Sun Tzu: la forma

Scritto da:  | 17 Novembre 2015 | 23 Commenti | Categoria: Cultura e dintorni

Sun Tzu 14L’arte della guerra si basa sull’inganno e sulla capacità di sfruttare gli errori del nemico, perché l’errore implica la presenza della debolezza da sfruttare. La possibilità di non perdere dipende dalle nostre sole forze, mentre la vittoria dipendente congiuntamente dalla nostra capacità e dalla debolezza dell’avversario. La difesa è in vantaggio sull’attacco perché può essere inattaccabile mentre l’attacco è costretto a prendersi dei rischi per attaccare. Prendersi dei rischi significa concedere debolezze e avere debolezze significa esser caduti in fallo, così che l’attacco ha molte più probabilità di sbagliare che non la difesa, per questo “Se ti difendi sei più forte, se attacchi sei più debole”. La vera abilità consiste nel vincere chi si può battere facilmente e la vera abilità non è vincere cento battaglie: la suprema arte sta nell’abbattere un nemico già sconfitto. Il metodo della forma consiste di cinque condizioni: calcolare la lunghezza, calcolare il volume, calcolare il numero degli elementi coinvolti, confrontare le parti e raggiungere la vittoria. Il territorio genera la lunghezza, la lunghezza il calcolo, il calcolo il confronto, il confronto la vittoria. Così si può concludere che “l’operazione militare vittoriosa è come cento grammi contrapposte a una piuma”.

La forma è l’insieme di proprietà degli elementi del conflitto la cui conoscenza è indispensabile per raggiungere la vittoria. Vien subito detto che la vittoria non dipende esclusivamente da noi, ma è in funzione congiunta sia della nostra abilità e dall’errore del nemico: “In passato, i generali esperti si rendevano invincibili e attendevano che il nemico commettesse degli errori”.1 La possibilità di vittoria consiste nella duplice condizione di imbattibilità (arte della difesa) e di capacità offensiva sulla debolezza (arte dell’attacco): “L’invincibilità dipende da noi. La vulnerabilità del nemico dipende dai suoi sbagli. Così i generali esperti sanno rendersi invincibili, anche se non possono provocare la vulnerabilità del nemico”.2 Questa è una logica conseguenza di quanto affermato prima: se il nemico è abile, sarà privo di debolezze e aspetterà a sua volta la debolezza dell’avversario. In questo caso, l’abilità sta nel non cedere e muovere per primi verso il nemico, creando, così, delle debolezze che possono essere proficuamente sfruttate.

Ma senza errore, il nemico è senza debolezze e, per ciò, è imbattibile perché non si realizza la condizione necessaria per cui la tua forza possa irrompere come un muro d’acqua contro un castello di sabbia: “Per ciò vale il detto: «Si può sapere come vincere, senza necessariamente vincere»”.3 Questo è un principio che mostra due assunti distinti: (1) la conoscenza pura non è condizione di vittoria, bisogna sapere anche come sfruttarla (know-how relazionato al know-what); (2) la conoscenza non è ancora sufficiente, laddove rimane aperta la possibilità che il nemico sia imbattibile in quel momento. Dunque, conoscere è indispensabile per vincere, ma non è sufficiente. Sicché conoscere, però, è sufficiente a non perdere. La propria invulnerabilità dipende dalla propria capacità di non avere punti deboli e di non mostrarli, se ci sono. Così è possibile saper vincere senza necessariamente vincere. In particolare, l’arte della difesa e del saper attendere il momento propizio sono le due virtù cardine dell’azione militare virtuosa: “L’invincibilità sta nella difesa. La vulnerabilità sta nell’attacco. Se ti difendi sei più forte, se attacchi sei più debole”.4 Il passo si rivolge all’obiettivo supremo dell’arte militare: vinci mantenendo intatto il nemico, senza inutile dispersione di tempo ed energia.

Sun Tzu 12Attaccare significa esporre le proprie truppe al fuoco nemico, giacché ogni spostamento comporta una dilatazione delle proprie forze e la disponibilità di nuove imboscate e debolezze. Un esempio è quello della colonna di carri armati: essi sono vulnerabili quando si muovono in linea retta, ma sprigionano una forza decisiva quando si piazzano in modo da non scoprire i fianchi. Non per nulla gli opliti marciavano in modo da coprirsi i fianchi vicendevolmente e così le testuggini romane potevano avanzare senza scoprirsi: minimizzavano i rischi della marcia verso il nemico. Inoltre, l’attacco non solo implica la creazione di nuove debolezze, ma implica pure la necessità di distruggere i beni del nemico. Sun Tzu non vuole dimostrare peculiari proprietà morali della guerra e del warfare, se sia giusto o sbagliato distruggere, ci vuole soltanto mostrare quanto sia irrazionale distruggere arbitrariamente le forze nemico, se siamo egoisti, cioè se intendiamo massimizzare la nostra utilità. Parafrasando la situazione in un discorso economico, sarebbe come investire 100 euro per acquistare un oggetto rotto o un debito. Non ha senso.

Sun Tzu 15L’abilità suprema dell’arte della guerra è la capacità di battere un nemico già battuto, risultato della creazione delle condizioni di vittoria e dell’accumulo del vantaggio così da giungere al risultato nel modo più virtuoso. Questo è un punto particolarmente importante, così che solo Sun Tzu stesso può aiutarci a comprendere in modo perfetto la questione in gioco:

Non è abile chi prevede una vittoria che chiunque potrebbe conseguire.
Vincere in una battaglia universalmente considerata difficile non è vera abilità
Allo stesso modo in cui staccare un capello che cade d’autunno non significa avere molta forza.
Riuscire a vedere il sole e la luna non significa avere una vista acuta
Riuscire a sentire il tuono non significa avere un udito fine.
La vera abilità consiste nel vincere chi si può battere facilmente.
Così le battaglie degli esperti si risolvono senza vittorie straordinarie, senza acquisire grande fama derivante dalla propria saggezza e dal proprio coraggio.5

In questo passo vengono puntualizzate due importanti proprietà. Innanzi tutto, che l’abilità suprema non consiste nel conseguire risultati straordinari, ma nel vincere chi è facile da battere.

Sun Tzu 16Per vincere è necessario operare prima, giungere prima nel “campo di battaglia”. La battaglia deve essere solo il terminale di un lavoro cospicuo nel quale si sono già realizzate le condizioni per vincere. Se non si è lavorato prima per creare le condizioni necessarie alla vittoria, si giunge rapidamente alla sconfitta oppure si rischia nella lotta di vanificare quanto fatto (in uno scontro di pari possibilità). Per questo, lavorare prima e capitalizzare dopo sono le sole due possibilità sicure per giungere alla vittoria mantenendo intatte le proprie risorse e quelle del nemico. Il punto è nodale: vincere significa entrare sul campo già vittoriosi. Per questo, una volta raggiunta la vittoria, in tanti si stupiranno del risultato. Così valgono i seguenti principi:

E così, si vincerà senza alcun dubbio.
E senza alcun dubbio, le proprie azioni porteranno alla vittoria,
Poiché si vince chi è già sconfitto.
Chi è abile in battaglia si attesta sul campo in posizione di vantaggio,
E non si lascia scappare alcuna situazione che porti il nemico alla sconfitta.
Nell’operazione militare vittoriosa prima ci si assicura la vittoria e poi si dà battaglia.
Nell’operazione militare destinata alla sconfitta prima si dà battaglia e poi si cerca la vittoria.6

Sun Tzu 17La guerra immaginaria dei cavalieri medioevali (ché, nella prassi, non era propriamente identica che alle sue rappresentazioni letterarie) è esattamente ciò che va condannato: non si cerca la guerra per il puro gusto di mettere alla prova il proprio coraggio. Questo è profondamente irrazionale ed estraneo all’arte della guerra che è, molto prosaicamente, un modo per raggiungere obiettivi strategici e vantaggi, nulla di più. Ad esempio, il Falstaff di Orson Welles inscena chiaramente un personaggio del tipo appena descritto, Henry Percy: costui si rifiuta di concedersi alla bellissima moglie, pur di andare a sfidare il suo rivale per conquistare la corona con la forza. Ma Percy, lungi dal lottare per questo obiettivo, è solo interessato a vincere il duello contro il figlio del re, per onore e gloria. Onore e gloria: due sentimenti che ottundono la ragion pratica del conflitto e che rendono vana ogni ricerca dell’utile. Sicché Sun Tzu lo deve ricordare di continuo: non per la gloria, non per l’onore, non per la fama, ma solo ed esclusivamente per il risultato finale, la vittoria totale.

Gli strumenti per giungere alla vittoria, dunque, non potranno fare appello alle emozioni o al coraggio, inteso come pura emotività sprigionata di fronte al momento di combattere. Il metodo deve seguire una linea assai asciutta, fondata sul contare e organizzare le proprie forze e nulla di più:

Per quanto riguarda il metodo –
In primo luogo si misura la lunghezza.
In secondo luogo, il volume.
Terzo, il calcolo.
Quarto il confronto.
Quinta è la vittoria.
Il territorio genera la lunghezza.
La lunghezza genera il volume.
Il volume genera il calcolo.
Il calcolo genera il confronto.
Il confronto genera la vittoria.7

In altre parole, il metodo offerto consiste nella scomposizione in fattori primi degli elementi coinvolti da entrambe le parti, dalla loro enumerazione, ricomposizione e comparazione. Per comparare è necessario conoscere i dettagli, che sono conoscibili solo a seguito di una loro enumerazione. Tutto può essere quantificato, a condizione di operare riduzioni virtuose: il campo genera lo spazio (lunghezza), il calcolo genera i tempi di manovra (tempo), gli eserciti costituiscono la somma degli elementi coinvolti (componenti semplici dello scontro). Il risultato sarà che: “Colui che soppesa in tal modo la vittoria, sa far combattere le truppe come se liberasse all’improvviso una gran massa d’acqua accumulata in una gola profonda mille jen“.8

Determinare il crollo psicologico dell’avversario è, a livello individuale, il principale obiettivo della guerra del singolo, laddove ti si deve credere sempre vigile, capace di respingere qualunque attacco e in grado di non essere mai sconfitto nello spirito. Dare l’impressione di invulnerabilità, di forza dello spirito e di potenza è la prospettiva che bisogna dare a un nemico più debole. Viceversa, un nemico più forte deve credere che non ti fiaccherà nello spirito e che ogni battaglia che intraprenderà contro di te non la vincerà facilmente, ammesso che riesca nell’intento.

La somma abilità, dunque, consiste nel portare il nemico dove lui non può che concedere debolezze né può fare a meno di sentirsi indebolito senza rimedio. Saper condurre il nemico dove tu vuoi è un’arte difficile che si fonda sulla tua possibilità di fargli vedere vantaggi dove non ci sono che svantaggi.

Per essere superiori all’avversario ci vuole grande disciplina e capacità di autocontrollo. L’autocontrollo si esercita per tre vie: non cedere nello spirito alla paura, avere l’unità nel cuore e nella mente e saper gestire le tue informazioni in modo che l’altro ti segua credendo di arrivare a conoscere i tuoi svantaggi mentre lo stai guidando verso il tuo pugno di ferro. L’arte del conflitto è, dunque, la suprema abilità dello spirito applicata allo scontro di interessi.

Sun Tzu 18

1 Ivi., Cit., p. 16.

2 Ivi., Cit., p. 16.

3 Ivi., Cit., p. 16.

4 Ivi., Cit., p. 16.

5 Sun Tzu, L’arte della guerra, Mondadori, Milano, 2003, p. 17. Corsivo Nostro.

6 Ivi., Cit., p. 17.

7 Ivi., Cit., p. 18.

8 Ivi., Cit., p. 18.

(9. continua)

avatar Scritto da: Giangiuseppe Pili (Qui gli altri suoi articoli)


23 Commenti a Sun Tzu: la forma

  1. avatar
    fabrizio 17 Novembre 2015 at 11:16

    Tento una sintesi estrema: Sun Tzu avrebbe apprezzato Petrosian e Karpov, molto meno Tal. E’ così? 🙂

    • avatar
      The dark side of the moon 17 Novembre 2015 at 14:12

      Penso anch’io la stessa cosa 😉
      Riguardo il contesto attuale Sun Tzu potrebbe ancora insegnare molto ma ahimè in una società fondata sul profitto, la guerra è diventata un grande business dove tutti fanno i loro affari alle spalle di coloro che rimangono vittime di attentati e bombe varie.

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      Giangiuseppe Pili 18 Novembre 2015 at 18:15

      Ah ah ah! 🙂 Mah… per usare una battuta che circola in certi ambienti: se tutti cerchiamo di essere più intelligenti degli altri e aspettiamo che siano gli altri a sbagliare per primi… be’, se siamo intelligenti uguale, finiremo per capire che è meglio non giocare! In effetti, la cosa suona molto meglio per la guerra!

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        fabrizio 18 Novembre 2015 at 19:42

        Se non ricordo male era proprio la conclusione del vecchio film “War games”.
        Ma purtroppo c’è sempre qualcuno che si crede più intelligente degli altri.

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      Giancarlo Castiglioni 19 Novembre 2015 at 22:57

      Ho sempre pensato che applicare il pensiero di Sun Tzu agli scacchi non funziona, o almeno funziona molto poco.
      Negli scacchi prendere l’iniziativa è essenziale.
      Vi sono impostazione strategiche apparentemente difensive, ma che in realtà hanno lo scopo di prendere l’iniziativa in un secondo tempo, in centro partita o in finale.
      La difesa può vincere solo se l’avversario fa un attacco scorretto.

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    paolo bagnoli 18 Novembre 2015 at 21:13

    Confesso di non aver capito fino in fondo la filosofia bellica di Sun Tzu, ma se la faccenda vuole essere applicata all’attuale situazione tra mondo occidentale e califfato, capisco ancora meno.
    Vado terra terra, come ho fatto in altri post.
    La scacchiera è il mondo intero, noi veniamo attaccati, dobbiamo allestire una difesa che contrasti efficacemente l’attacco. E’ così?
    Se è così, quali sono i mezzi “difensivi” a nostra disposizione? Non vedo altra via che la controffensiva; unica alternativa, la resa incondizionata. E’ così?
    Se la controffensiva viene articolata in modo logico, funzionale al risultato finale (la vittoria), essa è destinata, appunto, alla vittoria.
    Oppure, sto sbagliando tutto, cosa che sono assolutamente disposto ad accettare, sempre che qualcuno me lo dimostri inconfutabilmente. E’ così?
    Mi scuso per l’intervento, ma non ne posso più di chiacchiere inconcludenti.

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      fabrizio 18 Novembre 2015 at 23:51

      Proprio per evitare chiacchiere inconcludenti e discutere di fatti concreti, posso chiedere quale sarebbe secondo te il piano, sia pure di massima ma operativo e concreto, per risolvere il problema? Quando parli di controffensiva, che intendi? Bombardare metà della Siria e dell’Iraq? Invaderli con un esercito? O che altro?
      Nessuno può mettere in dubbio che abbiamo (il “noi” si riferisce evidentemente a tutti gli incolpevoli) il diritto di difenderci dalle minacce del terrorismo e di cercare di estirparlo. A parer mio, però, è come se fossimo di fronte ad un cancro con metastasi diffuse: operazioni chirurgiche risolutive non ne vedo. Proseguendo nel paragone, forse solo una chemioterapia generalizzata (leggi interventi su TUTTE le numerose cause che producono il fenomeno, comprese e non ultime le responsabilità occidentali) può far sperare in una soluzione duratura. Altrimenti, anche abbattuto eventualmente il cosiddetto Califfato, il problema si riproporrà ancora e nel breve.

      PS: il paragone con gli scacchi, purtroppo, temo che non funzioni: sulla scacchiera abbiamo i bianchi ed i neri, ben distinguibili; nella situazione reale distinguere “amici” e “nemici” (tra tanta gente comune innocente) è molto più difficile.

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        chess 19 Novembre 2015 at 08:45

        Condivido in toto.

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      DURRENMATT 19 Novembre 2015 at 14:50

      …la strategia contro l’Isis c’è già. I FURBI(gli occidentali) si occuperanno dei cieli(bombardamenti a go go e ndo cojo cojo)i FESSI(Curdi,Hezbollah libanesi,pasdaran iraniani)e gli OPPORTUNISTI(esercito siriano di Assad) combatteranno a terra.La fase successiva sarà:Deposizione del MACELLAIO Assad(amico di latte del grande leader e stratega Putin) e,udite udite,ELEZIONI!!Questo piano soddisfa gli interventisti oppure dobbiamo chiamare Goldrake??…P.S. ci sono,poi, le “chicche”:i francesi sino all’altro ieri nemici giurati di Assad ora fedeli alleati,la Turchia ,amica di Europei e Americani nonchè membro del G20 bombarda i curdi in lotta contro l’Isis che ha “dichiarato” guerra all’Europa e all’Occidente tutto…SUBLIME!!!

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      Giancarlo Castiglioni 19 Novembre 2015 at 23:20

      Agli occhi degli arabi la guerra la abbiamo dichiarata noi e non hanno tutti i torti.
      La lotta al terrorismo è un problema di polizia, non dell’aviazione.
      La mia ricetta è semplice: smettere di bombardare.
      Naturalmente ci vorrà pazienza, non è che per questo il terrorismo cesserà da un giorno all’altro, ma a poco a poco si fermerà.
      Se si va avanti a bombardare anche il terrorismo continuerà.

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        Palussi 19 Novembre 2015 at 23:32

        Smettere di bombardare: concordo in toto, Giancarlo, e, se mi è consentito aggiungere, ciascuno che se ne torni a casa propria, noi per primi!

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        Jas Fasola 20 Novembre 2015 at 11:45

        come no, perchè allora non smettere di cercare di fermare, come ha detto il Papa? In fin dei conti chi lo fa passa un sacco di grane, come in Mali.

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        fabrizio 20 Novembre 2015 at 12:41

        Penso che la tua analisi sia abbastanza corretta. Aggiungo una frase di Tiziano Terzani: “il problema del terrorismo non si risolverà uccidendo i terroristi, ma eliminando le ragioni che li rendono tali.”
        Rimane però da capire (per me non è del tutto chiaro) quanto pesa effettivamente nel mondo musulmano l’estremismo e il fanatismo religioso.

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          paolo bagnoli 20 Novembre 2015 at 21:09

          Quanto pesa? QUANTO PESA? Il fanatismo, che fece arrostire Giordano Bruno e che quasi lo fece con Galileo, è la peggiore piaga dell’umanità, da chiunque sia ispirato, e l’unico antidoto è LA RAGIONE unitamente alla CONCRETEZZA. Il “politicamente corretto” va gettato alle ortiche, non esiste più, non ha senso di esistere, e va sostituito dal RAGIONEVOLMENTE corretto, in caso contrario rimarremo per sempre la parte debole del sistema.
          Siamo buoni, versiamo lacrime sul bimbo annegato in Grecia, sul cane morto in Francia, e intanto quelli sparano e ammazzano. Siamo buoni, condanniamo a pene detentive e pecuniarie qualcuno che difende la propria abitazione o attività commerciale da rapinatori (però, avevano pistole giocattolo, prima dovevi chiedere se erano giocattoli). Siamo buoni, facciamoci ammazzare in nome di una divinità immaginaria o di una miseria diffusa tra gente che nessuno ha chiamato (ma, è vero?) e che non ha altra scelta che rapinare e rubare. Siamo buoni! SIAMO BUONI!
          P.S. “Bombardare la Siria”? La Siria e l’Iraq non esistono più, al loro posto è sorto il cosiddetto “califfato”. Siamo buoni, cambiamo le carte geografiche e teniamoci bombe, mitra, fanatici per l’eternità. SIAMO BUONI !

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            fabrizio 21 Novembre 2015 at 00:20

            Non mi devi convincere che il fanatismo (specie religioso) sia uno dei mali peggiori dell’umanità, ne sono già convinto. Il mio “quanto pesa” significava soltanto “quanto è rilevante il fanatismo nel mondo musulmano?”, in altri termini: su un milione di musulmani quanti sono i fanatici disposti agli orrendi ed indiscriminati attentati che ci sgomentano ed impauriscono così tanto da provocare in molti una così forte rabbia (che impedisce, questa certamente sì, il corretto uso della ragione che tanto invochi)?
            Se la risposta fosse che la grande maggioranza dei musulmani è fanatica, allora temo che ci dovremmo rassegnare ad una guerra globale di tipo religioso-culturale (è la tesi della Fallaci e, mi par di capire, anche tua); ma se i fanatici fossero una esigua minoranza, non ti sembra che le cose sarebbero un po’ diverse e che il modo di affrontare il problema non dovrebbe essere così drastico? (trattare anche i non fanatici da fanatici è una buona strategia? non credi che ciò peggiorerebbe ulteriormente la situazione, rinforzando le ragioni del fanatismo che vuoi combattere?).
            Io, al contrario di te, non ho una risposta chiara e netta; nell’incertezza sono più propenso a sperare che la situazione sia ancora gestibile e che non siamo necessariamente condannati ad una “guerra fatta così bene” (se non interpreto male il tuo punto di vista) da cancellare dalla faccia della terra la grande maggioranza del mondo musulmano o dell’occidente.
            Se per te questo è “buonismo a fondo perduto”, non so cosa altro dire.

            PS:riguardo al “bombardare la Siria”, affermi che la Siria (e l’Iraq) non esiste più e che c’è ormai solo il Califfato (quindi, arguisco, bombardabile). Se tu sei sicuro che i circa 18 milioni di abitanti della regione sono tutti (o gran parte) terroristi, bombardali pure tranquillamente. I pochi innocenti potrai sempre definirli “danni collaterali” dell’operazione di risanamento.

          • avatar
            DURRENMATT 21 Novembre 2015 at 16:00

            …ti invito alla riflessione e ad un’analisi STRATEGICA più stringente della posizione. In questo momento hai sposato le posizioni troglodite di CASAPOUND.

          • avatar
            Giancarlo Castiglioni 21 Novembre 2015 at 19:12

            La mia ricetta è chiara: smettere di bombardare e di mandare truppe all’estero.
            Ma non perché “siamo buoni” o perché “è la cosa giusta”.
            Semplicemente perché ci conviene.
            La “cosa giusta” potrebbe anche essere difendere i deboli e gli oppressi contro i prepotenti o difendere i democratici contro i dittatori e abbiamo visto come è andato a finire.
            L’inferno è lastricato di buone intenzioni.

  3. avatar
    The dark side of the moon 19 Novembre 2015 at 19:13

    Purtroppo DURRENMATT ha ragione.
    Oggi come ieri sembra di rivedere un film già visto 😕

  4. avatar
    paolo bagnoli 22 Novembre 2015 at 12:19

    “Troglodita” mi mancava.
    Sondaggio di Repubblica: terrificante soprattutto la percentuale dei “non so”.
    Quando uno risponde “non so” ad una precisa domanda, i motivi possono essere tre: a) non VUOLE rispondere (diffidenza?); b) non PUO’ rispondere (paura?); c) non sa COME rispondere (mancanza di corretta informazione?). I ognuno di questi tre casi sappiamo di avere davanti una persona o diffidente nei nostri confronti, o spaventata dalle conseguenze che potrebbero venire dai suo stessi correligionari, o infine semplicemente male o scarsamente informata.
    La soluzione di Giancarlo, a pensarci bene, è forse la meno peggio, in quanto equivarrebbe ad un “si scannino tra di loro e quando ne avranno abbastanza…”.
    Non sono antiislamico, nè antiebraico (Casa Pound? per favore…;), nè antibuddista, nè antiqualcosa: sono, invece, contro il comportamento dell’attuale governo israeliano, contro ogni intifada palestinese (“due popoli, due democrazie” suggeriva Pannella parecchi anni fa, contro il “due popoli, due Stati” che sarebbe stata l’anticamera della guerra), sono contro ogni permanenza di truppe all’estero, contro le lacrime compassionevoli e coccodrillesche. Tuttavia, se qualcuno viene a tentare di impormi il suo modo di pensare e minaccia la mia famiglia o me stesso (a proposito, le telefonate continuano, forse ho pestato i piedi a qualcuno), se posso sparo per primo.
    “Sembra di rivedere un film già visto”: certo, nel corso della Storia film di questo genere se ne sono visti ad abundantiam. Cattolici contro protestanti, sunniti contro sciiti, induisti contro islamici, eccetera.
    Ognuno di noi trovi il suo REALISMO: il mio è questo.

  5. avatar
    DURRENMATT 22 Novembre 2015 at 15:01

    …ricapitoliamo(e con questo concludo).La regione è strategica e per la sua posizione privilegiata tutti la vogliono.La Siria è sempre stata sotto l’ombrello dei grandi imperi.La Siria è Siria da meno di 100 anni e si autogoverna da poco più di 50.Oltretutto non ha scelto le sue frontiere.Gliele hanno imposte.L’EUROPA divise il Medio Oriente in pezzetti per CONTROLLARLO disegnando paesi,senza tener conto delle popolazioni.Molti storici affermano che I POPOLI HANNO LA NECESSITA’DI GESTIRE IL PROPRIO DESTINO però questi ingredienti che ho citato giocano contro i progetti come la Siria Baath che oltretutto usa la repressione per sopravvivere e alla fine quello che producono è una guerra civile.In questi scenari non è strano che appaiano attori che si alimentano della disperazione, il sentimento sunnita di oppressione la visione dell’Occidente come INVASORE.L’Isis usa l’identità araba e la mitologia degli imperi antichi.QUANDO VUOI CAPIRE IL PRESENTE,DOMANDATI…E IL PASSATO?

  6. avatar
    paolo bagnoli 22 Novembre 2015 at 18:15

    Certo, l’Occidente ha suddiviso gli odierni Stati Arabi col righello (anche in Africa). L’ISIS usa l’identità araba ma NON la mitologia degli imperi antichi. L’eterna divisione interna degli Arabi (questa non l’abbiamo fatta noi) è di derivazione religiosa, oltre che di potere locale, e da secoli gli Arabi si scannano tra di loro secondo la “legge coranica”. Noi ci siamo liberati da questo pregiudizio un paio di secoli fa o giù di lì (per fortuna), continuando tuttavia a scannarci per il potere, ma mettendo nel cassetto i pregiudizi religiosi.
    Il problema degli Arabi sta tutto qui e con me invitarmi a vedere il passato è come sfondare una porta aperta.

  7. avatar
    Salvatore Tramacere 23 Febbraio 2016 at 18:16

    Ho scoperto da poco questo bel sito e sto leggendo a ritroso gli interessanti post pubblicati. Questo mi interessa particolarmente perché ritengo Sun Tzu applicabile anche agli scacchi, come alla vita in generale; e non sono gli scacchi metafora della vita?
    Credo che la partita Geller-Euwe, Torneo dei Candidati, Zürich 1953, spieghi abbastanza bene il concetto svolto nell’articolo: la difesa, il portare il nemico dove egli crede di poter vincere. Certo, alla fine Geller commette uno svarione colossale; resta il fatto che pur attaccando a tutto spiano non sarebbe riuscito a vincere.
    P.s.: un saluto a Roberto Messa con il quale ho avuto l’onore di incrociare i pezzi per corrispondenza proprio nell’anno in cui si laureò Campione italiano a tavolino.

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