Durante i miei due anni di residenza madrilena mi son trovato, più per caso che per altro, catapultato in un piso di Calle de San Andrés che, a mia insaputa, era proprio la via dove viveva quella Manuela Malasaña le cui gesta di eroina patriotica fecero sì che si attribuisse il suo nome a questo pittoresco quartiere della capitale. Si tratta di una via lunga e stretta, che andando verso la Universidad è costeggiata da un lato, quello di destra, da una serie di bassi edifici a due piani mentre, sulla sinistra, è fiancheggiata da qualche slargo alberato e interrotta da incroci pavimentati di porfido.
Al numero 22 c’è un ostello scalcinato, luogo di schiamazzi diurni e notturni che non sfigurano nello scenario colorato e multiforme del quartiere. Al secondo e ultimo piano dell’edificio l’appartamentino sgangherato che ho condiviso per otto mesi con Iñaki e Raquel. Tre piccole stanze dall’intonaco grigio e scrostato, un cucinotto ed il bagno. Diciottomila pesetas a cranio la pigione mensile, non ho mai capito se si trattasse di un affare o meno. Anche se giudicare dall’arredamento ogni sorta di dubbio e perplessità affiorava alla mente dell’inquilino, anche quello più distratto e di facile soddisfazione. Iñaki si spacciava per studente di diritto ed è stato il primo mio incontro iberico una volta messo piede alla Estación de Ferrocariles di Atocha, alle tre e mezzo di notte, ovvero colui a cui ebbi la sfortuna di rivolgermi per domandare se conoscesse una pensioncina ove trascorrere qualche giorno prima di trovare una sistemazione più consona. Originario di Polanco, in Cantabria, villaggio tanto povero quanto celebre solo unicamente per aver dato i natali a José de Pereda, il mio interlocutore e futuro coinquilino, a parte colpirmi per le zaffate di sangría che emanava ad ogni mia richiesta di informazioni, ebbe a colpirmi per la sua boina nera, il basco elegante portato di sghimbescio con l’eleganza che solo gli spagnoli riescono ad avere con tale capo d’abbigliamento. Tanto tarda era l’ora e tanto grande la mia stanchezza per il viaggio che riuscì ad abbindolarmi in poco tempo con l’allettante offerta di ospitalità gratuita per quei pochi giorni necessari a trovare una sistemazione migliore. Raquel era anch’ella studentessa ma, confesso, non son mai riuscito a capire né quale fosse in verità il suo rapporto con Iñaki, escluso ovviamente le consuetudini di bagordi e bevute, né quante e quali facoltà avesse mai frequentato effettivamente in un vagabondare senza sosta da quella di medicina a quella di belle arti, da quella di letteratura a quella di biologia. Eppure eran simpatici, lei navarra di Pamplona, irascibile e affascinante come una zingara, lui guascone e bugiardo come un picaro. L’atmosfera, ammetto, mi affascinava non poco e la novità della grande città contribuivano a quella sorta di ebbrezza di cui, quantunque conscio della pericolosità tardavo a volermene scrollare di dosso gli effetti.
Fino a quando un pomeriggio di fine aprile, al ritorno dalle esercitazioni al politecnico, inserita la chiave nella serratura la trovo con sorpresa chiusa con ben due giri di chiave, fatto mai avvenuto in precedenza dato che la consuetudine dei miei due coinquilini raramente li trovava già solo ad accostare l’uscio. Entro, faccio due passi e m’accorgo che tutto è ancora più vuoto del solito… sul pavimento, oltre ai soliti batuffoli di polvere qualche foglio di carta mentre degli ospiti spagnoli e del loro disordine nessuna traccia… tutto sparito, come se non fossero mai esistiti. Con un groppo alla gola, disorientato e allarmato mi affretto a largi passi verso la mia stanza, la porta è anch’essa aperta e dentro… il nulla! Solo il tavolo di legno che adoperavo come scrivania e su di esso un foglietto stropicciato con su scarabocchiato a matita: “Porfa disculpanos, no teníamos ni siquiera el dinero para el alquiler…”
“Come se fosse una novità, merda!” Eran già tre mesi che glielo anticipavo io a tutti e due… ma che bisogno c’era di fregarsi anche tutta la mia roba?? Mentre nella rabbia appallottolo senza accorgermene il pezzo di carta e faccio per scagliarlo contro la parete mi accorgo che dietro c’è lo schizzo di quattro pezzi di scacchi… Sotto c’è scritto: “con cariño a mi amigo italiano… Raquel P.D.: el bando negro juega, mate en dos jugadas…” Mi scappa un smorfia e poi da sorridere… a Madrid son rimasto per altri due anni ancora…
Bella storia, Martin.
Nella vita, come negli scacchi, qualche volta conviene analizzare il passato 😉
Ma tu cosa stavi studiando a Madrid?
Trucos, trampas y secretos para ligar?!? 😉
Martin…Martin… sempre poesia dalla tua penna e dalla tua vita!
Zenone , cosa rimarrebbe della nostra vita senza la poesia ?
Giusto, Alfredo: rimarrebbe la squallida prosa di m…. che ci viene scaraventata addosso ogni giorno.
Musica per le mie orecchie, con me sfondate una porta aperta. Viva Martin!
Grazie, amici carissimi ma, vi prego, riserviamo gli applausi a chi, come voi, se li merita veramente…
Letto solo ora. Un grazie al nostro Martin.
Complimenti. Bravissimo!
Martin, non fare il modesto 😉
Gli applausi te li meriti tutti per il bel pezzo ricco di poesia e anche per il brano di Manu Chao!
Grazie.
Anche se leggo i racconti, le storie e le ricerche sui maestri del passato dalla prima all’ultima riga, raramente aggiungo i complimenti che gli autori tutti si meritano. Considerateli sempre sottintesi.
Per dispetto 😉 questa volta mi unisco al coro!
E´proprio quello che avrei voluto dire io,
vale sopratutto per gli articoli di Paolo Bagnoli .
Bello il racconto, bravo Martin, ma la soluzione del due mosse? 🙂
La soluzione la trovi in un libro che dovresti possedere 😉
… tutti dovrebbero possederlo in verità 🙂
Mi meraviglio di te Jas… 😉 la soluzione è carina anche se abbastanza semplice.
1….. , d3
2.Rxa4 (obbligata), Txa2#
Il libro sul quale è presentata non lo so, sicuramente non lo possiedo 😐
Azz, forse è sul libro del blog visto che l’articolo di Martin non è nuovo!
…e infatti… 😐
2. Txa4 obbligata? E se gioco 2. b5 ?
Allora
1…,c2!
se
2.Rxa4 come prima
se
2.b5 o
2.Rb2 segue
2…,c1=D# 😉
ma che? 1. … c2 2. b5 c1=D+ 3. Rxa4
E allora è impossibile dare matto in due mosse!
Effettivamente la mia prima soluzione implicava 4 mosse per il matto visto che come giustamente mi hai fatto notare Rxa4 non è obbligata.
Con 1…,c2 comunque sono necessarie 3 mosse per il matto 🙁
non avendo trovato la soluzione mi sembrava non ci fosse… ma proprio nessuno se ne era mai accorto? certo il livello di gioco di Martin lo conosciamo ma forse quel suo sorriso finale del racconto era una presa per i fondelli 😆
grazie Dark almeno tu ci hai provato 🙂
Veramente col mio primo post avevo dato quello che mi sembrava un buon suggerimento “…qualche volta conviene analizzare il passato”.
Basta una semplice retroanalisi per trovare la soluzione
Martin é o melhor.
con quel vantaggio far giocare al Nero pure axb3…
Il formulario! la presa en-passant…:evil:
Iñaki e Raquel si sono presi pure quello o è stato Martin a nasconderlo per farci fare la figura degli imbecilli? 😀
abbiamo movimentato un po’ il sito ma adesso andiamo a Durban 🙂
Sì, ma prima di partire per Durban seguite il consiglio di Roberto: ordinate quel libro.
🙁 vedo solo ora questa retroanalisi…
Vabbe dai la soluzione è semplice: quale è stata l’ultima mossa del bianco??
Di re? no! Pa2? nemmeno. Rimane il Pb4 che però non viene di certo da b3 (il re nero sarebbe stato sotto scacco…
quindi la mossa precedente del bianco era sicuramnte 1.b2-b4; il nero quindi matta con:
1…axb4 ep!! 2.Ra4 Txa2 matto!
Grazie lordste