Auto da fé

Scritto da:  | 17 Gennaio 2010 | Categoria: Stranieri, Zibaldone

“Sale fino al sesto piano, sorveglia il fuoco e aspetta. Quando finalmente le fiamme lo raggiungono ride forte, come non ha mai riso in tutta la sua vita.” [Elias Canetti, “Auto da fé”]


Non si può non cominciare dalla fine. L’esilio  in un’isola distante, l’Islanda come Sant’Elena, a fare i conti coi fantasmi del passato, nella solitudine più assoluta, finché non arriva il giorno in cui tutto scompare con una morte insensata che sa di condanna. Sbigottiti, vorremmo dire percossi e attoniti, due anni fa abbiamo appreso la notizia. Senza fare in tempo a chiederci perché, il carosello degli epitaffi aveva già cominciato a ruotare in una ridda di illazioni e maldicenze, tra cacciatori di scandali e tuttologi del nulla, pronti a recitare un rosario di idiozie, impigliate nelle maglie della rete che tutto raccatta e nulla trattiene. Bobby Fischer era morto. Prima che il gallo avesse cantato tre volte, la mattina del 18 gennaio 2008 migliaia di fischeriani in punta di dita tradivano un uomo che dicevano morto da oltre un ventennio, bruciavano in piazza il ricordo, calpestavano ogni memoria recente. Bobby Fischer era morto. Anche noi, noi che siamo nati dopo l’atomica di Reykjavik, noi che non conosciamo a memoria 60 Memorables Games, anche noi avremmo voluto dire la nostra, perché forse non era andata così, perché forse c’era ancora qualcosa da capire… Ma abbiamo taciuto, preferito il silenzio. Non sappiamo cosa mai avesse visto Bobby Fischer dal tetto del mondo, non possiamo sapere quali abissi avessero scosso la vertigine, non sapremo mai quale destino avesse scelto per sé il grande campione. Il mistero resta sepolto là, in terra d’Islanda, ad un oceano da noi.


avatar Scritto da: Riccardo Del Dotto (Qui gli altri suoi articoli)


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3 Commenti a Auto da fé

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    cserica 17 Gennaio 2010 at 09:13

    Fischerle s’interruppe prima del successivo «lui» e sedette. Era
    soddisfatto del proprio successo. Rientrò nella gobba e chiese con
    infinita umiltà: «Lei gioca a scacchi?», Kien espresse il suo
    rincrescimento.
    «Un uomo che non gioca a scacchi non è un uomo. Dagli scacchi si
    vede se uno ha del cervello, dico io. Uno può esser alto quattro
    metri ma deve giocare a scacchi, sennò è uno scimunito. Io so giocare
    a scacchi. Mica sono uno scimunito, io. Ora le faccio una domanda: se
    vuole mi risponda, se non vuole non mi risponda. Perché un uomo ha
    una testa? Glielo dico io, sennò lei ci si rompe la sua e sarebbe un
    peccato. Un uomo ha una testa per giocare a scacchi. Mi capisce? Se
    dice di sì siamo a posto. Se dice di no glielo dico un’altra volta,
    ma solo perché è lei. Io ho un debole per il ramo librario. Le faccio
    notare che ho imparato tutto da solo, mica dai libri. Chi crede che
    sia, lei, il campione di questo locale? Scommetto che non ci arriva.
    Glielo dirò io. Il campione si chiama Fischerle e siede a questo
    tavolo.
    [Elias Canetti, “Auto da fé”]

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    Jazztrain 17 Gennaio 2010 at 10:17

    Caspita, Auto da Fè, un libro che lessi quando avevo 15 anni, indimenticabile il ritratto del nano Fischerle che voleva battere Capablanca.

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    cserica 17 Gennaio 2010 at 12:25

    E’ da specificare che “Autodafè” fu scritto da Canetti nel 1935, quindi 8 anni prima della nascita di Fischer, curiosa coincidenza…….

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