il Che vuole vederti

Scritto da:  | 20 Luglio 2015 | 39 Commenti | Categoria: Cultura e dintorni, Libri, Personaggi, Recensioni, Scacchi e letteratura, Stranieri

cheinsimultaneaQuante volte ho sognato che Manuel ‘Barba Roja’ Pineiro Losada, luogotenente di Ernesto ‘Che’ Guevara e capo dell’intelligence dell’Ejercito Rebelde, mi buttava giù dalla mia branda dicendomi: “Ehi Mongo, il Che vuole vederti!”…. Forse troppe, ma qui non voglio raccontarvi di un sogno o meglio, si vi racconterò di un  sogno che si è realizzato.

Circa due anni fa telefonai al mio amico editore Roberto Massari (i migliori editori si chiamano tutti Roberto – vero Direttore?!) e gli domandai se era a conoscenza di un libro che parlasse della guerriglia di Masetti in quel di Salta (continuate nella lettura e scoprirete chi è Masetti; NdA).                                                    originale

Massari mi rispose che di libri sui fatti di Salta non ce ne erano molti in giro, ma aggiunse che era a conoscenza di un ottimo libro di Ciro Bustos che raccontava i fatti di Salta da dentro e poi anche la tragedia del gruppo di Ñancahuazú: “El Che quiere verte”.

Mi misi subito alla ricerca del libro e quando ormai stavo per desistere  capitai così quasi per caso sul sito di una libreria di New York e guardando l’elenco dei libri in vendita lo trovai e subito lo ordinai.

Appena mi arrivò, presi qualche giorno di ferie per dedicarmi alla sua lettura, ma il mio spagnolo è quello che è ed il libro poi risultava ricco di espressioni idiomatiche e alcuni argentinismi che si usano solo nella zona natia dell’autore.

Tramite una collega della mia compagna trovai una ragazza argentina che si offrì di tradurmi il libro, ma chiese una cifra folle senza neanche conoscere poi così bene l’italiano.

Sull’orlo della disperazione mi venne in mente una pazza idea: telefonai a Roberto e gli chiesi se era interessato a far uscire il libro in italiano, dividendoci le spese per la traduzione e la stampa. Fu entusiasta dell’idea e dopo aver ottenuto il consenso di Bustos, mise subito sotto torchio la sua traduttrice di fiducia, Antonella Marazzi, che non senza qualche difficoltà riuscì a portare a termine l’arduo lavoro.

In anteprima planetaria ho il piacere di presentarvi una pagina del libro dove Bustos, l’autore, parla di un certo Najdorf, il ‘nostro’ Najdorf.

separator4Una sera ci fu un’esibizione di scacchi alla cieca da parte di un maestro argentino, campione mondiale della specialità, Miguel Najdorf. Mi ricordavo di un fugace incontro con Najdorf a Buenos Aires, nel quale quasi non avevamo scambiato parola, ma molti cenni con le sopracciglia. Io ero seduto a leggere un libro in un autobus della linea più rappresentativa per i porteños, il 60, che come al solito era in ritardo e pieno di gente. Salì una coppia di una certa età, entrambi grassocci, lui con impermeabile e berretto di panno a quadri, con una vaga aria da Neruda, e poiché ero in buone condizioni fisiche per stare in piedi su un autobus come il 60, mi alzai e offrii il sedile alla signora, rimanendo accanto all’uomo e afferrandomi a una maniglia penzolante, mentre cercavo di continuare la lettura. D’un tratto sentii che si alludeva a me e tesi le orecchie. L’uomo stava facendo un’analisi psicologica dei passeggeri dell’autobus, cominciando a spiegare a sua moglie che io ero un prototipo del viaggiatore porteño, che si sente derubato se sta senza far niente nella mezz’ora di viaggio e che, pertanto, legge; gli altri, invece, guardano fuori del finestrino, si guardano tra loro e guardano nel vuoto, nel vuoto interiore che li riempie. La moglie lo richiama per dirgli che alcuni pensano o sognano. Lo guardo e lo riconosco dalle fotografie. È Najdorf.

Polacco di nascita, era membro di una famiglia ebrea scomparsa nei campi di sterminio nazisti. Un torneo di scacchi fuori dalla Polonia, a Buenos Aires, lo mise in salvo e finì rifugiato in Argentina. Al termine della guerra non restava alcun membro sopravvissuto della sua famiglia, nessuna traccia, e neppure parenti o vicini. Persino il suo paese o quartiere natale erano scomparsi. Durante il genocidio, gli ebrei avevano mostrato una notevole incredulità rispetto a ciò che stava loro accadendo, che accadesse proprio a loro, protetti dal Dio più potente della cosmogonia. Questa incredulità trasformata in speranza, portò Najdorf alla decisione di cercare ciò che restava della sua famiglia, compito quasi impossibile, tenuto conto della tremenda disorganizzazione amministrativa, sommata alla divisione politica successiva alla fine della guerra. Le ricerche tramite l’Organizzazione delle nazioni unite, la Croce rossa internazionale ecc, furono vane. Con uno sforzo di volontà superiore alla solitudine che lo opprimeva, Najdorf capiì che avrebbe potuto raggiungere qualche risultato solo contando sugli scacchi come leva capace di spezzare l’anonimato. Si ripropose di costruirsi una reputazione internazionale affinché fossero i suoi parenti a ritrovarlo. Dedicò tutti gli sforzi a sviluppare un talento speciale che lo distinse sin da piccolo: le partite simultanee. Ma non contento di questo, alzò la sua meta al massimo livello: le partite sumultanee alla cieca. In pochi anni arrivò detenere il record mondiale nella specialità, raggiunse il riconoscimento internazionale e qualche parente sopravvissuto gli raccontò la sorte subìta dai suoi genitori e da altri famigliari nei forni nazisti.

In un grande salone del pianterreno avevano isolato un settore con dei cordoni, dove c’erano varie file di tavoli separati da ampi corridoi. Da una parte, gli sfidanti seduti; nel corridoio, con gli occhi coperti da una benda nera, Najdorf, accompagnato da una guida che gli avvicinava una sedia al fianco nel caso volesse sedersi. La guida diceva il numero del tavolo, si faceva silenzio intorno, lo sfidante svelava la sua ultima mossa. Najdorf, concentrato, ripeteva a mezza voce la sequenza delle mosse già fatte e dava la sua risposta che la guida effettuava. Il pubblico sospirava e gemeva, mentre il maestro si metteva di fronte al successivo dei trenta o quaranta sfidanti – il suo record era di 54 partite – e si stava ripetendo il miracolo. All’estremità del secondo tavolo, concentrato nel proprio gioco, stava partecipando il Che. Era la seconda volta che lo vedevo.

Una settimana prima, avevo letto su Revolución che ci sarebbe stata una cerimonia per celebrare la Guerra civile spagnola al Centro Gallego, alla quale avrebbero partecipato il Che e il generale Líster, una delle figure simbolo della Repubblica spagnola. In un angolo del Parco centrale, un edificio dall’architettura barocca era la sede del Centro dove si teneva la cerimonia. La gente già si stava accalcando all’entrata. Il locale era abbastanza stretto: una sala ampia, come una galleria interna, con file di sedie occupate e gente in piedi contro le pareti nel corridoio centrale e nell’entrata, seduta sopra gli stipiti della finestra aperta. Le eliche dei ventilatori pendenti dal soffitto cercavano di rinnovare l’aria ed era come se rimestassero il brodo in cui cuocevano gli spettatori.

Líster fece una rievocazione della milizia popolare, dell’ufficio dirigente dei comunisti spagnoli, della presenza delle brigate internazionali, dell’appoggio dell’Urss. Il Che ricordò l’atmosfera famigliare durante la propria infanzia, intorno a un apparecchio radio, mentre ascoltavano le notizie della Guerra civile spagnola, e come un sentimento di tragedia li addolorasse personalmente, insieme a tutti gli argentini e agli altri latinoamericani discendenti o meno dagli spagnoli. Ribadì la sua fiducia nel fatto che la lotta popolare è invincibile se la direzione esprime lo stesso livello d’impegno, sacrificio, unità, su alcune caratteristiche ideologiche, e terminò parafrasando una poesia di Antonio Machado e offrendo a Líster la propria pistola, nell’ipotesi che questa volontà di trionfare sul franchismo lo avesse indotto un’altra volta alla lotta armata. Il discorso del Che non era stato demagogico. Non aveva avuto alcuna intenzione di uniformarsi a nessuno, né di raccogliere applausi. Aveva parlato per dire cose in cui credeva o che, almeno, sognava.

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Qui nell’albergo, però, giocava al tavolo con grandissima applicazione, prendendo appunti su un taccuino dopo ogni mossa. In un’uniforme da campo abbastanza consunta, la camicia fuori dai pantaloni, stretta dal cinturone che sosteneva la pistola sul fianco destro e un paio di riviste su quello sinistro, i taschini della camicia pieni di carte, sigari e matite, gli stivali consumati, color terra, e il basco sul pavimento, tra le gambe della sedia. Una signora che, come tutto un gruppo accalcato di fronte a lui non osservava lo sviluppo del gioco, ma la sua figura, passò sotto al cordone in uno slancio di audacia – o per mancanza di controllo da parte della scorta che non si vedeva da nessuna parte – si chinò vicino a lui e raccolse il basco da terra consegnandoglielo gentilmente. Il Che, sorpreso, ma cortese, la ringraziò e qualche istante dopo, guardando con la coda dell’occhio verso il pubblico, depositò nuovamente il basco a terra. La partita terminò con le aspirazioni della maggioranza naufragate in un marea di sconfitte e alcuni pareggi: tra gli altri quello della partita disputata con il Che. In queste battaglie, lo stratega era Najdorf. …

il chevuolevederti facciataLe vicende tragiche della guerriglia di Ricardo Masetti nel Nord dell’Argentina (1963-64), sono uno dei misteri più affascinanti nel mondo di chi si interessa al Che e alle esperienze guerrigliere dell’America latina. Per alcuni, un santo fondatore di Prensa latina; per altri, un antisemita paranoico: la figura di Masetti continua a dividere fortemente le opinioni. Bustos, che di quella guerriglia ha fatto parte sin dall’inizio (riuscendo a non morire alla fine), ci racconta l’intera vicenda dall’interno. La fa per la prima volta, con passione e con voce autorevole.

Il suo prestigio deriva anche dal fatto che il Che lo volle con sé nella guerriglia in Bolivia, dove Bustos fu catturato insieme a Debray, condannato a 30 anni e poi amnistiato nel 1970. Da allora vive esiliato in Svezia.

Anche per la vicenda boliviana, Bustos si è trasformato in un testimone preziosissimo della vita interna al gruppo guerrigliero del Che. Si tenga conto che finora avevamo solo pagine di diari, limitate per natura e sottoposte a cautele per ovvi motivi. Oppure le fantasiose ricostruzioni manovrate e interessate dell’ex guerrigliero Benigno. Bustos riesce invece a darci un ritratto vivo del Che guerrigliero e del suo rapporto col gruppo boliviano, fuori dagli schemi e dalle ricostruzioni di comodo (siano esse apologetico-propagandistiche oppure diffamatrici).

Un libro appassionante, che si legge anche come un romanzo di avventure, pur avendo le caratteristiche di un saggio rigoroso. Avvincente anche per chi non sa nulla della questione Guevara, di Masetti e guerriglierismi vari.

Un libro ricco di note e con un imponente indice dei nomi, di prossima pubblicazione presso Massari editore, collana “guevara”.

ilchevuoloevederti tutto P.S. A Proposito della foto di copertina (la celebre fotografia del “Guerrillero Heroico”, scattata il 6 marzo 1960 dal fotografo Alberto Korda e da questi regalata all’editore italiano Giangiacomo Feltrinelli, è diventata una delle immagini più famose del XX secolo, tanto da essere considerata la più riprodotta in assoluto nella storia della fotografia. Meno nota è la circostanza dello scatto: i funerali di 81 cubani morti durante un attentato terrorista finanziato e appoggiato dagli anticastristi e dalla CIA.), la celebre foto di Korda gira per il mondo da sempre priva del suo lato sinistro. Per questo nessuno aveva mai riconosciuto il profilo di Masetti, neanche Korda. È stato l’editore Massari che, al termine di una verifica internazionale, ha definitivamente stabilito che  si tratta proprio di Masetti.

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39 Commenti a il Che vuole vederti

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    Ramon 20 Luglio 2015 at 08:17

    Emozionantissimo…

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    Giancarlo Castiglioni 20 Luglio 2015 at 09:26

    Dove si scrive “Campionato del mondo di simultanee alla cieca” si intendeva “Record del mondo”, sicuramente un errore di traduzione.
    Anche Canal giocava simultanee alla cieca, credo sia arrivato a 12.
    Diceva che il difficile era arrivare a giocarne 4, poi aumentarne il numero veniva naturale.
    Canal ci raccontò che era stato lui ad inventare le simultanee alla cieca.
    Non garantisco sia tutto vero, ma la storia è verosimile e narrata da lui affascinante.
    Negli anni ’30 si trovava in una città che non conosceva con pochi soldi in tasca.
    Per raggranellare qualcosa andò al circolo locale di scacchi e propose di fare una simultanea.
    Il direttore del circolo gli rispose che non era interessato perchè un altro maestro di passaggio ne aveva tenuta una pochi giorni prima.
    Canal si vide perduto, doveva inventare qualcosa per convincerlo e allora disse d’impulso “Ma io la gioco alla cieca!”, naturalmente senza averlo mai fatto prima.
    Tutti furono molto stupiti e meravigliati, prima che lo proponesse Canal non credevano che la cosa fosse possibile e naturalmente organizzarono subito la simultanea.
    Inutile aggiungere che Canal se la cavò egregiamente.

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      Jas Fasola 20 Luglio 2015 at 10:08

      Un paio di settimane fa un giovane scacchista polacco (elo 2037) mi ha raccontato che, seguendo il consiglio del suo istruttore, il GM Socko, gioca anche alla cieca. Ha anche tenuto qualche simultanea, quelle “difficili”, fino a 4 partite!

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      Mongo 20 Luglio 2015 at 23:30

      @Giancarlo Castiglioni: Grazie della puntualizzazione.
      Però non c’è alcun errore di traduzione perché Bustos scrive: “…ganó el campionato del mundo en la espicialidad…”.
      E’ probabile che Bustos non ne sapesse molto di scacchi, ma comunque ho suggerito a Roberto di correggere la frase o di aggiungere una nota per precisare la cosa.

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        fds 21 Luglio 2015 at 11:35

        Correggere no, perché un traduttore (o chi per esso) non deve modificare in alcun modo il testo originario, errori compresi. La nota è opportuna.

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    Enrico Cecchelli 21 Luglio 2015 at 11:06

    Complimenti . Bellissimo pezzo di cultura storico-scacchistica

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    Luca Monti 21 Luglio 2015 at 18:50

    Bravo Mongo.Vorrei chiederti se vi sia stato un momento preciso nella tua vita che causò l’innamoramento per il tuo idolo o se questo fu il risultato di un percorso più lungo ed articolato.

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      Mongo 21 Luglio 2015 at 23:05

      @Luca Monti: il tutto iniziò nell’estate del 1989 quando venni in possesso del libro contenente il diario del Che Guevara in Bolivia. Dopo averlo letto mi posi questa domanda: Perché un cubano (ancora non sapevo che in realtà era un argentino) è andato a fare una guerra di guerriglia, che lo portò alla morte, in Bolivia. Da qui iniziò il mio studio su quest’Uomo che mi fece scoprire molte cose che non conoscevo: la sua nazionalità, i suoi viaggi adolescenziali, la sua asma, il suo periodo messicano, le scalate quasi impossibili su un vulcano, Hilda (conosciuta però in Guatemala, un po’ prima di giungere in Messico)e Hildita, Fidel, la rivoluzione cubana, Aleida e gli atri figli, il periodo passato come ministro e come presidente della banca nazionale di Cuba, la guerra di guerriglia in Africa, la Cecoslovacchia e la tragedia Boliviana. Insomma mi sono letteralmente ‘innamorato’ di quell’Uomo che diceva sempre ciò che pensava e che, soprattutto, faceva tutto ciò che diceva.

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        Giancarlo Castiglioni 24 Luglio 2015 at 23:37

        Mi sono documentato su Guevara, sicuramente una personalità notevole, capisco la tua ammirazione per lui.
        Ma ti chiedevo qual’è il tuo giudizio politico.
        Sono passati quasi 50 anni dalla sua morte.
        Quali sono le conseguenze?

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          Mongo 25 Luglio 2015 at 13:04

          Il mio giudizio politico sul Che è assolutamente positivo; certamente ha fatto degli errori, rilevarli posteriormente è troppo facile, come la fiducia incondizionata verso l’URSS (pian piano riveduta, corretta e poi aspramente criticata [discorso di Algeri del febbraio 1965] dal Che; ah se solo avesse letto Trotsky prima); la crisi dei missili (ma qui ora è troppo facile giudicare, all’epoca dei fatti la situazione era un po’ differente); qualche decisione presa come ministro dell’industria si rilevarono poi, e sottolineo il poi, errate.
          Rimane la sua grandissima onestà, nonostante i mille incarichi che ricopriva il Che volle sempre percepire solo uno stipendio, quello di comandante, che tra l’altro era inferiore rispetto agli altri.
          Tra i numerosi aneddoti riguardanti la sua figura di ministro spicca questo: un giorno il Che andò a fare una visita in una fabbrica di biciclette, con lui oltre a vari collaboratori c’era una delle sue figlie. Finita la giornata il Che vide la figlia su una bicicletta e saputo che era un regalo del direttore della fabbrica si infuriò, fece restituire la bicicletta e fece una bella romanzina al direttore che aveva regalato una bicicletta che apparteneva al popolo cubano alla figlia di un dirigente che avrebbe benissimo potuto comprarsela.
          Purtroppo il Che è morto troppo giovane; sono sicuro che se fosse sopravvissuto alla Bolivia, il mondo oggi sarebbe migliore.

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            Giancarlo Castiglioni 26 Luglio 2015 at 08:51

            La storia si fa sempre a posteriori.
            Si può valutare se le decisioni di un uomo di stato abbiano ottenuto lo scopo voluto o si siano rivelate sbagliate.
            Mi interessava il tuo giudizio politico sugli ultimi anni di Guevara, la decisione di dedicarsi alla guerriglia prima in Africa e poi in Bolivia.

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              Mongo 2 Ottobre 2015 at 10:59

              @Giancarlo Castiglioni: scusa, mi ero dimenticato di doverti ancora una risposta…
              Il Congo e la Bolivia, missioni fallimentari, rientrano nell’internazionalismo del pensiero del Che.
              In Congo il Che ci andò, spinto anche da ciò che fece Lumumba, come ‘tappa’ preparatoria per l’operazione che aveva in mente: la liberazione del Sud America, in primis l’Argentina, dall’imperialismo yankee.
              In Africa le cose non andarono poi a buon fine soprattutto per grossi demeriti dei dirigenti locali, nei quali il nostro aveva concesso una fiducia smisurata; l’altro errore lo fece Fidel, rendendo pubblica la lettera di addio scrittagli mesi prima dal Che.
              Il fallimento boliviano è, invece, imputabile oltre che ai tradimenti di Monje (dirigente del partito comunista boliviano che spifferò tutto ai sovietici, che dopo il discorso di Algeri del ’64 vedevano il Che con il fumo negli occhi) e della coppia Debray-Bustos (più il primo che il secondo), anche all’isolamento in cui i guerriglieri si trovarono ad operare (e bene ricordare che però erano lì in Bolivia solo per prepararsi alla vera Rivoluzione prima in Argentina e poi nel resto del continente sud americano).

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                Giancarlo Castiglioni 2 Ottobre 2015 at 16:35

                @ Mongo
                Anche tu definisci le due missioni un fallimento.
                Non esistevano le condizioni per un successo dell’azione rivoluzionaria.
                Mi sembra strano che il Che non se ne sia reso conto.
                Due interpretazioni:
                – Che abbia voluto proseguire ad ogni costo da rivoluzionario marxista duro e puro.
                – Che abbia voluto consapevolmente cercare la bella morte da eroe romantico.
                Le pulsioni suicide sono tipiche di personalità simili al Che, anche se raramente vengono attuate; ne ho avuto esempi anche tra giocatori di scacchi.
                Due interpretazioni opposte, ma plausibili.
                Forse sono entrambe vere.

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                  Mongo 3 Ottobre 2015 at 00:21

                  @Giancarlo Castiglioni: Lo stesso Guevara definì fallimentare la spedizione in Congo, tanto è che cadde in un periodo di ‘morale basso’ accompagnato da un peggioramento della propria salute e dovette fermarsi prima in Tanzania e poi in Cecoslovacchia per ‘curarsi’.
                  Anche in Bolivia, negli ultimi mesi, scrisse sul diario che senza l’appoggio della popolazione, in primis i pochi campesinos incontrati strada facendo, la guerriglia avrebbe avuto vita breve e lì purtroppo mancarono le vie di ‘fuga’ per un ritorno in patria. I 5 sopravvissuti (2 boliviani e 3 cubani) riuscirono, dopo una lunga e spericolata ritirata, ad uscire dal paese e a rifugiarsi in Cile da dove Allende li aiutò poi a ritornare a Cuba.

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          DURRENMATT 25 Luglio 2015 at 18:32

          …la figura del Che è ancora tutta da decifrare.Come accadde in Italia per gli scritti di Gramsci “rivisti” da Togliatti così Castro dopo la morte del Che si impegnò nel cancellare discussioni e polemiche durissime(es. la polemica sull’Urss) sigillando in un baule tutto quello che poteva smentire la sua ricostruzione dei fatti.All’opera ha collaborato attivamente il “centro Guevara”,l’istituto cubano gestito prima dalla seconda moglie del “Che” e poi dalla figlia maggiore Aleida,pubblicando tra i numerosissimi inediti solo e soltanto ciò che il “lìder maximo”riteneva opportuno,di volta in volta,pubblicare. Così, è ovvio, sono rimasti nei cassetti non solo tutti gli scritti anti-sovietici del Che ma anche molti dei suoi diari.Come ricorda chi lo conobbe da vicino Ernesto Guevara era un vero “grafomane” che ogni giorno prendeva appunti,esprimeva giudizi,spesso sferzanti su coloro che incontrava(un vero e proprio “troll” a piede libero si direbbe oggi)e archiviava bozze di pensieri e programmi politici.Negli anni una parte di questo materiale è uscito da Cuba.Spesso,come nel caso del diario dal Congo, senza il visto buono della famiglia e di Castro.Ma senza che nessuno abbia potuto studiare,catalogare ed esaminare con la necessaria libertà il suo “testamento” intellettuale e politico.

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            Mongo 25 Luglio 2015 at 23:05

            @DURRENMATT: Quello che dici è vero, purtroppo. Il Che era contrario alla ‘privatizzazione’ dei suoi scritti, non così i suoi eredi che vendettero i diritti alla Ocean Press che per l’Italia li vendette alla Mondadori (Berlusconi). Quest’ultima ha pubblicato solo 3 libri, già noti, con traduzioni non ottimali e con edizioni senza note e prive dell’indie dei nomi.
            Contro questo, da anni, lotta la ‘Fondazione Ernesto Che Guevara’, presieduta da Roberto Massari, della quale mi onoro di farne parte.

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              DURRENMATT 26 Luglio 2015 at 18:40

              …visto che sei ben introdotto avrei un quesito/curiosità:il giorno dell’arresto del Che a Valleverde in tasca gli fu trovato un foglio con una lunga sequenza casuale di numeri,senza alcun ordine apparente. Come lo stesso Che racconta nel Diario di Bolivia,la sequenza gli serviva per codificare i messaggi scambiati con Castro secondo il classico metodo Vernam.Sai qualcosa di più in proposito?

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                alfredo 28 Luglio 2015 at 13:12

                ran pezzo Mongo
                Per Dürrenmatt : sull’argomento specificoc’è un pezz di Piergiorgio Odifreddi ” la critografia del che” pubblicato in una sua raccolta ( mi sembra ” il matematico impertinente” )

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                  DURRENMATT 29 Luglio 2015 at 11:16

                  …infatti la mia fonte è quella da te citata(il mio post è in realtà un virgolettato). Ma sull’argomento c’è poco in circolazione…credo.

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      silviamarchi.86 22 Luglio 2015 at 10:16

      mi associo al complimento x Mongo!!.. ps Sopiko sè sposata! on.fb.me/1gJJWz3

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    The dark side of the moon 23 Luglio 2015 at 22:26

    Leggo solo ora questo bellissimo pezzo del Mongo.
    La figura leggendaria del Che è diventata l’icona che in tempi bui ridà lustro al genere umano.
    Non esiste manifestazione su qualsiasi diritto dove non vi siano bandiere del Che.
    Purtroppo però ci sono molte persone cresciute tra pregiudizio ed ipocrisia che non hanno quella cultura necessaria per capire lo spirito e la forza che sprigiona la foto del Korda; questo mi rattrista parecchio.
    Vorrei dire a questa gente di provate a mettersi di fronte alla foto del Che e di osservarla per qualche minuto.
    -Se non provate niente siete già morti dentro-.
    @ Mongo:
    Sai più o meno quando esce il libro?
    Di Roberto Massari ho già “Ernesto Che Guevara uomo, compagno, amico…” e sicuramente qualche altro libro che ora non trovo.
    Su Bustos (ma anche e soprattutto su Debray) lessi tempo fa tesi infamanti riguardo la parentesi boliviana.
    Cosa ne pensi?

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      Mongo 24 Luglio 2015 at 18:46

      @The dark side of the moon: L’uscita del libro è programmata per quest’autunno e se ci riusciamo la data ideale sarebbe il 9 ottobre. 😎
      Un libro assolutamente da leggere, scritto dal Massari, è ‘Che Guevara: pensiero e politica dell’utopia’.
      Debray non mi è mai piaciuto; credo sia lui il ‘traditore’. Sto leggendo alcuni suoi vecchi libri sulla sua esperienza boliviana, ma sono molto complicati e assai dispersivi.
      Bustos è vero che disegnò una serie di volti dicendo che rappresentavano i suoi compagni, ma lo fece dopo torture fisiche e psichiche (gli fecero minacce di morte contro la moglie ed i figli); fu a causa di quei disegni che gli venne affibbiato il titolo di traditore e dopo l’amnistia fu costretto ad auto-esiliarsi nei paesi scandinavi per sfuggire a qualche vendetta (‘Sacrificio’, libro con dvd, assolutamente da leggere). Visto l’esito delle due guerriglie a cui ha preso parte (in Bolivia però fu solo uno dei Visitatori), scaramanticamente non lo porterei con me per una nuova guerra di guerriglia. 😉

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    DURRENMATT 24 Luglio 2015 at 15:26

    …estate 2009 ero in quel di Caprera e decido di fare un salto a Porto Cervo(luogo orribile).Vedo ormeggiato in porto uno yacht enorme con alla prua la foto del Korda stilizzata in ORO(compreso il famoso “Hasta la victoria siempre!”;)…dopo l’incazzatura (trattenuta a stento)riversata sui “proprietari” che pranzavano amabilmente mi sono chiesto:i giovani d’oggi possono ancora tifare per LUI dopo che questa celeberrima icona giovanile degli anni ’60-’70 è stata radicalmente decostruita dall’industria culturale, perdendo tutti quei pesanti connotati ideologici che la caratterizzavano originariamente? Un potente simbolo della rivoluzione è diventato qualcosa di innocuo che rievoca solo i bei tempi andati….un’icona che spingeva all’azione individuale trasformata in nostalgica icona “sexy” che ricorda l’immobilità della nostra epoca.Il “Guerrillero Heroico” simbolo dei “moderati” e della inanizione…questo è insopportabile!!

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      fds 24 Luglio 2015 at 15:57

      Forse c’entra nulla con il tuo rammarico, ma mi hai fatto venire in mente un nuovo torneo di scacchi previsto per i primi di ottobre a Capri. Qui:
      http://www.clubscacchicapri.it/ puoi prendere visione del bando e vedere a chi è intitolato. Ovviamente il motivo storico c’è. Lo segnalo come curiosità che mi ha colpito non poco.

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        Mongo 24 Luglio 2015 at 18:27

        Senza aver guardato il bando, scommetto che è intitolato ad un certo Vladimiro 😉
        Anni fa era uscito un libro di Pinardi ‘Viaggio a Capri’ che raccontava le avventure di Lenin a Capri, tra partite a scacchi nella villa di Gorky, un omicidio e le sue corse dietro la sottana della figlia di un ricco banchiere.

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      The dark side of the moon 24 Luglio 2015 at 22:02

      Hai pienamente ragione.
      E’ proprio per questo motivo che da almeno 20 anni non metto più la maglietta del Che.
      Purtroppo come giustamente affermi, quell’immagine “è stata radicalmente decostruita dall’industria culturale, perdendo tutti quei pesanti connotati ideologici che la caratterizzavano originariamente”.

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        The dark side of the moon 24 Luglio 2015 at 22:03

        Rispondevo al post di DURRENMATT 😉

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        Doroteo Arango 26 Luglio 2015 at 13:29

        Io quella maglietta la metto sempre e ne vado molto fiero!

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    The dark side of the moon 26 Luglio 2015 at 21:29

    Bisognerebbe tornare a studiare la storia, i ragazzi di oggi sono ignoranti e menefreghisti.
    “Guarda quelli lì con la maglietta del Che!”
    “E’ comunista…”
    “Con tutto quello che ha combinato il comunismo ancora ci sono comunisti in giro”.
    I giovani purtroppo non hanno più una cultura critica e quasi sempre sono manipolati dai mass media che hanno fatto di loro dei perfetti imbecilli.
    Chi non sta dietro la logica del profitto è uno sfigato emarginato che sceglie (quasi sempre) di tenersi le proprie idee senza lottare affinché queste diventino cultura dominante.
    A questo scenario mettiamoci pure il fatto che almeno 3 giovani su 4 fanno uso di sostanze stupefacenti (di ogni tipo) o abuso di alcolici.
    Gente che arriva ai 30 anni (se c’arriva) col cervello bruciato: la futura classe dirigente.
    Doroteo, con la maglietta del Che oggi rischi di passare per un extraterrestre o, come letto dal post di Durrematt, un radical chic del cavolo che è pure peggio.
    Se metto la maglietta del Che vorrei che chi la vedesse fosse in grado di ragionare, preferisco 100 volte un tipo non d’accordo con le mie idee che un demente col quale non puoi neanche discutere.

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    Galeazzo 27 Luglio 2015 at 10:32

    e’ possible piantarla con questa politika? 😐

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      Kino 27 Luglio 2015 at 10:56

      Riccardino, proprio non riesci a trattenerti eh? 😉

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    Mongo 29 Luglio 2015 at 18:01

    @DURRENMATT e Fuser: quanti strafalcioni in un solo messaggio:
    Il Che non fu arrestato a Valleverde, ma nella Quebrada del Yuro e ucciso a La Higuera. Il suo cadavere fu portato a Vallegrande.
    Del foglio con la lunga sequenza di numeri trovatagli in tasca io non ho mai sentito parlare in forma attendibile e verificabile. Ovviamente non faccio testo. Ma se non ne ho sentito parlare io vuol dire che la cosa non rientra tra quelle che si sanno talmente bene che non c’è bisogno di dimostrarle. Da qualche testimone diretto dev’essere stato scritto che il Che aveva addosso un simile cifrario.
    Non contesto la fondatezza della notizia in sé: mi sembra logico che il Che avesse un cifrario scritto da qualche parte. Ma ciò non significa che qualcuno lo abbia visto e descritto. È di questa seconda parte della notizia che contesto la fondatezza.
    È vero, però, che Internet la cosa si dà come acquisita: (https://it.wikipedia.org/wiki/Crittografia) (http://www.crittologia.eu/critto/vernam.html) (http://www.cmswiki.net/risorse-sviluppo/il-cifrario-di-vernam-e-l’importanza-della-chiave) (http://keynes.scuole.bo.it/linux/critto/index.html) e altri.
    Ma tutti ripetono la stessa identica frase (anche grammaticalmente simile) e cioè che il cifrario trovato addosso al Che era riconducibile a un cifrario Vernam. La frase è sempre la stessa e la fonte non viene mai indicata.
    Tante bugie non fanno una verità, si diceva un tempo. Ma nell’epoca di Internet ciò non è più vero: basta ripetere in ogni sito una determinata frase per farla diventare vera. (Guarda cos’è accaduto con «senza perdere la tenerezza»…).
    Rimarrebbe invece sempre l’obbligo, per il primo sito che ha lanciato la frase, di dire dove ha trovato la notizia. Ripeto: non esigo un memorandum/lista delle Forze armate boliviane (che in astratto sarebbe l’unica fonte attendibile in sede storiografica). Mi accontenterei anche solo di una dichiarazione in tal senso contenuta nel libro di memorie di un qualche militare presente a La Higuera: non a Vallegrande, dove era ormai tardi per procedere a una perquisizione personale. Tenete conto che Félix Rodríguez aveva fotografato e prelevato tutto ciò che poteva essere utile a lui in quanto agente della Cia, già a La Higuera. Che io sappia, lui non redasse una lista di ciò che trovarono in tasca o nello zaino del Che. O se lo fece non sta nel suo libro Shadow Warrior che solo di recente ho letto per intero. Quindi, prima di andare avanti, verificare l’attendibilità della fonte.
    Nel tuo messaggio c’è un’altra affermazione tutta da dimostrare (indicando giorno e data del Diario): io ho tradotto come sai il Diario del Che, ma la mia memoria non conserva traccia di un’annotazione in cui il Che racconterebbe di avere una sequenza di numeri per codificare i messaggi scambiato con l’Avana (e sarebbe stato veramente imperdonabile da parte sua mettere per iscritto una simile notizia…). Meno che mai viene nominato il metodo Vernam. Figuriamoci. Ricordo invece che Pombo (ma vado a memoria e potrei sbagliarmi) accenna al fatto che i messaggi arrivavano in codice. Ma questa non mi sembra una notizia: i messaggi potevano arrivare solo in codice, il Che e forse Papi dovevano certamente avere un cifrario. E non è da escludere che fosse riconducibile alla crittografia del metodo Vernam, visto che era una di quelli in auge. Ritengo però più probabile che il cifrario fosse riconducibile a metodi sovietici, visto che in quel mondo si formavano gli 007 cubani.
    L’esperto dell’argomento codici e cifrari sarebbe proprio Ciro Bustos, che di questa sua attività parla spesso nel libro. In astratto ti dovresti rivolgere a lui che sa di certo la verità su questo tema, ma non credo che ti risponderebbe.
    Spero di non avervi deluso. Ma così stanno le cose.
    (Quanto sopra è opera di Roberto Massari, studioso numero 1 in Europa e forse nel mondo del Che, al quale ho girato la vostra domanda, essendo io a MonteSilvano, per un torneo scacchistico/ferie, lontano dai miei fidati appunti)

  10. avatar
    DURRENMATT 29 Luglio 2015 at 19:33

    …@Mongo:nessuna delusione,anzi ti ringrazio per la disponibilità. Conserverò con cura lo scritto dell’ottimo Massari… P.S.gli “strafalcioni” (sono tutti di Odifreddi quindi diamo a Cesare quel che è di Cesare) mi ricordano Kasparov massacrato da lettori “zelanti” per alcune analisi errate (primo volume della famosissima serie “My Great Predecessors”;)… certo è che noi “utilizzatori finali” siamo dei gran “fetentoni”. 😉

  11. avatar
    chess 24 Settembre 2015 at 10:22

    Grandissima figura il Che. Indimenticabile il suo valore umano. Ma sapere che amava cosi’ tanto gli scacchi (e non era certo un fenomeno!!!) me lo rende ancora piu’ simpatico.

  12. avatar
    Marco De Martin 4 Ottobre 2015 at 14:28

    Bravo Riccardo, non conoscevo questo risvolto nascosto del libro di Bustos e della sua traduzione… ottima la tua idea, un volume del genere mancava davvero fra i libri sul Che in italiano; ora non vedo l’ora di leggerlo (manca poco credo). Un saluto!

  13. avatar
    Mongo 17 Maggio 2016 at 00:38

    Il libro è finalmente pronto per la vendita a soli € 20,00.
    Chi fosse interessato può ordinarlo direttamente a Roberto Massari, l’editore, scrivendogli una e-mail a questo indirizzo: erre.emme@enjoy.it oppure visitando il suo sito: http://www.massarieditore.it/ (devono però ancora inserire le ultime uscite).
    Se fate il mio nome e citate SoloScacchi potrebbe scapparci uno sconticino.

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      Sergio Fenaroli 26 Febbraio 2017 at 11:04

      Grazie x queste importanti informazioni sulla storia del Che!!! Casualmente ho incrociato la vostra curiosa ed interessante corrispondenza. Non sono no scacchista, solo un amatore. Da molti anni vado a Cba ed ho raccolto molte idee sulla sua vita, storia, esperienza… Quest’anno nel 50° anniversario della sua scomparsa, ho pensato di dedicare a lui due viaggi i conoscenza. Il primo a Cuba, nell’Oriente cubano sulla Sierra Maestra e a Santa Clara x ripercorrere le sue tappe della Rivoluzione.
      il secondo in Bolivia ed Argentina proprio in concomitanza alla sua cattura ed assassinio, il 9/10 Ottobre alla Higueria x poi ritornare in Argentina e a Rosario dove è nato, non il 28 Giugno ma un mese prima il 28 Maggio 1928.
      Chi di voi fosse interessato a parteciparvi… mi può contattare.
      HASTA SIEMPRE !!
      Sergio

      Mi piace 1
  14. avatar
    chess 28 Febbraio 2017 at 09:33

    Buon viaggio, davvero. Salutaci il Che.

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