Rien ne va plus

Scritto da:  | 14 Novembre 2014 | 15 Commenti | Categoria: Racconti

 “Il dubbio è spesso il principio della saggezza”

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…e quindi chiedo a Codesto Comando di essere posto in congedo.

Gibuti, 24 marzo 1986

                                                                   Aiutante Maggiore  Alexandre Roque

                          Non avrebbe mai dovuto andarsene da casa.

                          Troppi anni erano passati e, a 50 anni, non aveva ancora un’idea precisa di cosa avrebbe fatto realmente “da grande”, ma sapeva solo che quella vita non lo soddisfaceva più.

                      Il vecchio compagno d’armi, il Caporale Capo Yannick Lacroix, glielo aveva sempre detto: “Se ti accorgerai di non avere più voglia di alzarti e curare la tua barba, anche un solo giorno di questa vita, beh, quello sarà il momento di andartene. La Legione Straniera non perdona. Non rischiare di farti ammazzare!”.

                         Ora che lo aveva visto nel letto dell’ospedale morire per colpa di un poco glorioso infarto, non aveva più voglia di dedicare l’alba di ogni mattino a coltivare quella barba, simbolo del suo carattere e della sua anzianità di servizio.

– Allora, vecchietto, hai deciso di andartene…non sarà facile per te…cosa sai fare se non il soldato? A già, giochi a scacchi!

Il capitano La Manne, quando voleva, sapeva essere insopportabile, ma lo stimava; gli aveva concesso di far crescere i suoi capelli di qualche centimetro nell’ultimo mese prima del congedo ed ora gli incorniciavano il viso bruciato dal sole, insieme a quella barba ancora folta e nera, che sembrava illuminato dal bianco dei suoi denti.

                        Non ci fu alcuna cerimonia particolare, solo una cena, la sera prima di andarsene, con i commilitoni del plotone e il capitano. La Manne gli regalò un Kepì Blanc nuovo con all’interno le firme di tutti. La mattina alle cinque la stretta di mano con i compagni di camerata suggellò la fine di quella sua lunga esperienza. Tutti urlarono sull’attenti, trattenendo a stento le lacrime: “Legio Patria Nostra!”

                     Alexandre   ripartì  dall’aeroporto di Gibuti, allora sede della 13^ Demi-Brigate, con destinazione Aubegne, dove  avrebbe   completato le  pratiche amministrative di congedo.

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                    Dopo trent’anni anni lontano da tutto e da tutti, voleva vivere la sua vita in tranquillità, grazie ai suoi guadagni, forse acquistando una piccola barca ed una casa in Bretagna: ormai era cittadino francese.

                         Ma Alexandre Roque  non  si  era  sempre  chiamato così. Quel  suo  nome legionario era stato scelto per la sua una passione: gli scacchi e Alekhine. Il suo nome vero, Sandro Traverso, lo aveva abbandonato a ventidue anni quando decise di scappare dall’Italia e arruolarsi nella Légion, senza dire nulla a nessuno. La pressante presenza dei genitori che lo avrebbero voluto avvocato, per mandare avanti lo studio del padre, e la vita agiata, fatta di convenevoli e moine, feste e amori interessati, lo soffocava. Nessuno da allora l’aveva cercato e lui non aveva cercato nessuno. Ora però voleva tornare per l’ultima volta in Liguria, nella sua Mulinetti, vicino a Recco. Forse spinto da un ultimo tentativo di fare pace con la sua coscienza, andare a vedere il viso dei genitori sulle foto della loro tomba, ormai erano senz’altro morti, e per ammirare il mare da quegli scogli che l’avevano visto crescere e che aveva sempre portato nel cuore. Il ricordo di quel mare era così struggente che lo aveva cercato in ogni vastità d’acqua che aveva incontrato nella sua vita, e forse l’unico mare che gli aveva ricordato la sua costa era quello che vedeva oltre le mura della École Militaire della caserma di Bonifacio, in Corsica, dove fu di stanza alla fine degli anni ’60 del secolo scorso, prima di partire per il deserto.

                            Era giunto il momento di chiudere i conti con il suo passato.

                           Ora era lì davanti a quel cancello di ferro che da ragazzo gli sembrava enorme come suo padre. La targa di marmo con inciso “L’Arrocco” gli ricordava ancora una volta di come sua madre avesse voluto battezzare la loro villa in onore della grande passione del suo figlio più piccolo. Lui era stato il vero dono per quella nobile famiglia, dopo la primogenita Margherita era arrivato il maschio di casa.

                       La  sua  carriera  scacchistica  fu  breve  ma  velocissima, la sua forza di maestro si espresse fin dagli inizi. I primi rudimenti li imparò dal padre e poi da un vecchio marinaio, forse francese, che abitava a Recco, e che incontrò alla fine di ottobre del ’45 sugli scogli sotto il convento dei frati, quando l’acre odore della guerra era ancora nell’aria. Quel vecchio, con i capelli brillantinati ed un cappotto pesante, era seduto con una scacchiera sulla gambe e la sigaretta tra le labbra. La cenere era ormai pericolosamente aggrappata al filtro e avrebbe potuto cadere da un momento all’altro sui pezzi sottostanti, ma il Marinaio sembrava non accorgersene, così come non si accorse di quel ragazzo che lo stava osservando rapito. Quando, infine, quella cinerea polvere precipitò sulla casa “d4”, occupata da uno splendido cavallo bianco, si tolse il mozzicone dalla bocca e, piegando leggermente il capo, soffiò con i deboli polmoni sul rotolo di cenere e lo scacciò via, come un cattivo presagio. Il resto venne da sé con la curiosità del ragazzo e la voglia di insegnare del vecchio. La loro conoscenza durò sei mesi, intensissimi, ed era legata solo agli scacchi, mai una curiosità per quell’uomo schivo, riservato e taciturno, che si fece chiamare maestro fin da subito, senza svelare mai il suo nome.

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                        Gli insegnò l’arte dell’apertura, l’attacco fulmineo, giocò e gli spiegò fino all’infinito le partite di Alekhine. Poi, un giorno scomparve. La vita di Sandro proseguì con questo vuoto, lo studio e gli scacchi. A Genova, dove frequentava l’Università, non aveva rivali nei bar e nei circoli dove si giocava. Un giorno seppe di un torneo che avrebbe avuto luogo a Nizza e volle parteciparvi. Sul bando si parlava di grandi giocatori internazionali ma aperto a tutti. Suo padre gli diede i soldi necessari per andare. Partecipò ed arrivò inaspettatamente tra i primi, con grande sorpresa di tutti i maestri presenti che nel corso del torneo avevano imparato a rispettarlo. Alcuni, addirittura, paragonarono il suo gioco a quello dell’ex campione del mondo Alekhine, scomparso ormai da diversi anni. Fu a Nizza, dopo quel torneo, che decise di non tornare più indietro e di arruolarsi nella Legione.

                            Osservò per un momento il cancello, era ben tenuto. Lo spinse, più per un riflesso condizionato che per la convinzione di trovarlo aperto, invece, dolcemente e senza rumore, si spalancò e dal vialetto vide arrivare a piedi una donna slanciata, sulla sessantina, con i capelli ormai bianchi raccolti elegantemente in uno chignon d’altri tempi che, se non avesse indossato jeans e camicia, avrebbe detto essere un fantasma, invece era sua sorella. Il suo sguardo penetrante e silenzioso come il cancello che si apriva si avvicinava e così il suo sorriso. Lui rimase fermo, si fissarono per un attimo.

– Posso abbracciarti Alexandre Roque?

                              Si strinsero forte.

– Margherita, come fai a sapere il mio nome? Sì, insomma, quello da legionario…

– So molte cose, ma non il motivo per cui tu sia qui oggi.  

– Il nome Alexandre Roque non ha più importanza. Sono di nuovo Sandro.

– Ne sono felice Conte Traverso, bentornato. Spero che rimarrai qui per molto tempo. Entra, abbiamo trent’anni di cose di cui parlare.

                             Si incamminarono lungo il viale di magnolie.

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– Credo che non rimarrò molto. Vorrei andare a vivere in Bretagna. Mi comprerò una casa sul mare poi vedrò il da farsi.

– In Bretagna eh? Bello, ma l’Atlantico non è il Mediterraneo e quelle scogliere non sono le nostre scogliere. Qui potrai restare tutto il tempo che vuoi e decidere con calma.

– Mi conosci bene, vero? – e sorrise.

                             Tutto in quella enorme villa era come trent’anni prima.

– Non mi sono mai sposata. Questa casa e i suoi abitanti hanno vissuto solo per il tuo ritorno. Ora sono rimasta solo io. Ho avuto paura di non vederti tornare, invece eccoti qui… 

                             Poi voltando leggermente la testa indietro:

…Maristella!

                             La giovane cameriera entrò nella sala dov’erano seduti e Margherita le chiese di portar loro un caffè.

–  E’ l’unica mia aiutante. Insieme a lei manteniamo da anni questa immensa proprietà, da quando papà se n’è andato, cinque anni fa…lo stomaco…era diventato pelle e ossa, ma      ha resistito il più possibile perché aveva voglia di rivederti.

– E mamma?

– Un anno dopo che te ne sei andato…soffriva troppo.

                             Sorseggiarono il caffè, poi Margherita si alzò:

– Vieni, ti faccio vedere una cosa e potrai prendere le tue decisioni.

Lo condusse al primo piano. Lui riconobbe la porta della sua stanza:

– Entra è aperta, ci vediamo dopo.

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                          La  sua  stanza, forse  l’unica  cosa  che  aveva  rimpianto  in  quegli  anni  di  esilio  volontario: le  sue  foto, i suoi libri, la sua chitarra e… la sua scacchiera. La cercò istintivamente con lo sguardo. Eccola, vicino all’enorme porta finestra che dà sul viale d’ingresso della villa, sul tavolino laccato. La posizione dei pezzi era quella di partenza e il suo sguardo si posò su una grande busta gialla, con il suo nome scritto a penna, appoggiata proprio al centro della stessa. La aprì e ne trasse un foglio e un’altra busta, questa bianca, lesse:

Caro Sandro,

avrei voluto vederti, ma mi accorgo che non sarà possibile, la mia fine è vicina. Sappi che non ti ho mai abbandonato e se non ti ho cercato è stato solo perché sapevo esattamente dove fossi e cosa stessi facendo ma non volevo disturbarti. Nella busta troverai le foto che ti ritraggono nei momenti più importanti della tua carriera militare. Non sorprenderti. Un legionario dovrebbe saper prevedere le mosse dell’avversario, perché questo sono sempre stato per te, o no? Non ti sei mai chiesto per quale motivo il tuo amico Yannick fosse sempre con te, perché i tuoi trasferimenti erano anche i suoi? Beh, la mia posizione e le mie conoscenze mi sono sempre state utili e dopo il primo anno di sbandamento per la tua scomparsa e la morte di tua madre, mi sono messo sulle tue tracce. Per me non è stato difficile.

Se stai leggendo queste righe forse ti sarai congedato oppure Yannick ti ha convinto a ritornare, come gli avevo sempre pregato di fare.

Ti voglio dire che ho apprezzato la tua scelta, anche se è costato una sofferenza atroce sia a me che a tua madre, che forse l’ha portata alla morte. Non me lo aspettavo, ti credevo un debole, invece eri un uomo. Non l’ho capito. Peccato per entrambi.

Ma non è per questo che ti scrivo queste righe. No, si tratta di una mia piccola vendetta personale nei tuoi confronti. Perdonami, ma avrei potuto dirtelo così come ti avrei potuto scrivere o, addirittura, venirti a trovare, grazie alla mia amicizia con alcuni dei tuoi capi, ma non l’ho fatto. Questa sarà la mia personalissima legge del contrappasso che si realizza. Ci hai abbandonati dopo un torneo di scacchi, ebbene ora gli scacchi ti faranno soffrire.

Ti ricordi il vecchio marinaio francese che subito dopo la guerra ti aveva iniziato agli scacchi? Sai chi era? O forse non hai mai saputo il suo nome? Come lo chiamavi tu? …Ah, già “Maestro”. E infatti lo era. Credi forse che anche quell’incontro fosse stato casuale? Credi davvero che tuo padre, che odiavi tanto e che forse da oggi odierai di più, non sapesse chi era l’uomo che insegnava l’arte degli scacchi a mio figlio, su una panchina? No, era tutto previsto. Ma non ti dirò chi era quel fantasma intabarrato che hai conosciuto in quel 1945, lo capirai da solo. Avevo capito da subito che non potevo sperare in te per continuare l’attività forense della nostra famiglia e sapendo del tuo irrefrenabile amore per gli scacchi mi ero convinto che se ti avessi potuto far studiare con metodo, facendoti seguire da un vero maestro avresti potuto un giorno vivere di quella tua passione. Per uno strano caso del destino avevo trovato la persona giusta. Mi ero accordato con lui che in cambio dei quei preziosi insegnamenti, gli avrei garantito una solida copertura, un aiuto economico e, se qualcosa fosse andato storto, in quei difficili anni di dopoguerra, la fuga in un Paese amico. Accettò, perché troppe erano le sue colpe in quell’Europa dove riecheggiavano ancora le drammatiche urla dei popoli oppressi e di Rachele che piangeva i suoi figli, per poter sperare che, una volta scoperto, la vendetta l’avrebbe risparmiato. Una sola volta, prima della sua precipitosa e per me incomprensibile fuga dall’Italia, dove nessuno lo conosceva, gli feci qualche domanda sulle sue scelte nell’Europa nazista e lui mi disse che il suo unico errore era stato quello di aver messo gli scacchi davanti a tutto e per quel gioco avrebbe fatto qualsiasi cosa.

Se ne andò. Lo feci partire di nascosto su un cargo che salpava per la penisola iberica. Da allora non ho più potuto proteggerlo e non ho saputo più nulla di lui. Solo successivamente seppi che era morto in circostanze non chiare, poco dopo la sua fuga. Le cose sono andate così e ti prego di non credere a ciò che hai letto e leggerai sui libri.

Ora ti saluto, nulla ti impedisce di restare qui, in questa casa che è la tua casa. I conti tra noi sono pari. Un padre ama suo figlio anche se non ricambiato. Però, come sempre, sono io a volere l’ultima parola e quello che stai per scoprire sarà l’ultima puntura di spillo tra noi e sarò io a infliggertela!

Ecco la posizione dei pezzi sulla scacchiera, studiala e una volta individuata la partita capirai.

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                                                                                                                                                                                                                        Tuo Padre “

                               Mentre poneva i pezzi sulla scacchiera la posizione gli sembrava familiare.

                              Il  Nero  ha  un  pezzo  in meno, strano. Ci mise qualche minuto, gli venne un’idea e andò a consultare un vecchio quaderno a quadretti, con le pagine ormai ingiallite che era sicuro di trovare nello scaffale posto sullo scrittoio. Era lì. Su quel quaderno, come gli aveva consigliato il Marinaio, aveva trascritto le partite dei grandi del passato studiate con lui. Alla fine di ogni partita aveva riportato la posizione finale, grazie al disegno della scacchiera fatto con un timbro a umido che gli aveva procurato suo padre. Sulle caselle di quel diagramma erano indicati, a penna, i nomi dei pezzi.

Eccola, mi sembrava di ricordare“- Sbiancò – Non è possibile, il Marinaio era Alekhine!

                              Il Torneo AVRO 1938, la posizione finale e vincente di Alekhine con il bianco contro Capablanca.

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                             Si sedette un attimo, riprese fiato e sorrise per ciò che avrebbe potuto essere e non era stato. Per quello che lui e suo padre non si erano mai detti. Pensò che nella vita, così come negli scacchi, ogni decisione cambia definitivamente ciò che accadrà dopo e non si può tornare indietro: “Rien ne va plus” – gridò, come una liberazione.

                             Sandro  uscì  dalla  stanza sereno, sfogliando le foto della sua carriera militare che l’amico Yannick aveva inviato al padre, con una breve note dietro ad ognuna. Cercò sua sorella che stava cucendo sulla veranda delle tende in broccato. La sorprese da dietro alle spalle con un baciò sulla guancia:

– Cosa si mangia oggi? E domani ed il giorno dopo?

                              Erano così vicini l’uno all’altra; lui le sorrise, con quei denti bianchi che, come sempre, gli illuminavano il volto arso dal sole.

– Beh, ho mandato Maristella a comprare delle trenette e il pesto migliore di Recco. Per il resto vederemo. Papà aveva ragione!

 

avatar Scritto da: Zenone (Qui gli altri suoi articoli)


15 Commenti a Rien ne va plus

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    Enrico Cecchelli 14 Novembre 2014 at 09:40

    Bellissimo racconto! Alcuni schizzi che hai abilmente tratteggiato con le parole ( come quello della cenere di sigaretta ) permettono alla narrazione di essere visualizzata e gustata con tutti i sensi. Spero che ci allieterai al più presto con
    un’altro frutto della tua talentuosa vena narrativa. Ancora complimenti !

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    paolo bagnoli 14 Novembre 2014 at 18:06

    Gradevolissimo, piacevolissimo, credibilissimo, bellissimo!
    Paolo

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    paolo bagnoli 14 Novembre 2014 at 18:11

    Dimenticavo: Il motto di apertura (a proposito, di chi è?) riflette ciò che ho sempre tentato di insegnare ai miei figli: “l’unica certezza è il dubbio”. Coloro che credono di possedere la Verità sono i veri “ignoranti”, autentica rovina del genere umano. Se, poi, si tratta di Verità Rivelata…

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    The dark side of the moon 14 Novembre 2014 at 20:48

    Bravo Zenone, è sempre un piacere leggere i tuoi pezzi 😉

    X Paolo:
    “Il dubbio è spesso il principio della saggezza” è una frase di M. Scott Peck, psichiatra e scrittore americano morto nel 2005 all’età di 69 anni.

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    DURRENMATT 14 Novembre 2014 at 21:10

    …il Torneo AVRO 1938…vecchi e giovani leoni si sfidano a colpi di “Verità”. E’ stata, forse, una disfida tra “ignoranti”?

  6. avatar
    Martin 14 Novembre 2014 at 21:14

    Lo penso, lo dico e lo ripeto: vorrei saper scrivere come Zenone…

    • avatar
      Marramaquis 15 Novembre 2014 at 12:59

      Non soltanto tu…

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    paolo bagnoli 14 Novembre 2014 at 21:56

    Per Durrenmatt. Comprendo la tua osservazione, tuttavia devo dire (e ci credo) che l’AVRO è stata, nel suo tempo relativo, una deliziosa disfida tra “ignoranti”. Lo dimostra il fatto che la maggior parte delle varianti adottate nell’occasione oggi vengono considerate “demolite” o “obsolete”. Lasker (quello buono) disse: “Datemi tre varianti di apertura e vi dimostrerò che due sono scorrette”; è quello che io intendo per “ignoranza”. Uno scienziato del Seicento era “ignorante” rispetto ad uno odierno, così come uno odierno risulterà “ignorante” ai ricercatori del XXIII secolo.
    Con ciò spero di aver chiarito la mia personale visione dell’universo mondo, che probabilmente è quella sbagliata (aggiungo: probabilmente). Eliminando cinismo e scetticismo fini a se stessi, il dubbio è l’unica cosa che conforta l’essere umano, e la domanda suprema è sempre la stessa: forse…?
    Per concludere, ritengo che le Verità Rivelate, alle quali credere ciecamente e senza dubbi, sono a mio avviso state (e sono ancora) la causa di ogni male. Anche negli scacchi.

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    Fabio Lotti 15 Novembre 2014 at 09:12

    Non solo poeta… 🙂

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    Uno della Versilia storica 16 Novembre 2014 at 09:40

    Caro Zenone, uno splendido racconto. Quando dalla narrazione possiamo vedere i dettagli vuol dire che siamo negli occhi del lettore e da questi diretti all’ anima. Non discuto il finale: ma non era meglio fargli scegliere la Bretagna? Al posto delle trenette?

  10. avatar
    zenone 16 Novembre 2014 at 14:29

    No…caro versiliese, la Bretagna rappresenta la continuità con una scelta di cui si è probabilmente pentito, la sorella e le trenette sono la possibilità di vivere, finalmente, la propria vita. E’ un percorso personale circolare.

  11. avatar
    fabio 16 Novembre 2014 at 16:15

    è stato veramente un piacere leggere !

  12. avatar
    Zenone 17 Novembre 2014 at 08:07

    Ringrazio la redazione per le immagini inserite in queste righe che non solo impreziosiscono il racconto ma spesso, come in questo caso, ne sono la vera essenza; come le foto storiche inserite.
    Grazie

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    Mongo 17 Novembre 2014 at 12:06

    Stupendo, grazie Zenone per questo ‘affresco’. ❗

  14. avatar
    Marco Nebuloni 7 Dicembre 2014 at 09:58

    SoloScacchi è un’avventura grandiosa, a tratti difficile, imprevedibile. Come per i vecchi amici
    è perfetta per trascorrere qualche ora in compagnia nel crepuscolare tempo autunnale. Ed io
    Marco Nebuloni eleggo Zenone tra i campionissimi della stupenda saga.

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