“Clay lo potrei battere meglio io di Spinks. Sono pronto a giocarmi la casa. Se lo incontro di nuovo, lo stronco.”
(Alfio Righetti, campione italiano dei pesi massimi tra il 1977 e il 1979)
Arrivare a disputare un combattimento contro Muhammad Ali, al secolo Cassius Marcellus Clay, era già una vittoria di per sé per un pugile della seconda metà degli anni settanta. Voleva dire essere riuscito a scalare tutti i gradini della carriera professionistica dei pesi massimi, per trovarsi davanti alla grande occasione della propria vita. E a rendere ancora più allettante quest’irripetibile opportunità c’era un premio (detto borsa nel gergo pugilistico), che poteva valere fino a qualche milione di dollari.
I gradini della carriera Leon Spinks se li era scalati bruciando le tappe. Peccato che la borsa non si rivelò all’altezza dell’evento. E per il match contro Ali della notte del 15 febbraio 1978, valevole per la corona, anzi per la cintura mondiale dei pesi massimi, si dovette accontentare di 320 mila dollari (poco più di 100 mila al netto di tasse, e compensi a manager ed allenatori), una cifra considerata modestissima per un avvenimento di una simile portata.
Ma Leon Spinks non era George Foreman o Joe Frazier, e neppure un divo del cinema come Ken Norton, in arte Mandingo. Non era altro che un giovane pugile ancora semisconosciuto al grande pubblico, anche se molto promettente. Dopo una travolgente carriera da dilettante, in cui aveva conquistato anche l’oro olimpico dei pesi mediomassimi a Montreal 1976, come professionista aveva disputato appena sette incontri, rimanendo comunque imbattuto. E l’agognata sfida contro Ali se la guadagnò in una sofferta semifinale a Las Vegas il 18 novembre 1977, superando di un soffio ai punti il riminese Alfio Righetti, la grande speranza tra i nostri pesi massimi dell’epoca.
In pochi credevano in un’eventuale vittoria dell’ancora inesperto Spinks, che per la maggior parte degli alibratori ufficiali (le scommesse erano legali nello stato ludico del Nevada), era quotata addirittura 10 a 1. Eppure Muhammad Ali, che alla faccia della modestia si faceva chiamare The Greatest, stava cominciando a invecchiare. Non era già più quel campione che “svolazza come una farfalla e trafigge come una vespa”, come lo definì il suo secondo Bundini Brown dopo la prima conquista del titolo mondiale contro Sonny Liston nel 1964. Da poco aveva suonato i trentasei anni, dodici in più del suo sfidante, ed era arrivato ai centodue chili di peso, sempre dodici più dell’altro. Anche le sue ultime vittorie ai punti nel 1977 contro pugili non proprio irresistibili, del calibro dell’uruguaiano Alfredo Evangelista e dello statunitense Earnie Shavers, avevano già fatto squillare più di un campanello di allarme. Ma certamente il suo mito, alimentato, oltre che dagli strepitosi successi, anche dalla sua personalità infinitamente carismatica, resisteva ancora a dispetto dell’età e della bilancia. E proprio andando contro le sue abitudini, in un’improvvisata conferenza stampa alla vigilia del match parlò del suo avversario in toni molto compassati, quasi a volere anestetizzare le tensioni. Un Muhammad Ali in versione così moderata non si era mai visto prima. Solo Angelo Dundee, suo fedelissimo allenatore fin dal 1960, e ancora una volta più realista del re, si sbilanciò a pronosticare una vittoria del suo pupillo, e la fissò tra l’undicesimo e il dodicesimo round.
Quasi a confermare i toni blandi dei protagonisti, anche secondo le previsioni degli organizzatori questo incontro non sembrava avere le carte in regola per raggiungere elevatissime vette di audience. E si optò allora per una cornice di basso profilo, quella dell’Hilton Pavilion di Las Vegas, la sala congressi del noto omonimo albergo, che per capienza non arrivava neanche ai diecimila posti a sedere.
Alle dieci di sera il campione del mondo salì sul ring sfoggiando la sua consueta spavalderia. Quando poi si levò di dosso l’accappatoio bianco, si vide che era più alto e più grosso del suo giovane sfidante. Ma il fisico di Spinks appariva decisamente più stilizzato, e il suo busto non mostrava le tracce di adipe che Ali aveva accumulato, un po’ a causa dell’età e un po’ per la mancanza di un allenamento costante negli ultimi tempi.
Allo scoccare del gong, Leon Spinks partì subito all’arrembaggio del campione, e cogliendolo di sorpresa, lo mise all’angolo con bordate di destro e sinistro al corpo. Ali si protesse il volto con i guantoni, e solo con enorme fatica riuscì a riportarsi al centro del ring.
Gli attacchi di Spinks proseguirono incessanti fino alla quarta ripresa, quando l’altro cominciò a perdere sangue dalle labbra per il riacutizzarsi di una ferita subita in allenamento pochi giorni prima. Ma proprio da quel momento il campione tirò fuori il suo smisurato orgoglio che stava lasciando incautamente a sonnecchiare. Riuscì a riprendere in mano l’iniziativa del confronto, confondendo ripetutamente lo sfidante con il proprio caratteristico gioco di gambe, una via di mezzo tra una danza di tip tap e un dribbling di Garrincha.
Già la mattina dopo la vittoria contro Ali ricevette offerte milionarie per sponsorizzazioni da multinazionali come la Seven Up e la Coca-Cola. E in brevissimo tempo si fece notare come un assiduo frequentatore di festini, ai quali si presentava indossando regolarmente abiti di colori chiassosi, cappellone nero da pistolero e ray-ban da sole (portati con disinvoltura anche di notte). Fu così che gli amici e i giornalisti presero a ribattezzarlo Neon Leon. Un po’ perché, come una lampada al neon, non passava mai inosservato, e un po’ dal nome d’arte di un cantante punk di serie B abbastanza in voga all’epoca negli Stati Uniti, e più noto per i suoi eccessi che per la sua musica.
“Neon” Leon Spinks ce la mise tutta per dimostrarsi all’altezza del nuovo soprannome. Dimenticatosi quasi completamente di essere un pugile professionista con tanto di moglie e tre figli a carico, sparì dall’orbita della palestra e del focolare domestico, per concedersi anima e corpo alle pazze gioie della ricchezza. Proprio sua moglie Nova, sentendosi a dir poco trascurata, arrivò al punto da lamentare al settimanale People che “dal momento che mio marito ha conquistato il titolo mondiale, per me è cominciato l’inferno”.
Ma la dolce vita del neocampione dei pesi massimi non filò liscia e piacevole come lui probabilmente avrebbe desiderato. Solo un mese dopo, nel marzo del 1978 apparve su tutti i giornali la notizia del suo arresto da parte della polizia di Saint Louis per guida spericolata, corredata dalla sua foto in manette. E, siccome le forze dell’ordine della sua città natale non erano abituate a fare sconti, dopo appena quaranta giorni venne pizzicato di nuovo, questa volta per detenzione di droga. Altra foto in prima pagina, e inevitabile crollo verticale dell’immagine. Come conseguenza, le multinazionali ritirarono le loro offerte di sponsorizzazione, e un mucchio di potenziali guadagni andarono in fumo.
E, come se tutto questo non fosse bastato, ci si mise una nuova scadenza a incombere su di lui. Infatti, già prima del match contro Muhammad Ali aveva sottoscritto l’impegno di affrontare Ken Norton nel caso in cui avesse conquistato il titolo. Ma Leon, ora più che mai Neon, non sembrava proprio vedere l’ora di ritornare a combattere. Poi un’eventuale rivincita contro Ali, da rimandarsi più in là nel tempo, gli avrebbe avrebbe fatto incassare una borsa più pingue che un incontro con Norton.
Neon Leon non se lo fece ripetere due volte, prima di rifiutare la sfida contro Norton. Ma la WBC (World Boxing Council), che insieme alla WBA (World Boxing Association) costitutiva l’organizzazione internazionale di pugilato professionistico, non gradì questa sua scelta, e gli revocò la corona mondiale dei pesi massimi.
La WBA però, l’altro ramo dell’organizzazione internazionale, che continuava a riconoscerlo come detentore del titolo, si rese disponibile a mettere in piedi la grande rivincita. E la fissò per il 15 settembre 1978, questa volta in una struttura davvero suggestiva e imponente, il Lousiana Superdome di New Orleans, che poteva contenere fino a settantamila spettatori.
Così, mentre Muhammad Ali si preparava meticolosamente per l’impresa di riconquistare la forma e l’alloro perduti, Leon Spinks si concentrò con altrettanta diligenza su un’impresa parallela: ovvero come gettare ai quattro venti l’anticipo di 3 milioni e 250 mila dollari della borsa di 4 milioni e 100 mila dollari complessivi.
“Mi hanno fregato tutto gli avvocati!” reclamerà in un’intervista al quotidiano britannico The Sunday Times nel 2006, parafrasando involontariamente la celebre battuta di un gruppo di galeotti nel film “Le ali delle libertà”.
L’impresario Robert Arum, padre padrone del pugilato professionistico statunitense insieme al rivale Don King, rivelò che i giorni prima del match contro il redivivo Ali, era stato localizzato in diversi bar dei quartieri più malfamati di New Orleans. E, dopo l’inevitabile (e meritatissima) sconfitta, ai punti e con verdetto unanime, a Neon Leon non furono più concesse altre opportunità di salire alla ribalta. La sua carriera si trascinò tra crisi mistiche, donne aspira-soldi, mediocrità, figuracce, annunci di ritiro poi rimangiati, e acuti sempre più rari fino all’ultimo match del 22 ottobre 1994, quando ormai quarantunenne e in penose difficoltà economiche, accettò di tornare sul ring. E il suo patetico ritorno durò appena sessantanove secondi, giusto il tempo di venire messo K.O. da John Carlo, un modesto pugile debuttante di trentatre anni, che non lascerà grandi tracce nella storia della boxe.
Racconti di vita narrati stupendamente senza retorica, con una profonda conoscenza dell’argomento.
L’ottimo Ottomano ci regala ancora una perla.
Se mi è lecito, toglimi una curiosità: sei un professionista del settore?
A mio modesto parere scrivi molto meglio della maggior parte dei tuoi probabili colleghi.
Complimenti 😉
Si era vociferato che la sconfitta di Ali fosse stata programmata per consentirgli nella rivincita di riconquistare il titolo di campione del mondo per tre volte, cosa all’epoca mai avvenuta nei pesi massimi.
Ali voleva Righetti, perché dopo aver perso il primo incontro, avrebbe poi riconquistato il titolo in un incontro di rivincita che si sarebbe disputato a Roma, dove 20 anni prima aveva vinto l’oro olimpico. 🙄
Splendido ritratto di una figura da considerarsi comunque minore nel puglato professionistico
Molte piu’ tracce lascerà il fratello Michael prima campione del mondo dei mediomassimi poi dei massimi battendo il grande Holmes
i due fratelli Michael e Leon vinsero la medaglia d ‘oro alle olimpiadi del 76 a Montreal
Leon Spinks fece poi anche una apparizione in Italia dove fu battuto per Ko da un’altra giovane promessa dei massimi italiani che poi rapidamente spari’mentre la carriera di Michael fu stroncata dalla furia di Tyson .
Righetti praticamente fini la carriera sconfitto da Zanon nel 1979
Quella serata fu molto triste in quanto dopo l’incontro al TG diedero la notizia dell’omicio dell'”eroe borghese” Ambrosoli , il ” liquidatore ” del Banco Ambrosiano .
Le ultime notizie su Leon me lo davano in cattivissime condizioni , a fare lo spazzino per pochi dollari , indementito
sorte purtroppo non rara tra i pugili ( anche Italiani : loi , Lopopopolo , Bossi)
comunque ottimo articolo di Ottomano, secondo me secondo solo al ricordo dell’indimenticabile ” miro” Panizza
Grazie
Mi associo ai complimenti! Veramente un bellissimo articolo che lascia
trasparire grande passione e padronanza della disciplina. Mi auguro
altri futuri pezzi su di un’epoca gloriosa del pugilato.
IO mi aspetto un articolo sul grande Roger de Vlaeminck , lo zingaro di Eeklo . era da anni che aspettavo un corridore che un po’ me lo ricordasse e adesso forse c’è . il campione del mondo Peter Sagan
agli appassionati di ciclismo consiglio il libro di Claudio gregori : il figlio del tuono di Claudio Gregori su Eddy Merckx
Il ricordo di Leon Spinks è davvero riuscito, ma questa non è una novità: Giuseppe ci ha abituato a pagine eccellenti come questa.
Nel video in calce al suo pezzo ho trovato emozionante come Spinks ricorda, a distanza di anni, il suo incontro vittorioso col grande Alì; le parole che usa e soprattutto il tono sono davvero commoventi… ai nostri amici medici, in particolare Alfredo ed Enrico, chiedo se ravvisino, in qualche modo, dei possibili sintomi legati ai colpi subiti in carriera, nel farfugliare, nei muscoli facciali piuttosto contratti, dell’ex-campione… non so, io non sono un dottore e non posso dire ma la malinconia che se ne tra comunque è tantissima…
C’entra niente con questo articolo, ma poco fa Ali e la musica hanno perso un grande amico.
Piovono lacrime violacee…
R.I.P. 😥
Noooo!!!
Che notizia… 🙁
Ho giocato per anni su un sito di gioco “gameknot” col nick “purplerain”, uno dei pezzi che ha fatto la storia del rock: fantastico.
R.I.P. grande artista
…”Dentro un ring o fuori non c’è niente di male a cadere.E’ sbagliato rimanere a terra”(Alì).
Buon viaggio campione. 😥