi cronometraggi da parte di arbitri, entrambi metodi che offrivano il fianco a critiche.
Chess clock 10
C’era anche chi proponeva di porre limiti di tempo per ogni singola mossa, come aveva fatto Staunton quando si stava programmando l’incontro di rivincita contro Saint-Amant. Nella sua lettera, l’inglese offriva all’avversario la scelta di tale limite: “… 10, or 15, or 20. or 25, or 30, at your pleasure…”, aggiungendo che il superamento di tale limite sarebbe costato al contravventore una multa di una ghinea. L’incontro abortì a causa di una grave indisposizione di Staunton, ed il sistema non venne nè riproposto nè adottato.
Chess clock 12
Finalmente le indicazioni date anni prima da Blackburne trovarono una prima realizzazione pratica grazie agli sforzi di un artigiano di Manchester, Thomas Bright Wilson, che era anche segretario del locale circolo scacchistico. Due piccoli orologi a pendolo visibile erano innestati alle estremità di un braccio mobile piegato ad un angolo di 30 gradi; il giocatore, eseguita la propria mossa, abbassava il proprio orologio bloccando il movimento del pendolo e mettendo in moto automaticamente il pendolo dell’avversario. Wilson aveva anche inserito un allarme sonoro che scattava al raggiungimento delle mosse previste. Siamo nel 1883 ed il meccanismo venne denominato “orologio a caduta”, e fu questo ad essere adottato nel corso del match tra Steinitz e Zukertort, ma venne già impiegato al torneo di Londra di quello stesso ’83, nel quale si giocava a 15 mosse per ora e nel quale, per la prima volta, fu introdotta la regola che assegnava partita perduta a colui che avesse superato il limite di tempo.
Chess clock 9
Wilson non ebbe l’accortezza di brevettare il dispositivo, ma lo fece nell’ ’84 un certo Amandus Schierwater di Liverpool, il quale apportò all’idea di Wilson alcune lievi modifiche e lo mise in commercio, tuttavia ad un prezzo esorbitante, per poi, due anni dopo, associatosi ad un certo Frisch, mettere in vendita un nuovo modello che mostrava l’orario, il tempo di riflessione impiegato da ognuno dei giocatori, il numero di mosse effettuate, il giocatore cui toccasse muovere e che aveva un campanello che segnalava l’esaurimento del tempo di riflessione. Questo orologio venne largamente adottato anche perchè i produttori abbassarono il prezzo di vendita.
Poi, nel 1887, un orologiaio di origine italiana, Fattorini, residente a Bradford, produsse un nuovo modello estremamente semplificato rispetto ai precedenti, ma il suo dispositivo venne aspramente criticato da molti giocatori in quanto si verificarono parecchi casi in cui entrambi gli orologi funzionavano contemporaneamente.
Chess clock 4
Nel 1894 nel match tra Steinitz e Lasker per il titolo mondiale venne ancora impiegato l’orologio “a caduta”, ma quello stesso anno, al torneo di Lipsia uno scacchista cittadino, Gustav Herzog, presentò un orologio che si può definire a ragione come il capostipite della generazione di orologi che vennero impiegati nei decenni successivi, fino all’adozione degli attuali orologi digitali. Hoffer si produsse in lodi sperticate in favore del meccanismo, che venne da lui definito come nettamente più affidabile dei dispositivi usati fino a quel momento e di fabbricazione britannica. Cinque anni dopo si ebbe l’ultimo perfezionamento, la cosiddetta “bandierina”, ideata dal segretario della Federazione Scacchistica Olandese, Meijer; la caduta della bandierina segnalava, con grande precisione, lo scadere dei limiti di tempo. Ci volle tuttavia una ventina d’anni perchà ogni orologio da scacchi venisse dotato di “bandierina”.
Chess clock 6
Negli ultimi anni del secolo venne anche commercializzato il Chess Timing Clock, ed allo scadere del secolo un certo Veenhof di Groningen apportò le ultime piccole modifiche all’orologio a doppio quadrante.
Per quanto riguarda l’istituzione della “mossa in busta”, non esiste una precisa documentazione sul dove e quando essa venne adottata per la prima volta, ma già nei primi anni del XX secolo essa viene citata nelle cronache di alcuni tornei. Oggi, grazie alle modifiche regolamentari, essa è stata abolita, ma in passato ebbe, a volte, risvolti drammatici od umoristici. Un caso citato nella biografia di Mikhail Tal riguarda il regolamento del match per il titolo mondiale tra Tal e Botvinnik. Quest’ultimo, pignolo e sospettoso, pretese che le buste contenenti la mossa di aggiornamento fossero addirittura DUE, e Tal, che non mancava di un certo senso di provocazione, disse: “E se le due buste contenessero due mosse diverse?”. Botvinnik, irritato, ribattè: “Chi le ha scritte perde!”.
Chess clock 13
avatar Scritto da: Paolo Bagnoli (Qui gli altri suoi articoli)


11 Commenti a Una vexata quaestio

  1. avatar
    fds 6 Agosto 2014 at 08:52

    Questa narrazione non può non far riflettere sui tempi di “risoluzione” di una questione tecnologica (ma anche no) confrontando quelli dell’800 con quelli dei giorni nostri.
    E non sono sicuro quale cadenza mi affascina di più…

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    Mongo 6 Agosto 2014 at 09:58

    Un bellissimo tuffo nel passato… 😛

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    lordste 6 Agosto 2014 at 10:25

    Una grossa imprecisione:
    La mossa in busta in realtà non è stata abolita (come potrebbe testimoniare fds :mrgreen: ) ma semplicemente accantonata causa motorizzazione.
    Ma c’è stato giusto poche settimane fa un torneo in cui le buste sono ritornate… 😎

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    Zenone 6 Agosto 2014 at 13:07

    Il Garde…l’amato Garde. Ho avuto modo di giocare con gli ultimi tre orologi. Interessante articolo che mi fa penare che gli orologi per gli scacchi, così come il nostro gioco, hanno un risvolto estetico importantissimo: foto di oggetti bellissimi!

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    Giancarlo Castiglioni 6 Agosto 2014 at 16:24

    Non ricordo dove, ho giocato lampo con un orologio uguale a quello della quarta fotografia, quello con il numero 27.
    La sbarra di legno lo attraversava sopra allo scappamento dei due orologi e li toccava con un feltro sulla parte inferiore in centro; spingendo la barra da un lato partiva l’orologio da quella parte, con la barra al centro i due orologi erano fermi.
    Le mosse in busta erano una gran seccatura e per evitarle c’erano molte patte subito dopo il controllo di tempo.
    Però erano anche interessanti e dalle analisi notturne su mosse in busta mie e di altri ho imparato molto sui finali.

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      Doroteo Arango 6 Agosto 2014 at 17:00

      Si dice che il vecchio Martin abbia imparato a giocare con gli orologi della prima foto… 😉

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    paolo bagnoli 6 Agosto 2014 at 17:44

    Se il “vecchio” Martin giocava con quelli, allora io giocavo con le clessidre …..

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    paolo bagnoli 6 Agosto 2014 at 21:12

    Per lordste: so che la mossa in busta non è stata “abolita”. Forse avrei dovuto dire che è stata “abbandonata”. Le mie scuse.

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    Martin 6 Agosto 2014 at 22:00

    Ennesimo contributo di qualità da parte del nostro Paolo: mi unisco all’applauso di tutti.

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    Michelangelo 7 Agosto 2014 at 09:03

    Complimenti,gran bell’articolo!

  10. avatar
    Beniamino 7 Agosto 2014 at 09:32

    Ogni volta che leggo pezzi come questo incrocio sempre le dita nella speranza che il Signor Bagnoli non esaurisca mai la vena…

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