Terra Murata

Scritto da:  | 22 Gennaio 2010 | Un commento | Categoria: Zibaldone

Fino a pochi anni addietro la struttura era ancora funzionante, si erge nel punto più alto dell’isola ed un tempo vi era possibile accedere da due porte soltanto: Porta di Mezz’Omo e Porta della Terra, detta anche Porta di Sant’Angelo, quest’ultima in seguito abbattuta. La strada che vi conduce è stretta e ripida, ma lo sforzo per arrampicarvisi è ben ricompensato dal panorama che si stende alla vista del visitatore giuntovi fino in cima.

Terra Murata, erta di un’isola crocevia di storia e di salsedine, Procida, le cui origini si perdono nella notte dei tempi …“colei che giace” fu battezzata dai Greci secondo un’etimologia la cui storia anch’essa è controversa e oscura. Ma di veramente oscuro e buio lassù, a Terra Murata, vi sono le fondamenta di un castello cinquecentesco costruito a strapiombo sul mare. Il Castello è quello di Avalos, dal nome del feudatario aragonese che lo fece erigere, e traspira storia ed emozione da ogni pietra che lo compone. Inaccessibile dal mare, già palazzo reale divenne prima collegio militare e, con Ferdinando II di Borbone, infine bagno penale. L’impianto architettonico originario del Castello fu in seguito modificato per soddisfare le necessità della nuova struttura carceraria: celle, corridoi, camerate comuni e cubicoli per le punizioni furono ricavati, in maniera spesso disordinata, all’interno del palazzo. I quattro livelli dell’edificio, vennero suddivisi a seconda della gravità delle pene: i piani bassi, umidi ed angusti, ospitavano prigionieri politici o assassini; il piano più alto, chiamato Reclusione, era occupato da condannati al “minimo dei ferri”. Nei sotterranei erano invece le celle interrate utilizzate come celle di rigore. Per circa un secolo e mezzo il bagno penale ospitò le sofferenze ed i patimenti di ergastolani e detenuti per reati comuni, criminali incalliti e semplici derelitti dimenticati in fondo a quelle celle a morire d’inedia e di freddo.

Le sere d’estate l’atmosfera è quanto mai suggestiva nel borgo a ridosso di quelle mura, e scrutando l’azzurro profondo di quel mare è facile perdersi ad immaginare saraceni e aragonesi solcare quelle acque profonde e dense di storia. Il salmastro pervade i polmoni e la mente si estende in sogni e fantasie. Quel luogo di pena perde come per mistero la lugubre aurea di malinconia che vi aleggia intorno nelle altre ore della giornata. Vi è proibito entrare ma il proibito non è sinonimo di impossibile. All’interno vi si incontrano vestigia di quelle tristezze, scarpe ammuffite e materassi marcescenti, calcinacci e vecchi telai arrugginiti di quelle che furono le brande degli ospiti di quelle celle… Appena dentro l’impulso è quello di fuggirne all’istante ma un dettaglio, un brandello di quella realtà fatiscente ti avvince costringendoti a rimanervi per qualche istante che può sembrare infinito… in alcune celle vi si trovano ancora stracci impolverati, pezzi di legno e frammenti di qualche oggetto un tempo appartenuto a quelle misere esistenze infelici… schegge di uno specchio, un pezzo di pettine tutto sdentato, semplici parti di cose che portano ancora con se segni infinitesimi di vita come abbandonati in un inaccessibile fondale marino… dietro una porta che cade a pezzi vecchi giornali ingialliti, una fotografia mezzo bruciacchiata ed un vecchio quaderno senza copertina… lo prendo e lo inizio a sfogliare… date, qualche nome, rozzi disegni indecifrabili, altri scarabocchi ed un qualcosa che mi fa sobbalzare d’improvviso: lo schizzo a matita di una scacchiera con sopra l’indicazione di alcuni pezzi…  la grafia è incerta eppure non mi posso sbagliare, pare una posizione di scacchi, no, è evidente… strappo in fretta quel foglio fetido e ingiallito e mi metto a correre dal corridoio da cui sono venuto, un brivido gelido mi ha percorso fulmineo il corpo: “cosa ci faccio ancora lì in quel posto tristo e maledetto?!?” Fuggo via e il profumo intenso di marino che mi sbatte sulla faccia trascinato da uno spruzzo di vento, mentre salto sopra il muretto scavalcato per entrare in quel luogo malsano, mi indica che son di nuovo fuori, di nuovo libero… come forse mai riuscì ad esserlo chi in quei luoghi ebbe la sfortuna di entrare… libero come i pezzi su quella scacchiera… meccanicamente estraggo dalla tasca quel pezzo di carta ed esaminandolo meglio mi chiedo se sia stato riportato correttamente… difficile infatti supporre che chi lo ha fatto avesse conoscenza esatta delle regole del gioco degli scacchi… mi pare che qualcosa non torni in quella posizione, cerco di investigare quale possa esser stata l’ultima mossa… rimango incredulo stentando a credere che si tratti di una posizione effettivamente possibile… Terra Murata ne serba, forse eterno, il segreto…

avatar Scritto da: Martin (Qui gli altri suoi articoli)


Un Commento a Terra Murata

  1. avatar
    cserica 22 Gennaio 2010 at 16:25

    Martin Eden ha viaggiato in lungo e in largo per i cinque continenti, lo si intuisce dai suoi racconti…..

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