Quali Olimpiadi?

Scritto da:  | 27 Dicembre 2014 | 42 Commenti | Categoria: Attualità, C'era una volta, Cultura e dintorni

 “Citius, altius, fortius”

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Ogni tanto, sapete, qui in redazione si fa una piccola tavola rotonda (anzi, un tavolino quadrato perché solitamente in quattro) su qualche argomento di attualità, anche solo lontanamente collegato a temi scacchistici. Ed infatti le Olimpiadi delle quali abbiamo parlato nell’ultimo “tavolino quadrato” non sono quelle di scacchi di Tromsø o le precedenti di Istanbul, ma quelle, già famigerate, per le quali Roma si è candidata nel 2024. Ovvero le Olimpiadi-Olimpiadi, o “Giochi olimpici estivi”, come sarebbe più preciso chiamarli. E ci siamo trovati tutti e quattro sostanzialmente d’accordo, con sfumature, intorno agli stessi concetti.

“Mongo che ne pensi?”

“Secondo me questo non è il momento migliore per l’Italia di sprecare risorse economiche nell’organizzare un evento del genere … Basta vedere i disastri che si sono fatti per Milano Expo.
Anziché spendere valanghe, o meglio, slavine di euro per le Olimpiadi, spendiamoli per rimettere a posto gli argini dei nostri fiumi onde evitare che ad ogni pioggerellina vengano fuori dei disastri, o per aiutare le imprese ad assumere nuovo personale in modo da ridurre la disoccupazione o per abbassare l’iva al 15% (come era una volta) in modo da far aumentare i consumi, eccetera.
Le olimpiadi invernali di Torino 2006 non ci hanno insegnato niente? Il villaggio olimpico a Torino ora è un quartiere dove, negli alloggi che erano riservati agli atleti, risiedono abusivi e balordi di ogni genere, e l’hanno ridotto ad un vero e proprio letamaio … pagato da noi. E le ‘piste’ per il salto con gli sci, lasciate lì ad ammuffire? E quelle per il bob e lo slittino che non sono mai più state usate? Che tristezza!”

“E tu, delpraub, la vedi allo stesso modo?”

“In prima battuta sì, però se la gestione di questi eventi fosse fatta in maniera diversa (con una strategia e non con l’idea di costruire impianti destinati a rimanere non usati poco dopo), magari i soldi che arrivano potrebbero fare del bene.
Per dirne una, con i mondiali di calcio del ’90 a Roma doveva essere completato l’anello ferroviario interno col tratto di Roma Nord. Quello che ha prodotto è stata una stazione (una sola) risultata inadeguata in maniera clamorosa (non ci stavano due treni affiancati sotto la volta). Stazione chiusa e abbandonata subito: e l’anello ferroviario interno a Roma ancora non lo abbiamo.
Se organizzare un gara di kayak significa anche mettere a posto gli argini, bene.
Se organizzare le gare di canottaggio significa mettere in sicurezza un bacino o installare un depuratore, bene.
Se creare un circuito di ciclocross o di triathlon significa risistemare un terreno fragile, bene.
Insomma, se si fa in modo di realizzare qualcosa che serve e poi rimane, benissimo.
Certo molti, forse troppi, “se”. Soprattutto perché per fare le cose in questo modo servirebbero una visione e una componente etica che non vedo in giro.”

 “E tu, Martin?”

“Le Olimpiadi? Certo sarebbe bello… ma, almeno in questo momento, mi sembra come quando a casa non hai i soldi per il pane… cosa fai? Non ci sono i soldi per il pane eppure vai lo stesso in pasticceria a ordinare pasticcini e profiterole?!? Dai, non mi far dire altro… continua tu Marramaquís, che in fondo sei l’unico di noi quattro ad aver vissuto in prima persona un’edizione dei Giochi…”.

Conclude il tema Sergio. Anzi, no: Marramaquís

“Martin, allora sfrutto i cinque minuti che mi hai ceduto per dilungarmi io di più su un argomento assai controverso e che mi sta molto a cuore.

Nemmeno io sono un sostenitore delle Olimpiadi, in specie di certe Olimpiadi: di quelle cioè che servono più che altro a mostrare la grandezza di una organizzazione e di un governo e di un popolo di fronte al mondo (vedi Hitler nel 1936) e quindi nascondono secondi fini, come nazionalismi esasperati, macerie o ruberie o gigantesche opere inutili.

Ho seguito con perplessità e scoramento tante cerimonie inaugurali, e di chiusura, olimpiche (e non solo olimpiche). Ebbene, pare sempre che ogni città, ogni nazione, ci tenga a spendere il doppio dei denari della volta precedente per fare una figura migliore, più luminosa e grandiosa della precedente. Ma cosa si vuol dimostrare? La grandeur? Di essere superiori agli altri? E perché?

I Giochi olimpici dovrebbero essere un semplice momento d’incontro e di festa fra popoli che fanno sport, soprattutto dilettantistico. Lo sport non c’entra niente con la megalomania e con la ricchezza. O almeno, non dovrebbe. Ma spesso non è così, lo so. E poi ci sono i soldi, sempre tanti soldi… troppi soldi.

Guardiamo Atene: le Olimpiadi del 2004 hanno girato in negativo la sua più recente storia, la profonda crisi greca proviene anche da lì.  E sono d’accordo con Mongo su quelle invernali di Torino 2006: un fallimento, con una eredità imbarazzante di “cattedrali nel deserto”.

I giochi olimpici andrebbero guardati e organizzati con un occhio e uno spirito diverso, soprattutto quali occasione per creare opere che poi saranno utilizzate dalla collettività, e per insegnare il significato dello sport ai giovani.

Troppo soldi, si diceva. Sì, e certamente oggi i giochi olimpici, aperti anche ai professionisti, hanno perso in buona parte il loro significato storico. Oggi lo sport, in tutto il mondo, purtroppo non è più quello descritto nel 1999 da Fidel Castro, il quale, ricordando come la piccola Cuba (11 milioni appena di abitanti) vantava “la più alta percentuale al mondo di medaglie olimpiche vinte”, ribadiva con fermezza che “lo sport è un diritto del popolo, un mezzo per abituarsi allo spirito di sacrificio e per migliorare le proprie condizioni di vita”.

Tanta acqua, milioni di metri cubi, è ormai passata sotto i ponti del Rio Cauto, del Bisagno e del Tevere, da quando, esattamente vent’anni fa, nel 1994, il mitico terza base cubano Omar Linares, rifiutando i dieci milioni di dollari offerti dai “New York Yankees”, dichiarava “preferisco giocare per dieci milioni di cubani che per dieci milioni di dollari”.

Cuba ha oggi quasi 22.000 impianti sportivi, dai 250 che aveva prima della rivoluzione castrista, ma questo non è bastato a fare degli sportivi e dei politici cubani tutti Omar e tutti Fidel.

Tanto è vero che Raúl e Tony Castro stanno man mano cedendo. Fidel aveva abolito il professionismo, e l’emorragia di talenti oggi in uscita sta minando il dilettantismo anche a Cuba. Il dio dollaro, piaccia o no, sta per vincere la sua ennesima partita. Ma i professionisti, mi chiedo, che bisogno avrebbero dei giochi olimpici?

Poi, sapete, non mi piace parlare di Olimpiadi di Roma. Perché solo di Roma? Semmai si parli di Olimpiadi italiane. Se a Roma non si gioca a tamburello o a bocce (è per dire, so bene che non sono sport olimpici), perché costruire a Roma un maxi-impianto bocciofilo? Facciamolo a Chiavari oppure a Orbetello, no? No, su queste basi niente Olimpiadi a Roma 2024 neppure per me”…

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(Omar “El Niño” Linares Izquierdo, campione olimpico nel 1992 e 1996. Il cubano è stato uno dei più grandi giocatori di baseball ed uno dei più grandi sportivi dilettanti di ogni epoca)

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…Ricordo che mi è scappata una lacrima, una volta, per le Olimpiadi, ma non per un fatto tragico (e ce ne sono stati diversi, purtroppo) né per un risultato sportivo. E allora perché?

Sì, una lacrima soltanto nel 2008, mentre osservavo qui a Roma alcuni operai smantellare ed azzerare per sempre quel fiore all’occhiello che parve per una sola stagione il Velodromo olimpico costruito all’Eur nel 1960 e costato allora oltre un miliardo di vecchie lire.

Cattedrale nel deserto anch’essa per decenni, ma bomba ecologica di amianto, abbattuta dall’esplosivo e azzerata dalle ruspe in pochi attimi… liberando così dell’altro amianto!

Come dice giustamente Mongo, a che serviva un velodromo a Roma, dove il ciclismo su pista non ha mai avuto nessun seguito o quasi? L’opera è rimasta lì ferma per 53 anni, in balia del tempo inesorabilmente inclemente: topi, ruggine, crolli, erbacce, escrementi. Simbolo dell’inutile e dell’effimero. E del pericolo per la salute pubblica.

E’ rimasta lì per testimoniare tutto ciò, finché non si decise, anziché riqualificarla, di eliminarla nella maniera peggiore, e di cancellare prove e ricordi.

Ed è sparita la pista insieme ai fantasmi delle volate di Sante Gaiardoni e del tandem dei Bianchetto-Beghetto, lampi olimpici del ‘60. Un’opera per poche volate di pochi atleti e di pochi secondi… un’opera per cinque ori italici e per cinque ruspe.

Qualche abitante dell’Eur mi dice che ancora, nelle notti di violento scirocco, sembra di sentire l’eco dei colpi di pistola dello starter ed il successivo sibilare dei razzi delle ruote dei vecchi campioni.

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Nel 1960 per me, ragazzino, non esisteva lo Sport, figuriamoci le Olimpiadi. Esisteva soltanto la Roma, la squadra di calcio, le sciarpe giallorosse. Quella era la Roma del rione Testaccio, la Roma di Panetti, Pestrin, Guarnacci, Da Costa, di “piedone” Manfredini, di Ghiggia, di capitan Losi, piccolo grande eroe. Era anche “la mia” Roma.

Ma un caldo pomeriggio, indimenticabile, mio padre mi disse di vestirmi di fretta. Doveva portarmi a vedere le Olimpiadi. Non si pagava nulla, e questo aveva un bel peso, allora, per tanta gente come noi. C’era la 50 km. di marcia, e un italiano, Abdon Pamich, era tra i favoriti. Fu, per me, quel giorno, il giorno della scoperta improvvisa dello Sport, quello vero, con la “S” maiuscola.

Non mi aspettavo tutta quella folla così interessata, ma nello stesso tempo corretta e ordinata, lungo le strade del percorso. E poi mi aspettavo dei super-atleti. Non era così.

A pochi km. dall’arrivo allo Stadio Olimpico, dove noi trovammo un sufficiente pertugio per osservare, passarono, appaiati ed affiancati dalle moto Guzzi di servizio della polizia stradale, i due uomini al comando della gara: due affusolati e umanissimi personaggi, caracollanti e intristiti da una smorfia di sofferenza, zuppi di sudore e di acqua miserevolmente lanciata dagli spettatori o acciuffata con le spugne nei punti di ristoro.

Era un testa-a-testa emozionante dopo parecchie ore di lotta e fatica.

Don Thompson in the 50km walk at the 1960 Olympics in Rome(Don Thompson, 1933-2006)

Erano i due, ci dissero, il britannico occhialuto Don Thompson, numero 39, che avrebbe poi vinto per poche decine di metri, e il pluridecorato svedese Ljunggren, numero 24, che aveva all’epoca 41 anni ma che ai miei occhi pareva allora già più vecchio di mio nonno.

Poi un fremito: a meno di cento secondi dai due di testa avanzava ondeggiando davanti ai nostri occhi la sagoma del numero 38: era il nostro Abdon Pamich, più elegante dei primi due ma ingobbito nello sforzo di una impossibile, troppo tardiva, rimonta.

“Papà, ma Pamich non è italiano, ha un nome strano, perché? … Dai Pamich, dai, pedalaaa!”.

Quali Olimpiadi 8(John Arthur Ljunggren, 1919-2000)

Quei tre corridori, anzi marciatori, provenienti da mezza Europa (ma non era così importante da dove), e anche tutti gli altri che seguirono, portavano sulle strade di Roma il loro smisurato cuore, trascinando una fatica lunga ben cinquanta chilometri, immensa e impensabile in corpi tanto esasperatamente asciutti e ossuti.

Rammento che un atleta sudamericano fu bloccato dai giudici per una irregolarità (mi fu detto che non teneva le ginocchia ben distese) a pochi metri da noi: egli non ritenne affatto di protestare e si accasciò ai margini della via, distrutto dal dispiacere più che dalla fatica, sorretto e consolato dallo stesso (im)pietoso giudice che l’aveva fermato.

Qualcun altro, specie nelle retrovie, lo ricordo sul punto di crollare sui sampietrini. Ma in quell’istante l’incitamento del pubblico li rialzava e pareva infondere nuove energie per sospingerli verso quel traguardo che era unico, uguale per tutti: portare a termine un’Olimpiade, non importa in quale posizione.

“Papà, ma il numero 73 è tra gli ultimi .… per quale motivo s’impegna ancora così tanto?”

“Questo è lo Sport, Ri, si corre e gareggia anche per un ideale e per noi stessi, per esserci, per superare e conoscere i propri limiti. Anche se di fronte al pubblico siamo identificabili semplicemente con un numero. La classifica non conta più di tanto, sai? In fondo a quel lunghissimo rettilineo c’è una ideale medaglia per tutti”.

Quali Olimpiadi 7(Abdon Pamich, nato a Fiume nel 1933, vincitore a Tokyo nel 1964)

Quali Olimpiadi 3(Giuseppe Dordoni, 1926-1998, campione olimpico nel 1952)

Al settimo posto giunse quello che, in quegli anni bianchi e neri, era l’idolo di papà: il piacentino Giuseppe “Pino” Dordoni, trionfatore dei giochi di Helsinki 1952 e antesignano della grande scuola di marcia italiana, mentre fu decimo Antonio De Gaetano.

Quali Olimpiadi 1(De Gaetano, Dordoni e Pamich all’interno dello stadio Olimpico poco prima della partenza)

Meravigliosi giochi olimpici! Quelle immagini fecero breccia nell’immaginario di un ragazzino che era stato concentrato prima di quel giorno soltanto sul pallone e sullo scudetto (?) della Roma.

Chissà, forse senza di loro quel ragazzino ancor oggi sarebbe da annoverare fra le più fanatiche schiere di “calciofili” e niente di più

La mia vita ebbe lì, in effetti, una prima piccola ma significativa svolta. Una svolta che facilitò poi lo stesso mio avvicinamento al gioco degli scacchi.

Ricordo che esultai felice quando, quattro anni dopo, l’istriano-genovese Pamich si prese la rivincita vincendo l’oro nella 50 km. di marcia ai Giochi di Tokyo grazie ad una rimonta fantastica dopo aver avuto un piccolo malessere. E volli scorrere tutto l’ordine di arrivo di Tokyo, quasi per rendere un mio omaggio personale a tutti coloro che erano giunti, per me ugualmente vittoriosi, fino sul “filo di lana” del traguardo, dove, non posso dimenticarlo, “c’è una medaglia per tutti”.

Ma allora, chiedo per concludere i miei pensieri, le Olimpiadi mi hanno regalato qualcosa d’importante? Sì, oggi penso proprio di sì. Nonostante tutto.

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Ed ecco di conseguenza che, pur condividendo tutte le perplessità dei miei attuali compagni di viaggio, e che erano e sono allo stesso identico modo anche le mie, adesso non possiamo non riflettere (io, giocoforza, per primo, vista la mia esperienza di Roma 1960) sulle parole di Massimo Gramellini da “La Stampa” del 18 dicembre, un Gramellini che probabilmente ha raccolto testimonianze e pareri ancor più radicali e drastici ed esasperati dei nostri, un Gramellini che non era ancora nato quando Don Thompson tagliava quello storico traguardo romano:

“Come sostiene un mio amico che nella sua vita precedente ebbe l’ardire di impegnarsi in politica, un popolo che si ritrae terrorizzato di fronte alla prospettiva di organizzare lo spettacolo delle Olimpiadi farebbe meglio a consegnare le chiavi del proprio Paese e andare a ritirarsi altrove.

Se ci consideriamo incapaci di intraprendere qualsiasi progetto senza rubare, tanto vale chiudere gli ospedali, notorio ricettacolo di creste e mazzette, e non costruire né aggiustare più case, dal momento che dietro ogni mattone è in agguato un mascalzone. La rabbia dei delusi ha partorito la prostrazione dei depressi e adesso stiamo assistendo a una resa senza condizioni.

D’accordo, l’aria è viziata, ma vi sembra una buona ragione per smettere di respirare?  

In un mondo normale il dibattito non verterebbe sull’opportunità di ospitare le Olimpiadi, ma semmai sulla trasparenza da garantire agli appalti. Invece la paura e l’avvilimento ci hanno trasformato in una congrega di sconfitti, intrisi di sfiducia nei confronti del futuro e del prossimo, che predicono sciagure e scuotono di continuo la testa, opponendosi per principio a qualsiasi mutamento. E’ diventato troppo facile, ma anche troppo comodo, raccattare consensi compiacendo la parte più distruttiva e mugugnante di noi stessi. Appena dici che gli italiani fanno schifo, gli italiani ti applaudono, sbellicandosi dal ridere o sparacchiando qualche insulto. Forse perché si sentono esclusi, a torto, dalla categoria”.

Sì, forse Gramellini qualche ragione ce l’ha, forse dobbiamo tutti reagire e riprenderci la speranza. E rimontare, come fece il grande Pamich a Tokyo, sulla scala della fiducia. Ed io prima di altri.

Soltanto la speranza e la fiducia potranno condurci verso nuovi successi. Altrimenti, non resterà che abbandonare per sempre qualsiasi partita: il pareggio, qui, non esiste.

Quali Olimpiadi 6(Roma 1960. Da sinistra Ljunggren, Thompson e Pamich sul podio)

avatar Scritto da: Marramaquís (Qui gli altri suoi articoli)


42 Commenti a Quali Olimpiadi?

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    alfredo 27 Dicembre 2014 at 12:36

    Basta vedere le foto pubblicate da moti siti su come son ridotti gli impianti di Torino neve 2006 per capire che questa è solo una ennesima trovata partorita dalla megalomania di Renzi.
    Guardate anche gli impianti per i mondiali di nuoto a Roma, la fine che ha fatto Atene dopo le olimpiadi.
    Spero solo che l’Expo non si trasformi in un barzelletta. Altre città sono rinate con l’Expo.
    Questi mega eventi lasciamoli ai paesi ricchi o che si stanno arricchendo.
    Renzi, lo so, mi darebbe del “gufo”.

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    alfredo 27 Dicembre 2014 at 13:07

    Ricordo le Olimpiadi di Barcellona 92. Semifinali dei 400 metri. Uno dei favoriti, un inglese, si strappa dopo 300 metri. Stramazza, il dolore è atroce. Ma si rialza. Il padre scende dalle tribune e lo sorregge per farlo arrivare comunque all’arrivo, con le lacrime agli occhi mentre tutto lo stadio in piedi lo applaudiva.
    Ecco queste sono le olimpiadi…
    Il Business (vedi Olimpiadi Atlanta) le ha completamente snaturate anche con l’introduzioni di sport senza alcun senso (mi viene in mente il curling in quelle invernali).

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    Mongo 27 Dicembre 2014 at 15:44

    Oltre al citato Omar “El Niño” Linares Izquierdo, è cubano anche un altro grandissimo Uomo: il pugile Teofilo Stevenson, medaglia d’oro in tre olimpiadi (mancò la quarta a causa del boicottaggio delle nazioni socialiste ai giochi del 1984), rifiutò il professionismo e 5.000.000 di dollari per un incontro con Alì dichiarando: «Cosa valgono cinque milioni di dollari, quando ho l’amore di otto milioni di cubani?».

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    paolo bagnoli 27 Dicembre 2014 at 18:16

    Ho vissuto le Olimpiadi del 1960 “dal vivo”. A diciannove anni appena compiuti, partii da Ravenna in Vespa per partecipare al raduno di “vespisti” provenienti da tutta Europa, raduno coincidente con l’inizio dell’Olimpiade romana. Si dormiva in tende da otto o dodici posti sotto i pini di Castelfusano, si mangiava dove e quando capitava, si seguivano gli sport preferiti (io, il basket, che ancora si chiamava pallacanestro ed era uno sport molto diverso da quello odierno) e si scorrazzava in Vespa per Roma respirando un’aria che solo a Roma…
    Ricordo la cerimonia inaugurale, con l’interminabile ma magnifica sfilata delle squadre, gli applausi, l’aria festosa ma non fastosa che c’era nello stadio, le lacrime di commozione di tanti (me compreso), lo scambio allegro di commenti sulle tribune… Fu un’Olimpiade di un’Italia che, orgogliosamente, celebrava il suo ingresso tra le potenze economiche mondiali, con tutti i pregi e difetti ben noti a tutti.
    Cos’è rimasto di quell’ Italia? Forse è questa la domanda che ci dobbiamo rivolgere per decidere se veramente vogliamo una nuova Olimpiade.

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      Roberto Messa 27 Dicembre 2014 at 21:25

      Paolo, questo tuo commento mi è piaciuto al pari dei ricordi struggenti delle gare di marcia di cui Marramaquis è stato testimone. Nel 1960 io ero troppo piccolo, cosa mi sono perso…
      Gli anni Sessanta era anche il decennio in cui all’Università di Milano si inventava la plastica Moplen in tandem con l’industria italiana che la produceva, l’epoca in cui l’Olivetti era un’azienda informatica leader mondiale (ho letto una storia secondo la quale sembrerebbe che i primi personale computer siano stati ideati e prodotti a Ivrea, poi il “testimone” fu ceduto agli americani in modo assai poco trasparente).
      Ecco, secondo me ora l’Italia avrebbe più bisogno di marciare, sudare e soffrire come fece la generazione del dopoguerra per competere nelle Olimpiadi della Moplen e della Olivetti che non in quelle del cemento e degli appalti…

      Piccola nota a margine – l’ultima Olimpiade a basso budget fu Sydney 2000, orgoglio di un paese civilissimo che è entrato nel terzo millennio dalla porta principale, anziché uscirne dalla porta di servizio come rischiamo di fare noi.

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    Doroteo Arango 27 Dicembre 2014 at 19:08

    Mi son commosso… che bei ricordi… grazie Marramaquìs…

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    The dark side of the moon 27 Dicembre 2014 at 20:34

    La questione non è su chi è favorevole o contrario ad ospitare le Olimpiadi.
    Chi non lo sarebbe?
    I fatti però sono alla luce del sole: in un paese dove la criminalità organizzata fattura gran parte del PIL si tratterebbe solo di apparecchiare la tavola ai soliti noti.
    Se qualcuno poi fosse condannato su eventuali ruberie non abbiamo neanche la certezza che vada in galera.
    Questa è la situazione.
    Gramellini vive sulla luna o fa parte di quella schiera di “giornalisti” che scrivono per compiacere determinati interessi?
    Io sono incazzatissimo perché vivo in un Paese dove per colpa di una classe politica che non ho mai votato e non voterò mai sono costretto ad augurarmi che nel 2024 non ci siano le Olimpiadi a Roma.
    PS.
    X Mongo:
    Te lo ricordi il cubano campione di salto in alto Sotomayor?
    Anche lui un grande atleta, una bandiera, un simbolo di quella incredibile nazionale cubana, che alle Olimpiadi mostrava al mondo intero il motto di Fidel sullo sport.

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      Doroteo Arango 27 Dicembre 2014 at 20:41

      Sottoscrivo in toto le osservazioni di Dark Side… paradossale ma vero: è come augurarsi di non aver nulla a fin mese in busta paga perché poi i ladri ci fanno il solito giretto…

      A Sotomayor aggiungerei anche il grandissimo Alberto Juantorena Danger, no?

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    paolo bagnoli 27 Dicembre 2014 at 21:26

    Caro Dark Side, se non sono incazzatissimo io, che ho due figli all’estero (dove lavorano e sono soddisfatti e riescono a campare dignitosamente), col terzo che è rientrato dalla Polonia per aprire (follia!) con un ex compagno di liceo una piccola ditta di consulenza informatica… se non sono incazzatissimo io, dicevo, chi può non esserlo?
    Nemmeno io voto per questa ignobile ammucchiata che riempie i telegiornali di proclami (ultimo quello delle pensioni minime a 1000 euro) e di vuote parole, e continuo ad invitare tutti a non votare, per non rendersi complici di chiunque detenga il potere. Quando l’ottanta per cento degli italiani non voteranno, forse (ripeto, FORSE) qualcuno si farà venire qualche dubbio. Le ultime elezioni regionali alimentano in me un filo di speranza.
    Per concludere: l’Olimpiade nell’Italia di oggi (e probabilmente di domani e dopodomani) non ha senso. I turisti che arriverebbero troverebbero Pompei chiusa.

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    paolo bagnoli 27 Dicembre 2014 at 23:27

    Caro Roberto, noi non “rischiamo” di uscire dalla porta di servizio, ma ne siamo già usciti. Le cause? Innanzitutto, la personalizzazione della politica (“O con me o contro di me” e del resto chissenefrega), poi un apparato burocratico tetragono a qualunque tentativo di alleggerimento, poi un debito pubblico insanabile, poi una classe dirigente squallida (senza distinzione di colore, razza, religione o orientamento politico), poi una povertà avanzante ed inarrestabile, poi, poi, poi…
    Preferivo di gran lunga i ladri degli Anni Ottanta, che rubavano “per il partito”. I ladri di oggigiorno rubano per se stessi, alla faccia di noialtri che siamo ridiventati il “parco buoi”, prima da mungere poi da macellare.
    Quando Alessandro mi parla della sua vita in Repubblica Ceca, Stefano della sua vita in Olanda, stento a credere che di quella Europa facciamo parte anche noi, e probabilmente ne facciamo parte soltanto formalmente. Hai ragione: oggi è il trionfo del “particulare”, ognuno per sè e Dio per tutti. Il sudore lasciamolo agli altri, la fatica è faticosa e la marcia, be’, abbiamo avuto Dordoni e Pamich, ma, di recente, un altro marciatore tutt’altro che eroico, autentico simbolo dell’ “arrivare ad ogni costo” per poi, una volta arrivati, fottersene altamente di tutto e di tutti.

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    Fabio Lotti 27 Dicembre 2014 at 23:36

    Ricordo Berruti e Mennea con i quali sognavo di volare. Forse non è possibile ma mi piacerebbe che ci fossero. Non mandatemi accidenti che ho già i miei guai.

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    Giancarlo Castiglioni 28 Dicembre 2014 at 11:47

    La mia critica è più radicale.
    Il problema più grosso è certamente quello del costo per impianti che diventano inutili il giorno dopo la cerimonia di chiusura, ma nelle Olimpiadi vi sono delle storture intrinseche.
    Il numero degli sport olimpici è cresciuto oltre ogni ragionevolezza col risultato che vi sono sport che non segue nessuno, ma che hanno atleti professionisti sovvenzionati dallo stato solo perché ogni 4 anni partecipano alle Olimpiadi.
    Vi sono sport in cui vince che riesce a drogarsi meglio senza farsi prendere.
    Non è il caso di rimpiangere i tempi quando i professionisti erano esclusi, quando vinceva che riusciva a mascherarsi da dilettante mentre era in realtà professionista.
    In sintesi di sport nelle Olimpiadi ne è rimasto veramente poco.

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    paolo bagnoli 28 Dicembre 2014 at 16:40

    Concordo completamente con Giancarlo. Come “sport olimpici” mancano ormai soltanto il rubamazzo, la mosca cieca e il recupero della corsa nei sacchi (sport olimpico ai primi del Novecento!).

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    Fabio Lotti 28 Dicembre 2014 at 18:36

    Cerco di portare un po’ di positività nella discussione tenendo in grande considerazione e rispetto tutte le opinioni. Nella vita, per sfortuna (o fortuna) sono stato quasi sempre solo. Mia forza (credo) l’ironia e l’autoironia lasciatami in dote dal paesello natio e la voglia di trovare qualcosa di buono anche nelle situazioni più difficili. Una specie di salva-vita istintivo per non cadere in momenti di doloroso scoramento o, risvolto della medaglia, di incazzatura continua. Dunque per quanto riguarda le Olimpiadi tutto giusto ciò che è stato detto, le paure sottolineate ci sono, pure anche una certa perdita di credibilità. Però, a pensarci bene, potrebbero anche essere un momento importante per creare lavoro (seppure a termine) e ricercare almeno un barlume di intesa tra i popoli che mi pare si sia persa per strada.

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    The dark side of the moon 28 Dicembre 2014 at 19:49

    Caro Fabio, vorrei avere almeno il 1% dell’ottimismo che hai.
    Per quanto riguarda la ricerca del “barlume di intesa tra i popoli”, questo ce lo avevano promesso già con l’Unione Europea.
    Si è inventata una moneta di nome Euro con precisi criteri (….) ed è stato raggiunto l’obiettivo.
    Il “piccolo” particolare che non era stato detto era che bisognava sostituire alla frase la parola “popoli” con “banche”.
    Dai retta a me: lasciamo almeno che le Olimpiadi vengano organizzate da Paesi dove chi gestisce risorse pubbliche sono per lo più persone serie.
    Per la Grecia (nazione guarda caso con un altissimo tasso di corruzione) le Olimpiadi sono state il classico “canto del cigno”, se non andiamo in malora prima del 2024 evitiamole almeno che non si riesca a cacciare questa classe politica di ladroni e burattini ma la vedo dura.

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    Fabio Lotti 28 Dicembre 2014 at 22:09

    Più che ottimismo la mia è la voglia e la speranza che le cose siano cambiate in meglio di qui al 2024. I cromosomi lasciatemi in eredità sono questi e capisco pure che siano utopici.

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    paolo bagnoli 28 Dicembre 2014 at 22:11

    Caro Fabio, fino ad un certo punto anch’io sono stato un inguaribile ottimista, anche quando sono stato “imbrogliato” da persone nelle quali riponevo una fiducia cieca. Poi sono diventato non pessimista, ma “obbiettivo”, considerando i fatti e non le chiacchiere.
    Clemenceau diceva che “chi non è radicale da giovane è senza cuore e chi non è conservatore da vecchio è senza testa”. Io ho seguito una specie di percorso contrario, forse per l’affetto smisurato che nutro per i miei figli e la mia famiglia in generale, forse per il disgusto che mi ispirano certi comportamenti di gente (gentaglia?) che si occupa della “cosa pubblica”, chissà?
    Olimpiadi? Come, perchè? Il trionfale annuncio è unicamente uno dei tanti manifesti elettorali che da destra, dal centro, da “sinistra”, ci vengono sbattuti in faccia ogni giorno.

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    Fabio Lotti 28 Dicembre 2014 at 22:24

    Caro Paolo
    non lo so ma più mi avvicino al redde rationem, lasciandomi dietro una scia di grandi affetti, e più mi viene spontaneo il cercare di trovare qualcosa di buono in questo mondo di merda. Per trasmetterlo, almeno, ai miei nipotini.

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    paolo bagnoli 28 Dicembre 2014 at 23:15

    Carissimo Fabio, credo di essere più vicino di te al redde rationem, ed anch’io vorrei trasmettere qualcosa alle mie nipotine (a quando un maschio?), ma cosa posso trasmettere? Dimmelo tu. Forse la passione per il nostro gioco? Sarebbe già qualcosa. Forse il “diritto al lavoro”? Utopia. Forse… lasciamo perdere, e scusami, assieme agli altri, per lo sfogo.

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    Fabio Lotti 28 Dicembre 2014 at 23:21

    Questo è un bel blog dove possiamo anche aprirci con rispetto e affetto reciproco. E ciò già mi pare qualcosa di buono da trasmettere. Poi voglio anche buttarmi sul leggero e scanzonato come potrà evidenziare il mio prossimo pezzo (dovrebbe uscire in settimana).

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    Zenone 29 Dicembre 2014 at 09:31

    Da questo scambio di battute tra Lotti e Bagnoli non può che nascere uno spontaneo slancio di ottimismo.
    Due padri/nonni così non possono che aver trasmesso ai propri figli/nipoti idee e sentimenti “buoni”. Se ognuno di noi (io solo padre) farà lo stesso con i propri cari, fra dodici anni (ma anche dopo) avremo adulti migliori e forse questi timori sull’organizzazione delle Olimpiadi del 2014 (e successivi eventi) non avranno senso.
    Grande blog!

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    Giancarlo Castiglioni 29 Dicembre 2014 at 11:44

    Io sono ottimista per il futuro, perché malgrado i guai attuali, vedo con i miei occhi una evoluzione storica positiva.
    Basta paragonare con gli attuali i rischi di guerra di quando avevo 15/20 anni.
    Allora l’eventualità di una terza guerra mondiale combattuta con armi atomiche era una possibilità concreta.
    Le “età dell’oro” non sono mai esistite.
    Ma rimango contrario alle Olimpiadi.
    Considero che le occasioni di corruzione non siano il problema più importante.
    Vorrei Olimpiadi meno ipertrofiche,con sobrie cerimonie di apertura e chiusura, dove la classifica delle medaglie per nazioni fosse considerata di secondaria importanza, senza sovvenzioni statali allo sport, dove gli atleti fossero veri appassionati, non persone che hanno trovato il modo di sfruttare un loro talento per campare alle spalle della comunità.
    Non ho niente in contrario al professionismo, per me un calciatore strapagato perché riempe gli stadi non ruba niente a nessuno.
    Credo che una evoluzione delle Olimpiadi in questo senso sia estremamente improbabile.

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      Doroteo Arango 29 Dicembre 2014 at 12:44

      “un calciatore strapagato perché riempe gli stadi non ruba niente a nessuno”

      Certo, non ruba niente a nessuno, perché siamo noi fessi a darglieli… è il sistema che è intrinsecamente amorale, come è amorale che ci sia un calciatore strapagato (in realtà tutti lo sono) quando un professore di matematica al liceo a stento arriva a 1500 euro al mese e un musicista diplomato al conservatorio (stiamo parlando di persone che vorrebbero fare dell’arte la propria vita), se non riesce a vincere un concorso, è meglio che si cerchi un altro lavoro…

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        Giancarlo Castiglioni 30 Dicembre 2014 at 10:17

        Io non vedo niente di amorale nei guadagni di un calciatore, tra l’altro il suo lavoro interessa milioni di persone.
        Tu dai troppo valore ai soldi, se un figlio di Gianni Agnelli si suicida vuol dire che i soldi non significano nulla.
        Trovo più amorale che un musicista diplomato al conservatorio sia stipendiato dallo stato per fare un lavoro che interessa solo una ristrettissima minoranza.
        Se non riesce a mantenersi suonando è meglio che si cerchi un altro lavoro vero.

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          Doroteo Arango 30 Dicembre 2014 at 10:38

          Mi pare che siamo sulla buona strada per incamminarci verso il modello che le sembra più indicato…

          io proporrei quindi di abolire l’insegnamento musicale nelle scuole, quello delle materie artistiche in generale, e anzi, meglio ancora: di tutte le materie che non siano quelle calcistiche o che almeno non portino a una professione che interessa “milioni di persone”, giusto?

          Ah, solo di passaggio: non le è mai venuto in mente che se la persona da lei citata avesse dovuto guadagnarsi la vita come tutti noi, senza trovarsi manciate di bancone sotto il guanciale fin da bambino, forse avrebbe apprezzato di più le semplici cose della vita e magari non sarebbe saltato giù da un ponte?!?

          E, per concludere, non penso proprio di esser una persona che “dà troppo valore ai soldi”

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            Giancarlo Castiglioni 30 Dicembre 2014 at 14:06

            Non sono contro la musica e l’arte in generale.
            Dico solo che chi ha questi interessi dovrebbe coltivarli pagandoseli di tasca propria, non a carico della collettività.
            Su Edoardo Agnelli era proprio quello che intendevo dire: forse senza tutti quei soldi avrebbe avuto una vita normale e più felice.
            Sui soldi avrei dovuto scrivere che forse dai “troppo valore ai soldi degli altri”.

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          Roberto Messa 30 Dicembre 2014 at 10:42

          Giancarlo, sono abbastanza d’accodo col tuo punto di vista in generale, ma attenzione quando si parla di cultura, è una “merce” che non può sempre “stare sul mercato” e in tutto il mondo e da sempre in qualche modo viene sovvenzionata. Entro i limiti del giusto e del possibile io non trovo lo sbagliato. Senza mecenatismo privato o pubblico Firenze, Roma, Siena e Venezia non sarebbero quello che sono.

          Riguardo al confronto con il calcio, è ben vero che quest’ultimo ha un “mercato” molto vasto che lo sostiene, ma è anche vero che di fatto tutte le società calcistiche si reggono grazie a torbidi meccanismi di mecenatismo pubblico/privato e politico, basti dire che una decina di anni fa è stata fatta una legge apposta per consentire ai club di presentare come sani bilanci che per qualsiasi altra società sarebbero da fallimento immediato. Non solo in Italia, ma anche in Spagna, molti club godono di finanziamenti da grandi banche che poi vanno sistematicamente a finire nelle sofferenze delle banche (sofferenze ripianate dalla collettività). Insomma non è del tutto vero che un calciatore “sta sul mercato”.

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            Giancarlo Castiglioni 30 Dicembre 2014 at 14:23

            Per la cultura sono d’accordo, basta rimanere entro i limiti del giusto e del possibile.
            Sul mecenatismo noi abbiamo Roma, Firenze, opere d’arte e ne siamo contenti.
            Non credo sarebbero della stessa opinione i contadini che hanno reso possibili queste opere lavorando per tutta la vita.
            Anche sul finanziamento delle squadre di calcio, sono d’accordo.
            Non tutto è trasparente e aggiungo che non mi piace l’uso politico che ne viene fatto, da Lauro a Berlusconi fino ai sindaci di paese.
            Non viviamo in un mondo perfetto.
            Ma per la cultura io vedo le cose da un altro punto di vista.
            Non mi sentirei con la coscienza tranquilla se avessi campato tutta la vita come artista a spalle della comunità.
            Preferisco aver costruito impianti elettrici.
            Ma molti artisti riservano la loro sensibilità all’arte e non pensano a queste cose.

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              Roberto Messa 30 Dicembre 2014 at 16:39

              Solo che a mio modo di vedere può avere la coscienza più tranquilla un musicista della Scala (il quale per un onesto stipendio svolge un lavoro di perpetuazione e diffusione di un patrimonio culturale di grande valore) di un calciatore che costa milioni di euro alla società seppure per le vie traverse dei finanziamenti bancari / societari / para-politici.
              Riguardo ai contadini del Rinascimento italiano c’è del vero nella tua affermazione, ma forse anche loro quando andavano nelle piazze e nelle cattedrali del loro Rinascimento pensavano che non si vive di solo pane.
              Tra parentesi, come storico sono piuttosto ignorante, ma immagino che le ricchezze che hanno fatto risplendere Firenze, Venezia e Siena fossero più figlie dei commerci interplanetari promossi dalle rispettive signorie (e dalle banche più antiche del mondo) che non dai beni prodotti con l’agricoltura nelle povere campagne toscane o con la pesca in Laguna.

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                nikola 30 Dicembre 2014 at 18:19

                senza offesa, ma mettere sullo stesso piano calciatori strapagati e per lo più ignoranti e maleducati e musicisti ed artisti che “sono campati tutta la vita sulle spalle della comunità” (?) mi sembra un tantino ardito. se posso esprimere un parere personale io preferirei vivere in un paese pieno di arte e musica di qualità (anche se sovvenzionata dallo stato) che in uno dove le masse si mobilitano solo per la nazionale o la squadra del cuore mentre tutto tace quando gli scandali oramai sono all’ordine del giorno. forse il calcio, o qualsiasi cosa sia regolata dal mercato nudo e puro, manca un tantino di ‘cultura’, e quella, un Paese potrebbe permettersi di metterla in conto alla collettvità.

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    Tamerlano 29 Dicembre 2014 at 13:58

    Anche se in lieve ritardo sull’uscita del pezzo e dei commenti non posso che confermare che questo blog si merita tutti questi interessanti e concretissimi commenti. Un “grazie!” a tutti iniziando da Marramaquis.

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    Mongo 29 Dicembre 2014 at 16:12

    Oggi un ‘piccolo’ uomo della destra nazionale (leggasi centro), tale Brunetta, ha detto che l’odierna conferenza stampa del premier, ex scout, della sinistra nazionale (leggasi centro), tale Renzi, ha rappresentato il “vuoto cosmico”!
    Per la prima volta in vita mia sono dello stesso parere della destra; spero non sia grave. 😉
    Povera Italia, prevedo un’avvenire di lacrime, sangue e forconi!!

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      Marramaquìs 29 Dicembre 2014 at 19:14

      E’ raro ma può anche capitare, Ricky, che qualche volta non si sia dello stesso parere. Non sono mai stato d’accordo con Brunetta, non lo sono ora e non lo sarò probabilmente mai.
      Oggi ho seguito per intero la conferenza stampa di fine anno del premier (faticando, in quanto il premier non mi è troppo simpatico).
      Non entro nel merito dei problemi toccati, in quanto non è assolutamente questa la sede propria. Si può o non si può essere d’accordo con lui. Personalmente condivido alcune cose, altre di meno, altre per niente. Ma su queste ultime potrei sbagliare io.

      Però non ho visto il “vuoto cosmico”, ho visto una conferenza stampa seria.
      Non di quelle alla Berlusconi, il quale raccontava quattro barzellette ed era poi solito rimandare l’interlocutore ai suoi fidati ministri quasi su ogni materia (escluse le domande su Putin e sui giudici).
      Non di quelle di alcuni premier del passato che alle domande più insidiose facevano fronte con un foglietto di appunti preparati (spesso da altri) per arrangiare in qualche modo una risposta qualsiasi.
      Non di quelle attuali di Grillo, il quale semplicemente fa il comizio e si rifiuta, allergico al confronto qual è, di rispondere a tutti e su tutto (escluse le domande dei suoi amici).

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      alfredo 29 Dicembre 2014 at 19:24

      Beh , ha anche detto che Renzi gli ricorda Fidel per la durata dei suoi discorsi .
      Magari avessimo Fidel ! :mrgreen:

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        Mongo 29 Dicembre 2014 at 22:10

        Sul Fidel anni ’50 e primi anni ’60 mi trovi d’accordo con te.
        Il Fidel dopo 1966 mi piace un po’ meno; comunque non ha fatto poco tenendo conto dell’embargo e successiva caduta del regime sovietico, anche se alcune sue decisioni mi fanno, ancora oggi, storcere il naso.

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        paolo bagnoli 29 Dicembre 2014 at 23:44

        …soprattutto nei suoi rapporti (reali) con Guevara…

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          Mongo 30 Dicembre 2014 at 12:55

          Dai miei studi in materia, posso affermare che tra il Che e Fidel c’erano rapporti di fraterna amicizia, confermati dalla lettera di addio scritta dal Che, indirizzata a Fidel, prima della sua partenza per la ‘sfortunata’ impresa in terra africana, Congo (1965). Nel 1964, ad Algeri, durante una conferenza il Che rese nota la sua ‘antipatia’ verso l’URSS, che vendeva armi e beni, non di prima qualità, ai paesi africani in odore di rivoluzione, a prezzi salati anziché ‘donarli’ con spirito internazionalista. Questo incattivì i sovietici che chiesero a Fidel di tarpare le ali al Guevara o ci avrebbero pensato loro attraverso il KGB. La brutta fine che fece poi nel 1967 l’impresa boliviana del Che, grazie anche al mancato intervento di Cuba o dell’esercito cubano (impensabile; nota mia) si può spiegare dalla troppa dipendenza, sotto tutti i punti di vista, di Cuba verso l’Unione Sovietica.
          Molto illuminante, a tal proposito, è stato l’incontro della Fondazione Che Guevara, che organizzai 3 anni fa in Alessandria, sul tema dei rapporti tra il Che e Fidel, ripreso poi dall’interessantissimo libro di Antonio Moscato, uscito sul finire del 2013, dal titolo ‘Fidel e il Che’.

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            The dark side of the moon 30 Dicembre 2014 at 16:14

            Concordo in tutto caro Mongo: anche dai miei studi risulta più o meno quanto citi.

  23. avatar
    alfredo 30 Dicembre 2014 at 20:06

    Prendero’ il libro
    in quanto al Che siamo in gara su chi ha il Che piu’ bello tatuato !
    Nella discussione non intervengo … troppo stanco .
    A mio avviso anche il calcio e altri sport possano essere bellezza e cultura .
    Mi viene in mente il gol di Maradona all’Inghilterra , Il ko di Muhaned Ali’ contro Foreman , le scalate di Pantani .
    In quanto al figlio di Agnelli ne ho parlato attraverso una amica comune .
    Depressione . Malattia che non guarda il conto in banca
    E chi frequenta questo sito sa che ho visssuto una storia simile con un mio caro amico , forse la migliore promessa giovanile degli anni 70 negli scacchi .
    Per quanto riguarda uesto temo riagganciandomi al calcio vorrei esprimere tutto il mio disprezzo e disgusto per gli insulti rivolti a Pessotto , una delle persone piu’ colte educate e gentili nel mondo del calcio .
    E che so ama moltissimo la poesia della mia amica Alda

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      Giancarlo Castiglioni 30 Dicembre 2014 at 21:18

      Sul fatto che la depressione non si curi con il conto in banca siamo tutti d’accordo, esistono migliaia di casi che lo confermano.
      Mi interessava la tua opinione di medico sulla correlazione opposta, cioè che un cospicuo conto in banca favorisca l’insorgere della depressione.

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        alfredo 30 Dicembre 2014 at 22:23

        Che io sappia non ci siano studi in proposito se non quelli del Premio obel per l’Economia Daniel Kanheman che ha scritto diversi lavori su ” economia e felicità”
        Posso suggerire la lettura del libro
        Felicità ed economia
        Guerini ed Associati editori
        In questo libro un suo scritto ma altri penso possano essere trovati in rete .
        Alla presentazione del Libro ricordo che Kanheman disse che secondo lui per giudicare la qualità della vita di un popolo vale piu’ la felicità dei suoi componenti che il PIL o lo spread .
        Da giovane non avevo quasi nulla ma certo ero piu’ felice e non solo per l’età
        Certo che l’eccesso di danaro fa perdere il contatto , molto spesso , con la realtà .
        Comunque mi informero’
        Counque ci sono persone che hanno un rapporto patologico con la propria enorme ricchezza ( penso a Berlusconi) e altri che hanno un rapporto molto piu’ equilibrato ( penso a Bill Gates e alle sue numerose attività filantropiche)

  24. avatar
    Zenone 30 Dicembre 2014 at 21:16

    Vorrei placare, se possibile, il rischio del “muro contro muro” che mi sembra emerga nella discussione, come se ci fosse una Italia “buona”, che ama la cultura, e una Italia “cattiva”, che ama il calcio. Non credo sia così. Penso che in Italia si possa (si debba) parlare sia di cultura, magari con un po’ più di umiltà da parte degli intellettuali, rendendola realmente fruibile a tutti, e di calcio, magari considerandolo per quello che è, cioè un gioco, ma senza passare per portatori sani di stupidità.
    Ho sempre pensato che della Cultura di un popolo faccia parte ogni aspetto della vita del Paese: la storia, la letteratura, la musica, il teatro e l’arte in genere, ma anche la canzone popolare, i dialetti, la cucina, lo sport (tra cui, inevitabilmente, il calcio), le tradizioni…
    Ieri a Milano, hanno venduto al 50% del prezzo i biglietti del Teatro alla Scala per lo “Schiaccianoci”. Fila lunghissima e tutti i biglietti venduti nel giro di poche ore. Ebbene? Non è forse questa una cartina di tornasole del bisogno di cultura che c’è in Italia, spesso di competenze che non possono essere coltivate da parte di giovani e non, solo perché da noi la Cultura costa troppo (vale per la musica, per i libri, i musei…;) e quando viene data la possibilità di fruirne a prezzi abbordabili (l’iniziativa della Scala, ma anche i musei aperti gratuitamente una volta al mese, per esempio) le persone accorrono. E tra loro ci sono senz’altro amanti o tifosi del calcio o di altri sport.
    Scusate lo sfogo, ma sono convinto – fatto salvo il diritto di ogni autore (o esecutore in caso di musica, cinema, teatro ecc.) ad avere un compenso adeguato per le proprie opere – che la cultura debba essere disponibile a prezzi più bassi (compresi gli stadi per le partite di calcio, i palazzetti per la pallavolo e pallacanestro…;) perché più persone possano avvicinarsi: lavorare sulla quantità per godere tutti della qualità credo che sia la politica giusta.
    Certo, questo farà storcere il naso sia a chi ritiene la cultura una questione per pochi, per eletti, e a chi ha tutto l’interesse che negli stadi non vadano le famiglie, i ragazzi che non hanno voglia di offendersi o picchiarsi, ma solo così, con questa splendida utopia che diventa realtà, si potranno far crescere i ragazzi con la cultura della Cultura, con il rispetto degli altri e, con il tempo, tutto il resto si ridimensionerà.
    Siamo in un blog dove la Cultura, anche non scacchistica, viene fornita a costo zero, dove ognuno di coloro che collaborano e dirigono il sito regalano le loro idee, competenze, opinioni agli altri, dove ogni idea, se espressa in modo realmente costruttivo, è accettata e produce pensiero.
    “Si…può…fareeee” (scusate la citazione, ma ci vuole per stemperare 😉 )

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