Intermezzo

Scritto da:  | 3 Febbraio 2015 | 13 Commenti | Categoria: Racconti
Intermezzo 1
Mentre, appoggiandomi al bastone da passeggio acquistato per l’occasione, salivo i pochi scalini che portavano alla pensione dei coniugi Hopkins, la gamba sinistra protestava per lo sforzo. Lo squarcio apertosi nella coscia grazie ad un omaggio hitleriano, uno shrapnel piombato in mezzo al nostro gruppo di ufficiali, si stava rimarginando a dovere, ma le cinque settimane di convalescenza prescrittemi dai medici dell’ospedale militare mi avevano lasciato la scelta sul dove trascorrerle.
La Cornovaglia, estrema propaggine dell’isola britannica che si insinua nell’Atlantico, era quella che avevo scelto come destinazione, su indicazione di un’infermiera dell’ospedale (“L’aria dell’oceano le farà bene”), e la pensione gestita dai signori Hopkins costituiva l’unica possibilità di soggiorno in quel piccolo paese aggrappato alla costa rocciosa. Il vecchio faro era presidiato da otto militari, guidati da un sergente, che si davano il cambio in qualità di “avvistatori” di eventuali unità tedesche, ed ilpub locale – che comunque serviva ottima birra – era il luogo di ritrovo degli anziani del paese e dei soldati che smontavano dal turno di guardia.
Sistemato il bagaglio in una camera al primo piano, lungo un corridoio che ospitava le altre cinque camere della pensione. scesi al pianterreno per una breve esplorazione dei locali. La “sala da pranzo” dove, oltre a quello destinatomi, vidi altri due tavoli apparecchiati, era minuscola, mentre leggermente più spaziosa era la “sala di lettura”, dalla cui bow window si poteva ammirare il panorama : le prime case del paese, il faro e le grigie acque dell’Atlantico sempre increspate dalle onde.
Intermezzo 2
In un angolo della sala troneggiava un tavolo con scacchiera, con comode poltrone destinate ad ospitare gli eventuali giocatori. Notai che la scacchiera ed i pezzi erano perfettamente puliti, senza ombra di polvere a rivelare l’inattività degli stessi. Mi avvicinai e, senza un particolare motivo, mettendomi dalla parte del Bianco, mossi il Pedone di Re di due passi mentre, dalla sala da pranzo, veniva il suono della campanella che annunciava il servizio a tavola: kidney pie e patate bollite. Constatai che gli altri ospiti della pensione dei coniugi Hopkins erano, in quei giorni, una coppia di anziani – che, in seguito, seppi trattarsi dei coniugi Peabody – ed un solitario ospite sulla sessantina, un po’ stempiato; scambiai con loro un breve cenno del capo e sedetti a tavola, mentre la signora Hopkins si accertava, con me e con gli altri ospiti, sull’impeccabilità del servizio.
Quando mi svegliai il mattino seguente decisi di indossare l’uniforme e di fare una passeggiata fino al faro; anche se mi trovavo in convalescenza il mio istinto di ufficiale mi imponeva di fare una visita ai soldati in servizio. Attraversando il paese notai che le poche persone di passaggio mi osservavano con occhiate di curiosità unita a rispetto; un maggiore claudicante era la visibile testimonianza del tributo che l’esercito di Sua Maestà stava pagando sui campi di Francia. Entrai nel faro attraverso la piccola porta che immetteva all’abitazione dell’inesistente custode: il sergente ed i due soldati di servizio scattarono sull’attenti. “Comodi, comodi” dichiarai, spiegando che mi trovavo in quel luogo in convalescenza e che non avevo alcuna autorità su di loro.
Sulla strada del ritorno, con la gamba che gridava vendetta, mi fermai al pub per una pinta di birra. Da un tavolo un avventore mi domandò: “Coma vanno le cose in Francia, maggiore?”. Mi girai, alzai il boccale al suo indirizzo, e risposi: “Gliele stiamo dando sode ai crucchi”, risposta che suscitò cenni di entusiastico assenso da parte del mio interlocutore e degli altri anziani presenti.
Rientrai alla pensione giusto in tempo per il pranzo; passando davanti alla sala di lettura lanciai un’occhiata alla scacchiera e vidi che anche il Pedone di Re del Nero era stato mosso in avanti di due passi. “Chi…?” fu la domanda che rivolsi a me stesso, incuriosito dalla sfida che, silenziosamente, mi veniva lanciata. Senza troppo riflettere, afferrai il Cavallo di Re portandolo alla terza d’Alfiere e mi diressi verso la sala da pranzo adiacente dove la signora Hopkins stava servendo lo stufato di montone che consumai con gratitudine. La passeggiata al faro mi aveva fatto venire un grande appetito.
Intermezzo 3
Nel pomeriggio decisi di avventurarmi lungo la scogliera; appoggiandomi al bastone da passeggio mi allontanai dal paese di un paio di miglia, e feci ritorno all’ora di cena lottando contro il vento che si era alzato, freddo, dall’Atlantico. Sbirciai nella sala di lettura e vidi che il mio ignoto avversario aveva a sua volta avanzato il Cavallo di Donna al terza casa dell’Alfiere. “Be’, la sfida è lanciata” pensai e, senza esitare, afferrai l’Alfiere di Re impostando una Spagnola. Mentre consumavo la cena osservai gli altri ospiti: il “solitario” – così lo avevo mentalmente battezzato – stava scorrendo con grande attenzione le pagine del Guardian, mentre la coppia di coniugi consumava in silenzio la cena servita dalla signora Hopkins. “Chi sarà?” pensai riferendomi al mio probabile avversario, e decisi che il manovratore del Nero doveva essere il “solitario”.
Il giorno seguente, uscendo dalla mia camera, incrociai in corridoio un ragazzo alto, biondo, che mi salutò con un cenno del capo mentre mi chiedevo a chi assomigliasse, rispondendomi immediatamente: era sicuramente il figlio del signor Hugh Hopkins, al quale assomigliava in modo impressionante. Gli attribuii un’età tra i sedici ed i vent’anni. Quel giorno, dopo la consueta passeggiata che già sentivo essere salutare per la guarigione della gamba ferita, rientrai prima dell’orario consueto e mi diressi verso la sala di lettura: come avevo pensato, la replica del Nero era giunta e non feci altro che proseguire una ben nota sequenza della Variante Aperta della Spagnola. Mentre esaminavo la posizione, tentando di ricordare il seguito quasi forzato che ci avrebbe fatto progredire di qualche mossa, la signora Hopkins entrò nella stanza. “Lei gioca a scacchi, maggiore?” Mi girai sulla poltrona:“Be’, sì, quando càpita. A proposito, complimenti per la scacchiera, è veramente magnifica”. “E’ un regalo che mio marito ha fatto a Melwin per il suo quattordicesimo compleanno” spiegò “Andò fino a Plymouth per comprarla”. “Suo figlio gioca a scacchi?” “E’ anche molto bravo” dichiarò con una nota di orgoglio nella voce “Tre anni fa ha vinto un torneo a Truro e… ma forse la sto disturbando, mi deve scusare” e così dicendo si avviò verso la cucina.
Dopo questa breve conversazione i miei sospetti si spostarono dal “solitario” a Melwin, visto che gli anziani coniugi Peabody erano già partiti. Per alcuni giorni il gioco, come le mie quotidiane passeggiate, proseguì senza grandi novità: la gamba stava riprendendo le sue normali funzioni, anche se doveva tornare ad una soddisfacente tonicità muscolare. A giorni alterni la signora Hopkins lavava e stirava la biancheria che avevo indossato, compresa la mia seconda divisa. Quasi ogni sera, sulla via del ritorno, sostavo al pub per una birra, accolto cordialmente dal padrone e dagli avventori.
Intermezzo 4
La partita, al contrario, si stava complicando e capivo di avere di fronte un avversario preparato ed aggressivo. Incrociai un paio di volte, nel corridoio superiore, il ragazzo, scambiando con lui un silenzioso saluto con un reciproco cenno del capo: poi, dopo una ventina di giorni, nel corso della mia passeggiata lo scorsi sul ciglio della strada mentre osservava, le mani in tasca, uno stormo di gabbiani che si libravano sulle onde decimando un branco di sardine. Gli passai alle spalle e lui si girò appena, continuando a fissare le onde che, cinquanta piedi più in basso, si frangevano rumorosamente contro la scogliera.
Il giorno seguente il “solitario” scomparve dalla sala da pranzo, ma la sera stessa il Nero effettuò un’altra mossa, ed i miei sospetti su Melwin ebbero così una conferma. Due giorni dopo ero nei guai, sorpreso da un sacrificio di Cavallo che non avevo assolutamente previsto, e passai la serata ad analizzare la posizione con la sola compagnia del rumore del vento e della risacca. Ebbi, per un istante, la tentazione di spostare i pezzi per tentare di imbastire una difesa accettabile, ma venni frenato dal commettere questa scorrettezza dalla sensazione di essere osservato dall’avversario che avrebbe dovuto essere seduto dall’altra parte della scacchiera.
Dopo altri tre giorni il disastro era compiuto: il mio Re era quasi indifeso, il Nero aveva recuperato il pezzo sacrificato e stava sferrando un violento attacco contro il mio arrocco. Fui costretto a difendermi disperatamente, mentre il Nero proseguiva nel suo assalto che si profilava vincente. La gamba, ormai guarita, non mi lanciava più frecciate di dolore, ed avevo abbandonato in un angolo il bastone che mi aveva sorretto nei primi giorni di convalescenza. Allo scadere della quarta settimana di permanenza decisi di rientrare a Londra per tornare quanto prima alla mia divisione che stava combattendo in Francia. Comunicai la mia decisione agli Hopkins, saldai il conto e, ritiratomi in camera, riempii la mia sacca da campo con i pochi effetti personali, pronto a prendere il treno del mattino seguente. Come d’abitudine, la signora Hopkins aveva lavato e stirato la biancheria, impilandola in perfetto ordine sul letto.
Mi svegliai all’alba, molto in anticipo sull’orario del treno. La casa era immersa nel più assoluto silenzio. Indossai la divisa e, prima di uscire, mi soffermai davanti alla scacchiera: afferrai il mio Re e lo stesi in segno di resa. Uscii nell’alba livida e fredda e dopo alcuni passi mi girai lanciando un ultimo sguardo verso la casa; da una finestra dell’ultimo piano Melwin mi stava guardando, con un lieve sorriso sulle labbra. Alzai una mano in segno di saluto senza avere un cenno di risposta.
Mi incamminai verso la piccola stazione del paese, passando davanti al pub che aveva le luci accese. Entrai, ed il padrone del locale, notando la mia sacca da campo, domandò: “Parte, maggiore?”. Ad un mio cenno di assenso afferrò due boccali riempiendoli di birra fino all’orlo e, in risposta al mio sguardo interrogativo che esprimeva una nota di biasimo per la palese infrazione alla legge, sbottò: “Il bicchiere della staffa, maggiore. Le faccio compagnia” e portò il boccale alle labbra. Non potei fare altro che imitarlo, anche se una birra all’alba mi rendeva suo complice. “Si è trovato bene dagli Hopkins?” “Oh, sì, certamente, ottimo cibo, servizio perfetto, mi è piaciuto stare qui” risposi, raccogliendo la mia sacca da campo “E poi” soggiunsi“ho anche giocato a scacchi”. “A scacchi? Con chi? L’unico che gioca a scacchi qui in paese è Melwin Hopkins, ma adesso è in Francia a combattere”.
Sentii il sangue gelarsi nelle vene e compresi, in quell’istante, che gli Hopkins non avrebbero mai più rivisto il figlio.
Intermezzo 5
avatar Scritto da: Paolo Bagnoli (Qui gli altri suoi articoli)


13 Commenti a Intermezzo

  1. avatar
    The dark side of the moon 3 Febbraio 2015 at 22:22

    Eccellente.
    Il finale è da applausi.
    Complimenti Paolo e grazie per l’ennesima perla.

  2. avatar
    fabrizio 3 Febbraio 2015 at 23:03

    Bello!! Un finale inaspettato e sorprendente per un racconto da vero scrittore! 🙂 🙂 🙂

  3. avatar
    Ivano E. Pollini 4 Febbraio 2015 at 06:56

    Paolo Bagnoli eroico… ❗

    • avatar
      davidov 4 Febbraio 2015 at 07:25

      Confermo: Paolo Bagnoli superstar, da applausi!!!

  4. avatar
    Zenone 4 Febbraio 2015 at 08:14

    Bellissimo, Bagnoli. Complimenti!

  5. avatar
    Tamerlano 4 Febbraio 2015 at 12:52

    Un altro bel racconto, grazie Paolo!

  6. avatar
    Embrus 5 Febbraio 2015 at 07:43

    Un racconto coinvolgente e che rivela le doti dello scrittore di talento, grazie!

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    Fabio Lotti 5 Febbraio 2015 at 10:13

    Sempre forte Paolone!
    Per gli amici scacchisti- giallisti e non uscite le letture di febbraio http://theblogaroundthecorner.it/category/ospiti/letture-al-gabinetto/

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    Graziano Masi 5 Febbraio 2015 at 11:52

    Fra le tante ipotesi/speranze sul dopo morte questa è una delle più romantiche e accattivanti. E.A.P. non avrebbe potuto far meglio. Ciao. (Alcuni giorni fa ho visto sul canale 24rai un film con Mastroianni e la stupenda Romy Schneider imperniato sullo stessa tema che mi ha dato non pochi brividi).

  9. avatar
    comune 7 Febbraio 2015 at 07:11

    Stile di scrittore di gialli.
    Lettore di Brett Halliday?

    • avatar
      paolo bagnoli 7 Febbraio 2015 at 18:15

      …in gioventù, sui Gialli Mondadori…

  10. avatar
    Willik 7 Febbraio 2015 at 08:45

    Un altro piccolo capolavoro del signor Bagnoli.

  11. avatar
    Luciano Nucci 13 Febbraio 2015 at 13:28

    Notevole. Complimenti Mr. Bagnoli!

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