Gli scacchi come fenomeno culturale

Scritto da:  | 14 Gennaio 2015 | 42 Commenti | Categoria: Cultura e dintorni

Scacchi come gioco 4 

Perché gli scacchi sono il nobil gioco dell’Occidente

Gli scacchi sono il gioco dell’Occidente. Si dice che la loro origine sia retrodatabile a culture e leggende precedenti alla loro canonizzazione occidentale e questo è senza dubbio accettato dalla maggioranza degli studiosi. Tuttavia, la loro sistematizzazione classica, cioè quella più ravvicinata a quella attuale, sia rispetto alle regole che alle prassi di gioco e di circolazione dell’informazione, è avvenuta in Europa tra i secoli XIII-XIX. Gli scacchi non sono mai stati l’unico gioco a disposizione delle elite o delle masse: la caccia e il gioco d’azzardo sono stati storicamente i giochi più in voga nell’alta aristocrazia sino alla sua quasi definitiva scomparsa dall’Europa continentale e dall’Occidente in generale. Mentre le masse tipicamente hanno trovato in giochi più accessibili le loro valvole di sfogo: prima in giochi di carte piuttosto che nel gioco delle pulci e poi negli sport. Gli scacchi, come la musica classica, hanno trovato un loro inquadramento su una posizione mediana: essi non escludono le elite, ma la creano.

I giocatori di scacchi ad alto livello sono sempre stati parte di una elite autoselezionata, sostanzialmente trasversale: gli scacchi, infatti, sono un gioco profondamente democratico. Essi, infatti, non guardano in faccia a nessuno: al potente come al miserabile pongono la stessa sfida intellettuale e la vittoria non dipende né dall’economia, né dalla cultura ma dall’abilità intrinseca. Questo fattore evidenzia da sempre una delle esigenze dell’Occidente: quella di mediare tra l’autoarchia dei migliori (aristocrazia, nobiltà, tecnocrati) e l’esigenza della massa. Gli scacchi, dunque, sono stati (e sono tutt’ora) uno strumento che abbatte la distanza tra le classi sociali e diminuisce i conflitti di classe per riportare lo scontro su un piano propriamente ludico e culturale allo stesso tempo.

Il secondo motivo storico per cui gli scacchi sono il gioco dell’Occidente riguarda un aspetto fondamentale del gioco: esso non è aleatorio, cioè ammette delle regole per un universo di possibilità indeterminato al futuro ma determinato nel passato. In una parola, è un gioco deterministico. Come la visione del cosmo occidentale è quello di un grande meccanismo invariante secondo le leggi fisiche necessarie e universali, così questo fatto concettuale-occidentale si rispecchia nel gioco. In ultima analisi, gli scacchi sono lo specchio della concezione fisico-meccanicista che sta alla base della moderna teoria classica della fisica, almeno rispetto al suo ideale che ha dominato sino al tardo XIX e oltre.

Scacchi come gioco 1

Il terzo motivo ha carattere propriamente culturale. Gli scacchi non sono solo la manifestazione perfetta della generale concezione dell’universo occidentale in senso generico. Essi sono la conchiusa rappresentazione della guerra da un punto di vista dell’Occidente. Sin da Omero e poi nella Grecia classica la guerra per l’Occidente si concepisce sostanzialmente come un grande duello tra pari, che si vince mediante pratiche simili, regolate dal fair play. Gli scacchi, in una parola, non sono metafora della vera guerra, della guerra in generale, ma della guerra così come piace agli occidentali: breve, devastante, a grande intensità di concentrazione di fuoco, capace di esaurirsi in un controllo diretto immediato ma di durata limitata, per quanto terribile e brutale.

Grazie a questi tre principi concettuali unificanti, incarnati perfettamente sia nelle regole che nella logica del gioco, gli scacchi sono stati il veicolo di una straordinaria e feconda diffusione di idee, sia direttamente tramite essi che indirettamente. In altre parole, un uomo colto dell’Occidente non può non fare riferimento agli scacchi nella sua produzione culturale o, se non lo fa direttamente, sa che comunque può farlo. Grazie a questo fatto, gli scacchi si sono imposti attraverso la costruzione e revisione di un immaginario intriso di metafore, che rispecchiano la visione di un autore e della sua cultura. In fine, e proprio per questo, gli scacchi sono da almeno tre secoli un centro di aggregazione in cui persone di cultura e classe sociale diversissima si danno battaglia figurata per poi rincontrarsi sul piano del rapporto amicale.

Gli scacchi, dunque, ripercorrono la storia dell’Occidente su vari ambiti in cui la riflessione filosofica, intellettuale e culturale si è a lungo interrogata. E nonostante siano un gioco in cui gli aspetti agonistici siano sempre importanti, rimane il fatto che essi costituiscono un insieme di regole grazie alle quali è possibile avvicinarsi agli in maniera costruttiva. Per questa ragione il nobil gioco rientra sempre più all’interno delle esigenze del frammentato e frammentario mondo contemporaneo in cui il rispetto dell’altro deve passare per il rispetto della regola (sociale, legale, culturale che sia). Per questo, dunque, gli scacchi non solo insegnano e instillano il bisogno di un confronto costruttivo, ma spingono verso una maggiore integrazione che è la base e fondamento per una pace duratura.

Bibliografia

  • Aiello C., Dapor M., Intelligenza Artificiale: i primi 50 anni, Mondo Digitale., Giugno 2004.
  • Guicciardini L., Comparazione del Giuoco delli Scacchi alla Arte militare.
  • Hanson V. D., (1987), L’arte occidentale della guerra, Garzanti, Milano.
  • Keegan J., (1993), A History of warfare, Vintage Book, New York.
  • Leoncini M., Lotti F., Partita a scacchi con il morto, Prisma, Roma, 2004.
  • Leoncini M., Natura simbolica degli scacchi, Caissa, Roma, 2010.
  • Leoncini M., Scaccopoli, Phasar, Firenze, 2008.
  • Pili G., (2010), 2001, Filosofia degli scacchi, Scacchitalia, http://www.federscacchi.it/scacchitalia/2010/scacchitalia2010_1_S.pdf
  • Pili G., (2012), Un mistero in bianco e neroLa filosofia degli scacchi, Le due Torri, Milano, (specialmente, cap. 12).
  • Pili G., (2014), L’eterna battaglia della mente Scacchi e filosofia della guerra, In via di pubblicazione.
  • Pollini I., (2013), “Dal mondo degli Scacchi al mondo della Bellezza”, www.scuolafilosofica.com, www.soloscacchi.net
  • Pollini I., (2013), “Gli Scacchi come metafora della Vita”, www.soloscacchi.net

Scacchi come gioco 3

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42 Commenti a Gli scacchi come fenomeno culturale

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    paolo bagnoli 14 Gennaio 2015 at 23:44

    Caro Pili, non ci conosciamo e non oso nemmeno avvicinarmi al tuo spessore culturale, ma non sono d’accordo su una tesi da te prospettata. A mio modo di vedere, la situazione “normale” dell’umanità intera non è quella della pace, ma quella del conflitto. Quanti conflitti sono in corso, in questo momento, nel pianeta? Cento, duecento? Non parlo solo di conflitti armati, ma di violenti conflitti sociali generati, ovviamente, da condizioni di disagio di masse più o meno consistenti, ma anche da conflitti che, pretestuosi o meno, hanno alla radice motivi religiosi o conclamati tali.
    Gioco su Internet, non avendo la possibilità di farlo in altro modo, e nel corso degli anni (e di alcune migliaia di partite) ho notato che, per quanto riguarda gli scacchi, gli avversari di probabile fede islamica (basandomi sui loro luoghi di residenza o sui loro nomi) risultano abbastanza rozzi, violenti, e che, messi alle strette, abbondano di forme di “spite check”.
    Non ho niente contro gli islamici, anche se non vedo la possibilità di un “dialogo” con persone che, quando sbatti il muso contro il loro testo sacro, si rinchiudono come ricci negandoti la possibilità di intavolare una serena discussione. La loro cultura a me sembra si sia fermata ai tempi di Abu Bekr; quella di Avicenna e compagnia bella non è “cultura” ma “erudizione” (e si finisce a Spengler con la sua giusta differenziazione tra “cultura” e “civilizzazione” o “civiltà” che dir si voglia).
    Il recente tragico caso di Charlie Hebdo ne è un esempio lampante: messi alle strette sulle profonde contraddizioni insite e non sradicabili dallo loro “cultura”, e con annessi e connessi relativi a svariate situazioni sociali e politiche, essi non trovano niente di meglio che “vendicare il Profeta” ammazzando a destra e a manca e cercando il “martirio” con relative vergini da deflorare. A mio avviso, essi sono stati tragicamente ridicoli, e non meritano altro che una sonora risata.
    Tornando agli scacchi, perchè, tranne alcune rare eccezioni, non ci hanno dato giocatori di vaglia provenienti da società di fede islamica? A mio modestissimo avviso, ciò avviene non perchè “hanno altro a cui pensare”, ma perchè essi sono comunque predestinati a governare il mondo o tali si credono, La sconfitta è, per loro, uno sgradevole incidente di percorso, ma la méta rimane quella.
    Ringrazio il Padreterno o chi per Lui (sono agnostico) di averci regalato, dopo secoli di Controriforma, l’Illuminismo. Gli islamici devono ancora trovarlo, e dubito fortemente del fatto che possano riuscirci in breve tempo, visto che quando vai a sbattere, come ho già detto, contro il loro testo sacro, il discorso si chiude, mentre quando critichi le “nostre” Sacre Scritture, tutto quello che ne può derivare è una pacifica discussione che non prevede il ricorso alle armi.
    Gli scacchi, come tu dici, potrebbero essere un collante culturale, ma posso chiedermi (e chiederti): ci stanno, gli islamici, a perdere?
    Con affetto ed infinito rispetto
    Paolo

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      Giancarlo Castiglioni 15 Gennaio 2015 at 11:03

      Io non credo che gli islamici siano sostanzialmente diversi da noi, per quanto riguarda le reali convinzioni religiose.
      Questo almeno per quanto riguarda la fascia più istruita della popolazione, sugli altri non posso dire nulla.
      Dai contatti che ho avuto direttamente o indirettamente per lavoro, direi che in privato il rispetto dei precetti religiosi è molto basso e probabilmente la fede va di pari passo.
      Bisogna paragonare l’islam attuale con la religione cattolica di 60 e più anni fa.
      Se penso alla mia famiglia di allora non è che la percentuale di atei, agnostici, dubbiosi sia diversa da quella di oggi.
      Certo non venivano a dirlo ai bambini, ma l’atteggiamento era inequivocabile.
      La pressione sociale era alta, la famiglia di mio nonno era abbastanza in vista in un paese piccolo, era impensabile non andare tutti in chiesa la domenica.
      Adesso la pressione sociale è molto minore, per una persona comune dichiararsi ateo o agnostico non ha conseguenze, ma non è così per tutti.
      Renzi o Berlusconi non potrebbero dichiararsi atei senza gravi ripercussioni politiche.
      Credo che anche all’interno delle gerarchie ecclesiastiche, la percentuale di atei o dubbiosi nascosti sia alta.
      Credo che lo stesso valga per i combattenti islamici.
      Non tutti combattono per convinzione religiosa, certi solo perché si ritengono attaccati dagli occidentali e vogliono reagire.
      Ovviamente per farlo devono recitare da islamici devoti.
      Credo che anche in Vietnam fosse così, vi era chi combatteva per cacciare prima i francesi e poi gli americani più che perché fosse un comunista convinto.

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        paolo bagnoli 15 Gennaio 2015 at 18:18

        Caro Giancarlo, mi trovi d’accordo al 99 % su tutto, ma vorrei una risposta da parte di qualcuno: il fedele (islamico o cristiano, non importa, per gli ebrei la faccenda è lievemente diversa) è disposto ad accettare la sconfitta?

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          Giancarlo Castiglioni 15 Gennaio 2015 at 22:57

          Credo che anche per l’accettazione della sconfitta conti più il carattere che la fede religiosa, ma non posso risponderti per esperienza personale.
          Credo di non aver mai giocato con un mussulmano, facendo mente locale mi rendo conto di aver giocato con diversi ebrei (Brauberger, Pressburger, ecc.), ma non ho mai indagato sulla profondità delle loro convinzioni religiose.

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    Mongo 15 Gennaio 2015 at 00:13

    E questo chiude ogni discorso:

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      paolo bagnoli 15 Gennaio 2015 at 19:10

      Grazie Mongo! Immagino e spero, ma non ci credo molto…

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    Fabio Lotti 15 Gennaio 2015 at 09:27

    Non entro nel merito della questione, però la stessa domanda di Paolo relativa agli scacchi “…ci stanno, gli islamici, a perdere?” potrebbe essere rivolta anche, per esempio, a certi italiani. Avendo girato qualche torneo ne ho viste di cotte e di crude. Perfino che un paio di grossi nomi si scontrassero al gabinetto.

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      Jas Fasola 15 Gennaio 2015 at 11:14

      Infatti la religione non c’entra proprio niente. Gli scacchi come spiegato nell’articolo sono un gioco occidentale, logico quindi che i campioni provengano da questa parte del globo. Comunque grossi successi gli iraniani li stanno ottenendo nei tornei giovanili. Basta aspettare 🙂

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      paolo bagnoli 15 Gennaio 2015 at 18:55

      Caro Fabio, è chiaro che la mia domanda era formulata sul piano etico. Anch’io ho assistito, quando frequentavo i semilampo della zona nella quale vivo, a scene decisamente disgustose (a Turbigo vidi volare per aria una scacchiera unitamente al tavolino) ed a discussioni degne di peggior sorte.
      Nell’ultimo semilampo da me giocato, alcuni anni fa, a Trecate, l’amico Zanetti mi propose una patta con un sorriso che significava “mi dirai di no”, tanto la mia posizione era superiore. Stava giocando per contendere il primo premio al bravo Angelini, il quale ci rimase male quando accettai la patta (e lo capisco), ma avevo appena vinto per il tempo con un Prima Naz. che mi aveva fatto a pezzi e considerai la proposta di patta da accettare in nome di una specie di “compenso”. Mi chiedo se… capisci?
      Con affetto
      Paolo

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    Giangiuseppe Pili 15 Gennaio 2015 at 12:26

    Rispondo unitariamente a Paolo – di cui apprezzo sempre la schiettezza -:

    (1) A mio modo di vedere, la situazione “normale” dell’umanità intera non è quella della pace, ma quella del conflitto.

    [E’ quello che ho scritto come introduzione al mio ultimo libro. Tuttavia, a mio modesto giudizio, non esiste sostanzialmente una nozione di “normalità” non controversa. Si parla di normalità storica? Politica? Di Standard? A me pare molto più semplice pensare al fenomeno di pace/guerra o conflitto (il conflitto non cessa in tempo di pace) in termini di ciò che esiste. Non di ciò che è normale ci sia. Inoltre, il fatto che una cosa possa essere “normale”, qualsiasi cosa ciò possa significare, non segue in alcun modo che ciò sia anche un bene. Molto spesso cose molto banali e quindi, in un certo senso, “normali” sono anche le più nefaste (Un libro celebre si intitola appunto “la banalità del male”;). Quindi, se anche la pace non fosse normale, a me non pare che per ciò sia da rigettare anche solo il tentativo di trovarla. Kant la pensava così e anche io la penso così. Altrimenti non c’è che sperare di stare di volta in volta dalla parte del più forte, visto che ci sarà sempre un più forte e nel caso peggiore ci accontenteremo di distruggerci continuamente a vicenda. Realtà quotidiana, normale, usuale che mi sembra anche molto improduttiva].

    (2) Il fatto che gli scacchi siano il gioco dell’Occidente non esclude che ci possano giocare anche gli altri. E infatti io gioco spesso volentieri a go (quando prima avevo più tempo, ora solo scacchi) che è un gioco tipicamente della cultura dell’area sinica (Cina-Giappone-Coree). Non voglio in alcun modo entrare in questioni di fede perché non ne ho mai avuto la sensibilità giusta. Di certo io credo che si faccia confusione tra il fatto che esistano persone fanatiche e il fatto che queste persone facciano parte di certi gruppi. Il medio oriente è una delle zone più instabili e povere del mondo (in relazione alla totalità delle persone), con un tasso di disoccupazione altissimo, problemi intestini, legati a fattori socioeconomici di grande complessità (ad esempio la media dell’acqua ad personam è al limite dei quantitativi ritenuti vitali dalle N.U.) e, oltrettutto, centro del petrolio mondiale (per quantità e qualità – soprattutto ). E se le cose stanno così, be’, l’occidente ha molte colpe.
    Detto questo, il fanatismo non è figlio delle idee ma dei problemi in cui vivono quelle idee. In altre parole, le idee portano al fanatismo quando spinte e interessi si uniscono a quelle idee. Esattamente come la caccia alle streghe, anche altri problemi finiscono per unirsi agli altri e creare miscele esplosive. Ma così è sempre stato per ogni genere di attività violenta assimilabile. In Italia lo sappiamo bene e anzi siamo addirittura considerati degli esperti in questo campo – visti i sistemi repressivi adottati per scongiurare minacce che non venivano certo dal resto del mondo ma dalla nostra situazione sociopolitica passata.

    Da parte mia, io credo nell’integrazione delle culture. E certamente gli scacchi non sono il fine, ma un mezzo attraverso cui questo si può fare. E chi non accetta di perdere non può neanche giocare. Quindi, se ha senso lottare per qualcosa, l’unica parola che mi viene in mente è “la pace”.

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      paolo bagnoli 15 Gennaio 2015 at 18:42

      Caro Giangiuseppe, sul tuo punto 2 non c’è problema, penso che si possa essere d’accordo fatti alcuni “distinguo” non rilevanti al fine di comprendere il senso del tutto. Anch’io credo (spero…;) nell’integrazione delle culture; gli ebrei della diaspora, pur conservando la loro fede ed i loro riti, si sono integrati nelle società europee (Tarrasch, tanto per fare un nome, si riteneva prima “tedesco”, poi “ebreo”;), subendo tuttavia, di tanto in tanto, qualche allegro pogrom con roghi e sbudellamenti vari. Se fai caso, gli ebrei italiani raramente adottano per i figli nomi di origine biblica, diversamente da ebrei – che so? – polacchi o ucraini o statunitensi. La società più multirazziale del pianeta, quella statunitense, ha accolto gli ebrei – come gli altri – proprio grazie alla sua assoluta libertà di culto, che in certi “predicatori” sconfina nel ridicolo. L’ebreo americano è pronto a ridere di se stesso, l’islamico americano generalmente non lo è.
      Quello che non riesco a vedere negli islamici è una volontà di integrazione che, quand’anche si realizzi epidermicamente, intimamente resta impossibile. I “foreign fighters” sono sicuramente persone che, gravate a mio avviso anche da problemi psicologici non lievi, “tornano alla fede” (dei cosiddetti “convertiti” preferisco non parlare).
      Torno alla mia domanda: l’islamico è disposto a perdere? Ho sentito oggi alla radio un allucinante discorso dell’imam londinese, la cui convinzione (altrimenti non l’avrebbe detto) è che tutti noi occidentali siamo destinati inevitabilmente a sottometterci all’Islam. Costui ci ha voluto anche rassicurare con una frase che significava “non abbiate paura di ciò, è scritto”. Andiamo bene…

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      Giancarlo Castiglioni 15 Gennaio 2015 at 23:51

      Ritengo che entrambe le posizioni, cioè considerare la condizione “normale” dell’umanità la pace o la guerra, siano sbagliate.
      Non tengono conto dell’evoluzione della storia.
      Cento anni fa, nel 1914 una guerra tra grandi potenze come sbocco di una crisi politica era un esito possibile.
      Magari preferibilmente da evitare, ma del tutto accettabile.
      Allora la condizione normale era la guerra, anche se con lunghi intervalli di pace.
      Adesso pensare ad una guerra nell’Europa occidentale è del tutto assurdo.
      Ora da noi la condizione normale è la pace.
      La guerra esiste ancora in paesi del terzo e quarto mondo.
      Succederà quello che è successo per la schiavitù, universalmente accettata per secoli, poi sempre più ridotta e oggi ormai residuale.
      In un futuro più o meno lontano la condizione “normale” sarà la pace in tutto il mondo.

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        paolo bagnoli 16 Gennaio 2015 at 17:02

        Ho parlato di “conflitto”, non di “guerra”, ma se proprio vogliamo parlare di “guerra” parliamone.
        La guerra non è fatta soltanto di trincee, fango e scontri di fanterie e mezzi corazzati, con contorno di mezzi volanti di ogni genere. La guerra che si sta combattendo oggi, senza esclusione di colpi, è tra opposte concezioni del mondo e della vita, ed è forse più atroce della guerra “tradizionale”.
        Nel giro di un quarto di secolo la Germania riuscì a scatenare due “guerre”, quelle che ricordiamo come “mondiali”. Poi, imparata la lezione, e tutt’altro che disposta a rinunciare alla smania di supremazia (smania che assomiglia molto a quella giapponese relativa all’Oriente), è ricorsa all’arma più micidiale che esista: il denaro.
        Parallelamente, il mondo islamico (terzo o quarto mondo, come tu dici) ha avuto e sta avendo convulsioni interne inquietanti agli occhi di noi occidentali: sunniti, sciiti, hashemiti, wahhabiti, eccetera, sono suddivisioni “religiose” che, così camuffate, lottano tra loro per il potere temporale che dovrà poi evolversi in potere assoluto e globale.
        Il cosiddetto “califfato” sorto in Medio Oriente è molto più terra terra: l’unico infedele innocuo è l’infedele morto, perciò scopo principale dei “combattenti” è il puro e semplice annientamento del nemico infedele.
        Noi SIAMO in guerra, anche se facciamo di tutto per non riconoscere questo stato di cose. E’ una guerra che, come sempre, trova una delle parti pronta ad allearsi (ricordi? “Dieu li volt”, “Gott mit Uns”;) con Dio.

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    DURRENMATT 15 Gennaio 2015 at 15:21

    …caro Pili,da giocatore-ricercatore,trovo la tua ultima “fatica” eccezionale.Il networking ( visione reticolare degli scacchi) giustifica la collocazione del nobilgiuoco tra gli sport di squadra (definiti di situazione).Condivido appieno le argomentazioni presenti nel cap.8(Gli scacchi,uno strumento di pace). Consiglio questo libro…”perchè poi un giorno qualche giocatore possa avere le idee più chiare e con più consapevolezza”.Ad maiora. P.S.curiosità: l’abbinamento cromatico della copertina è casuale o voluto?

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      Giangiuseppe Pili 16 Gennaio 2015 at 19:28

      Ci sono curiosità che non possono essere soddisfatte! Grazie per le gentili parole.

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    Tamerlano 15 Gennaio 2015 at 16:44

    Ho letto l’articolo ed i commenti con grande attenzione, vi ringrazio per averli scritti in questo blog e in modo civile: spero ce ne siano altri così.

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    The dark side of the moon 15 Gennaio 2015 at 21:27

    Vi riporto brevemente una mia esperienza durante un torneo B disputato lo scorso anno.
    Nel 4 turno gioco con un ragazzino dell’Arabia Saudita, era importante vincere per cercare di giocarsi nell’ultima partita del pomeriggio un posto tra i primi 5 e quindi qualche premio.
    Lui era sicuramente mussulmano dato che la mamma che lo accompagnava portava il velo.
    Bene, inizia la partita e dopo poche mosse tocco un mio pedone per muoverlo ma prima di rilasciarlo esito un attimo.
    Il ragazzino prontamente indica la situazione sulla scacchiera ripetendo:”touch! touch!”.
    Lo guardo e senza problema gli rispondo: “don’t worry, no problem”, avevo però subito inquadrato che tipo di avversario mi trovavo d’avanti….
    La partita procede, lui gioca bene, la mia posizione non è ancora critica ma poco manca.
    Vedo un tatticismo e lancio l’amo sperando che il suo temperamento un pò aggressivo lo tradisse, (doveva prendersi quel pedone tanto sospirato sul quale si giocava forse l’esito della partita).
    Il tatticismo va in porto e dopo qualche altra mossa l’arabo ha partita teoricamente persa.
    Decide allora di giocare altri 40 minuti (!!) in posizione stra-persa e alla fine pur di non abbandonare si fa dare matto.
    Firmati i formulari gli chiedo se voleva analizzare la partita visto che avevamo tempo entrambi.
    La sua risposta ovviamente è stata un secco rifiuto.
    Alla faccia del fair play…
    Però la soddisfazione che mi ha dato quella partita è stata impagabile… 🙂
    Ovviamente non tutti i giocatori provenienti da quelle zone saranno cosi, d’altronde questa è stata la mia unica esperienza a tavolino e non posso giudicare.
    Forse in generale c’è un approccio diverso frutto di diverse culture.
    Quando ero ragazzino avevo un amico palestinese col quale giocavo sempre a dama e non abbiamo mai avuto problemi di nessun tipo, anzi.
    Forse perché il più delle volte vinceva lui? :mrgreen:
    PS.
    Quasi dimenticavo: bello il pezzo di Pili!

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      jas fasola 15 Gennaio 2015 at 22:12

      Forse se rileggerai fra qualche tempo,con maggiore esperienza di torneo, quello che hai scritto non troverai piu’ non fair play quello che e’ perfettamente legittimo.

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    nikola 15 Gennaio 2015 at 21:43

    senza entrare in polemica cito anch’io la mia esperienza. quando gioco online la mia statistica dice che i più maleducati e che non sanno perdere sono di gran lunga gli americani. dalla loro parte non hanno alcun testo sacro o ideologia a cui rifarsi (se non quella del mercato) ma nonostante questo il loro senso di superiorità non esita a manifestarsi: tramite avvocati su piccola scala (esperienza diretta di amici) o tramite ‘esportazione di democrazia’ su larga. tutto questo per dire che secondo me l’approccio “noi siamo meglio degli altri” (sopratutto quando non li conosciamo) non mi sembra quello corretto.

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      Giancarlo Castiglioni 15 Gennaio 2015 at 22:42

      E’ generalmente sbagliato trarre conclusioni generali da episodi.
      Quando ero negli USA per lavoro ho giocato per 8 mesi tornei semilampo nel circolo di Houston e ho trovato un livello di cortesia e fair-play decisamente superiore a quello dei circoli italiani.

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      paolo bagnoli 15 Gennaio 2015 at 23:13

      Caro Nikola, noi non siamo “meglio degli altri”, noi – volenti o nolenti – siamo “diversi” dagli altri (e la faccenda è ovviamente reciproca). Ciò che non accetto è che la MIA diversità venga giudicata “inferiore” in quanto non accetto verità rivelate da chicchessia.
      Che l’odio di frange musulmane nei nostri confronti derivi da decenni di morti provocate da Bush & Family è abbastanza ovvio, ma che quest’odio mi venga spacciato per “superiorità religiosa” di qualcuno nei confronti di qualcun altro (vedi discorso odierno dell’imam di Londra) non lo mando giù. Sarà perchè sono agnostico, sarà perchè mi picco di conoscere abbastanza bene la Storia, sarà perchè sono il primo a rendermi conto delle atrocità commesse in nome della fede cristiana, ma proprio non la digerisco.
      A quando un illuminismo islamico?

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        DURRENMATT 16 Gennaio 2015 at 14:07

        …”non abbiate paura di ciò è scritto”…secondo me l’Imam di Londra si è fatto le ossa studiando non il Corano ma STRUGGLE di Lasker…o no? 😉

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    The dark side of the moon 15 Gennaio 2015 at 22:43

    Sulla scacchiera ci sono regole che devono per forza essere rispettate.
    E’ chiaro che se tocco un pezzo lo devo muovere…
    E’ anche lecito che l’avversario decida di giocare in posizione persa per tante, troppe mosse e farsi dare matto piuttosto che abbandonare.
    La condotta, il tipo d’approccio al gioco è una cosa, l’EDUCAZIONE è altra cosa: è quella che contesto.
    L’atteggiamento col quali rifiuti di analizzare la partita col tuo avversario facendo capire che la sua vittoria è stata frutto solo di fortuna dipende appunto dall’educazione e forse dalla troppa frustrazione che molti giocatori trasportano al di fuori dalla scacchiera.

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      Giancarlo Castiglioni 16 Gennaio 2015 at 00:17

      Rifiutare di analizzare la partita non può essere considerarata una scortesia.
      Può essere dovuto semplicemente a stanchezza o mancanza di tempo.
      Se perdo sono sempre io che propongo di analizzare, se vinco accenno alla possibilità di farlo senza insistere, lo sconfitto ha tutto il diritto di essere frustrato e di non averne voglia.

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        Jas Fasola 16 Gennaio 2015 at 10:49

        Concordo 🙂

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    Giangiuseppe Pili 15 Gennaio 2015 at 23:35

    Faccio solo un’osservazione: per quanto possano esserci differenze di vedute, nessuno sembra essere in disaccordo sul fatto che comunque non sia impossibile trovare forme di accordo. Pur tra tante difficoltà (enunciate: educazione, religione, modi di fare…;) che, secondo me, sono quelle identiche che ci sono tra membri di medesima nazione (ma in certe circostanze ci piace pensare di essere vicini a quello stesso vicino che, magari, non abbiamo mai degnato di uno sguardo per anni al nostro pianerottolo, quello stesso che ci dava noia per la raccolta differenziata che poi diventa misteriosamente così bene educato nel giro di un discorso non gradito o due). Nonostante abbia poi ricevuto scuse piuttosto imbarazzanti, io sono stato mandato a quel paese perché… conoscevo le regole degli scacchi a differenza del mio avversario che mi ha sbeffeggiato pubblicamente perché si era confuso. E allora? Non ne concludo né che lui fosse un pazzo, né un fanatico né che quelli come lui sono pazzi o fanatici. Dico soltanto che se posso scegliere, preferisco giocare con altri. Tutto qui!

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    Ivano E. Pollini 16 Gennaio 2015 at 06:32

    Credo che le osservazioni fatte nelle conclusioni de “Il fascino degli scacchi” rientrino nei temi trattati nei vari commenti fatti più che nel testo dell’articolo di Giangiuseppe Pili.

    “È anche importante ricordare la loro dimensione etica del gioco, poiché
    gli scacchi sono un gioco con numerose e precise regole e il rispetto
    di tali regole è una condizione indispensabile per il suo
    corretto svolgimento. L’osservanza delle regole consente di sviluppare
    concetti di equità, di reciprocità e di guida verso il rifiuto
    di quegli atteggiamenti di scorrettezza e ingiustizia che turbano
    il regolare svolgimento del gioco. Insomma gli scacchi sono un
    gioco competitivo dove però il rispetto per l’avversario e l’accettazione
    del risultato diventano atteggiamenti fondamentali.
    Infine è necessario studiare: “La conoscenza è l’arma essenziale”
    proclama un antico poema persiano (il libro dei Chatrang),
    uno dei documenti più antichi che cita questo gioco, e la vittoria
    si ottiene con l’intelligenza e la conoscenza”.

    Ivano E. Pollini, “Il fascino degli Scacchi”, Amazon, 2013

    Un saluto all’amico Pili e complimenti per l’interessante contributo.

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      Giangiuseppe Pili 16 Gennaio 2015 at 19:36

      Ciao Ivano, grazie a te, come sempre per i tuoi spunti sempre pertinenti. E sempre molto assonanti con quanto credo profondamente.

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      paolo bagnoli 16 Gennaio 2015 at 22:43

      “… sviluppare concetti di equità, di reciprocità (…;) il rispetto per l’avversario e l’accettazione del risultato diventano atteggiamenti fondamentali…”.
      Eccellente! Ne deduco che regole imposte da una sola delle parti divengono ingiuste (o sbaglio?). Quando l’avversario mi propone una “sua” regola ed io replico con un “parliamone”, ma lui afferma che la sua regola è quella giusta e che devo supinamente accettarla, cosa devo fare? L’Occidente ha imposto per secoli le sue regole (questo lo sappiamo tutti) ed in alcuni casi tende a farlo anche oggi, ma allora, senza ipocrisie, se mi trovo davanti un avversario che insiste, minacciando inoltre di mollarmi quattro ceffoni o qualcosa di peggio se non accetto le sue regole, devo adeguarmi passivamente?
      “La conoscenza è l’arma essenziale”. Sacrosanto!
      L’Occidente ha senza dubbio un enorme merito, quello di essersi liberato da chi imponeva le sue regole (parlo delle gerarchie vaticane che minacciavano il mondo intero a colpi di scomunica) tramite il libero pensiero, oggi accettato da tutti (o quasi).
      Ripeto: a quando un illuminismo islamico?

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    Giancarlo Castiglioni 16 Gennaio 2015 at 09:29

    Ho fatto un gran numero di commenti, ma non ho ancora parlato della sostanza di quanto scrive Pili.
    Nella prima riga è scritto:
    “Gli scacchi sono il gioco dell’Occidente”
    Un cinese potrebbe legittimamente scrivere:
    “Gli scacchi sono il gioco dell’Oriente” con una diffusione trascurabile in Occidente.
    Alluderebbe naturalmente agli scacchi cinesi.
    Sono stato in Cina per 3 mesi nel 1988 e ho verificato di persona che il livello di conoscenza degli scacchi cinesi nella popolazione è incomparabilmente maggiore di quello degli scacchi occidentali da noi.
    Vedere due giocatori accoccolati di fronte ad una scacchiera a terra in strada è normale. Ho avuto occasione di giocare con interpreti e impiegati di medio livello; praticamnte tutti giocavano e ad un livello certamente migliore dei giocatori occasionali da noi.
    I due giochi sono apparentemente abbastanza diversi, ma sui principi generali tutto quanto scritto da Pili (metafora della guerra, logica, rispetto delle regole, determinismo) è uguale senza necessità di cambiare una virgola.
    Oriente e Occidente sono più vicini di quanto sembri.

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      Giangiuseppe Pili 16 Gennaio 2015 at 19:30

      Non ho dubbi! 🙂 Grazie per la testimonianza!! Come ho scritto tante volte, ci sono giochi meravigliosi e noi non abbiamo certo l’esclusiva!

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    DURRENMATT 16 Gennaio 2015 at 14:19

    …”Oriente e Occidente sono più vicini di quanto sembri”… Davvero noi Occidentali che siamo la civiltà della volontà di potenza (vantaggio e utilità sono i tratti tipici),come tutta la nostra storia da secoli è lì a dimostrare, siamo in grado di accedere a quella cultura orientale che alla volontà preferisce la non-volontà?Non credo proprio.

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      Giancarlo Castiglioni 16 Gennaio 2015 at 18:08

      Sicuramente ci sarà qualcuno che ha il problema di preferire la volontà alla non-volontà e può darsi che orientali e occidentali lo risolvano diversamente.
      Ma credo che la grande maggioranza di orientali e occidentali che hanno il problema di portare a casa lo stipendio a fine mese la pensino allo stesso modo.

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    DURRENMATT 16 Gennaio 2015 at 14:46

    …”l’islamico è disposto a perdere?”…le MOTIVAZIONI all’agonismo (è meglio parlare di scacchi)nascono da BISOGNI i quali sono così gerarchicamente organizzati (dal più importante al meno vitale):1)Primari(fisiologici come mangiare,vestirsi ecc.)2)di sicurezza 3)associativi 4)bisogni dell’Io 5)bisogni di autorealizzazione. Il rapporto con la sconfitta sarà inevitabilmente influenzato dai suddetti e questo vale per tutti dal figlio di papà occidentale (motivato dal solo bisogno 5) all’abitante dei Territori occupati(motivato magari dal bisogno 1) passando per il perdigiorno del circolo tal dei tali.Tutto è in relazione a quanto si investe nella competizione. Infine una considerazione sul rispetto delle regole: che dire dei “furbi” che confondono il gioco con il manuale del regolamento degli arbitri?

    Mi piace 1
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    paolo bagnoli 16 Gennaio 2015 at 21:26

    Caro Durrenmatt, ti lancio una provocazione.
    Visto che l’unico “regolamento” che un islamico concepisce (così come un cristiano o un ebreo, ognuno nel suo ambito religioso) è passibile di interpretazioni varie ed eventuali, allora colui che si richiama al “proprio” regolamento è un furbo? Se è così, chiediamoci chi e quanti di noi esseri umani sono furbi. FURBI?
    Tornando agli scacchi, trovo squallido l’atteggiamento da te indicato da parte dei furbi.

  16. avatar
    DURRENMATT 17 Gennaio 2015 at 14:42

    …Caro Paolo, mi riferivo al connubio sport&scacchi e in questo ambito bisogna essere per forza di cose assertivi(naturalmente l’antisportiva prassi torneale del post partita, spacciata da qualcuno per “esperienza”, ha poco o nulla di assertivo).Faccio una breve premessa:non seguo assolutamente nessuna religione.Credo che la vita sia un processo e che l’uomo sia il prodotto di se stesso.Detto ciò,in merito alla tua provocazione, ti riporto le dichiarazioni di Christine Taubira(Ministro di Giustizia francese): “Siamo in grado di disegnare tutto compreso un profeta perchè in Francia,il paese di Voltaire e dell’irriverenza, abbiamo il diritto di prendere in giro tutte le religioni”…sarebbe questo l’Illuminismo? La prendo alla lontana per ovvi motivi. Saluti.

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      paolo bagnoli 17 Gennaio 2015 at 21:53

      Questa affermazione è IL PRODOTTO dell’Illuminismo, che nel Settecento iniziò ad affermare e pretendere la libertà di pensiero. Senza quest’ultima siamo macchine nelle mani e nei propositi di qualcuno (?) destinate ad obbedire o ad annientarsi per i fini di quel qualcuno.
      Sui fini, poi, ci sarebbe da dire parecchio.

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    DURRENMATT 18 Gennaio 2015 at 11:49

    …”Sui fini,poi,ci sarebbe da dire parecchio”…vedi la chiamata alle armi di qualche giorno addietro(la fantomatica marcia della pace con in prima fila personaggi improponibili). Oggi il PRODOTTO dell’illuminismo serve solo per condurre battaglie da salotto (vedi la dichiarazione strumentale di Christine Taubira). Riguardo la libertà di pensiero…lasciamo perdere. La chiudo qui.

    • avatar
      paolo bagnoli 18 Gennaio 2015 at 12:43

      Capisco cosa intendi: ci sono “fini” dall’una e dall’altra parte. Non è così?
      Tuttavia io sono libero di esprimere il mio pensiero, magari venendo giudicato insano di mente, magari “fanatico”, magari “fuori strada”, magari beccandomi una querela, magari quellochetipare, ma resta l’incontestabile fatto che nessuno mi spara (almeno fino ad ora) perchè ho espresso liberamente il mio pensiero. In alcuni luoghi dell’orbe terracqueo ciò non è possibile, pena la morte o la fustigazione “a rate” come sta accadendo in queste settimane.
      Semplicemente lo trovo ingiusto, assurdo e deprecabile. Va bene così?
      Con rispetto ed affetto
      Paolo

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    Fabio Lotti 19 Gennaio 2015 at 09:05

    Se non la smettete vi sparo io… 🙂
    P.S.
    Solo per vedere la mia nuova icona

  19. avatar
    paolo bagnoli 19 Gennaio 2015 at 18:09

    Hai ragione Fabio. La smetto subito e chiedo scusa.

  20. avatar
    Ilaria Bergamo 5 Giugno 2016 at 20:52

    Bell’articolo! La ringrazio, dott. Pili. Sto scrivendo la mia tesina di maturità, incentrata su un confronto tra scacchi e xiangqi. Potrei citare alcuni passi del suo articolo? Naturalmente inserirei la fonte nella bibliografia. Se volesse potrei anche suggerirle degli spunti riguardanti gli scacchi cinesi, anche se, giudicando la sua preparazione, penso che conosca già molto sull’argomento! 🙂

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