L’ultima partita di Aprile

Scritto da:  | 17 Settembre 2015 | 20 Commenti | Categoria: Racconti

Quel giorno di Aprile 8Auguri nonno! Ecco il tuo regalo – disse Robertino, allungando quel pacchetto.
Bisnonno…sono il bisnonno, non confondiamo… – lo rimbrottò Candido, guardando il nipotino, così vivace, da dietro gli occhiali da sole che nascondevano la cataratta dell’occhio sinistro ed anche quello sguardo così buono, che Robertino amava tanto.
Quel fare burbero del bisnonno gli piaceva anche perché sapeva che si sarebbe poi tolto la pipa di bocca e lo avrebbe abbracciato forte.
Candido aprì quel pacchetto.
Robertino, ma cos’hai regalato a nonno…un disco?
Bisnonno…non nonno – lo riprese il nipote ridendo – e non è un disco ma un CD. Prima di sgridarmi, lascia che metta questa canzone….
Luigi – disse Candido rivolto al papà di Roberto – ma cosa mi avete regalato? Ho novant’anni!
Dai nonno, lascialo fare. Appena ha sentito quella canzone ha voluto che gli spiegassi il significato e ora, in auto, non ascoltiamo altro. Ha detto subito che questa era la canzone del nonno…vedrai ti piacerà!
Sarà… – rispose Candido, poco convinto – come si intitola?
“Quel giorno d’Aprile” – rispose Robertino – come oggi. Inserì il CD nel lettore – Però dopo mi racconti la tua storia sugli scacchi…

“Il Cannone è una sagoma nera
contro il cielo cobalto…
Se la guerra è finita
perché ti si annebbia di pianto questo giorno d’aprile…”

Candido rimase in silenzio e capì. Si tolse la pipa dalla bocca e abbracciò Robertino, baciandolo sulla fronte.
Beh, non era facile giocare a scacchi lassù in montagna, lo sai. Aspettavo solo di smontare dalla guardia notturna perché, se non succedeva nulla, potevo riposarmi per qualche ora ed avevo il tempo per tirare fuori la mia scacchiera…
Dai nonno raccontami ancora come mai hai smesso di giocare.
Candido assunse l’aria pensosa, come sempre quando iniziava a raccontare, perché così piaceva a Robertino ed iniziò:
Sì, è successo qualche mese prima della Liberazione. Stavamo per attaccare una colonna tedesca che si ritirava. Grazie ad alcune notizie apprese in paese ce ne era stata segnalata la partenza. Avevamo messo dei massi lungo la strada, nel punto più stretto, dove le piogge di inizio del ’45 avevano già provocato una frana.

Quel giorno di Aprile 4In quel mattino assolato d’aprile, ero di vedetta ed avevo acceso la mia pipa, in attesa di sentire il rumore dei motori dei mezzi della colonna tedesca. In paese avevamo saputo, la sera prima, che sarebbe passato un camion ed una camionetta. Una quindicina di soldati; potevamo neutralizzarli e prendere le loro armi, sapevamo che le cose stavano girando a nostro favore ma dovevamo impedire che i tedeschi, ritirandosi, riversassero la loro violenza contro la popolazione civile, come avevano già fatto da altre parti.
Erano passate quasi due ore e stavo in attesa del rumore dei motori di quella breve colonna che doveva salire da valle. Una staffetta, Eleonora, dopo essersi inerpicata con la sua bicicletta per alcuni chilometri, ci avvertì he i tedeschi non erano ancora partiti, non si sapeva per quale motivo. C’era ancora tempo. Decisi di tirare fuori dalla bisaccia la mia piccola scacchiera che mi era stata regalata da un amico prete il giorno stesso in cui decisi di scappare sulle montagne per combattere da lì la mia guerra, dopo la vergogna dell’8 settembre. Quel giorno non ero nemmeno passato da casa per paura di qualche rappresaglia contro la mia famiglia, che avrebbe avuto mie notizie solo molto più tardi.
Quell’oggetto a me caro non era che una piccola scatoletta di legno intarsiato che faceva da sostegno alla scacchiera vera e propria di latta, con sessantaquattro case colorate in bianco e nero con lo smalto e al centro di ognuna un buco nel quale veniva inserito il piolo alla base dei pezzi di legno.
Ad un tratto, inaspettato, poiché ero stupidamente e pericolosamente assorto nella posizione, un lampo mi colpì gli occhi. Era il riflesso del sole sul parabrezza di un camion che era comparso da una curva e che risaliva la strada. “Eccoli…”. Misi velocemente la scacchiera nella tasca interna del giaccone ma capii di essere già in ritardo. Tentai di avvisare i miei con il segno convenuto, grazie al bagliore del mio specchietto per la barba, ma mi accorsi che i rami degli alberi impedivano il riflettersi della luce. Mi alzai per trovare quei raggi di sole, mentre il camion si avvicinava, probabilmente mi esposi troppo. La camionetta e il camion si fermarono a circa cinquanta metri in linea d’aria sotto di me. Dall’auto scese un ufficiale tedesco che iniziò ad urinare lungo la strada. Proprio quando mi stavo ormai tranquillizzando nella convinzione di non essere stato visto e che l’imboscata di lì a poco sarebbe scattata, sentii una raffica di mitra, un dolore fortissimo al petto e caddi a terrà. Sentii ancora colpi in lontananza, poi nulla. Quando mi risvegliai attorniato dai miei compagni, mi accorsi che mi trovavo nello stesso punto dov’ero stato colpito. Il vecchio Dandolo, a capo di quell’azione, mi spiegò che senz’altro ero stato visto e che, mentre l’ufficiale fingeva di pisciare, un soldato dall’interno dell’abitacolo della camionetta sparò una “sventagliata”. A quel punto loro, già in posizione, reagirono.
“Beh, io pensavo di trovarti morto – disse Dandolo -, invece eccoti qua, pellaccia, e grazie a quel tuo maledetto passatempo che ho sempre odiato…gli scacchi…” e mi mostrò la mia scacchiera con un buco proprio su “e4”. “…un solo colpo, forse è arrivato debole su tuo petto, perché sparato da troppo lontano…ti ha bucato il giaccone e una parte della scacchiera ma poi si è fermato ed è rimasto dentro la scatola” – disse ridendo quel vecchio combattente.
Presi in mano la mia scacchiera, la aprii e tra i pezzetti vidi l’ogiva.
Non dissi mai a nessuno che la distrazione degli scacchi stava per costarmi cara e per fortuna sempre gli scacchi mi salvarono la vita. Furono così importanti per la mia vita che da allora decisi di smettere di giocare!

Mentre Robertino e Luigi lo abbracciarono forte Candido era felice.

Suona ancora per tutti campana
che non stai su nessun campanile
perché dentro di noi, troppo in fretta,
si allontana quel giorno di aprile.

Quel giorno di Aprile 7

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20 Commenti a L’ultima partita di Aprile

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    The dark side of the moon 17 Settembre 2015 at 10:09

    Bel racconto che richiama un periodo storico che non deve essere dimenticato per costruire un futuro migliore.
    Retorica a parte 😉

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      Giancarlo Castiglioni 18 Settembre 2015 at 11:15

      Certamente bisogna ricordare, solo che tanti pensano che certe cose bisogna ricordarle, altre no.
      Quanto alla retorica è inestirpabile.
      L’Italia è sempre stata un paese di reduci: prima i garibaldini, poi gli ex combattenti della grande guerra, ora la resistenza.
      Ultimo esempio Marino, che per giustificarsi della sua incompetenza amministrativa non trova niente di meglio che dichiarare “fascisti tornate nelle fogne”.

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    Fabio Lotti 17 Settembre 2015 at 22:21

    Mi unisco al commento precedente.

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    Enrico Cecchelli 18 Settembre 2015 at 09:09

    Storia, suggestioni, scacchi, musica,poesia e la magica voce di Guccini. Cibo per la mente! Grazie a Zenone per questi momenti messi in prosa!

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    mauro berni 18 Settembre 2015 at 09:29

    La fotografia di copertina, depurata dello sfondo, fu utilizzata per un’altra copertina, quella del saggio dello storico Massimo Storchi, “Combattere si può vincere bisogna. La scelta della violenza tra Resistenza e dopoguerra (Reggio Emilia 1943-1946)”. Ora che vedo l’immagine completa direi proprio che si tratta della centrale Piazza Prampolini, per l’impressione generale, le colonne del duomo e il fregio sopra il Broletto.
    Bene il racconto.

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    Mongo 18 Settembre 2015 at 13:40

    Mi hai fatto lacrimare per l’emozione. :oops: Grazie.
    Aggiungo che l’Emozionarsi è Rivoluzionario… 😉
    Presto un mondo nuovo sorgerà, per tutti l’uguaglianza e la libertà!!

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    Zenone 18 Settembre 2015 at 15:00

    Come sempre l’idea di base di tutti miei raccontini è legata al ricordo. Un ricordo mai retorico, mai legato ad un bel tempo andato o a nostalgie, sia che io parli della vita del mio circolo, sia del dopoguerra, di dieci anni fa o di qualche scrittore che amo.
    Sono convinto che i ricordi, tutti i ricordi, se sani e non utilizzati per altri fini possano indicare ad ognuno di noi la strada da seguire, se non con ottimismo almeno con fiducia.
    Grazie

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      Antonio 18 Settembre 2015 at 16:08

      Un racconto immaginario vero ? Comunque un caro saluto e complimenti, visto che il protagonista a me torna simpatico anche perché è (o sarebbe) …mio coetaneo e commilitone.

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        Zenone 18 Settembre 2015 at 18:49

        Sì, è, come sempre per i miei racconti, assolutamente immaginario. Anche se si basa su “fotografie” familiari.
        Grazie.

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    DURRENMATT 18 Settembre 2015 at 15:13

    …mentre in montagna si faceva i seri al mare ci si “divertiva” e anche parecchio.Siamo a Napoli,1938.Si sta aspettando Hitler,ad ogni angolo ci sono le camicie nere,l’arrivo del Fuhrer è preparato manco fosse San Gennaro con luminarie,colori accesi e orrendi addobbi.Renato Caccioppoli,uno dei più grandi matematici italiani,anima ribelle e dolente,genio sregolato e comunista impenitente,è fuori di sè:”Dobbiamo fare qualcosa”,grida alla sua amante,la focosa Sara Mancuso.L’idea che segue non solo è folgorante,ma per uno dei più formidabili corto-circuiti dell’immaginario e della storia anticipa di svariati anni una delle scene più straordinarie di un totem assoluto del cinema:Casablanca.Ebbene sì:la scena della Marsigliese.Caccioppoli,uno che di solito si occupa della teoria degli ovoidali,nella sua trattoria preferita s’imbatte in due gerarchi con tanto di fez e, in preda ad un entusiasmo a dir poco pericoloso,convince i musicisti di un’orchestrina di folklore a suonare,lì per lì,proprio l’inno francese,proprio come succederà,quattro anni dopo,al “Rick’s Cafè” di Casablanca.Renato e Sara cantano a squarciagola,non bastasse lui poi inveisce contro il Duce,e i due verranno trascinati via dalle forze dell’ordine.La pagherà cara,il matematico:galera e manicomio.”Larger than life”,avrebbe detto Orson Welles.E’ un atto di giustizia ricordare Renato Caccioppoli,nipote nientemeno che di Michail Bakunin,”o’genio” o il “matematico matto”,come veniva chiamato a Napoli.Dandy impenitente,sotterraneamente accusato di omosessualità,docente inflessibile e sarcastico,frequentatore dei meandri notturni della città partenopea(“femminielli” compresi),appassionato di Baudelaire e Rimbaud,inesausto animatore del circolo del cinema,amico di Andrè Gide,di Eduardo De Filippo ed Elsa Morante, comunista che mai prenderà la tessera del Pci,eccellente pianista(suonerà Debussy ai suoi comizi per la pace),suicida:Caccioppoli attraversa il fascismo ed il dopoguerra come una delle figure più originali,moderne e al tempo stesso “ottocentesche” d’Italia,nel senso in cui può esserlo un personaggio di Tolstoj o di Dostoevskij.Magro,con la Gauloise sempre tra le labbra,solitario ma affamato di vita,antiaccademico furente,rispondeva con battute folgoranti a chi gli chiedeva perchè insegnasse in napoletano:”Tutti i matematici del mondo farebbero bene a nascere a Napoli.A Napoli i numeri non sono come altrove.Sono i numeri di Napoli”.Quasi mistico nel suo poetico razionalismo,a uno studente che gli chiese perchè Einstein si oppose alla teoria dei quanti,il professore rispose:”Perchè Dio non gioca a dadi”…P.S.Durante la visita di Hitler a Napoli nel 1938 un folto pubblico fu schierato lungo via Caracciolo,in attesa del suo passaggio su una macchina scoperta.Quando il Fuhrer passò in piedi nella macchina e tese il braccio nel saluto nazista,una voce dal pubblico non identificata ruppe il silenzio della cerimonia dicendo:”STA VERENN’SI FOR’CHIOVE”…sublime!

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      Antonio 18 Settembre 2015 at 16:12

      Forte Caccioppoli !
      ma anche la battuta anonima che chiude il racconto. In tutto degna di Napoli.
      Complimenti per il racconto.

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      Giancarlo Castiglioni 18 Settembre 2015 at 21:02

      Mio padre era a Napoli come sergente di complemento richiamato in aereonautica.
      Ho una sua fotografia sul molo davanti agli incrociatori ancorati in banchina.
      Purtroppo non gli ho mai chiesto cosa aveva fatto e cosa aveva visto in quella occasione.

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      alfredo 18 Settembre 2015 at 21:58

      Mi è piaciuto il ricordo del grande matematico Cacciopoli
      purtropo i Italia noto ai piu’ per un nbrutto film ( peraltro ben recitato) che per i suoi meriti scientifici .
      Su di lui molta leggenda
      Suggereirei a completamento la lettura di ” un mistero napoletano” di Ermanno Rea .
      Ho conosciuto suoi allievi degli anni 50 a Napoli
      mi hanno detto che l’immagine che ne esce dal film ( morte di un matematico napoletano ) è del tutto distorta
      Il suo problema piu’ grave fu l’alcoolismo
      Anche Luciano de DeC rescenzo fu suo allievo quando frequentava Ingegneria all’università di Napoli

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        fds 19 Settembre 2015 at 13:13

        Ciao Alfredo

        “Vita di un matematico napoletano” appena segnalato non l’ho letto.
        Ho letto Rea e dovrei ancora avere da qualche parte il VHS del film. Perché non ti è piaciuto?

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          alfredo 23 Settembre 2015 at 08:48

          semplicemente perchè ne è una caricatura anche se la innterpretazione di Cecchi è stata parecchio incensata

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      DURRENMATT 19 Settembre 2015 at 11:04

      …”STA VERENN’SI FOR’CHIOVE” (battuta vera) sintetizza una teoria : l’ironia di un popolo permette di evitare il sopravvento degli assolutismi.Per me la “soluzione finale”.Riguardo Caccioppoli consiglio…”Vita di un matematico napoletano” di Roberto Gramiccia(2014).

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    Martin 21 Settembre 2015 at 11:19

    Vorrei saper scriver come Zenone… emozionante ed originale, complimenti vivissimi!

    In quanto a Renato Caccioppoli posso riferire qualche ricordo di mio padre che fu suo studente nel 1948 e 1949 all’Università di Napoli. In verità mio padre seguiva i corsi con Carlo Miranda, altro grande matematico napoletano, ma gli esami erano spesso in sessione congiunta e non era raro incontrarli insieme, soprattutto in occasione degli esami. Appunto con Renato mio padre diede quello di Analisi Superiore. Papà ricordava la figura di Caccioppoli come quella di un personaggio schivo e solitario, niente affatto gigionesco come in seguito è stato dipinto, di poche parole, pragmatico e lapidario spesso fino al paradosso, questo sì.
    Non vorrei dire un’inesattezza ma la parentela con Bakunin era acquisita, non di sangue, perché Maria, la figlia di Michail, si stabilì a Napoli e sua sorella Sofia sposò in seconde nozze il padre di Renato.

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      DURRENMATT 21 Settembre 2015 at 16:18

      … Caccioppoli era un eclettico,uno scettico(“Non ho certezze,al massimo probabilità”;),un epicureo(la sua solidarietà con gli umili ricorda il rapporto che Epicuro aveva con i diseredati,innamorato dei piaceri,degli amici, del vino e della buona tavola) e un cinico(un giorno a Padova,quando aveva già la cattedra di Analisi,si vestì da straccione,si fece crescere la barba,e dopo essersi tolti tutti i soldi dalle tasche,prese un treno in terza classe per Milano.Voleva provare che cosa volesse dire essere povero.Dopo cinque giorni venne arrestato per accattonaggio). Un po’ “gigionesco” era(c’è un’altra versione della “Marsigliese”;).Le sue sedute d’esame erano uno spettacolo (tranne per chi stava “sotto”;).Una volta si presentò uno studente che,non avendo mai studiato il greco,ignorava l’esistenza della lettera epsilon…”Dato un “tre” piccolo a piacere…” cominciò il ragazzo.”Come sarebbe a dire:un “tre”?” chiese Caccioppoli stupito.”Un “tre”” ripetè lo studente e indicò l’epsilon che aveva appena disegnato sulla lavagna.”Nel senso” chiese il professore “che,volendo,potrei chiederlo ancora più piccolo?” “Sì”. “E allora me lo faccia più piccolo.” Il ragazzo lo ridusse la metà.”No,così non mi basta,lo voglio ancora più piccolo.” La gag continuò finchè il poverino non riuscì più a rimpicciolire la sue epsilon tra le sghignazzate degli studenti presenti del “classico”.Che fosse un pragmatico questo è sicuro….1948,Università di Napoli,biennio di ingegneria.L’aula di via Mezzocannone è affollata fino all’inverosimile:si è in attesa di Renato Caccioppoli.Arriva (è come sempre elegantissimo con abito scuro,da sera, con tanto di gardenia all’occhiello) ed entra tra un uragano di applausi.Saluta con un ampio gesto della mano.Si ferma e punta l’indice su un ragazzo della prima fila…”Sei in cucina,devi cucinarti un piatto di spaghetti.La pentola con l’acqua è sul tavolo di cucina.Il fornello è già acceso.Qual è la prima operazione che fai?”…”Metto la pentola sul fornello” risponde pronto il ragazzo…”E se la pentola non si trova sul tavolo,ma sul piano della credenza?”…”Fa lo stesso:metto sempre la pentola sul fornello”…”No:se sei un matematico,la metti sul tavolo di cucina e ti riconduci al caso precedente!”…arte allo stato puro!

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      Martin 21 Settembre 2015 at 16:36

      Scusate, rettifico, ho chiesto a mio fratello che ha miglior cura della mia in merito ai ricordi di famiglia: Renato Caccioppoli era figlio proprio della seconda moglie del padre (io ricordavo erroneamente della prima), ovvero di Sofia. Michail Bakunin era quindi suo nonno, perdonate la confusione… 😯

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    Massimiliano Orsi 30 Settembre 2015 at 12:37

    Conoscevo di fama il film di Martone, pur non avendolo mai visto; non conoscevo la figura di Caccioppoli a cui è ispirato. Gli aneddoti di Durrenmatt su sono fenomenali.

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