Aicha

Scritto da:  | 16 Aprile 2016 | 3 Commenti | Categoria: Racconti
Aicha 1Ibrahim sollevò gli occhi dalla scacchiera osservando l’avversario che stava riflettendo sul da farsi. All’esterno un dromedario sbuffò rumorosamente, mentre la più giovane delle mogli dell’arabo, Aisha, sollevava un lembo della tenda per servire il té al marito ed all’ospite.
La donna posò il vassoio sul tappeto ed uscì nel sole rovente del mezzogiorno.
“Bevi il tuo té” invitò Ibrahim. L’ospite, senza staccare gli occhi dalla scacchiera, portò alle labbra la piccola tazza metallica, sorseggiò lentamente e spostò un Alfiere.
“E’ bravo” pensò Ibrahim “ed anche molto, molto prudente”. La fama di Ibrahim come giocatore di scacchi era nota in tutto il Nefud, ed altrettanto nota era la sua rigida osservanza della Parola del Profeta. Due volte all’anno visitava i luoghi santi, Mecca, Medina, Damasco, Gerusalemme, ascoltando le parole dell’imam  locale e riflettendo su tali parole. Il suo commercio in queste località era fiorente: spezie, avorio, tappeti, giovani dromedari, tutto era per lui fonte di guadagno.
L’ospite, giunto al campo la sera prima, invitò Ibrahim a muovere con un gesto della mano. L’arabo, invece di muovere, continuò ad osservare l’ospite. Non gli aveva chiesto il nome per non urtarlo con una sconveniente curiosità: era un ospite e ciò era sufficiente a garantirgli cibo e riposo. Uno dei figli di Ibrahim si era occupato del dromedario, facendolo bere e mangiare e spazzolandogli il corpo.
Ibrahim spinse un Pedone e tornò ad osservare l’ospite. Stavano giocando con le regole internazionali, diffuse ormai in tutto il Medio Oriente. La curiosità prese il sopravvento sulle buone maniere: “Qual è il tuo nome?”
L’ospite alzò lo sguardo: “Yussuf ibn Alì” rispose l’altro “e vengo da Aleppo”.
“Un lungo viaggio” commentò Ibrahim “Cosa ti porta quaggiù?”
Yussuf agitò una mano nell’aria: “Affari di famiglia” e tornò a fissare la scacchiera.
Avevano pregato assieme, poche ore prima, e non mancava molto al successivo momento di preghiera. Le donne avevano già provveduto a raccogliere l’acqua per le abluzioni ed i tappeti erano pronti a pochi passi dalla tenda, giustamente orientati.
“Chi sei, VERAMENTE?” pensò Ibrahim. Qualcosa, in quel viandante, lo incuriosiva in modo strano: l’imperturbabile calma, il senso di sicurezza che emanava… Yussuf gli attaccò un Cavallo, che Ibrahim si affrettò a ritirare. Immediatamente l’ospite mosse a sua volta un Cavallo, attaccandogli la Regina e solo in quel momento Ibrahim vide che, con una semplice sequenza di tre mosse, avrebbe perso una qualità senza alcun compenso, lasciando l’iniziativa all’avversario. Cercò una soluzione, che non c’era.
“Hai vinto” dichiarò l’arabo. “Sei molto bravo ma” proseguì “non credo che ad Aleppo…”
L’altro alzò una mano, troncandogli la frase: “Hai ragione, ti ho mentito, e te ne chiedo scusa. Sto sfuggendo agli inglesi, ma il mio nome è veramente Yussuf”.
Ibrahim rimase in silenzio, meditando sulla rivelazione, poi: “Agli inglesi? Perchè? Dicono di essere nostri amici”
L’altro alzò gli occhi dalla scacchiera: “Ho aiutato un ebreo”.
Ibrahim rimase sconvolto da quella confessione: “Un EBREO?!”
Aicha 6Yussuf rimase in silenzio, abbassando lo sguardo, poi, quasi sussurrando, disse: “Eravamo… siamo, amici d’infanzia, da quando lui e la sua famiglia vennero a stabilirsi in un kibbutz che stava sorgendo nei pressi del nostro villaggio, a poche miglia da Asqalan. Per anni abbiamo giocato insieme, abbiamo portato le capre di mio padre al pascolo, qualche volta mi hanno ospitato alla mensa del kibbutz, ho imparato la loro lingua e lui ha imparato la nostra, eravamo come fratelli, ma un giorno mio padre mi vietò di continuare a frequentare gli ebrei, diceva che ci stavano rubando la terra ma io sapevo che non era vero, la terra loro l’avevano comprata da mio padre con sterline e dollari…”
“Basta così” lo interruppe Ibrahim alzando una mano “Tu sei mio ospite ed il Profeta, sia benedetto il suo nome, mi impone di rispettarti, ma non chiedermi di comprenderti o di approvare il tuo comportamento. Gli ebrei sono infedeli, come i cristiani che adorano tre divinità e come tutti coloro che non praticano la Vera Fede. E’ l’ora della preghiera” e così dicendo si alzò ed uscì dalla tenda.
Yussuf lo imitò, andando ad occupare il tappeto accanto al suo, ed Ibrahim iniziò a salmodiare le sure; lì, in mezzo al deserto del Nefud, non c’era un imam. Al termine dei doveri religiosi, osservati da lontano dalle donne del campo e dalle mogli di Ibrahim, i due ripiegarono i tappeti senza dire una parola, fino a quando Yussuf ruppe il silenzio: “Questa sera, al tramonto, ripartirò”.
Ibrahim, irrigidito dalla collera, non seppe dire altro che: “Insciallah”.
Il padrone della carovana rientrò nella tenda, mentre Yussuf si avvicinava al dromedario. Sorrise al ragazzo che lo stava spazzolando e scosse la testa: “Perché non capiscono? Perché?”. Pensò a David, al quale lui aveva fornito rifugio, vesti arabe, cibo, favorendone infine la fuga. “Era mio fratello”, ed ora gli inglesi cercano anche me”. Suo padre aveva raccontato tutto ed ormai lui era un reietto per la sua gente, un criminale per gli inglesi, un senza patria.
“Quando finirà? Quando potremo vivere in pace? Tra poco gli inglesi se ne andranno e gli ebrei, tutti lo sanno, proclameranno la fondazione del loro Stato, scoppierà la guerra, forse David mi ucciderà od io ucciderò lui”
Il ragazzino gli porse una manciata di datteri e Yussuf ne prese due, ringraziandolo ed avendone in cambio un sorriso. Iniziò a sellare il dromedario, raccolse le sue poche cose nella sacca di cuoio e si avviò verso la tenda per ringraziare Ibrahim dell’ospitalità ricevuta. Scostò il lembo della tenda e vide Ibrahim, immobile, seduto davanti alla scacchiera.
“Ti ringrazio” disse “Che Allah protegga te e la tua famiglia”.
“Non ringraziarmi” ribattè l’altro con voce roca “Ho obbedito al Profeta”. Dopo qualche secondo di silenzio proseguì: “Che Allah ti perdoni per aver aiutato un infedele, un EBREO, uno di coloro che stanno rubando la nostra terra”.
Yussuf fu sul punto di ribattere, ma si limitò ad un lieve inchino ed uscì dalla tenda. Il sole era sceso lievemente, preannunciando il breve tramonto del deserto, e le sabbie si stavano colorando di rosso. “Dove andrò?”. Montò il dromedario, schioccò la lingua e l’animale si mosse verso il deserto immenso, infinito, mortale.


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avatar Scritto da: Paolo Bagnoli (Qui gli altri suoi articoli)


3 Commenti a Aicha

  1. avatar
    Ramon 16 Aprile 2016 at 09:30

    Con Paolo ci eravamo fermati… e da Paolo abbiam ripreso! 😉

  2. avatar
    Mongo 16 Aprile 2016 at 13:06

    … E che ripresa!!
    ‘cezziunale!! 😉

  3. avatar
    danilo 17 Aprile 2016 at 13:52

    …ma cosa aspettate a fare Paolo Presidente ad honorem? 😎

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