Quella che vedete è una copertina di una delle più antiche riviste del mondo, ininterrottamente pubblicata a Londra a partire dal 1883, il “The ladies’ home journal”. Nasceva quindi la rivista nello stesso anno e nello stesso luogo dove moriva Karl Marx. E a Londra nel 1883 accadde che fu anche per la prima volta ufficialmente introdotto l’orologio in una competizione scacchistica. Prima di allora qualcuno aveva provato ad interrompere lo scorrere della sabbia nella clessidra al giocare della mossa, con scarsi risultati.
In un’altra rivista londinese di allora si poteva leggere questa descrizione:
“Sopra ogni tavolino e’ posto un orologio, o piuttosto un orologio doppio, di meccanismo ingegnoso, d’invenzione del signor Thomas Bright Wilson di Manchester. Sono difatti due orologi a pendolo visibile, fissati l’uno accanto all’altro, ad un angolo di 30 gradi sopra un asse mobile, in modo che camminando uno, il pendolo dell’altro viene fermato. In questa maniera e’ impossibile che i due orologi siano in movimento allo stesso tempo e viene evitata qualunque contestazione, giacche’ appena fatta la mossa il giocatore abbassa il proprio orologio, mettendo cosi’ in moto quello avversario.”
“L’Italia Scacchistica” ci ricordava però che “già nel 1880 a Livorno il signor Domenico Marcucci aveva realizzato un consimile orologio doppio, che aveva fatto ottima prova in una sfida giocata nel circolo di quella città’”.
Da notare che in quel tempo proprio a Livorno veniva stampata la “Nuova Rivista degli Scacchi”, che sul torneo di Londra entrò in competizione con la stampa inglese, elogiando il nuovo regolamento relativo alle patte. Il “Glasgow Weekly Herald” lo aveva invece stroncato (ma aveva anche stroncato il gioco “troppo timido” di Steinitz, che lì fu secondo), mentre a Livorno detto regolamento fu considerato “giusto e razionale” perché favoriva l’emergere dei migliori.
Cosa stabiliva tale regolamento? Che le partite patte fossero annullate, che si dovesse rigiocare la partita una seconda volta e poi, eventualmente, una terza. Solo alla terza patta veniva assegnato quindi il mezzo punto a testa.
Se consideriamo che i giocatori iscritti erano 24, che si era deciso per un doppio girone all’italiana, che la cadenza era quella di 15 mosse ogni ora, che mercoledì, sabato e domenica erano “giorni di riposo”, si capisce perché quello di Londra, durato quasi due mesi tra partite sospese e ripetute, sia stato uno dei più massacranti ed interminabili tornei della storia.
Insomma, tra i nuovi orologi e il nuovo regolamento sulle patte, i giocatori dovevano stare ben attenti a non fare pasticci (in verità ne avevano tutto il tempo!). Potevano infatti capitare episodi curiosi, come questo ricordato dal blog “Il club del matto”:
“Sportività d’altri tempi — La partita tra Mason e Noa, giocata il 1° maggio, diede luogo ad un incidente alquanto singolare. Ad un dato punto della partila Noa propose la patta al suo avversario, proposta a cui questi rispose con un semplice cenno del capo (i due avversari non potevano parlare perché non conoscevano una lingua comune). Ad onta di ciò la partita fu proseguita. Ad un tratto, Noa si accorse di avere una posizione vincente, e vedendo ciò chiama un membro della Direzione per dichiarargli che egli aveva già proposta la patta e che se Mason l’avesse veramente capito, non poteva in coscienza proseguire la partita e vincere. Questo incidente fu portato innanzi al Comitato direzionale, che decise di considerare patta la partita”.
Tanto per restare nell’editoria, il 20 maggio 1883 il Sunday American di Baltimora riportava l’episodio sopra citato, specificando che il dr.Noa chiese la patta in tedesco (“Remis?”) e che i due giocatori dichiararono poi di aver ritenuto in un primo momento che la stessa fosse stata concordata (con Noa che aveva smesso di trascrivere le mosse, ma non così Mason) e che si stesse proseguendo la partita solo “come analisi”, ma che, siccome gli orologi continuarono il loro moto (dannati orologi!), entrambi dopo un po’ si convinsero di aver “capito male”. Ci fu persino un giocatore, l’inglese Henry Edward Bird (celebre più per l’omonima apertura che per i suoi risultati) che fece appello contro la direzione arbitrale che aveva assegnato il pari, sostenendo che la proposta di patta deve essere verbalmente accettata. Tuttavia la sua richiesta venne respinta.
Insomma, per colpa di questo astruso regolamento, incomprensioni a parte, alla fine del torneo Rosenthal contava ben 46 partite giocate (e non 26), Englisch 45, solo 33 Steinitz e Zukertort, appena 30 Mortimer.
Fu pertanto, quello di Londra, un torneo ben straordinario, che ci regalò, tra l’altro, storiche partite quali la Zukertort-Blackburne e la Chigorin-Zukertort.
La classifica vide la nettissima, impressionante vittoria di Johannes Zukertort. Il quarantunenne campione di Lublino ottenne 22 punti, ben 3 più del secondo (Steinitz) e 5,5 più del terzo (Blackburne). Dietro seguirono Chigorin (16), Mason, Mackenzie ed Englisch (15,5), Rosenthal (14), un Winawer ottimo finalista ma troppo penalizzato da aperture inadeguate (13), Bird (12), Noa (9,5), Sellmann (6,5), Skipworth e Mortimer (3). Da sottolineare che il vincitore subì due inopinate sconfitte ad opera del terzultimo ed ultimo classificati, altrimenti il suo vantaggio sarebbe stato davvero clamoroso.
Ma qui non voglio parlarvi di Zukertort, né di Londra, né di orologi, né di regolamenti, né di carta stampata. Vi parlo invece di una misteriosa e sconosciuta partita, della quale il nostro Bagadais XXIV (il piccolo amico pennuto, non sempre del tutto affidabile) sembra sia andato a trovar traccia proprio in uno dei primi numeri del “The Ladies’ Home Journal”, che pare la citasse ma senza trascriverla, e di una sua copia manoscritta da lui veduta l’anno scorso presso la biblioteca di un monastero nello Yorkshire.
Per farla breve, George Henry Mackenzie e James Mason, arrivati sul quinto gradino di Londra a pari merito, pare avessero deciso di fermarsi in città per qualche altro giorno e di giocarsi simbolicamente e amichevolmente la supremazia fra di loro, dopo che la parità era stata sancita anche nelle loro tre partite di torneo (+1, =1, -1).
In verità l’anno prima a Vienna, nel torneo vinto da Steinitz e Winawer, Mackenzie (quarto) era giunto alle spalle di Mason, mentre pochi mesi prima a Londra ci aveva perso un minimatch di misura (+0, =2, -1). Nel 1888 a Bradford Mackenzie fu 2° dietro Gunsberg, e la sua partita con Mason (il quale giunse 4° dopo Von Bardeleben) finì patta. Nel 1990 Mackenzie, un anno prima della sua morte, sarebbe stato ottimo terzo a Manchester, dietro Tarrasch e Blackburne e ancora davanti a Mason, dal quale però fu di nuovo superato nello scontro diretto. Un bell’equilibrio di valori. E belle, magistrali partite.
Si trattava, insomma, di due giocatori fortissimi, capaci di battersi quasi alla pari con i campioni del mondo (a New York 1883 Mackenzie fu sconfitto in match da Steinitz: +1, =2, -3)
James Mason (1849-1905) era un irlandese trapiantato a New York, dove lavorava al “New York Herald”, e lì visse dal 1861 anche George Henry Mackenzie (1837-1891), che era invece, come suggerisce il cognome, di origini scozzesi. Per saperne di più sui due personaggi non resta che attendere l’amico Paolo Bagnoli e la sua ineguagliabile galleria di grandi maestri.
Ma veniamo qui alla fantomatica partita in questione, così come mi è stata trascritta dalle penne di Bagadais e accompagnata da alcune mie (forse non irreprensibili) note:
George Henry Mackenzie – James Mason, 1-0
Londra, 1883 (?)
1.e4 e5
Una mezza sorpresa. Nel torneo appena concluso Mason aveva sempre utilizzato, peraltro senza successo, la Francese.
2.Cf3 Cf6 3.d4
Mackenzie evita quella che sarebbe stata in seguito chiamata “variante Mason”: 3.Cxe5,d6 4.Cf3,Cxe4 5.d4,d5 6.Ad3,Ae7 7.00,00
3…..Cxe4 4.dxe5
Oggi è meno adoperata della più prudente Ad3, ma nell’800 la prudenza non era di casa.
4…..Ac5?!
E Mason ce lo conferma con questo ambizioso (troppo?) tratto.
5.Ac4
Il suo avversario accetta la sfida, si odono i primi tuoni, si vedono i primi fulmini…
5…..Cxf2 6.Axf7+ Rf8 7.Dd5 Cxh1 8.Ah5 De7 9.Ag5 Af2+ 10.Re2 De6 11.Cc3 Dxd5 12.Cxd5
George Henry ha dato la torre (diciamo meglio: la qualità), e sopporta anche il cambio delle Donne, ma ottiene la massima attività per i suoi pezzi. Che si vuole di più?
12…. Ca6?
Questa mossa così spontanea è un errore, perché confinerà troppo a lungo il destriero fuori della zona nevralgica. James, in considerazione del suo ritardo nello sviluppo, poteva ben considerare la più elastica Cc6.
13.Txh1 Ac5 14.Tf1
Ed eccoci al punto. Riusciranno le Torri e l’Alfiere bianco di Mason ad entrare in gioco prima che Mackenzie trovi il modo di coordinare i suoi pezzi leggeri ed abbattere il re nemico? Difficile. Difficile che il Nero riesca ormai a trovare il momento di giocare d6 e poi dxe5, a meno che l’avversario non gli venga in pietoso soccorso. Immagino che qui lo scozzese dovesse sentirsi molto ma molto soddisfatto della posizione.
14.… g6 15.Ch4+
Si poteva considerare anche 15.e6!?, che probabilmente è decisiva, minacciando la scoperta con Ce5.
15 …. Rg7
Re8 sembra ancor meno salvifica…. come pure Rg8 ….
16.Af6+ Rg8 17.Axh8?
Eccolo il passo falso importante. E non sempre le occasioni ritornano. Talvolta in effetti accade, e non solo a noi mediocri spingilegno, che, quando si è sacrificato del materiale e si ha l’opportunità di riprenderlo mantenendo l’iniziativa, ci si fermi alla prima stazione e ci sfugga il meglio. E infatti in questo caso George Henry manca probabilmente, attraverso la mossa 17.Cf5!, il colpo del KO:
Posso sbagliarmi (non ho strumenti cui sottoporre la posizione, casomai mi correggerete), ma l’impressione è che il Bianco ne esca vincente con chiarezza in ogni variante. Ad esempio:
- 17….Rf7; 18.Ch6+,Re8; 19.Axh8,gxh5; 20.Tf7 oppure, il che è lo stesso,
- 17….gxh5; 18,Ch6+,Rf8; 19.Axh8+,Re8; 20.Tf7
- oppure 17….gxf5; 18.Txf5,h6 (se…d6; Ce7+) 19.Ae7+
Mi pare quasi impossibile che tale colpo possa essere sfuggito ad un giocatore del calibro di un Mackenzie.
17…..gxh5 18.Af6
Il Bianco deve essersi subito accorto che l’attacco rischia di evaporare. Tra l’altro ha dovuto perdere un tempo con l’Alfiere di case nere e ha dovuto cedere la coppia degli Alfieri.
18…..d6 19.Ce7+ Rf7 20.Ag5+ Re6
Il monarca di Mason resta un po’ ballerino al centro degli eventi, ma al Bianco, che pure sembra ancora avere delle possibilità, più apparenti che reali, pesa qui l’assenza di un Alfiere campochiaro.
21.Tf8
Chi, fra noi comuni mortali, non avrebbe eseguito tale tratto spontaneo, soprattutto in partite rapid o blitz? In realtà Mackenzie non va a minacciare nulla con questa pretenziosa Torre, perché il Cavallo, dopo il cambio dei pezzi in c8, non uscirebbe vivo dalla tana nera. Una buona alternativa alla mossa giocata poteva essere 21.c4!?, ponendo sotto controllo la casa d5.
21…..dxe5
E James è ormai ad un passo dallo sciogliere la posizione ed agguantare la parità. Starà forse già riflettendo su … Cb4 oppure su …b6 e poi Ab7.
22.Chf5 Axe7?
Ahi, ahi, ma perché?: un altro tratto la cui scelta si può spiegare solo con la psicologia. Si dice che di solito il difensore tenda ad alleggerire la pressione man mano che procede al cambio dei più attivi fra i pezzi avversari. Bobby Fischer, commentando una sua partita vinta con Reshevsky, parlava, se ben ricordo, di “ansia di semplificare”. Soltanto che qui, a ben vedere, il Bianco non minacciava più grandi cose. Perché rinunciare a questo ottimo Alfiere di case nere, unico pezzo attivo del Nero, in cambio di un affannato (e pure al momento inchiodato) ronzino in e7? Possibile che Mason già stesse pensando ad un eventuale finale con Alfieri contrari? Perché, invece, non attivare qui il proprio Cavallo da tempo inutilmente confinato in a6? Eh, se al posto di James Mason ci fosse stato Perry Mason, lui avrebbe intuito che questa coppia di innocui ronzini bianchi non aveva l’aspetto degli assassini …
23.Cxe7 Rd7
Triste e scomoda necessità. Ecco la prima conseguenza dell’inesattezza precedente: Mackenzie ora minaccia effettivamente la presa in c8, perché a Mason manca il controllo della casa a7. E in previsione del finale, com’è noto, un passetto indietro del proprio Re non può esser fatto a cuor leggero.
24.Tf7 Rd6 25.Cxc8
Ovviamente per George, in vista di un finale chiaramente favorevole, è giunta l’ora di eliminare dal tavolo questo Alfiere, il quale, tra l’altro, entrerebbe in campo bello fresco e pimpante non essendosi finora affatto impegnato.
25…..Txc8 26.Txh7
Insomma, chi si aspettava la grandine dopo i tuoni e i fulmini sarà rimasto deluso dalla piega che ha preso la partita. Càpita. Anch’io sono deluso. La tenzone si sposta su altri più prosaici binari. Mackenzie vede che può sbarazzarsi comodamente di quei due pedoni neri, doppiati sulla colonna “h”, senza concedere a James un apprezzabile controgioco ad ovest. Adesso al London Stock Exchange i due pedoni di Re varranno il doppio: si può quasi dire che sono “sospesi per eccesso di rialzo”.
26…..Rd5 27.Txh5 Cb4 28.c3 Cxa2
Il Nero pareggia provvisoriamente il conto dei pedoni, ma al prezzo di lasciare di nuovo questo Cavallo ai margini della battaglia. Del resto non si vede di meglio. O voi lo vedete? Probabilmente il buon Mason (mi sembra quasi di ascoltare il suo commento ….) ha ritenuto che Cc6 avrebbe solo procrastinato la fine, data la presenza dei pedoni bianchi uniti sull’ala di Re. Tanto valeva, quindi, tentare qualcosa di disperato sul lato opposto.
29.Rd2
George non si fida: teme un’eventuale sortita nera con Cxc3!? Ha tutto il tempo per permettersi questo tratto preventivo.
29…..Tf8 30.Ae3 Tf1
Troppo evidente. Mason ha attivato finalmente la sua Torre, ma perde il pedone centrale e consegna una comodissima casa all’Alfiere dello scozzese, che la stava proprio cercando. Ma c’era forse dell’altro?
31.Ad4 Rc4 32.Txe5 Cc1?
Così la partita dell’irlandese, già compromessa, scivola via definitivamente. Il Cavallo prova invano ad uscire da ogni lato. Si resisteva di più con … b6 o … c6, intralciando i movimenti della Torre bianca e provando a salvaguardare i tre pedoni del lato di Donna, ultima carta del Nero.
33.Tc5+ Rb3 34.Tb5+ Rc4 35.Tb4+ Rd5 36.Txb7 a6 37.g4
Mackenzie ha saputo, con accuratezza e semplicità, evitare che Mason prendesse il controllo della casa b3, ed ora può concedere il via libera al proprio pedone “g”, il quale, fidando nella scorta del “fratellino h”, inserisce prepotentemente la quarta marcia. E’ finita: 1-0
Tra l’altro, la Mackenzie-Mason dell’anno precedente a Londra è famosa per un paio di curiosi “record” (come si legge nel sito di Tim Krabbe http://timkr.home.xs4all.nl/records/records.htm )
La donna nera fece 73 mosse consecutive (!) mentre il re nero rimase in g8 per 136 mosse (!!)
Ciao Riccardo e, come al solito, bravo ❗
Articolo molto interessante ❗
Tra l’altro George Henry Mackenzie e James Mason sono due autori che mi interessano molto.
Il primo per aver vinto il secondo (1871), terzo (1874) e quinto (1880) American Chess Congress (Andy Soltis, The United States Chess Championship 1845-1996), dopo Morphy, e il secondo per aver scritto un manuale di scacchi che è stato considerato nel ristretto numero di libri significatici per la preparazione di un giocatore di scacchi.
Foto e diagrammi della solita alta qualità (vedi Martin Eden).
Complimenti a Marramaquìs 😀
Vuoi dire The art of chess?
Michele.
Grande… Grandissimo Marramaquìs!!
…molto interessante! Incastro perfetto con “L’Arcangelo degli Scacchi” di Maurensig…thanks awfully!
Credo di aver scritto (e inviato qualcosa) su Mackenzie tempo addietro, ma non ricordo se è stato pubblicato o archiviato. Su Mason devo trovare gli appunti, posso solo dire (per il momento) che si tratta di un personaggio singolare, dedito all’abbondante consumo di nettare scozzese ed il cui nome NON ERA Mason (vado a memoria). Quando era in giornata poteva battere chiunque, ma se gli capitava quello che nell’ambiente veniva definito il “Mason’s Day” poteva anche perdere da chiunque.
….. se è stato “archiviato” chiederemo a Martin Eden di licenziare in tronco l’archivista.
Mason è stato un giocatore fortissimo, basti pensare alla considerazione che godeva presso Lasker il quale era solito intercalare tra il serio e il faceto commentando le partite ” qui cosa giocherebbe Mason ?” . Era medico di professione e morì di tubercolosi relativamente presto. Come dice Bagnoli era un grande bevitore e si racconta che parecchie volte si sia presentato alla scacchiera pressochè “incapace di intendere e volere ” ….. chissa’che nella partita citata con Noa non fosse anche in preda ai fumi dell’alcool?
Caro Marramaquis….. ho dimenticato la cosa piu importante: Grandissimo pezzo !! Complimenti . Seguono le poche righe che avevo scritto su Mason nell’articolo su Hastings 1895
Mason, che il libro del torneo definisce come giocatore dalle grandi possibilità ma che giocò sempre solo per divertimento senza mai allenarsi o impegnarsi “ playing while the clocks are ticking and tocking no heed between whiles”. Fu billante scrittore e annotatore. Attorno al 1885 si stima fosse almeno uno dei 6 migliori giocatori al mondo. Era amante del bere e pare abbia perso alcune partite “ in hilarious conditions”… bellissima espressione e ottimo modo a mio avviso di perdere una partita!
CHIEDO VENIA!! Il medico morto di tubercolosi era Pollock! Scusate la topica mattutina!
No, carissimo Enrico. Sono io che chiedo venia. Infatti credo di aver ideato questo articolo in … come hai detto? … “hilarious conditions”! E ti ringrazio.
Ora che ci penso, credo di aver scritto qualcosa anche su Mason…
… sta arrivando Mason… Per Mackenzie andate al mio post (2012) “Capitani coraggiosi”
Splendido! Grazie.
…siete semplicemnte fantastici. Complimenti!