C’è Raffaele Viviani.
Colui che sta alla poesia come Murillo o Caravaggio stanno alla pittura: questo mondo dei marginali, degli eroi quotidiani. Dei piccoli e dei semplici.
Mia nonna viveva al quarto piano di un rispettabilissimo condominio, che da un lato affacciava su una bella strada e dall’altro su un reticolo di vicoli.
E lì abitava in un basso una donna giovanissima, che per me era una vecchia. Aveva venticinque anni e sei figli, un marito che entrava e usciva da Poggioreale, bellissimo. Arrivava con un macchinone e un cappotto dal collo di pelliccia. L’aria nel vicolo si fermava, i bambini entravano in macchina e gli smontavano tutto, gli saltavano addosso. Poi le porte del basso si chiudevano e quando si riaprivano lei era di nuovo incinta.
Mia nonna le portava calze e biancheria per i bambini e io la seguivo. La donna ringraziava e piangeva. E mi faceva una carezza sui capelli, con timore e reverenza.
Poi un giorno lui cominciò a portare in casa altre donne, ne ricordo una vistosa, con pelliccia e capelli biondi.
Fino a che lei perse la pazienza, la prese per i capelli e la trascinò per tutto il vicolo.
Lui la picchiò, davanti a tutti, per punirla dell’affronto.
Nessuno che muovesse un dito.
Perché l’ommo è ommo.
E ‘a femmena adda fà ‘a femmena. Addà suppurtà…
Grazie Martin per questi quadri tragici e suggestivi di una Napoli senza tempo.
Leggendo e ascoltando la musica ho visto nella mia mente il tuo film, Martin.
Caro Martin, sono stati quattro minuti incantevoli. Conoscevo, ovviamente, Viviani, conosco pochissimo Napoli (qualche fugace soggiorno per lavoro parecchi anni fa), ma tu mi hai regalato QUESTA Napoli.
Grazie.